CONTROINFORMAZIONE INTERNAZIONALE N.12

ISOLAMENTO E DEPRIVAZIONE SENSORIALE

Georges Cipriani [da Angehörigen Info 131 del 4.11.93]

Mi è difficile oggi ricordare esattamente quando siano incominciate le allucinazioni e le turbe psichiche, perché in questi ultimi anni ho avuto anche problemi di memoria. Invece posso dire per esperienza che negli ultimi tre anni, questo vuol dire all'incirca dalla primavera del 1990, ho avuto periodicamente, a cicli, sempre maggiori problemi di concentrazione - fino al punto che non ero più in grado di seguire un qualunque programma alla televisione, per non parlare di leggere o di scrivere. Tutto questo è andato di pari passo con altri disturbi, come vertigini, qualche volta fino alla nausea, improvvise perdite di memoria, nervosismo e forte inquietudine, e soprattutto disturbi di percezione che si sono accentuati con il tempo. Ad esempio: una lettera in mano, sei davanti al pezzo di carta e non sei in grado di capire che cosa c'è scritto, a volte persino per parecchi giorni, e devi ricominciare sempre dall'inizio.

Comunque questo non sembra essere niente di particolare. Ne ho parlato con Jean-Marc e anche lui ne è soggetto. Un altro sintomo di cui attualmente soffro regolarmente, e che so con precisione che è incominciato con l'isolamento a Fleury nel 1987, sono brevi allucinazioni visive, un improvviso punto nero alla coda dell'occhio che scompare non appena volto la testa. E naturalmente, come conseguenza di tutto questo, fasi di eccessiva labilità, dominate da tensione ed aggressività, oppure una corrispondente chiusura in me stesso, in una parola l'impossibilità di comunicare. Un effetto dell'isolamento. Non ci sono dubbi.

Per quanto riesco a ricostruire, sembra che nell'autunno del 1992 sia incominciato un nuovo ciclo, comunque sotto il peso dell'accumulazione apparentemente ad un livello qualitativamente più alto. Le difficoltà o l'impossibilità di comunicare? Forzata o voluta? Ammetto che mi risulta difficile ricordare, ma so che la situazione non era certo adatta, che la comunicazione in quelle condizioni era effettivamente impossibile. E soprattutto non si deve dimenticare che il nostro isolamento a gruppi di due continua praticamente dall'autunno del 1989 - è stato interrotto solo per breve tempo con il trasferimento di prigionieri di diverse categorie, soprattutto prigionieri malati - ed è successivo a due anni di isolamento totale. Tutto ha cominciato a manifestarsi in gennaio/febbraio - a prescindere dalle turbe psichiche che ancora non riuscivo a spiegarmi - con un forte spossamento fisico.

Questo mi ha portato tra l'altro, perché non potevo e non volevo fare altrimenti, ad interrompere e porre fine al nostro sciopero della fame a catena che durava da due anni, ma che trovava sempre meno risonanza. Gridare, sì, ma non nel deserto e neppure per dimostrare a sé stessi di esistere, e tanto meno per convincere altri di ciò. Bensì per vivere, certo, anche correndo il rischio di morire per farlo. Del resto ho già brevemente descritto i due mesi da aprile a giugno, caratterizzati da ferite, insoddisfazione, passioni represse, rabbia soffocata, scontri, visioni, allucinazioni ecc. Tutto questo ha portato ad un trasferimento coatto a Villejuif, anche se mi ero espressamente ed assolutamente opposto a farmi ricoverare in regime di neurolettica, cioè a farmi seppellire qui per una seconda volta in isolamento, e questa volta con una camicia di forza.

Di per sé Villejuif è già l'inferno dell'espropriazione. Realmente e concretamente rende ognuno/a un oggetto. E con tutti i mezzi. Più della stessa violenza, la persuasione. E quando questa violenza riprodotta traspare a momenti in una lite tra due pazienti o ogni altra forma di vita, allora i pazienti vengono infantilizzati. La punizione in una camera. L'isolamento.

Sono stato messo in isolamento fin dall'inizio, senza aver mai visto altri che il personale medico, fino a quando l'isolamento è stato sospeso una decina di giorni dopo il mio trasferimento. Dopo il mio arrivo sono stato letteralmente afferrato, sollevato e rigirato come una frittata da una decina di infermieri.

