IL BOLLETTINO: DOCUMENTI DALLE CARCERI

Roma:

LA LOTTA DI CLASSE E' IL MOTORE DELLA STORIA

Allegato agli atti del processo "BR-Insurrezione" - secondo troncone

1. Il processo "Brigate Rosse-Insurrezione", svoltosi durante tutto il 1989, ha acquistato una sua specifica rilevanza politica perché, nel decidere di fissarlo, lo Stato ha inteso dargli un significato di sintesi della sua iniziativa controrivoluzionaria nei confronti della lotta armata delle Brigate Rosse. Un'operazione basata sulla particolarità di un impianto istruttorio centrato su un reato politico per eccellenza quale quello di "insurrezione contro i poteri dello Stato" e puntellata da una serie di interventi politico-culturali con la pretesa di tracciare un bilancio storico definitivo su venti anni di lotta rivoluzionaria in Italia. L'istruttoria, in realtà, quando venne aperta, si prefigurava obiettivi ben più immediati.

In primo luogo essa costituì un momento di centralizzazione nella Procura romana delle varie inchieste contro le Brigate Rosse, operando una ridefinizione della strategia giudiziaria su questo terreno e costruendo un vero e proprio modello politico-giuridico di depoliticizzazione dello scontro rivoluzionario, applicato in seguito nei processi allestiti nei vari poli metropolitani. Inoltre, attorno ad essa, si determinò una progressiva omogeneizzazione del trattamento carcerario dei militanti prigionieri (dall'isolamento nelle sezioni speciali all'articolo 90) ed un allungamento della carcerazione preventiva per centinaia di essi.

La scelta di celebrare in questo momento un processo nato quasi 10 anni fa è rivelatrice della volontà dello Stato di farne un'operazione politica indirizzata principalmente contro l'attuale fase di sviluppo della lotta rivoluzionaria in Italia. L'allestimento del processo si è collocato quindi organicamente all'interno del complesso di manovre antiguerriglia condotte dai carabinieri e dai servizi segreti contro le Brigate Rosse-PCC e l'area della lotta armata in Italia e nella più generale politica controrivoluzionaria tesa a fare terra bruciata tra le componenti antagoniste del movimento proletario.

Per rendere più efficace tutta l'operazione lo Stato, come altre volte in passato, ha utilizzato la rilettura liquidatoria della storia della lotta armata operata dai vari ex rivoluzionari. Così, tanto la tesi della fine della lotta armata per l'esaurimento di un ciclo rivoluzionario internazionale sostenuta dalla banda della "soluzione politica", quanto quella di una lotta armata nata per difendere la democrazia dai tentativi golpisti dei primi anni '70, portata avanti dal gruppetto dell'"amnistia", hanno trovato un loro spazio nella gestione complessiva del processo, portando acqua al senso che l'ha guidato: ridimensionare drasticamente la qualità politica sedimentata in venti anni di attività combattente delle Brigate Rosse.

La sentenza di assoluzione, perfettamente in linea con la gestione del processo, vorrebbe assumere la valenza di un giudizio storico: sancire che la lotta armata in una società metropolitana non può assumere lo spessore di un processo rivoluzionario socialmente significativo, né tantomeno avere uno sbocco politico vincente. Ma nessun dispositivo politico-giuridico può raggiungere questo risultato, né sul piano politico immediato, né su quello storico. Tant'è che la scenografia di questa operazione in realtà finisce per far risaltare ancora di più i timori e le paure della borghesia italiana di fronte al carattere vivo e alla dimensione ormai stabile della guerriglia all'interno dello scontro di classe in questo paese.

Non a caso gli strateghi della "counterinsurgency" (controrivoluzione) a livello internazionale stanno elaborando i dispositivi di intervento degli anni '90 (vedi seminari organizzati quest'anno dal Dipartimento di Giustizia USA con la partecipazione di esperti di ogni paese occidentale in cui è presente la guerriglia) basando molto i loro modelli analitici sulla esperienza del "caso italiano" in quanto paese industrialmente avanzato in cui la guerriglia ha realizzato un forte radicamento sociale.

