IL BOLLETTINO: NOTIZIE EUROPA

Belgio:

SOLIDARIETA' PROLETARIA CON I QUATTRO MILITANTI DELLE CELLULE COMUNISTE COMBATTENTI IN LOTTA

«La vita vincerà. La borghesia può ben agitarsi, irritarsi fino a perdere la ragione, calcare la mano, fare sciocchezze, vendicarsi contro i bolscevichi e cercare di massacrare centinaia, migliaia di bolscevichi di ieri o di domani: agendo in questo modo, la borghesia agisce come hanno fatto tutte le classi condannate dalla storia. I comunisti devono sapere che l'avvenire appartiene loro in ogni caso e per questo noi possiamo (e dobbiamo) unire, nella grande lotta rivoluzionaria, l'ardore più appassionato al più grande sangue freddo e alla valutazione più meditata delle frenetiche convulsioni della borghesia».

(Lenin)

E' abituale dire che per giudicare correttamente le persone, bisogna guardare le loro mani e non la loro bocca, cioè, detto altrimenti, è molto meglio guardare ciò che fanno piuttosto che ciò che dicono. Per quel che riguarda la lotta delle Cellule Comuniste Combattenti, bisogna guardare quello che fanno, esaminare quello che dicono... e non ascoltare quello che si racconta sul loro conto!

Lavoratori, lavoratrici, compagni, il 26 settembre prossimo si deve aprire a Bruxelles un processo in Corte d'Assise contro quattro militanti delle Cellule Comuniste Combat-tenti. Questi quattro compagni sono accusati di essersi impegnati nella lotta per la giustizia sociale, per la Rivoluzione, per il Comu-nismo. E la borghesia che li accusa li chiama "terroristi".

Ma chi sono i criminali e i terroristi oggi e qui?

La televisione, la radio, i giornali parlano anche loro di «crimini commessi contro la società» dai quattro militanti rivoluzionari. Ma è un crimine contro la società militare in un'organizzazione che lotta per il potere dei lavoratori? E' un crimine contro la società battersi contro le banche, che strangolano il paese con un debito di 6.000 miliardi e 500 miliardi di interessi annui? E' un crimine contro la società battersi contro il padronato, che moltiplica sempre più i suoi profitti escludendo 800.000 persone dal diritto al lavoro e supersfruttando le altre? E' un crimine contro la società battersi contro i "baroni dell'elettricità"? E' un crimine con-tro la società battersi contro l'imperialismo fautore di guerre e di miseria in tutti i continenti?

No, certamente! I lavoratori lo sanno da molto tempo: gli interessi ufficiali della società, in Belgio e da sempre, sono gli interessi della società... generale, quelli di tutte le holdings e di tutte le banche che sfruttano il lavoro sociale.

Detto chiaramente, gli interessi ufficiali della società sono quelli della borghesia, quelli del capitalismo e nient'altro che quelli.

«Lo Stato reprime e la legge imbroglia...»

Ricordiamoci di queste parole dell'Inter-nazionale, il canto dei proletari del mondo intero.

La legge imbroglia perché è la legge della borghesia. La legge che afferma la legittimità per il padrone di sfruttare e opprimere i lavo-ratori; la legittimità di chiudere le fabbriche e gettare centinaia di migliaia di persone nella disoccupazione; la legittimità di vietare di fatto agli agricoltori di produrre carne, cereali, latte e altri prodotti alimentari "ec-cedenti"; la legittimità per la gendarmeria e l'esercito di reprimere, nel sangue se neces-sario, il movimento proletario quando esso si leva rivendicando chiaramente il Socialismo, il potere reale di tutto il popolo.

La legge imbroglia perché pretende di costruire dei criminali, dei "terroristi", con coloro che non accettano più lo sfruttamento e l'oppressione del mondo del Lavoro, con coloro che vogliono che la produzione sia organizzata per soddisfare tutti i bisogni della popolazione e non più per arricchire un pugno di De Benedetti, Leysen, Davignon, Frère, Van den Boeynants e altri avidi parassiti.

