CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.11

LA RAPINA IMPERIALISTA

Redazionale

La nuova trovata imperialistica dell'intervento umanitario mostra la sua debolezza politica. L'azione imperialista, portato inevitabile della crisi economica dell'intero sistema capitalistico, ha l'assoluta necessità di non trovarsi di fronte interi popoli compatti su una linea antimperialista. Questa è la lezione storica del Vietnam, la dimostrazione concreta del concetto maoista che «l'imperialismo è una tigre di carta». Esso è forte tatticamente, può mettere in campo un'enorme forza militare, ma è debolissimo strategicamente, può essere sconfitto da un popolo determinato a condurre una lotta di lunga durata e dai movimenti di appoggio che possono svilupparsi nelle metropoli imperialiste. Per questo l'approfondimento sostanziale del rapporto di dominio imperialista imposto dalla crisi economica non può più gestirsi come la ragione del più forte, come portatrice di civiltà, ma deve mascherarsi con la veste umanitaria, il lupo cerca di indossare la pelle dell'agnello.

Il caso somalo è un chiaro esempio del processo di ridefinizione del rapporto di dominazione imperialista che si va affermando nel procedere della crisi. Con l'operazione "restore hope" un altro passo è stato fatto verso la riproposizione di un dominio di tipo coloniale diretto e formale da parte delle superpotenze e potenze imperialiste nei confronti delle nazioni oppresse.

L'imperialismo USA di fronte alla sua crisi, che è parte della crisi mondiale del modo capitalistico di produrre, punta a riaffermare il primato di unica superpotenza spingendo sull'acceleratore delle operazioni di occupazione e controllo militare diretto come modo necessario per compiere un salto di approfondimento dello sfruttamento dei popoli e dei territori più ricchi di materie prime o più importanti al fine del controllo strategico.

Gli imperialisti americani puntano a risolvere la propria crisi appropriandosi direttamente delle materie prime strategiche nelle aree dove il loro dominio informale è debole e rischia di essere indebolito ulteriormente dall'emergere di tensioni antimperialiste nei popoli e nelle stesse borghesie nazionali o dall'espandersi dell'influenza di altre potenze imperialiste. La guerra del golfo l'invasione del Kurdistan iracheno, il controllo diretto del Kuwait e l'occupazione della Somalia sono operazioni tese a garantire l'approvvigionamento a prezzo di rapina del petrolio e sanciscono una gerarchia politico-militare nel campo delle potenze imperialiste. In queste operazioni "americane" è sollecitato il contributo delle altre potenze allo scopo di definire una responsabilità collegiale nella ridefinizione del rapporto coloniale ma anche per porre l'ambito militare come piano di confronto interimperialista in si registri inevitabilmente la supremazia USA.

Il passaggio da un regime semicoloniale ad uno coloniale si determina tramite l'intervento militare diretto con truppe di occupazione, ma comporta anche un mutamento nel rapporto tra borghesia imperialista e borghesie del tricontinente. Il processo di ricompradorizzazione (ritorno all'asservimento totale delle borghesie del tricontinente alla borghesia imperialista) evolve in una vera e propria negazione dello spazio di riproduzione delle borghesie nazionali che nel rapporto semicoloniale sono sopravvissute ed in alcuni casi si sono sviluppate.

I casi Saddam o Aidid sono emblematici, le borghesie nazionali non possono esprimere proprie classi dirigenti e non sono padrone di sfruttare il proprio popolo, perché oggi la crisi impone un aumento dello sfruttamento e che questo sia gestito direttamente dalla potenza imperialista. Questo passaggio registra anche contraddizioni in seno al campo imperialista. Ad esempio il caso somalo mostra chi il protagonismo americano è mal tollerato dal governo italiano; e a fronte delle rivolte di massa del popolo somalo l'imperialismo italiano si fa portatore del riutilizzo della formula semicoloniale con la reinvestitura di una borghesia compradora somale. Si tratta di una linea perdente non solo a causa dell'evidente supremazia americana, ma anche perché non prospetta soluzioni alle questioni che la crisi mondiale pone.

La riproposizione drastica del rapporto coloniale ripone senza ambiguità il problema della tappa della rivoluzione democratica nei processi rivoluzionari delle formazioni sociali del tricontinente.

Le rivolte insurrezionali del popolo di Mogadiscio e la ferocia dei bombardamenti e delle operazioni antisommossa degli imperialisti principalmente americani mostrano il carattere dei conflitti che si generano con il procedere della crisi nelle aree dominate. Nel processo di liberazione nazionale la tappa della rivoluzione democratica assume principalmente il carattere antimperialista. Essa può essere diretta dalla borghesia oppure dal proletariato. Nel caso della direzione borghese il processo è debole sia perché l'imperialismo utilizza le contraddizioni interne alle formazioni sociali dominate come nel caso dei kurdi iracheni sia perché la classe dirigente borghese può essere sempre compradorizzata come mostra chiaramente il caso palestinese. Si può affermare con tranquillità che le rivoluzioni democratiche dirette dalla borghesia sono destinate alla sconfitta anche dove si tratta di borghesia illuminata o di linee borghesi dentro a movimenti popolari chiaramente orientati a sinistra come nel caso nicaraguese.

La via della direzione proletaria della tappa della rivoluzione democratica nelle nazione oppresse è l'unica percorribile con possibilità di successo nella fase dell'imperialismo. Da questo punto di vista la Guerra Popolare diretta dal Partito Comunista del Perù è un'esperienza significativa che ha la potenzialità di darsi come esempio per le lotte dei popoli sottomessi all'imperialismo.

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