Bisognerebbe aver vissuto questa esperienza per capire. Mi è stata fatta la prima iniezione neurolettica. Dopo di che c'è un buco nero, con qualche flash di memoria, fino al momento in cui sono uscito e sono stato immesso nella vita quotidiana che regna in quel posto. E dove, a causa della paralisi indotta dalle medicine, si vegeta quasi soltanto, mentre la vita ribolle all'interno e cerca di aprirsi un cammino all'esterno.

Una contraddizione totale. Dissimulata sotto una maschera e dei gesti anchilosati, la bava alla bocca e tutti gli altri effetti secondari imposti dai neurolettici.

E tutt'intorno le forze di polizia che sorvegliano il perimetro controllando tutto e tutti per ragioni di sicurezza e per prevenire un'evasione. Debole ma significativo: questo ha innanzi tutto impedito nei primi tempi che i miei avvocati potessero farmi visita, e in seguito si sono opposti a queste visite in ogni modo... fino alla loro vittoria contro ogni altra considerazione, persino quelle mediche. Per ragioni di sicurezza è stato imposto il mio ritorno a Fresnes nella sezione 1, nuovamente per 3 mesi e mezzo in regime di isolamento, e quindi nelle stesse condizioni che avevano causato i miei disturbi fisici e psichici.

Quello che scientemente volevano è evidente, soprattutto se si comprende che l'isolamento viene considerato una terapia in vista della spersonalizzazione e del cambiamento comportamentale, quindi la distruzione, come ultima soluzione, o l'eliminazione, in caso di uno sbaglio.

Dopo le mie esperienze negli ultimi mesi ho potuto in ogni caso verificare quanto l'essere ammalati vincola ad essere e a diventare nient'altro che un oggetto in questo rapporto chiaramente definito, che oggi si delinea nella forma dei rapporti capitalistici, storicamente come rapporto medico/paziente, sostanzialmente come rapporto "soggetto"/oggetto; essere ammalato come base per la realizzazione della determinazione di questi rapporti. La legge del valore, quindi le merci (a seconda dei casi, peggiori o migliori), rendono evidente quello di cui, in ultima analisi, si tratta: sfruttamento, oppressione, alienazione, umiliazione, eccetera, di modo che, appunto con la violenza, venga imposta la sua utilizzazione e la sua affermazione. Il suo potere.

Con il sostegno e l'ausilio di ogni tipo di razzismo, sessismo, categorizzazioni ed altri valori borghesi e, naturalmente, del fascismo.

Si può comprendere la legge del valore al suo massimo livello nell'essere malati - da quanto intensamente vengono vietati e combattuti da più parti i sogni e le lotte di liberazione, di liberarsi.

Sebbene tutto questo non sia niente di nuovo, posso dire che negli ultimi mesi mi sono visto sempre più esposto a questi rapporti che si sono formati e concretizzati qui e che sono determinati dalla legge capitalistica del valore, nel calderone delle condizioni che sono state programmate e realizzate come programma di distruzione.

E proprio perché questo calderone consolida questi rapporti e queste condizioni per l'affermazione della legge del valore, mi sono anche trovato di fronte al fatto di quanto inconsapevolmente astratte e buttate lì siano le tesi insensate e le spiegazioni, che vengono portate avanti da tutte le parti, riguardo alla realtà dell'essere ammalati (cosa che riguarda anche me). Per proteggere se stessi?

Per questo non voglio vedere la mia situazione né come sfortuna individuale, né semplicemente come risultato di una particolare predisposizione storica, politica, sociale, caratteriale eccetera, o, ancora peggio, genetica, dove (in se stessi e negli altri) si ricercano le cause della malattia in modo individualizzante, in caratteristiche personali. Tutto questo ricorda le sperimentazioni scientifiche dell'apparato repressivo che vuole scoprire come e perché qualcuno diventa un "terrorista" e che vuole impedirlo prevenendolo.

