PACIFICAZIONE O LIBERAZIONE? SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE E LIBERTA' PER TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI (Berlino 1-5 aprile 1999)

ROVESCIARE LA PACIFICAZIONE TRIADICA, IMPORRE LA GIUSTIZIA

Dichiarazione dei prigionieri di Action Directe di sostegno alla riunione internazionale di Berlino, Aprile 1999

La dominazione del capitale ha sempre avuto per corollario "l'illusione giuridica".
La legge è nata assieme ad essa organizzandone lo "spessore". La sua sostanza è la preservazione della proprietà e l'usurpazione dei suoi benefici. Nel corso dei secoli, il diritto ha seguito l'evoluzione dei rapporti di produzione e più questi divenivano complessi, più il diritto assumeva una vera e propria centralità politica e ideologica.

Di conseguenza è del tutto naturale che la mondializzazione del capitale riproduca questa essenza su una nuova scala.
Dappertutto il potentato della legge si estende e penetra in profondità il corpo sociale della produzione transnazionale.
Il capitalismo generalizzato è il quotidiano del mondo globale degli uomini e la globalizzazione del diritto disegna l'ordine della dominazione reale del capitale sull'insieme dei rapporti sociali.
Non una conferenza, non un discorso, senza che i dirigenti delle potenze imperialiste e delle transnazionali non si rifacciano ai diritti, alla legge, ai valori universali civilizzatori.

Ma dietro questa mobilitazione onnipotente della propaganda, quali sono le realtà della giustizia "transnazionale" dopo più di 15 anni di neoliberismo?

Nelle "pacificazioni" esteriori: le potenze imperialiste esigono attraverso un ultimatum la giustizia per le nazionalità kossovare, croate e kurde del nord irakeno, mentre sono direttamente complici della repressione selvaggia dei Kurdi del PKK, dei Baschi, dei Palestinesi e di altri movimenti di liberazione nazionale.
E secondo la "buona coscienza" occidentale è ugualmente naturale fare la guerra perché l'Irak "occupa" il Kuwait.
E' perfettamente legale bombardare e affamare un popolo dal momento che le risoluzioni ONU coprono il misfatto.
Ma a qualche centinaio di chilometri da lì, Israele può impunemente terrorizzare le popolazioni del sud del libano e della Palestina intera.
Senza parlare di Timor e del Sahara occidentale...
Chi si preoccupa allora delle risoluzioni internazionali?

Nelle repressioni interne, si può ben dire delle cose, ma bisogna ricordare che un anziano ministro dell'interno spagnolo e il suo segretario di stato alla sicurezza, tutti e due complici di decine di assassinii di rifugiati baschi sono condannati a 10 anni di prigione, ma vengono graziati dopo soli 105 giorni di carcerazione. Pinochet, accusato di essere il sanguinario dittatore che si sa, è detenuto in un cottage lussuoso della campagna inglese.

Papon che è stato condannato per complicità in crimini contro l'umanità durante il regime dello Shah, accusato di essere il responsabile della repressione poliziesca più violenta che conobbe il paese nella seconda metà di questo secolo, vive giorni ben tranquilli dopo una sola notte in prigione.
In Francia, dove i politici si sono autoamnistiati negli affari di stornamento dei fondi pubblici, di falsi bilanci, di corruzione, si rifiutano di liberare i prigionieri della sinistra rivoluzionaria e dei movimenti di liberazione nazionale adducendo che non si tratta altro che di criminali di diritto comune.

In tutti questi casi nessuno invoca la normalità e la sicurezza, nessuno invoca una giustizia che vada fino in fondo, in ossequio alle leggi vigenti, nessuno fa tutti questi bei discorsi che invece si fanno per nascondere le tragiche condizioni di detenzione di migliaia di militanti incarcerati, così come per nascondere la repressione delle masse.

Chi mai può pensare che la legge nata dall'ineguaglianza della proprietà non scelga il suo campo, ogni volta che viene chiamata a mettere ordine nella produzione, così come nella repressione degli oppositori?

La legge è ineguale, ma la sproporzione delle sue ineguaglianze non è sufficiente. E per tanto essi giocano con l'impunità e l'illegalità.

Nei conflitti interni, la "guerra sporca" assume ormai un'importanza cruciale per la "pacificazione" triadica, essa è uno strumento della controrivoluzione, essa contribuisce all'espansione della legge e cessa di essere un anomalia, diventando invece il quotidiano legalizzato dell'ordine.

La litania dei "desaparecidos" va da Istanbul a Bogotà. Nella nostra epoca la politica delle esecuzioni sommarie e del terrore contro le popolazioni prospera in una guerra di bassa intensità generalizzata contro ogni velleità di resistenza e di opposizione.

