CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.9

LA DEPORTAZIONE IN LIBANO DEI MILITANTI DI HAMAS

La deportazione di 413 palestinesi nel Libano meridionale è solo l'ultimo anello di una catena di azioni tendenti a sradicare il popolo palestinese dalla propria terra: 800.000 deportati nella guerra del 1948, 200.000 in quella del 1967 e, da allora, altre decine di migliaia di persone hanno lasciato la Palestina sia in seguito ad espulsione, sia perché non è stato consentito loro di ritornare.

Dietro queste deportazioni si nasconde una politica sistematica dei sionisti tendente all'espulsione del popolo palestinese dalla propria terra. La sola alternativa lasciata ai palestinesi è quella del "compromesso con gli occupanti", compromesso che solo elementi che hanno introiettato un senso di sconfitta possono accettare, svendendo così le aspirazioni del popolo e manifestando la propria disponibilità ad accettare gli ordini di Israele.

Nell'opinione di ministri e parlamentari della Knesset, gli appartenenti al gruppo Hamas non hanno più alcun titolo per rimanere nella propria terra.

Nato un mese dopo lo scoppio dell'Intifada (dicembre 1987) il movimento di resistenza islamica 'Hamas' nei primi anni di attività ha evitato di partecipare alle manifestazioni di protesta, specialmente a quelle più violente, limitandosi ad invitare alla preghiera o, al massimo, al digiuno contro l'occupante israeliano.

In un primo tempo, le autorità d'occupazione avevano addirittura accolto positivamente la comparsa di 'Hamas' sulla scena della rivolta palestinese per il contrasto che questo movimento esprimeva con le forze nazionaliste e progressiste, presentandosi come alternativa all'OLP ed al Comando Unificato.

Dopo la guerra del Golfo il sentimento antimperialista dei musulmani si è fortemente accentuato e ciò ha favorito una qualche unità tattica tra "nazionalisti" e "islamici". Qualcosa di analogo è avvenuto in occasione del rifiuto della cosiddetta 'conferenza di pace'.

L'intransigenza israeliana durante i negoziati di pace a Washington e le violazioni quotidiane dei diritti più elementari della popolazione palestinese nei territori occupati hanno provocato in questi ultimi mesi una nuova ondata di azioni di resistenza. Con un aspetto nuovo: per la prima volta, a fianco delle mobilitazioni di massa, assistiamo ad un incremento degli attacchi armati da parte di unità clandestine che diventano sempre più valorose ed efficienti. Inoltre, la maggior parte delle operazioni militari condotte dai 'commandos' palestinesi in questi ultimi tempi non sono più dirette contro i civili, ma contro obiettivi militari.

Tra questi commandos vi sono anche i militanti di Hamas.

E' in questo contesto che Hamas è diventato un punto di riferimento molto importante nei territori occupati, prima di tutto per le delusioni prodotte dalla sterile politica negoziale del comando dell'OLP a Tunisi: Hamas si va radicando tra molti giovani che oltre ad opporsi ai negoziati manifestano una qualche efficienza sul terreno militare.

Tuttavia, al di là di ogni valutazione politica sul movimento Hamas, dobbiamo dire che la vera ragione della solidarietà manifestata da ogni settore del popolo palestinese ( dai palestinesi del '48 a quelli del '67; dai palestinesi di sinistra, di destra e del centro; dai religiosi e dai secolari) sta nel fatto che ogni palestinese ha compreso che le deportazioni sono una minaccia per ciascuno di loro. L'arma delle deportazioni colpirà chiunque non accetta la resa che Israele vuole imporre, peraltro senza aver riconosciuto il minimo diritto nazionale.

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