CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.5

RECESSIONE E MOVIMENTO OPERAIO

Per un dibattito sull'attuale condizione operaia - Collettivo redazionale di CONTROinformazione internazionale

Nonostante l'attacco frontale alla classe operaia della grande fabbrica iniziato negli anni '70 e culminato negli anni '80 a colpi di licenziamenti di massa, cassa integrazione, blocco del turn-over, prepensionamenti, dimissioni incentivate e reparti confino, a distanza di un decennio la contraddizione capitale-lavoro ovvero tra padroni e classe operaia è ben lungi dall'essere risolta. Oggi ancora si parla di crisi, di recessione, di ristrutturazione produttiva. Ma se allora, di fronte alla caduta del saggio di profitto ed alla crisi del modello fordista, caratterizzato dal predominio della grande impresa con produzione di massa e dall'espansione dell'operaio comune (operaio massa) rispetto al precedente dualismo fra lavoratori specializzati e manovali, i padroni si trovarono di fronte ad una classe lavoratrice forte alla fine di una fase espansiva, oggi la classe lavoratrice è dispersa, segmentata e priva di una identità visibile.

La trasformazione della composizione di classe è frutto delle modificazioni del Modo Capitalistico di Produrre e del mutamento organizzativo e tecnologico della grande impresa, questo è un processo più che mai attuale e sarà senz'altro accelerato dalla crisi oggi in corso, particolarmente manifesta negli USA. Questo acuirà l'attacco padronale contro le condizioni di vita dei lavoratori e comporterà ulteriori modificazioni della composizione di classe.

Da parte rivoluzionaria c'è un grosso vuoto, lungo 10 anni, da colmare, sia nell'analisi che nella prassi, nei confronti di questo problema che noi intendiamo affrontare visto che lo riteniamo ancora tra i più importanti per costruire la possibilità di una trasformazione radicale della società.

L'espulsione delle avanguardie dalle fabbriche e il tentativo di ghettizzare e marginalizzare il movimento rivoluzionario ha ottenuto il risultato di far abbandonare il dibattito su questi temi, costruendo una barriera oltre che fisica a volte anche ideologica nei confronti dei problemi della classe lavoratrice, e i più sono caduti nello sbaglio di pensare di riuscire a ricostruire solo a partire da sé, dai propri centri sociali e dalla forza della propria identità una nuova "collettività rivoluzionaria". Questo vuoto ha inoltre lasciato campo libero ai riformisti ed alla sinistra neoistituzionale, il dibattito che si è sviluppato, e che si sta sviluppando tuttora, marcia principalmente sugli aspetti politico-sindacali della questione. E' invece necessario fare uno sforzo per analizzare più approfonditamente il mutamento del modello organizzativo della produzione e di conseguenza quello della composizione di classe per poter riannodare il dibattito e la prassi dell' "altro movimento operaio".

Non pensiamo di essere in grado di affrontare in termini compiuti e risolutivi questa tematica, ci poniamo solo il problema come rivista di aprire uno spazio di riflessione. Siamo ben consci che solo la ripresa di una discussione e di una pratica collettiva potrà permettere di cominciare a colmare il vuoto esistente. Questo è un invito a contribuire aperto a tutti coloro che pensano e agiscono oggi su questo terreno.

Il declino del modello fordista (a flusso-catena di montaggio) vede emergere un sistema di produzione basato sulla "specializzazione flessibile" come risposta alla crescente competizione tra le imprese. Questo significa una segmentazione del processo produttivo finalizzata alla ricerca della massima produttività e al controllo della qualità in ogni singolo segmento. L'aumento di produttività è ottenuto con l'intensificazione dello sfruttamento, la riduzione del salario, un maggiore controllo e anche attraverso la cessione ad esterni di alcune funzioni (decentramento, appalti, cooperative ecc.).

E' chiaro che si impone la necessità di una ricomposizione dei singoli segmenti produttivi. La tendenza, e con questo si intende che questo processo se sarà, sarà lungo e difficoltoso, è l'emulazione delle famose tecniche giapponesi: "just in time - total quality". Questo come passaggio ad un nuovo modello organizzativo chiamato "a rete".