In effetti noi l'avevamo già detto nel 1989 in una delle dichiarazioni per lo sciopero della fame, guardando al futuro o già nella consapevolezza dei primi indizi della realtà della tortura dell'isolamento, come l'avevamo già sperimentato nei due anni precedenti: "Il programma per l'annientamento dei prigionieri mediante l'isolamento è stato così descritto da Kord, criminologo e psicologo carcerario USA: «Questo programma ha vari obiettivi (...), per mettere i prigionieri in uno stato di assoggettamento che è indispensabile per la loro rieducazione ideologica, (...) devono essere portati ad uno stato di incapacità psicologica, così che vengano neutralizzati come avversari reali e autonomi. In caso di insuccesso il loro annientamento è l'unica soluzione, preferibilmente in modo tale che si abbandonino spontaneamente a quello che conduce all'autodistruzione»...".

Ma a partire da un dato momento questa visione emancipatoria è indizio di un intero sviluppo e di una situazione e quindi, partendo dalla malattia, sovversiva. Ma se nondimeno nell'utilizzo di questo programma c'è qualcosa di particolare che mi differenzia dai miei compagni, allora questo è - quali banale - probabilmente il fatto che questa è stata la prima volta che sono prigioniero, e che in precedenza non avevo mai realmente conosciuto il carcere, che quindi mi manca una certa esperienza, e che non mi sono mai confrontato così direttamente con la sindrome del campo di concentramento, che pur esiste in galera, che lo si voglia o no.

Una sindrome che è dominante, altrimenti come sarebbe stato possibile che un numero così limitato di guardie potessero sottomettere all'annientamento decine di migliaia di persone?

Bruno Bettelheim ha descritto questo processo come una sequela di fasi:

"1. Lo shok del viaggio: la brutalità mirata delle SS nel trasporto al lager, durante i precedenti interrogatori, e poi la cerimonia di accoglimento nel lager provocavano nei detenuti una paura paralizzante. In generale la coscienza si rifiutava di vedere queste immagini e queste sofferenze come realtà. Solo il corpo si piegava alla totale sottomissione, mentre l'intero io e i valori personali facevano riferimento alle esperienze, alla posizione e all'atteggiamento fuori dal lager. 'Vedevo tutte le cose come attraverso il buco della serratura', racconta un ex prigioniero. Cohen descrisse questo stato come "forte spersonalizzazione", ed era dell'opinione che si verificasse in particolare in coloro che già prima sapevano che cosa li aspettava. A quelli che non erano preparati, o a quelli che erano stati costretti - dalla morte di un congiunto o dai racconti dei compagni di prigionia - a ricordare la realtà rimossa della camera a gas, non rimaneva, di fronte alla morte, che una paura paralizzante.

2. La fase dell'adattamento (se non erano inseriti in un gruppo come ad esempio il KP, Partito Comunista) imponeva ai prigionieri la certezza dell'inutilità di tutte le relazioni del passato e del mondo fuori, e questi acquisivano la consapevolezza che la propria sopravvivenza era una decisione consapevole.

O si adattavano completamente al nuovo mondo e orientavano il loro atteggiamento alla propria sopravvivenza, o, in caso contrario, cadevano ben presto nello stato del 'capro espiatorio' che è condannato a morte: poiché per prima cosa dovevano lasciare ogni spirito di iniziativa, non dovevano fare altro che ubbidire meccanicamente agli ordini, abbassare velocemente gli occhi, reagire automaticamente alle istruzioni e poi, velocemente, morire. Solo chi aveva consapevolmente iniziato la lotta per sopravvivere poteva raggiungere la terza fase, la fase della rassegnazione e diventare un esperto detenuto del campo di concentramento, che si spiana la strada verso un lavoro migliore e più pane con mille astuzie, e che ha rotto con tutte le false speranze, e poteva così diventare un membro affidabile di un gruppo di prigionieri, organizzarsi la vita in condizioni accettabili".

Dopo i nostri scioperi della fame si è evidenziato di quanto, fin dall'inizio, le nostre condizioni con il corrispondente programma, fossero strutturate in modo distruttivo e che il loro obiettivo fosse la nostra distruzione. E sono rimasti inaccettabile per quello che muove ognuno di noi, come necessità di vita e impossibilità di sopravvivere. Tutto questo adesso appare evidente, anche come prospettiva per i miei compagni. La particolarità del mio stato, la mia malattia, è il risultato attuale ed un momento di questo processo di distruzione completa, a causa del non-valore per il capitalismo.