Perché pretende di costruire dei criminali, dei "terroristi", con coloro che affermano alto e forte che il potere spetta alla classe lavoratrice e a nessun'altra, affinché essa possa infine edificare un mondo nuovo, il mondo dell'eguaglianza e della fraternità.

E la "democrazia" in tutto ciò?

Molti senza dubbio pensano ancor oggi: «Gli obiettivi delle Cellule Comuniste Combattenti sono realmente quelli della classe proletaria, ma i mezzi che esse usano, la via che esse hanno scelto - la violenza rivoluzionaria - non è quella buona. Noi viviamo in una democrazia, e se vogliamo cambiare le cose ci è consentito sempre di votare...».

E' vero che il regime politico del nostro paese è attualmente una democrazia (borghe-se). Ma quando si mette da parte il fascino artificioso della parola, che cosa resta per l'esattezza? Forse la democrazia (borghese) ha fatto sparire lo sfruttamento del lavoro? O l'avrebbe soltanto ridotto? No, assolutamen-te no.

Proprio al contrario, più la democrazia (borghese) fiorisce, più si estende e si rafforza lo sfruttamento... senza una vera opposizione. Un secolo dopo le prime lotte operaie per la conquista dei diritti politici demo-cratici, tra cui il suffragio universale, il bilancio del riformismo non potrebbe essere più rivelatore: in una società di classe (dove l'ideologia dominante è necessariamente l'ideologia della classe dominante), il voto, le elezioni non possono esprimere le rivendi-cazioni, gli interessi oggettivi della classe dominata, cioè gli interessi della grande maggioranza della popolazione.

A livello teorico, questa non è una scoperta recente! I grandi pensatori del socialismo scientifico, Marx ed Engels, hanno dimo-strato da molto tempo come delle elezioni in un regime capitalista (per quanto democraticamente esse possano svolgersi) riescano alla fine solo ad esprimere sempre gli interessi dei capitalisti. E qui, oggi, dinanzi agli effetti devastatori della crisi economica, chi potrebbe seriamente pretendere il contra-rio?

Se il voto potesse realmente esprimere la volontà profonda della classe lavoratrice, quest'ultima, maggioritaria, eleggerebbe dei Martens, Gol, Verhofstadt, Eyskens, Moureaux o altri Dehaene? Se il voto e il gioco democratico (borghese) istituzionale potessero realmente rendere conto delle aspirazioni della popolazione, si troverebbero al potere all'interno dello Stato persone che, qualsiasi sia il colore della loro bandiera, riducono sistematicamente i bilanci della sanità, dell'educazione, persone che smantellano i servizi pubblici: poste, ferrovie, ecc., persone che fanno sistematicamente passare gli interessi del capitale davanti a quelli dei lavoratori?

Giammai! Se, nel quadro delle istituzioni democratiche (borghesi), la classe lavora-trice potesse realmente esprimere le sue legit-time rivendicazioni, ebbene, ci sarebbe il Socialismo da molto tempo... E parimenti, se un tale fenomeno eccezionale mai si realizzasse, esso sarebbe tanto caduco quanto drammatico: a partire dal colpo di Stato di Pinochet contro Unidad Popular in Cile o, più vicino a noi, dallo strangolamento della Rivoluzione dei Garofani in Portogallo, più nessuno può credere ancora per un solo istante nella transizione pacifica e democratica (borghese!) al socialismo.

La situazione impone al proletariato di adottare una strategia offensiva di rottura nei confronti dei vincoli democratici... borghesi

Nel 1984 e nel 1985 le Cellule Comuniste Combattenti hanno concretizzato per la pri-ma volta, e su una scala molto modesta, la ripresa della lotta proletaria in una prospettiva credibile di avanzata, rifiutando i tradizionali vicoli ciechi in cui certi falsi ami-ci dei lavoratori deviano la lotta da decenni.