Il dato politico che nessun processo può eliminare dallo scontro di classe in Italia è che la guerriglia delle Brigate Rosse è andata avanti misurandosi di volta in volta con le condizioni reali dello scontro. Questo è il motivo di fondo per cui è destinato al fallimento ogni tentativo dello Stato di usare la "storia delle Brigate Rosse" contro le Brigate Rosse stesse, o i prigionieri contro la guerriglia.

2. La campagna di depoliticizzazione della lotta rivoluzionaria che riaffiora di volta in volta attorno ai "processi alla lotta armata" in Italia ora si sta accompagnando - non a caso - con il clamore sulla "fine del comunismo". Un clamore che non è solo la celebrazione attraverso cui la borghesia imperialista concretamente giustifica la sua penetrazione economica e i suoi propositi di sfruttamento diretto del proletariato dei paesi dell'Est. Senza mezzi termini questo è un modello ideologico che la borghesia usa in modo preventivo e difensivo per controllare le nuove contraddizioni indotte dal reale motore che muove il quadro dei cambiamenti a livello internazionale. Il grado di interdipendenza che da decenni caratterizza l'economia capitalistica mondiale ha fatto sì che la crisi generatasi nelle aree centrali dell'occidente si riversasse progressivamente verso il Sud del mondo come verso i paesi dell'Est, veicolata fra l'altro dalle massicce esportazioni di capitale finanziario (i cosiddetti "prestiti"). Gli effetti di questa espansione della crisi non sono solo leggibili nelle trasformazioni in atto nei rapporti tra Stati e tra le diverse frazioni borghesi nei vari sistemi politici. C'è un dato ben più rilevante che preoccupa la borghesia imperialista e che per i comunisti non può non essere centrale: l'ulteriore spinta che si è avuta in questo decennio all'espansione universale della contraddizione proletariato/borghesia. Questo non significa che i conflitti sociali nei paesi dell'Est e del Sud siano già tutti omogeneamente di segno proletario, né che la contraddizione proletariato/borghesia sia l'unica a partire dalla quale si possano immediatamente interpretare le trasformazioni politiche in atto. Significa però che in tutte le aree del mondo aumenta il numero degli uomini che si trovano a scontrarsi con le nuove rigide necessità di valorizzazione del capitale accentuando la polarizzazione tra le classi. Del resto, tanto le recenti sessioni per il rifinanziamento del debito dei principali paesi latino-americani, quanto il varo di piani urgenti di "aiuti" ai paesi dell'Est, sono esplicitamente motivati dalla necessità di impedire l'esplosione incontrollata di conflitti sociali.

Davanti a un quadro di contraddizioni così complesso, sarebbe un errore micidiale arretrare e chiudersi in letture difensive. Ci sono già revisionisti e opportunisti di mezzo mondo che da questo quadro traggono nuovi spunti per rovesciare sulla classe messaggi di impotenza e di confusione, sempre funzionali alla stabilizzazione e salvaguardia dell'ordine sociale borghese.

I comunisti, invece, nel quadro concreto delle contraddizioni, evidenziano gli elementi di avanzamento del processo rivoluzionario, riportandoli sul piano della strategia e della pratica di lotta. In questo senso essi, nel movimento immediato, rappresentano contemporaneamente l'avvenire del movimento stesso. Così è stato per il movimento comunista fin dalla sua nascita a partire dagli insegnamenti che Marx ed Engels trassero dall'esperienza della Comune di Parigi e, ancor più chiaramente, per Lenin ed i bolscevichi all'inizio di questo secolo. L'identità comunista non si definisce in astratto né nella semplice riproposizione di principi, ma nel percorso pratico di affermazione degli interessi generali del proletariato. Essa si alimenta dell'evoluzione della lotta di classe nel quadro delle contraddizioni storicamente determinate. In questo stabilisce la giusta continuità con il patrimonio storico della rivoluzione comunista e allo stesso tempo ne realizza lo sviluppo con le necessarie rotture.