La difficoltà dell'affermazione di questo processo prima di tutto sta nel fatto che per svilupparsi ed allargarsi le nuove tecnologie hanno tempi molto lunghi, basti pensare ad esempio, che per avere una rete integrata "electronic data interchange" sono necessari almeno 10 anni. A questa difficoltà in Italia si aggiunge il fatto che non vi è ancora una chiara affermazione di una strategia dominante del padronato.

La tecnica del "just in time - total quality" risponde alla necessità di maggiore qualità del prodotto, richiesta dall'accresciuta concorrenza, ottenuta con il miglioramento della produttività grazie ad una struttura organizzativa elastica sempre più vicina al cliente finale. La produzione non è più spinta "a monte", ma viene tirata "a valle", cioè dalle esigenze di mercato.

Comunque la catena di montaggio non è improvvisamente scomparsa e la tecnologia non ha liberato l'uomo dalla fatica. L'aspetto che caratterizza la nuova tecnologia è costituito dai suoi effetti sul controllo ma soprattutto sulle relazioni di scambio, sia all'interno dell'organizzazione di un singolo segmento produttivo, sia più in generale tra le organizzazioni.

Le nuove tecnologie sono per la maggior parte tecnologie organizzative destinate al controllo dei sistemi organizzativi e delle loro interazioni. Si determinano quindi profonde modifiche nel contenuto e nell'organizzazione del lavoro, si intrecciano qualificazione e dequalificazione, centralizzazioni, verticalizzazioni e decentramenti.

L'impatto sul processo produttivo è comunque quello di separare la attività di tipo decisionale da quelle di tipo esecutivo. Queste ultime subiscono una dequalificazione (standardizzazione). L'automatizzazione viene vissuta dalla classe lavoratrice come aristocratizzazione della parte deputata alla gestione dei processi informatizzati ed espropriazione del sapere operaio sulla produzione.

Ma gli effetti della così detta "giapponesizzazione" non sono solo tecnici, diventa impellente la necessità di creare nuove regole e valori, regole di flessibilità e mobilità, valori di affidabilità.

Costruire uno spirito "aziendalista", basato cioè su una stretta identificazione dei lavoratori con l'azienda, è un imperativo. Da qui i corsi di formazione, i circoli di qualità e gli incentivi, progetto pienamente sposato anche dal sindacato.

La priorità assegnata al recupero di competitività sui mercati internazionali ha portato all'esigenza di privilegiare in campo politico e sindacale gli obiettivi dell'efficenza, della produttività e della lotta all'inflazione. Il sindacato ha quindi "dimenticato" totalmente i tradizionali obbiettivi dell'occupazione, del salario, del welfare. Questo ha significato aumento dell'individualismo, del carrierismo e della competitività dentro una classe già segmentata dalla ristrutturazione del Modo di Produzione Capitalistico. Questa profonda trasformazione in atto ha intensificato lo sfruttamento nei singoli segmenti produttivi. Ma non ha eliminato la conflittualità che vive più forte che mai sparsa negli innumerevoli segmenti del ciclo produttivo nonostante la repressione ideologico-politico-culturale ed i ricatti.

Senz'altro non è possibile riconquistare un'internità alla classe lavoratrice inventando nuove parole d'ordine ricompositive né tanto meno puntando alla rappresentazione organizzativistica di interessi corporativi, ma è di dovere riimmergersi nella conflittualità, riallacciare legami a partire dalla propria identità antagonista affermata in questi anni nel sociale. Tutto questo con l'umiltà e la forza della consapevolezza di possedere dall'esperienza comunista-rivoluzionaria un'identità comune oggettiva e strategica con l'interezza della classe.

Questo significa che va ripresa una "inchiesta operaia" dentro alla classe lavoratrice della grande impresa e che vanno considerate "a pari merito" nella tensione e nella proposizione le iniziative contro l'attacco alla riproduzione proletaria (servizi, scuola, casa, sanità ecc.) e quella contro l'attacco ai lavoratori dipendenti dell'impresa pubblica e privata.

La nuova trattativa sulla riforma del salario ha la finalità di eliminare ogni residua garanzia e automatismo e anche quella di porre fine alla contrattazione aziendale. A questa si affianca la richiesta da parte del padronato di discutere anche la riforma del "pubblico".

Questi temi devono entrare di prepotenza dentro alla discussione delle collettività antagoniste di classe del movimento.

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