Dai pesanti fallimenti dei grandi scioperi anti-austerità di qualche anno fa, ciascuno può constatare che il movimento di classe resta in atteggiamento di attesa di fronte a una borghesia sempre più aggressiva ed arrogante. In questa situazione sterile, e nonostante il fatto che la situazione sociale si aggravi continuamente (non parliamo nemmeno del cambiamento di governo che ha già confermato che non ci si deve attendere niente da questa parte... se non delle nuove "economie"!), nessuno si mobilita se non in modo del tutto difensivo, lasciando l'iniziativa e tutto il potere decisionale alla borghesia...

E mentre è facile rendersi conto che questo atteggiamento non reca niente di buono a nessuno (al contrario!)... si rimprovera al progetto rivoluzionario di mancare di realismo, di essere troppo ambizioso «in riferimento ai rapporti di forza attuali tra il proletariato e la borghesia»!

Ma è proprio perché si fonda su un approccio globale ai problemi e perché apporta ad essi una soluzione altrettanto globale, che il progetto rivoluzionario è il solo progetto positivo, costruttivo e suscettibile di sviluppi per il proletariato!

In effetti, le lotte su obiettivi "modesti" soffrono del loro carattere parziale e limitato. Non soltanto perché si impegna solo una frazione del proletariato (quella direttamente interessata alla rivendicazione), ma ancor più fondamentalmente perché queste lotte, ri-spettando le basi, il quadro stesso del modo di produzione capitalista, vengono alla fine ne-cessariamente paralizzate da fattori estranei agli interessi del proletariato. Così si possono vedere scioperi che si ritrovano in un vicolo cieco perché mettono in discussione l'esi-stenza stessa dell'impresa (in seno alla con-correnza capitalistica): partendo dal fatto dei limiti economici delle loro rivendicazioni, gli scioperanti si ritrovano allora, presto o tardi, costretti a piegarsi alla logica ultima dei capitalisti, del sistema capitalista stesso... Ciò è vero in ogni tempo, ma ancor di più in periodi di crisi giacché questi rendono i capitalisti più feroci che mai.

Al contrario, la lotta rivoluzionaria pone i problemi in modo globale: si tratta di mobilitare tutto il proletariato per lottare contro tutta la borghesia, classe contro classe, per cambiare tutto il sistema economico, politico e sociale e costruire una società nuova basata sulla proprietà collettiva di tutti i mezzi di produzione, una società alla quale ciascuno contri-buirà secondo i suoi mezzi e dalla quale riceverà secondo i suoi bisogni.

La differenza tra una lotta parziale, riformista, e una lotta complessiva, rivoluzionaria, non è una questione di quantità ma di qualità.

La lotta rivoluzionaria è un processo storico: essa si dispone su di un lungo arco di tempo che vede il proletariato, partendo da una posizione iniziale di grande debolezza politica ed organizzativa, strutturarsi in modo offensivo in tutti i campi per conquistare una posizione di forza dominante nella società. Praticamente, la lotta rivoluzionaria, inizialmente limitata all'azione politica e militante di alcuni comunisti in seno alla clas-se, ricongiunge progressivamente l'insieme della classe con la lotta comunista per la presa del potere.

Le Cellule Comuniste Combattenti, che hanno definito la loro stessa lotta come un primo passo in questa direzione, ci hanno mostrato che un pugno di compagni generosi, che seguono una linea politica corretta e la applicano all'interno di una pratica cosciente, semina il panico tra le file della borghesia e dei suoi alleati e fornisce ai settori più combattivi del proletariato gli elementi politici e strategici, ed anche ideologici e morali, necessari al progredire della lotta.

Così, mentre la borghesia e i suoi collaboratori fanno di tutto per intossicarci con i loro valori di sottomissione, per farci adottare la mentalità della sconfitta, l'iniziativa rivoluzionaria di una piccola forza comunista combattente può riattualizzare l'idea-forza: osare lottare, osare vincere.