Alla fine degli anni '60 la ricostruzione dell'identità comunista nelle metropoli dell'Occidente, misurandosi con il culmine delle contraddizioni capitalistiche che determinarono l'apertura della crisi, portò alla scelta della guerriglia come strategia offensiva capace di proiettare in avanti l'insieme dello scontro di classe. Questa scelta, in rottura con l'impianto insurrezionale e terzinternazionalista, e legandosi alle esperienze delle forze comuniste attive nei movimenti di liberazione antimperialisti dei tre continenti del Sud e agli insegnamenti della Rivoluzione Culturale Cinese, costituì un generale avanzamento dell'identità comunista. Essa ebbe alla base la consapevolezza della dimensione mondiale dello scontro con il sistema imperialista, un approfondimento della critica al capitalismo tanto sulla varietà delle forme politiche di dominio, quanto sulla sua capacità di sussunzione dei rapporti sociali e, infine, rispetto alla intensificazione dei suoi dispositivi di controllo e assorbimento dei conflitti di classe. Una critica pratica che unificò le componenti più avanzate del proletariato metropolitano portando lo scontro di potere sul terreno della guerra di classe di lunga durata.

Fin da subito nella nostra esperienza fu presente anche una chiara demistificazione della natura di classe degli Stati di origine socialista dell'Est, senza per questo ignorare il peso politico della contraddizione che opponeva questi paesi al sistema imperialista occidentale. Attorno a questi elementi di coscienza la strategia della guerriglia ha aperto una strategia rivoluzionaria, affermandosi come punto di riferimento per le più significative lotte antagoniste nei principali paesi europei.

Davanti ai nuovi assetti economici e politici e al concreto quadro della lotta di classe che l'evoluzione della crisi e del sistema capitalistico nel suo complesso sta generando, le avanguardie comuniste misurano le acquisizioni raggiunte e la necessità degli ulteriori passaggi per l'avanzamento della progettualità rivoluzionaria. E' lo sviluppo storico concreto della lotta di classe ad avere messo in risalto il carattere attuale dell'identità comunista; in sintesi: pur agendo localmente, essa deve esprimere la globalità (qualità ed estensione) dello scontro tra proletariato internazionale e borghesia imperialista.

Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista dicono:

«I comunisti si differenziano dagli altri partiti proletari per il solo fatto che, da un lato, nelle varie lotte nazionali dei proletari danno risalto e fanno valere quegli interessi comuni di tutto il proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità mentre, dall'altro lato, nelle diverse fasi dello sviluppo attraversate dalla lotta tra proletariato e borghesia, sostengono sempre l'interesse del movimento nella sua totalità».

I compiti attuali di strategia generale a cui sono chiamati i comunisti impongono tanto un rafforzamento quanto uno sviluppo nuovo degli elementi fondanti acquisiti in questi anni. Oggi l'interdipendenza tra i processi rivoluzionari fa sì che la politica internazionalista diventi fattore di avanzamento del processo rivoluzionario all'interno di ogni realtà nazionale e, contemporaneamente, dell'insieme del quadro di scontro tra rivoluzione e imperialismo. Allo stesso tempo la politica rivoluzionaria può proiettare in avanti i processi di emancipazione proletaria portando alla luce, all'interno della complessità delle loro forme, l'omogeneità di fondo che caratterizza la contraddizione proletariato/borghesia nelle varie aree del mondo. Tutto ciò significa farsi carico dell'organizzazione del campo rivoluzionario al livello imposto dallo scontro di potere determinato dall'aggressività con cui la borghesia reagisce alla sua crisi per stroncare sul nascere ogni antagonismo di classe.