La sola presenza di "operai poveri" nei quartieri "borghesi e puliti" delle megalopoli è avvertita come una minaccia. In Brasile in pochi mesi gli squadroni della morte hanno eliminato dalle strade 2.800 bambini vagabondi. Anche qui da noi le esecuzioni sommarie di piccoli ladri nei quartieri periferici delle nostre città, anche se vengono chiamate pudicamente "eccessi" o "errori", non sono più pratiche eccezionali, ma funzionano come politiche di controllo e di pressione permanente contro i poveri, non appena questi osano lasciare i loro ghetti periferici.
Esse manifestano l'ordine poliziesco e il quadro metropolitano dell'apartheid sociale e razzista.

Dappertutto le forze di repressione hanno una parte delle loro attività fuori legge, perché al di sopra della legge.
Dappertutto non importano i mezzi purché il risultato sia di schiacciare la rivolta dei poveri, contenere ogni speranza di liberazione e imporre la "pacificazione" dello sfruttamento e della miseria.

Ancora ieri la schiavitù era legale e tutti coloro che partecipavano alla liberazione o ospitavano dei fuggitivi erano condannati in un modo del tutto legale. Storicamente la reazione ha sempre inseguito colo che combattevano per rovesciare l'ingiustizia dei diritti in vigore e per un avvenire più giusto.
Da sempre la giustizia borghese è stata la semplice teatralizzazione del rapporto di forza, e essenzialmente la messa in scena manipolatrice del rapporto di forza universale tra la borghesia e il proletariato.
Con il capitalismo la legge è un rapporto di guerra.
Oggi è la massa in ordine della battaglia della potenza e del monopolio della violenza da parte degli stati e delle coalizioni occidentali della Triade (Consiglio di sicurezza dell'ONU, NATO, G7, FMI, WTO).
Dietro al diritto internazionale si dissimulano la brutalità dei rapporti imperialisti, l'apartheid mondiale e le ineguaglianze crescenti.
La propaganda sulla "giusta causa", sulle "azioni chirurgiche, sulla "interposizione" nascondono difficilmente i veri interessi che le animano.

I conflitti non si accendo mai per caso, migliaia di uomini in armi non sorgono in una provincia europea come il Kossovo semplicemente per regolare dei conti millenari.
Le potenze imperialiste destabilizzano delle zone intere al prezzo di massacri innominabili per stabilire, al momento voluto e con più forza ancora, la loro pacificazione.
Chiunque neghi il rapporto reale di guerra contenuto nella legge o lo mistifichi con parole radicali astratte ed evanescenti, impedisce un'azione reale a favore della giustizia che significa, oggi, il rovesciamento della pacificazione triadica.

Una sistemazione "umana" dell'ordine capitalista è un'utopia lastricata dei cadaveri di centinaia di migliaia di proletari!
L'umanità si costituisce nell'azione concreta per la distruzione del quadro dell'ingiustizia sociale che disumanizza ogni individuo e i suoi rapporti.
Ma fermiamo qui questa dimostrazione, perché noi oggi non interveniamo semplicemente per ricordare queste evidenze.
Perché ripetere oggi tutto ciò davanti agli organizzatori e ai militanti presenti a questo convegno internazionale?
Noi tutti abbiamo letto i classici e le nostre esperienze di lotta hanno rinforzato questa lettura.
D'altronde, se noi l'avessimo dimenticato, i proletari delle metropoli, nelle loro rivolte più recenti, si sono incaricati loro stessi di riporre la questione con le loro parole d'ordine senza ambiguità: "Nessuna giustizia, nessuna pace!" e "Polizia dappertutto, giustizia da nessuna parte!".

Ma se si sa tutto questo, e se non si è l'ultimo degli opportunisti, si ha coscienza che questa questione non può essere prorogata, né studiata con distacco in contese sterili.
La sua risoluzione non è un passatempo per umanisti di sinistra, né mai lo sarà.
D'altronde abbiamo visto ultimamente parlamentari di partiti di governo europei, che vendono regolarmente armi alla Turchia, manifestare la loro solidarietà verso il popolo Kurdo?
Con il rifiuto dell'asilo politico ad Ocalan, prima, e poi supplicando il governo di Ankara di accordargli in giusto processo, essi hanno garantito quell'azione di pirateria internazionale che è stato il rapimento di Ocalan in Kenya.

La debolezza della solidarietà rivoluzionaria permette e a coloro che collaborano strettamente con gli oppressori, di legittimare eternamente le ipocrisie della loro ideologia umanitaria e la loro visione di una giustizia immanente.