Il processo è di fatto un attacco contro la strategia del futuro per il mondo del Lavoro

Il processo contro quattro compagni delle Cellule Comuniste Combattenti testimonia innanzitutto questa paura della borghesia di fronte all'autentica iniziativa rivoluzionaria. Tramite dei processi, il potere borghese intende ancora e sempre ingannare la coscienza sociale, si propone di troncare la riflessione che progredisce ineluttabilmente in seno al mondo del Lavoro.

Da mesi il nostro collettivo distribuisce dei volantini alle porte delle fabbriche, nelle manifestazioni sindacali; noi incontriamo numerosi militanti di base e moltiplichiamo le discussioni costruttive. Attraverso questo lavoro in seno al proletariato, sappiamo quanto è viva la simpatia dei lavoratori più coscienti e combattivi nei confronti dei comunisti rivoluzionari, sappiamo che spesso la riflessione si conclude con queste semplici parole ricche di avvenire: «Sì, in fondo è vero, le CCC hanno ragione, niente cambierà altrimenti...»

E' il farsi strada di questa verità, di questa verità liberatoria che la borghesia intende attaccare e troncare con il processo.

Tutti comprendono facilmente che la reazione del nemico è sempre proporzionale alla qualità dell'attacco che gli viene portato. L'attacco è debole e senza futuro? La borghesia ride e vi tollera. L'attacco è forte e ricco d'avvenire? La borghesia diventa furiosa e tenta di annientarvi.

Se la lotta delle Cellule Comuniste Combattenti, la lotta armata per il Comunismo, il Marxismo-Leninismo fossero oggettivamente come li presenta il discorso della classe dominante: «un terrorismo abietto, rifiutato ed odiato da tutti, completamente estraneo al movimento e agli interessi dei lavoratori»... allora non sarebbe necessario strombazzare tale discorso dalla mattina alla sera! Non sarebbe necessario imbavagliare i militanti in carcere, affinché non possano dire una sola parola! Se la coscienza sociale rigettasse veramente la lotta delle Cellule, se il proletariato non potesse veramente «farne nulla», perché temere che dei militanti prigionieri di questa organizzazione espongano liberamente le loro idee?

Nell'accanimento con cui la borghesia lotta contro i rivoluzionari, quello che appare è essenzialmente la correttezza, l'adegua-tezza sul piano storico dell'azione di questi rivoluzionari. Il modo demenziale con cui la borghesia lotta contro il pensiero e la parola di alcuni militanti disarmati militarmente e prigionieri, rivela come le convinzioni di questi siano giuste, legate al presente, ricche di avvenire per il movimento di classe.

La borghesia e la sua giustizia preparano una sinistra commedia antiproletaria e controrivoluzionaria sui media: denun-ciamo questa farsa grossolana!

Il processo fatto dalla borghesia ai quattro compagni delle Cellule deve, nello spirito dei suoi allestitori, svolgersi secondo uno sche-ma di recupero e manipolazione. Si tratta di presentare le cose in modo tale che la mag-gioranza della popolazione si identifichi in modo non cosciente negli interessi dei suoi peggiori nemici, continui di fatto a tollerare la sua stessa oppressione. Nel caso del pro-cesso contro i quattro rivoluzionari, ciò significa darsi da fare perché lo spettacolo delle udienze, gestito ad oltranza dai media, spinga i proletari a identificarsi nei giudici, nei procuratori, nelle leggi, ecc., in breve nell'insieme della giustizia borghese; questa giustizia che, lo sappiamo, non serve ad altro che a regolare e normalizzare i rapporti socia-li a vantaggio del maggior profitto dei capita-listi.

Il potere spera così di fare un doppio colpo. Da una parte, avvantaggiarsi dell'ap-provazione (diciamo, più ragionevolmente, di una relativa indifferenza) delle masse di fronte ad una pesante condanna dei militanti comunisti. E, dall'altra parte, isolare politica-mente e socialmente la lotta e il progetto rivoluzionario con la pretesa di considerarli «estranei alla realtà del nostro paese oggi».