Questa qualità, che caratterizza le lotte e l'organizzazione dei comunisti, si esprime compiutamente nella strategia della lotta armata. Ogni grido della borghesia sulla "inutilità della lotta armata" e sulla "fine del comunismo" maschera in realtà la profondità dei processi di crisi economica e di instabilità politica. L'incapacità di risolvere le contraddizioni più significative, il loro cumularsi negli anni, rende irrinunciabile per milioni di persone l'esigenza di una trasformazione rivoluzionaria.

Quella che si sta aprendo è proprio l'epoca della piena valorizzazione della storia, dell'esperienza pratica e della prospettiva dei comunisti.

3. L'integrazione sovranazionale è la via obbligata per contrastare la crisi economica e politica apertasi alla fine degli anni '60 in tutto il sistema capitalistico a partire dai suoi poli centrali, USA, Europa e Giappone. Una crisi profondissima di cui non si è ancora realizzata una seria possibilità di superamento.

Vogliamo riassumere brevemente il movimento economico che la spinge perché altrimenti è difficile inquadrare le trasformazioni politiche che essa induce. Infatti il fenomeno principale che sta facendo saltare tanti confini politici è il processo di concentrazione con cui capitali già multinazionali e multiproduttivi reagiscono alla caduta dei saggi di profitto. La caduta dei saggi di profitto fu la risultante del ciclo economico del dopoguerra e si tradusse in una crisi di sovrapproduzione di capitali di portata planetaria. I capitali più forti negli anni '70 puntarono al superamento di questa crisi attraverso un salto tecnologico e la riorganizzazione planetaria della produzione per aumentare la massa del plusvalore. Ed è la realizzazione di questi processi che ha riproposto negli anni '80, ad un livello qualitativamente più complesso, le condizioni per un nuovo e più violento calo dei saggi di profitto, tenuto sotto controllo attraverso l'accelerazione e l'aumento massiccio del volume della circolazione finanziaria. Una situazione di vera crisi le cui manifestazioni meno risolvibili e controllabili sono oggi:

- l'enorme deficit commerciale e l'indebitamento USA;

- il debito del "Terzo Mondo" e dell'area COMECON;

- la sovrapproduzione agricola in Europa e in USA sostenuta da altissime sovvenzioni statali;

- gli eccezionali attivi commerciali della RFT, del Giappone e dei paesi di nuova industrializzazione del Sud-Est asiatico.

Regionalizzazione significa aggregazione in aree economiche continentali per creare le condizioni attraverso cui i capitali più forti raggiungono le dimensioni (in quantità e qualità) per rilanciare l'accumulazione. E' il punto di equilibrio attualmente raggiunto per sopravvivere alla crisi. Un equilibrio altamente precario perché condizionato da fattori economici e politici ancora più complessi e incontrollabili che in passato, e che continuano ad alimentare, per quanto in un quadro generale in trasformazione, l'ineliminabile tendenza alla guerra nello sviluppo del capitale. Sempre più «l'economia capitalistica mondiale può paragonarsi allo stregone che non è più capace di dominare le potenze degli inferi da lui stesso evocate.» (Marx-Engels, Manifesto del Partito Comunista).

Queste dinamiche economico-politiche producono contraddizione di classe e sociali che segnano l'avanzamento della lotta di classe in questa epoca. La divisione sociale del lavoro si ramifica e si infittisce a livello planetario e attira nell'orbita del capitale, e nella condizione di proletari, milioni di donne e di uomini a cui viene progressivamente distrutta ogni forma di sussistenza non capitalistica, concentrandoli nelle metropoli che punteggiano il pianeta, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Sono gli effetti devastanti dell'industrializzazione estesa a tutto il mondo che costringe i proletari a piegarsi alle esigenze dirette della produzione come operai, disoccupati, emigranti. E' qui l'origine delle tensioni e della conflittualità sociale nelle regioni del Sud del mondo e che si esplicita in Europa e negli stessi USA. Ora la politica rivoluzionaria del proletariato non può non misurarsi con l'insieme della strategia imperialista, vista anche come l'insieme delle risposte della borghesia alle lotte del proletariato nei centri e nelle periferie, perché le une come le altre minacciano i profitti del capitale.