E dal mio ritrasferimento si è fatta lentamente strada, dopo alcune esitazioni e ripensamenti, la coscienza della mia situazione, anche come prospettiva, e queste righe testimoniano quello che mi ha spinto a convogliare e a concentrare tutte le mie energie in questa lotta, della cui inevitabilità c'è sempre meno da dubitare, rispetto alla stagnazione della situazione qui e prima che io finisca nel circolo vizioso del decadimento del mio stato di salute.

Oggi certamente non ci sono più le camere a gas che rendevano possibile alle SS realizzare velocemente e "bene" l'annientamento programmato di centinaia e centinaia di milioni di esseri umani diventati senza valore per il sistema nazista - anche se la sindrome dei campi di concentramento, con il suo portato di razzismo, di sessismo, di brutalità e di fascismo e di gerarchie è oggi sempre più presente.

Da allora il sistema dei campi di concentramento è stato perfezionato. E questo annientamento si concentra oggi nell'isolamento e nell'individualismo. Per mezzo di pene sempre più lunghe, a condizioni sempre più dure, per sempre più prigionieri, l'eliminazione nel nome della salvaguardia della legge del valore capitalista. Oppure come appare sempre più evidente con la costruzione incessante di prigioni, che rappresenta un esempio di come lo Stato affronta le contraddizioni che si aprono e si inaspriscono: contro sempre più esseri umani prigione, prigione, prigione con la perfezione tecnologica dell'isolamento e differenziazioni sempre più sofisticate.

L'altro lato di queste condizioni di annientamento programmato in una morte lenta e bianca, è, al di là dell'esaurimento o meno delle forme di lotta cosciente e organizzata, la rivolta del corpo e dello spirito.

La malattia, "vita infranta" e allo stesso tempo "ribelle", in una contraddizione tra volere e non potere vivere, come l'impossibilità di non poter far altro che sopravvivere che si manifesta nei sintomi. Espressione diretta della mancanza di vita e di bisogni insoddisfatti. Altro lato dell'annientamento, suo effetto secondario non ricercato e non voluto, e quindi combattuto, perché rimette in causa i rapporti e le condizioni che lo hanno provocato.

"Il fatto che i prigionieri in isolamento sviluppino reazioni particolari, allucinazioni e 'psicosi', è noto agli psichiatri da più di 100 anni. La loro scienza segue la tendenza particolarmente straordinaria, di utilizzare e di adattare per la terapia quei meccanismi che ha individuato essere un fattore dei danneggiamenti: sia che tenti di imitare mediante droghe (quindi neurolettici ed altri mezzi) i disturbi del metabolismo del cervello, sia che accompagni la schizofrenia o la depressione con gli effetti terapeutici del coma superficiale, sia che utilizzi l'effetto dell'isolamento come modello terapeutico".

Non è solo notevole ritrovare qui quel processo che ho vissuto in questi anni di isolamento, da solo o in due, e la cui conseguenza è stata negli ultimi mesi il peggioramento del mio stato di salute. L'aggravamento causato dalle condizioni di isolamento qui, ha portato al mio ricovero forzato a Villejuif, dove gli effetti terapeutici perseguiti (come epilettici superficiale per mezzo di neurolettici) mi hanno rimesso provvisoriamente in uno stato di salute normale, ed evidentemente hanno questo effetto per l'isolamento.

Dopo 5 settimane sono stato ritrasferito qui per motivi di sicurezza, contro l'opinione della Commissione medica e contro la volontà del medico curante di Villejuif, e di nuovo in condizioni di isolamento. Il loro intenzionale effetto terapeutico contro me e contro i miei compagni non può più essere tenuto nascosto a lungo.

Ma contemporaneamente, e a partire dal mio caso, bisogna soprattutto ricordare che a Villejuif ho rincontrato altri prigionieri, e in particolare R. Roman che dopo la sua scarcerazione è stato forzatamente ricoverato per una psicosi, conseguenza di 4 anni di isolamento. Tutto questo coincide e evidenzia il fatto che il carcere, sempre più simile ad un campo di concentramento, rende ammalati, e che in particolare l'isolamento come terapia, è strutturato verso questo obiettivo.