La giustizia è prima di tutto un oggetto del conflitto tra le classi e la sua dinamica, come pure le sue forme, devono essere affrontate come tali.
Se è vero che la lotta contro la repressione non può sostituirsi al conflitto rivoluzionario del proletariato per il potere, né è fondamentalmente indissociabile quale che sia il capo dal quale si sceglie di disfare il gomitolo.
Ogni lotta per la giustizia oggi ci rinvia alla lotta contro il capitalismo monopolista internazionale. E ad ogni passo su questo terreno noi prendiamo coscienza del livello più elevato dello scontro in corso.

La rivolta contro le repressioni sanguinose, la risposta all'arresto di compagni (come ieri Ocalan), la lotta per la liberazione dei prigionieri politici, ma anche le azioni come quelle delle "Madres de Plaza de Mayo", delle madri di Turchia e le assemblee delle madri del venerdì in Libano, chiariscono perfettamente le basi sulle quali sono edificate le falsificazioni della "pacificazione" triadica attuale... costituiscono dei momenti inalienabili del processo rivoluzionario stesso.

Ma perché sia così fino alla fine, esse devono apprendere dalle esperienze passate, ricordarsi il Soccorso rosso degli anni '30, la solidarietà attiva durante le guerre di liberazione anticoloniale e pensare alla rinascita dei Soccorsi Rossi in Europa alla fine degli anni '60 e al loro ruolo non solamente nel sostegno, ma anche nell'organizzazione della risposta contro le violenze statali.

La solidarietà di classe e la solidarietà antimperialista devono poter contare su una assise solida e su una organizzazione unitaria di lotta coinvolta negli scontri quotidiani per la giustizia.
Perciò questa organizzazione deve essere presente nella continuità di atti reali, nelle connessioni tra le diverse realtà di repressione, nella lotta per la comunicazione politica, nell'azione comune.

Bisogna che il fronte di solidarietà pesi su ogni situazione di repressione, gli oppressi devono sentirsi spalleggiati e il primo sostegno è la determinazione comune contro gli oppressori.

Sappiamo bene che questo impegno è già compiuto nei paesi dove il combattimento è più avanzato.
Ma oggi con il capitalismo monopolista transnazionale, i termini d'organizzazione di unità e di lotta non possono più essere limitati agli antichi spazi nazionali.
Essi devono coniugarsi transnazionalmente, perché ovunque le contraddizioni globali della "pacificazione" triadica sommergono e dominano il parziale e il locale.
L'esperienza locale più avanzata non può vincere, ma solo sopravvivere, senza il concorso decisivo delle forze rivoluzionarie , non solamente delle esperienze vicine, ma di quelle di vaste zone geopolitiche e continentali.

Ogni disfatta, ogni rinuncia, ogni indietreggiamento su un terreno antagonista particolare pesa sull'insieme del fronte di classe e sull'intero fronte antimperialista.

E' assolutamente impossibile estrarsi dalla qualità transnazionale nell'affrontare le questioni rivoluzionarie attuali.
E unendo i nostri sforzi constateremo rapidamente che ogni offensiva e ogni vittoria rafforzerà il campo intero della liberazione

E' nella combinazione transnazionale della pratica d'organizzazione, di unità e lotta , che prenderà corpo la risoluzione rivoluzionaria contro la "pacificazione" della dominazione dei monopoli e delle potenze imperialiste.

Come prigionieri rivoluzionari noi abbiamo voluto oggi prendere la parola per sostenere l'iniziativa di un dibattito internazionale su questi temi.
E come prigionieri rivoluzionari noi vogliamo ugualmente ricordare un punto essenziale.
E' fondamentale comprendere nella problematica della prigionia politica che non è prioritariamente la nostra vita che bisogna garantire, ma la vita dello scontro che è stato ed è ancora il nostro.
Numerosi sono coloro che sono stati assassinati? E poi nelle prigioni ci assumiamo sempre politicamente la nostra storia e la nostra resistenza attuale. Noi non cambieremo mai le nostre vite né la nostra libertà con la zuppa insipida della rinuncia e dell'umiliazione.

Noi ci rifiutiamo di salutare con deferenza gli oppressori e di fare come se niente fosse successo.
L'opera di miserie e di ingiustizia del capitalismo agonizzante è sempre materia di rivolta e di approfondimento dello scontro.
Quelli che affermano che il "tempo della guerriglia" è passato non hanno un gran peso di fronte a coloro che proseguono la lotta nelle montagne del Kurdistan, del Perù, dell'India e della Colombia... ma anche nei ghetti delle megalopoli.

La nostra esperienza duramente accumulata nel corso dei decenni è viva e si sviluppa in migliaia di pratiche combattenti. Essa è alla base delle offensive future e delle loro prospettive di trasformazione sociale radicale.

Agire la liberazione dei prigionieri deve essere prima di tutto un processo di riconquista della memoria delle lotte e inoltre un atto di guerra contro la pacificazione triadica.

Prigionieri di Action Directe