4. Sul piano strutturale l'integrazione capitalistica in Europa occidentale è diretta a costruire la base economica e sociale per assicurare ai capitali multinazionali le condizioni ed il mercato necessari per continuare a svilupparsi e per essere competitivi a livello mondiale. Per l'Europa diventa decisivo il grado di apertura delle sue principali economie: per favorire la crescita del flusso di investimenti diretti, la riorganizzazione dei processi produttivi e dei canali di commercializzazione delle merci su scala continentale e mondiale, l'espansione dei mercati finanziari e l'allargamento della sfera di azione delle banche al di là dei confini nazionali. Tutte le singole politiche nazionali degli Stati europei non possono legittimarsi senza un chiaro e preciso legame con i nuovi assetti richiesti dall'interdipendenza economica che in termini politici si traducono in una nuova e più elevata riorganizzazione ed integrazione gerarchica tra gli Stati a livello continentale. Un processo discontinuo che si manifesta concretamente nel consolidamento delle istituzioni sovranazionali esistenti e nella creazione di nuove. Su di esse si riversa in modo crescente parte del potere degli Stati nazionali; una realtà che li costringe ad una riformulazione delle proprie funzioni. La formazione del cosiddetto "Blocco Europeo Occidentale" è un progetto nato nelle frazioni più forti della borghesia imperialista europea per rispondere a queste esigenze.

5. L'unificazione europea è stata potenzialmente sempre presente nei piani della borghesia europea, ma oggi sta assumendo un'importanza centrale sotto la pressione della complessa e perdurante situazione negativa a livello di sistema globale imperialista. Gli anni '80 sono il decennio in cui appare più chiaramente il logoramento degli equilibri politici di Yalta. Innanzitutto le contraddizioni determinate dalle pressioni dei poli emergenti tanto tra i paesi di nuova industrializzazione che tra quelli a capitalismo avanzato. Contraddizioni di cui è consapevole l'Amministrazione USA e la cui manifestazione più palese è la continua oscillazione tra la riproposizione della sua centralità e la ricerca di una concertazione globale che in alcuni casi significa inevitabilmente spostamento degli equilibri congiunturali di potere. L'impossibilità per gli USA di sostenere da soli i costi crescenti, economici e politici, della crisi capitalistica internazionale spinge l'Europa occidentale, così come il Giappone, ad assumere un ruolo specifico complessivamente più consistente che in passato. Gli Stati europei più forti (Francia, RFT, Gran Bretagna, Italia) aumentano in modo rilevante il loro peso politico a fianco degli USA, sia per la realizzazione di loro interessi diretti, sia come maggiore responsabilizzazione nel mantenimento del sistema globale. In questo senso il rafforzamento dell'Europa è un interesse primario per tutto il sistema imperialista. Lo stesso Agnelli, all'assemblea della Trilateral Commission dell'aprile '89 a Parigi, si è impegnato «a fare del '92 motivo di rafforzamento di tutti i paesi dell'area occidentale». La formazione dell'Europa occidentale è già un processo concreto che vede le frazioni più forti della borghesia europea e i loro esecutivi nazionali impegnati nella realizzazione delle strutture politiche adeguate alle esigenze di integrazione.

Attorno a queste strutture ruota la gestione dei diversi progetti e piani di intervento:

- l'Unione Monetaria per centralizzare le politiche economiche e finanziarie;

- la cooperazione sulle politiche di difesa e armamento;

- la cooperazione ed integrazione tra le polizie sul piano della controrivoluzione e del controllo sociale;

- la cosiddetta "Europa Sociale", cioè la regolamentazione dei costi e della circolazione della forza-lavoro interna ed immigrata;

- la centralizzazione delle politiche di sovvenzionamento al settore agricolo;

- il coordinamento della ristrutturazione industriale nei vari settori;

- la centralizzazione della ricerca tecnologica, delle telecomunicazioni e del settore spaziale;

- il coordinamento delle politiche estere.