Quanto più il carcere "raccoglie" la resistenza e le malattie della società, che è sulla strada della fascistizzazione, le rinchiude dietro dei muri e le separa da tutto ciò che è nuovo, e poi un giorno le rispedisce nella società, quanto più il carcere applica l'annientamento progettato ed inasprito contro tutti i prigionieri, con l'inasprimento delle pene e delle condizioni di detenzione, dove la sicurezza è determinante, tanto più questa situazione richiede un intervento medico massiccio per attenuare i sintomi e paralizzare la resistenza, mentre lo stato di salute fisica e morale dei prigionieri peggiora sempre più.

E quante più malattie esistono nel carcere, tanto meno possono essere trattate e curate al suo interno; e senza che il continuo aumento delle pene, delle misure di sicurezza e di annientamento portino ad una qualche guarigione, proprio il contrario!

Quanto tempo mancherà alle soluzioni finali, alla Mengeles, con il potere di vita o di morte, in particolare contro i malati?

Per quanto mi riguarda, in queste condizioni di isolamento, e di fronte a questa prospettiva di annientamento programmato, già vissuto, dato che è ad esso che devo il mio stato attuale, mi ritrovo preso tra l'incudine e il martello, perché la malattia, in definitiva, non è qualche cosa di regolabile, anche se i sintomi possono essere momentaneamente dominanti e camuffati per il bisogno della causa, e al tempo stesso non mi è possibile né accettare né rassegnarmi a questo stato provocato e al suo prevedibile aggravamento, dato che questo è l'obiettivo preso di mira fin dall'inizio, anche se la malattia lo denuncia ora. Del resto come potrei volerlo e/o poterlo?

Chi lo potrebbe e chi lo vorrebbe?

Allora non mi rimane che la lotta e ancora la lotta, la mia unica speranza a partire da questa malattia - lo sciopero della fame. Con tutte le contraddizioni insite in questa situazione, perché a causa della debolezza fisica c'è il pericolo che in ogni momento, e definitivamente, si rivolti contro questo stato, aggravandolo ulteriormente. Naturalmente ne sono cosciente.

Come sono cosciente che alcuni penseranno che lo sciopero della fame mi avvicina all'obiettivo fissato, descritto da Kord: "In caso di insuccesso l'unica soluzione è la loro distruzione, preferibilmente grazie ad una disperazione per la quale si distruggeranno da soli" - la loro logica. Tutto per costruire una situazione di disperazione.

Nel mio stato e nella sua prospettiva attuale, la disperazione sarebbe di adeguarmi a questa situazione e attendere, stare a guardare e/o immaginare di essere altrove. Che cosa significa una scappatoia: se il martello colpisce l'incudine quando io mi trovo esattamente di mezzo - per non essere colpito allora mi alzo e lotto.

Questa è la soluzione decorosa, umana e viva.

In breve, tutta la situazione, anche in prospettiva, si riassume per me oggi in una frase e in una questione: rimanere detenuto in queste condizioni vuol dire essere condannato nel lungo periodo a finire in psichiatria e cadere nelle mani degli psichiatri dell'istituto, significa essere condannato ad un duplice isolamento, quello di fatto e quello chimico, che ha come conseguenza l'espropriazione del mio essere - e allora qual'è l'alternativa?

Appoggio le richieste storiche, generali e collettive fatte dai miei compagni e voglio affermare con questa lotta le seguenti richieste immediate:

- permessi di visita per tutti quelli che hanno fatto richiesta, alcuni da anni, di visitarci;

- concessione di un medico di mia fiducia, di modo che io stesso decida con lui la terapia in un luogo e a condizioni adeguati alla mia condizione;

- infine, perché non voglio che la particolarità del mio stato, provocato dalla strategia di annientamento, porti a degli svantaggi e a conseguenze per i miei compagni, chiedo che da ora ci siano tra loro visite regolari;

- in solidarietà con Bernd Rößner, la cui pena a 17 anni di prigione è stata sospesa, ma sussiste il concreto pericolo che nel marzo del 1994 ritorni in galera, chiedo che venga immediatamente presa una decisione politica sulla sua scarcerazione immediata.

1 novembre 1993

Georges Cipriani,
prigioniero ammalato di AD

[da Angehörigen Info 131 del 4.11.93]

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