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RFT: autointervista di una ex-prigioniera politica della RAF

COSTRUIRE UN NUOVO INTERNAZIONALISMO

Contro la "soluzione politica", per lo sviluppo della lotta rivoluzionaria in Europa Occidentale. Il ruolo dei prigionieri politici

Pubblichiamo il testo dell'autointervista di una ex-prigioniera politica della RAF che ha trascorso 18 anni nelle carceri della RFT.

L'autointervista ci sembra di notevole interesse per i suoi contenuti in relazione alle lotte condotte dai prigionieri politici della RAF e della Resistenza, prima e dopo gli assassinii di Stammheim.

Nel documento è messo in evidenza lo sviluppo della solidarietà militante a sostegno delle lotte dei prigionieri politici nella RFT.

La redazione

D. Hai trascorso quasi 18 anni nelle carceri della RFT. Da pochi mesi sei stata rilasciata dopo aver scontato fino all'ultimo giorno di pena. Puoi fare una breve cronistoria delle varie fasi della tua carcerazione?

R. Sono stata arrestata nell'ottobre del 1970, con altri 4 compagni. Posso ricordare quasi tutti i particolari del mio arresto ed anche molti particolari dei primi tempi in carcere. A volte, parlando con i compagni, mi vengono in mente dei particolari, dei fatti, che pensavo di avere dimenticato.

Sono stata in carcere esattamente 17 anni e 5 mesi. Sono stata in 5 carceri: a Berlino nel carcere femminile, poi a Köln-Ossendorf, Willich-Anrath, Mainz, poi al carcere maschile di Berlino (Moabit), poi di nuovo al carcere femminile di Berlino. Da questo carcere sono evasa con tre compagne nel '76. Mi hanno arrestato nuovamente dopo due settimane, e per il resto della mia carcerazione sono stata a Berlino-Moabit.

Ho trascorso 1 anno e mezzo in isolamento totale, subito dopo l'arresto; circa 3 anni in isolamento "a due" (1 ora al giorno d'aria e due volte alla settimana 1 ora di ping-pong con una compagna), poi 2 anni di trattamento quasi normale.

Gli ultimi 11 anni sono stata in gruppi da 3 a 5 compagne. A parte un breve periodo, sono sempre stata in carceri di massima sicurezza.

D. Cosa ha significato l'isolamento rispetto alle tue condizioni, politiche e personali, di prigioniera politica?

R. L'isolamento totale non permette alcuno scambio, in particolare con gli altri compagni. Per non perdere la propria identità politica è necessario avere la possibilità di svolgere un dibattito politico e disporre del materiale necessario alla riflessione politica. Nell'isolamento totale si deve lottare continuamente per sfondare questo muro.

D. Quali sono le principali differenze del regime di isolamento dei primi anni della tua carcerazione rispetto agli ultimi? E' cambiato il regime di isolamento?

R. Il regime di isolamento e, più in generale, il regime carcerario nella RFT, nella sostanza, non è cambiato. La cosiddetta "riforma" del '77 non ha cambiato di una virgola la situazione dei prigionieri politici. Il senso della "riforma" voleva essere quello di superare la vecchia concezione del regime carcerario come "vendetta" dello Stato, "espiazione della colpa", per trasformarla nella concezione "moderna" del "trattamento di rieducazione" per il "reinserimento nella società". La legge del '77 sostiene infatti che la sicurezza della società è legata alla rieducazione ed al successivo reinserimento dei "colpevoli". Nella realtà non è cambiato nulla. Fra le misure che hanno soltanto un valore formale, la legge del '77 ha previsto la formazione di una specie di "Tribunale esecutivo della pena" al quale il detenuto può teoricamente rivolgere le sue richieste e lamentele. Nella pratica si tratta soltanto di uno strumento burocratico che non fa nulla per il detenuto, specialmente se prigioniero politico.

D. Quali sono state le maggiori privazioni psicologiche e fisiche che hai sofferto in isolamento?

R. Il rapporto, la discussione con gli altri compagni erano le cose che mi mancavano di più nel periodo di isolamento totale. Anche dopo, quando eravamo in piccoli gruppi, questi rapporti ci mancavano molto.

Fisicamente mi mancava di più la possibilità di muovermi nella stanza. Abbiamo avuto soltanto una e poi due ore d'aria in un cortile molto piccolo. Nel Trakt (braccio di massima sicurezza) ci mancava l'aria fresca: c'era soltanto un impianto d'aria condizionata. I Trakte sono intenzionalmente costruiti per far ammalare i prigionieri che vi sono dentro.

D. Puoi fare una sintetica cronistoria delle principali lotte sviluppate dai prigionieri politici della RAF e della Resistenza, nelle carceri della RFT, prima e dopo gli assassinii di Stammheim?

R. Citerò solo i fatti più importanti per non dilungarmi troppo:

- Fra il 1972 ed il 1973 abbiamo fatto il primo sciopero della fame di 3 settimane contro l'isolamento. In quel momento i compagni erano tutti divisi in varie carceri.

- Nell'estate del 1973 abbiamo fatto un altro sciopero della fame di più di 6 settimane. Lo Stato ha tentato di assassinare Andreas Baader privandolo dell' acqua.

- Dal settembre 1974 al febbraio 1975 abbiamo fatto il più lungo sciopero della fame (quasi 5 mesi) contro l'isolamento. Durante questo sciopero viene assassinato il compagno Holger Meins.

- 1975: il compagno Siegfried Hausner, ferito in un'azione ed arrestato, viene lasciato morire in isolamento, privato di qualsiasi assistenza medica.