Questo enorme volume di iniziative che caratterizza lo stadio attuale dell'unificazione europea si traduce immediatamente in un aumento dello sfruttamento e della disoccupazione, in un peggioramento generale delle condizioni di vita del proletariato metropolitano. Una tendenza che rimanda all'allargamento e massificazione del processo di proletarizzazione che sono le necessità di valorizzazione capitalistica a determinare. Si tratta di un ulteriore processo di espropriazione dell'attività umana, di formazione di forza-lavoro e di sussunzione alle nuove condizioni del modo di produzione capitalistico. Allo stesso tempo questo processo si materializza verso l'esterno proiettandosi in modo consistente nelle diverse aree del mondo, sia come ruolo politico della CEE nelle principali regioni di crisi, sia come intervento mirato dei singoli Stati in sostegno ai capitali multinazionali, principalmente verso l'area Mediterraneo-Mediorientale, verso l'area COMECON e, più in generale, verso l'Asia, l'Africa e l'America Latina.

6. La formazione del "Blocco Europeo Occidentale" è una realtà che si misura con numerose contraddizioni. Le forti spinte all'integrazione devono infatti fare i conti sia con la conflittualità delle strategie di produzione e di mercato dei diversi capitali, sia con le esigenze particolari e le politiche spesso divergenti dei vari governi e Stati europei. L'instabilità che si sta verificando a tutti i livelli dimostra che il ritmo accelerato è il frutto di uno scontro di interessi sempre più violento e di scelte obbligate non più rinviabili indotte dall'evoluzione della crisi del sistema capitalistico mondiale. Un quadro questo che si può facilmente riscontrare in alcune delle dinamiche più importanti che sono al centro di significativi spostamenti nei rapporti di forza nel campo imperialista.

- Sul piano economico la questione della Banca Centrale Europea e della centralizzazione delle politiche finanziarie, che è il cuore dell'integrazione economica europea, vede uno scontro in cui emerge sia la contraddizione della Gran Bretagna, per la sua integrazione economica con gli USA, sia il manifestarsi in ogni singolo Stato di opposizioni decise come quelle all'interno della Bundesbank e della Banca d'Italia, che testimoniano la resistenza degli interessi economici e politici penalizzati dalla prospettiva di una perdita di sovranità nazionale.

- Sul piano politico-militare, la questione del riarmo e della ridefinizione del ruolo della NATO è la soglia che definisce le possibilità di sviluppo della cosiddetta "Difesa Europea". A fronte delle pressioni per un ridimensionamento politico della NATO, emerse recentemente (tanto in Europa che in USA) attorno alla questione del riammodernamento del sistema missilistico LANCE, come sull'aumento della quota finanziaria degli Stati europei, l'amministrazione USA ha fatto pesare esplicitamente il suo punto di vista in direzione di una riqualificazione politica del Patto Atlantico.

- La politica di penetrazione economica verso l'area COMECON è diventata, assieme a quella verso l'area mediterranea, un asse fondamentale di sviluppo del "blocco CEE". Il moltiplicarsi e l'accavallarsi delle iniziative economiche e politiche dei gruppi multinazionali e i tentativi degli Stati di ritagliarsi spazi di politica autonoma verso l'area COMECON, riflettono la necessità dei capitali europei di occupare posizioni privilegiate in quelle aree per rafforzarsi nei confronti dei capitali americani e giapponesi. Sempre più gli USA faticano ad imporre il loro ritmo e le loro esigenze su questo terreno, usando l'arma economica dei vincoli sanciti dal trattato COCOM e quella politica del rapporto bilaterale con l'URSS.