Ecco perché occorre che tutti i lavoratori valutino secondo il suo giusto valore l'obiettivo reale del processo, un obiettivo di tipo complessivo e unicamente politico. Questo processo non è altro che una manovra d'attacco contro l'insieme del progetto rivoluzionario (e persino contro la sola idea di Rivoluzione) attraverso quattro compagni la cui organizzazione ha fatto vivere tale progetto e lotta nel modo più autentico e più dinamico in questi ultimi anni.

Questo processo non è quindi niente di più che una manovra politica ed ideologica mirante ad assicurare la continuazione dello sfruttamento e dell'oppressione del mondo del Lavoro in una società di crisi, miseria e guerra.

Ed è tutto ciò che la borghesia e i suoi fidi giornali e televisioni tentano di negare e di nascondere...

Mille e uno tentativi di diversione e camuffamento

Questo processo sarà, per riprendere l'es-pressione consacrata, «un grande spettaco-lo». Poiché è proprio di spettacolo - più che di funzionamento giudiziario classico - che bisogna parlare quando si analizza il modo in cui viene preparato: trasformazione dell'aula del processo in una trincea a colpi di decine di milioni, condizionamento dei prigionieri per poterli trascinare alle udienze in uno stato adeguato allo show, una campagna stampa basata sul sensazionalismo e la diffama-zione... e, per finire, fabbricazione a scopi manipolativi di invenzioni basate sulla con-fusione tra la lotta delle Cellule Comuniste Combattenti e le avventure irrespon-sabili di due imputati legati al "FRAP". Quest'ultimo tiro mancino mira (per mezzo dell'entrata in scena di due individui che riconoscono alla giustizia borghese il diritto di decidere ciò che è legittimo e ciò che non lo è) ad indebolire il campo rivoluzionario nella lotta che si svolge durante le udienze. Ma la montatura è troppo grossa: nessuno si ingan-nerà e la trappola dell'amalgama si chiuderà sul tribunale stesso!

Ma la cosa più importante da denunciare in tutte queste manovre è sicuramente l'ag-gressione di cui i militanti sono continua-mente oggetto sin dal primo giorno di pri-gionia. Dal 16 dicembre 1985 i quattro com-pagni sono sottoposti ad un regime di isola-mento rafforzato che mira a paralizzarli e spezzarli politicamente e, nel contesto spe-cifico del processo, ad impedire loro la prepa-razione di un intervento pubblico efficace, offensivo e collettivo. Svilupperemo ora più a lungo questo punto.

«Organizzare il movimento di classe sulla linea e la pratica delle Cellule Comuniste Combattenti, unificare le avanguardie della classe; ecco i compiti dei comunisti, compiti ai quali, nei limiti della nostra situazione, contribuiremo con fiducia, modestia e dedizione».

Sin dal primo momento della loro prigionia, i quattro militanti delle Cellule Comuniste Combattenti annunciavano in questi termini il proseguimento del loro impegno al servizio della causa rivoluzionaria. Essi affermavano così che questo impegno non cessa affatto con la carcerazione bensì che, partendo dalla loro situazione, la loro militanza si esprime oggi esclusivamente attraverso un'attività teorica. E' questo il dovere di ogni militante disarmato e imprigionato: sfruttare al massimo gli anni di prigionia per istruirsi, riflettere, contribuire nel modo migliore ad un lavoro politico vantaggioso per tutti.

E sin dal primo momento di prigionia dei nostri compagni, la borghesia ha chiaramente mostrato di continuare a temere l'attività, anche soltanto teorica, di militanti comunisti disarmati. Essa ha loro immediatamente imposto delle condizioni di detenzione che mirano a rendere impossibile il loro lavoro, e questo impedendo il minimo contatto tra di essi e l'esterno.

Praticamente ciò si traduce nell'applica-zione di un regime di isolamento carcerario di eccezione, regime degradante di una brutalità sconosciuta fino a quel momento nelle prigioni del paese, regime instaurato esclusivamente per questi quattro militanti (posti direttamente sotto il controllo del governo e delle sue agenzie, GIA & Com-pany).