Questi sono solo alcuni snodi attorno a cui si rende ben visibile come la strategia imperialista di reagire alla crisi rafforzando l'integrazione politica ed economica sovranazionale apra la strada a nuove e più complesse contraddizioni. L'integrazione europea si realizza quindi in un quadro estremamente dinamico all'interno del quale cominciano ad emergere i protagonisti e gli interessi che stanno modificando i rapporti e le gerarchie tra gli Stati e tra i gruppi industriali e finanziari. In questi ultimi anni balza all'attenzione il peso crescente assunto dalla borghesia tedesca, tanto sul piano delle pratiche di coesione economico-finanziaria, tanto sul piano del rafforzamento del peso politico del "Blocco Europeo" nel sistema mondiale e verso il Mediterraneo e l'area COMECON. La "nuova RFT" nella "nuova Europa", questo il messaggio attraverso cui la borghesia tedesca e il suo personale politico rivendicano una maggiore assunzione di responsabilità a livello mondiale e una chiara centralità nella formazione europea occidentale. La ricerca di un peso maggiore nell'"Asse Franco-Tedesco" ed il "Piano in 10 punti" attraverso cui Kohl si fa promotore di una possibilità di una riunificazione con la RDT, stanno ad indicare come la borghesia tedesca spinga per colmare il "gap" tra peso economico ed influenza politica che l'ha caratterizzata per tutto il dopoguerra.

7. La riflessione che immediatamente suscita la qualità politica di un attacco come quello dei compagni della Rote Armee Fraktion contro il boss della Deutsche Bank Herrhausen è la sua collocazione dirompente nel quadro di scontro tra imperialismo e rivoluzione a livello mondiale, a fianco della lotta rivoluzionaria e di popolo che in Salvador e nella Palestina occupata stanno determinando passi in avanti non solo per la loro situazione ma anche per l'intero proletariato internazionale. Lo scontro rivoluzionario in Europa occidentale emerge così come uno dei poli in cui è possibile spostare i rapporti di forza in dialettica con le lotte nei tre continenti del Sud a partire dalla coscienza che ogni colpo inferto all'imperialismo indebolisce il sistema nel suo insieme e arricchisce complessivamente la prospettiva rivoluzionaria. L'iniziativa della Rote Armee Fraktion va ad incidere in un progetto fondamentale per l'insieme del sistema imperialista e apre contraddizioni laddove l'imperialismo lavora al riassetto dei suoi equilibri strategici dal punto di vista economico-politico-militare. L'attacco alle politiche che guidano sui diversi piani l'integrazione europea investe i rapporti di potere in tutta l'area riflettendosi direttamente in ogni paese. La pratica rivoluzionaria rende evidente l'importanza di una stabile prospettiva di organizzazione e lotta a livello continentale. E' questa un'acquisizione importantissima per tutto il movimento rivoluzionario internazionale, frutto dell'esperienza realizzata nelle offensive condotte negli anni '80 dalle organizzazioni combattenti Action Directe, Rote Armee Fraktion, Brigate Rosse-PCC, nel percorso completo del Fronte in Europa occidentale.

La guerriglia metropolitana in Europa occidentale nacque per ricostruire la coscienza e la prospettiva rivoluzionaria e di classe del proletariato metropolitano, per riaprire uno scontro di potere nel cuore del sistema imperialista. Essa ha progressivamente divaricato le contraddizioni tra le classi, acutizzando la crisi di potere della borghesia imperialista nel suo complesso, e aprendo una falla irreversibile nei principali Stati europei a partire dall'allargamento della frattura classe/Stato. Questo durissimo scontro sviluppatosi nelle diverse realtà nazionali europee per tutti gli anni '70 ha portato ad una nuova e più matura definizione dello sviluppo rivoluzionario. E' attorno alla guerriglia del Fronte, dalle offensive contro la NATO e il complesso militare industriale all'azione contro Tietmeyer durante l'assemblea del FMI, che si è verificata una crescita significativa della coscienza e della organizzazione rivoluzionaria. Il Fronte quindi, proprio come organizzazione dell'attacco concreto a livello continentale, ha favorito l'unificazione e la politicizzazione dello scontro di classe in Europa. Un patrimonio di esperienze che può permettere rilevanti passi in avanti nella capacità progettuale e pratica dei rivoluzionari in ogni paese. Cioè la possibilità di concepire ed attuare una strategia rivoluzionaria adeguata al livello raggiunto dallo scontro rivoluzione/imperialismo, che sviluppi nei giusti termini il rapporto tra rivoluzione in ciascun territorio nazionale e rivoluzione in Europa occidentale. Perché l'esperienza concreta ha già messo in evidenza delle necessità inderogabili. Ad esempio che riferirsi all'avanzamento del processo rivoluzionario su scala continentale non significa venir meno ai compiti che pone la propria situazione di classe con le caratteristiche storiche specifiche che la contraddistinguono. Così come sul piano più generale l'attacco alle politiche di coesione a livello europeo sicuramente determina, dal lato oggettivo, come l'azione Herrhausen dimostra, un effetto politico nella situazione dei singoli paesi che però, di per sé, non si traduce in innalzamento della coscienza di questo scontro nel tessuto di classe.

Lo scontro rivoluzionario a livello continentale esprime una qualità politica che non può essere raggiunta dalla lotta proletaria in ciascun paese in assenza di una strategia e di una pratica che leghi dialetticamente questi due piani. Il piano dello scontro classe/Stato in un singolo territorio e quello rivoluzione/imperialismo a livello europeo non possono rimanere separati. L'unità dialettica si realizza facendo leva sulla reciprocità tra questi due piani. In questa reciprocità è il piano generale dello scontro a far avanzare quello particolare. Solo affrontando lo scontro in un singolo territorio con la qualità politica raggiunta dalla prassi rivoluzionaria della guerriglia a livello continentale si può dare prospettiva allo scontro di classe. Perché questo è il livello reale raggiunto dallo scontro.

La formazione del "Blocco Europeo Occidentale" è un processo globale che attraversa ogni paese e induce a trasformazioni sostanziali. Ma quello che più conta è che essa ha una condizione determinante per la sua attuazione: il drastico ridimensionamento della lotta rivoluzionaria. Unirsi per contrastare questo progetto, per impedire che esso si attui in un generale arretramento dell'iniziativa rivoluzionaria in ogni paese, è compito della guerriglia e del movimento proletario. Costruire uno scontro offensivo di dimensioni europee in unità con le lotte rivoluzionarie e di liberazione in Asia, Africa e America Latina è il terreno su cui può avanzare la coscienza rivoluzionaria e contemporaneamente approfondire la crisi economica e politica del sistema imperialista. Attaccare fin da oggi l'unificazione europea è la prospettiva strategica centrale attorno a cui la lotta proletaria in ogni paese, in ogni polo metropolitano, in ogni situazione sociale può esprimersi in termini di potere attorno alla guerriglia.

In Europa occidentale le organizzazioni combattenti hanno dimostrato nella pratica la capacità di situarsi ad un livello politico così qualificato e centrale. L'azione contro Herrhausen e il percorso della Rote Armee Fraktion, così come in Italia quello delle Brigate Rosse-PCC hanno anche questo significato: la guerriglia apre uno spazio politico alla crescita del movimento proletario, al confronto e al contributo concreto di tutti i rivoluzionari che vogliono finalizzare la loro militanza organizzata all'avanzamento della prospettiva rivoluzionaria.

I combattenti prigionieri sono a pieno titolo interni a questa dimensione. La resistenza e le varie esperienze politiche dei prigionieri per la difesa e lo sviluppo dell'identità comunista realizzate in carcere in Germania, Francia, Spagna, Italia..., costituiscono un effettivo elemento di arricchimento del processo rivoluzionario aperto dalla guerriglia in Europa occidentale. E' questa consapevolezza che definisce il nostro contributo militante.

Lottare insieme!

Alcuni compagni del Collettivo Comunisti Prigionieri Wotta Sitta! - Susanna Berardi, Lorenzo Calzone, Anna Cotone, Davide Fadda, Luciano Farina, Giovanni Gentile Schiavone, Nicola Pellecchia, Stefano Scarabello, Caterina Spano, Aleramo Virgili

Roma, dicembre 1989

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