Per la prima volta in Belgio da decine d'anni è apparsa, con le Cellule Comuniste Combattenti, una forza realmente rivoluzionaria (cioè una forza organizzata che esprime un progetto credibile e che agisce per un vero mutamento di società)... e per la prima volta un regime di detenzione deliberatamente distruttivo viene applicato sistematicamente contro i militanti di questa organizzazione, e questo su ordine delle più alte sfere del potere repressivo borghese.

A partire dal momento in cui divenne evidente che le condizioni di detenzione imposte ai nostri compagni avrebbero impedito loro di contribuire politicamente al progredire del movimento rivoluzionario, lo scontro diven-tava inevitabile. Esso prese la forma, nella primavera del 1986, di un lungo e duro scio-pero della fame collettivo.

Solidarietà proletaria con i quattro mili-tanti prigionieri! Sì, ma... «che fare?»

Troppo spesso, quando si sente parlare di solidarietà, si è di fronte a "cause perse". E sovente ancora si confonde solidarietà con carità. Così, il più delle volte, al di là della sua generosità, la solidarietà si traduce solo in un percorso di retroguardia difensivo se non disperato.

La solidarietà proletaria è tutt'altra cosa. La solidarietà proletaria non è la condivisione delle sconfitte, è la condivisione delle vittorie. La solidarietà di classe sta nel condividere e rafforzare la lotta, sempre e ovunque, fino alla vittoria finale!

I militanti prigionieri non chiedono nulla per sé: ieri hanno deciso di impegnare la loro vita al servizio della rivoluzione proletaria, oggi nei limiti della prigionia essi vogliono condurre il più avanti possibile questo impegno, domani riprenderanno il loro posto in prima linea. Essi ci mostrano così la via da seguire: ovunque noi siamo, quali che siano i limiti delle nostre forze... alla lotta contro la borghesia, contro il capitalismo!

La loro lotta di prigionieri è la nostra, le nostre battaglie sono le loro. Una vittoria nel loro sciopero sarà una vittoria per tutti noi, e questa vittoria sta a noi strapparla al potere borghese.

Se i militanti prigionieri delle Cellule Comuniste Combattenti vengono sconfitti nella loro lotta, la demoralizzazione, la sottomissione e la convinzione che non c'è nient'altro da fare che continuare ad accettare di essere sfruttati ed oppressi, si diffonderà un po' di più in ampi settori della classe. Ma se, al contrario, i compagni vincono, allora i settori più coscienti e combattivi della classe si sentiranno rafforzati e rinvigoriti (politi-camente, ideologicamente, moralmente... e quindi organizzativamente), più fiduciosi e decisi nel rilancio dell'iniziativa proletaria, infine meglio in grado di portare a poco a poco l'insieme della classe all'offensiva anticapitalista.

E' questa vittoria che dobbiamo tutti avere di mira, e, manifestando apertamente la nostra solidarietà con i quattro militanti delle Cellule Comuniste Combattenti in lotta nelle carceri del capitale, dobbiamo affermare la nostra volontà di farla finita con il sistema capitalista.

La solidarietà, noi militanti comunisti la troviamo ogni giorno nel nostro lavoro politico in seno alla classe, ma essa non diventerà una forza effettiva se non assumendo un carattere responsabile e conseguente, in una parola: cosciente. Bisogna fare tutto ciò che ci è possibile per spiegare chiaramente a tutti i nostri compagni la posta in gioco reale nello sciopero dei militanti prigionieri e nel processo. Così, spetta a noi denunciare le manovre di diversione, le manipolazioni e gli inganni di cui fanno e faranno uso i borghesi e i loro buoni amici per mascherare questa posta in gioco. Per condurre in porto questi due compiti, dobbiamo organizzarci in una prospettiva più ampia: quella della globalità della lotta di classe. Poiché dopo la battaglia di oggi ne verranno delle altre, e poi altre ancora, e questo fino alla vittoria finale, fino alla Rivoluzione comunista.

La lotta non si arresta mai!

Avanti verso la rivoluzione comunista!

Classe contro classe!

Tutto il potere ai lavoratori!

Collettivo «Classe Contro Classe!»

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