- 8 maggio 1976: viene assassinata la compagna Ulrike Meinhof mentre è in corso il processo di Stammheim.

- 1977: aprile - primo sciopero della fame per il raggruppamento. Lo sciopero ha un primo successo: 8 compagni vengono raggruppati a Stammheim.

- 1977: agosto - dopo l'esecuzione di Ponto, provocazione delle guardie carcerarie a Stammheim. Con il pretesto che il compagno Baader è stato, senza autorizzazione, nella cella della compagna Ensslin, 3 compagni vengono trasferiti ad Amburgo e la compagna Ingrid Schubert viene trasferita a Monaco.

- 1977: settembre - dopo il sequestro Schleyer scatta il regime di isolamento totale per tutti i compagni (niente visitatori, giornali, libri, radio ecc.) con l'aggravante che viene impedito anche agli avvocati di avere contatti con i prigionieri.

- 1977: 18 ottobre - assassinio nel carcere di Stammheim dei compagni Andreas Baader, Gudrun Ensslin, Jan Carl Raspe. Viene ferita la compagna Irmgard Möller.

- 1977: 12 novembre - assassinio della compagna Ingrid Schubert.

- 1981: sciopero della fame di 10 settimane per il raggruppamento e per la liberazione del compagno Günter Sonnenberg. Viene assassinato il compagno Sigurd Debus.

- 1984/85: sciopero della fame per il raggruppamento e per la liberazione del compagno Günter Sonnenberg.

D. Come sono sorte e si sono sviluppate le iniziative nella RFT a sostegno dei prigionieri politici della RAF e della Resistenza?

R. Piccoli gruppi di familiari hanno cominciato a muoversi ed a organizzarsi nel 1975. Oggi esiste un gruppo di parenti ed amici dei prigionieri politici che sostengono le lotte dei prigionieri e si battono per salvaguardare la loro identità politica e contro il loro annientamento politico e fisico.

Questi gruppi di familiari ed amici dei prigionieri politici hanno organizzato diverse manifestazioni ed occupazioni per far conoscere all'opinione pubblica le condizioni in cui si trovano i prigionieri politici nelle carceri della RFT. Nel 1981 hanno occupato la mensa del giornale Spiegel (il settimanale più importante della RFT). Nel 1986 hanno organizzato una manifestazione a Bonn e quest'anno due manifestazioni ad Amburgo ed una a Francoforte. Due mesi fa altri compagni hanno organizzato un'assemblea a Berlino con una grossa presenza di familiari ed amici dei prigionieri politici della RAF e della Resistenza.

Durante gli scioperi della fame dei compagni in carcere i gruppi di familiari ed amici hanno organizzato manifestazioni in tutta la RFT. Ciò è avvenuto, in particolare, durante il processo di Stammheim e dopo i ripetuti assassinii dei compagni della RAF.

D. Quale incidenza reale ha avuto il tentativo del Governo della RFT di montare una campagna di pentimento e di dissociazione dalla lotta armata fra i prigionieri della RAF e della Resistenza?

R. Il Governo della RFT ha fatto vari tentativi di montare una campagna di pentimento e di dissociazione dalla lotta armata utilizzando a varie riprese alcuni squallidi personaggi, ma senza alcun esito.

D. Cosa pensi della campagna di pentimento e di dissociazione orchestrata negli ultimi anni dallo Stato e dai partiti in Italia per distruggere le OCC (Organizzazioni Comuniste Combattenti) e, in particolare, qual è il tuo giudizio sulla cosiddetta "soluzione politica degli anni '70" condotta in prima fila da Curcio, Moretti ecc. in collaborazione c-on lo Stato?

R. La "soluzione politica" non è una soluzione ma una vittoria dello Stato (nel caso, naturalmente, che dovesse passare, e questo penso che sarà molto difficile in Italia) poiché, in realtà, essa presuppone l'annullamento delle contraddizioni di classe, della lotta di classe, contraddizione e lotta che continuano a esistere ed a svilupparsi, a livello nazionale ed internazionale. Cancellare, con un tratto di penna, la lotta di classe, è un'eterna illusione della borghesia imperialista e nessuna formula politica è in grado di realizzare questo sogno dell'imperialismo.

Questo non significa, naturalmente, che i risultati ottenuti dallo Stato in Italia con la campagna di dissociazione non dipendano anche da errori o carenze del movimento rivoluzionario italiano. Beninteso, non voglio dare giudizi su una questione così importante e delicata per il proletariato e l'avanguardia rivoluzionaria in Italia. Mi sembra comunque di poter azzardare un'ipotesi e credo dunque giusto esprimerla, in modo franco, da compagna internazionalista: secondo me, il momento della formazione politica soggettiva del militante è stata carente nel movimento rivoluzionario italiano. Mi spiego meglio: credo che l'avanguardia rivoluzionaria, in Italia, non abbia abbastanza curato, in modo organico, scientifico, il rapporto fra soggettivo ed oggettivo del militante. Ogni militante, nella sua azione rivoluzionaria, deve infatti partire dalla realtà, dalla sua pratica. Ma sarà in grado di trasformare la realtà, di avere una giusta pratica rivoluzionaria soltanto se avrà una giusta coscienza della sua posizione di classe, del suo essere rivoluzionario. Non voglio affermare, con questo, che il momento oggettivo non abbia una sua fondamentale importanza: in realtà, i due momenti, il soggettivo e l'oggettivo, sono ugualmente importanti ma la comprensione della realtà che è la condizione per la sua trasformazione - passa attraverso il processo di coscienza soggettivo del militante.

D. Ritieni necessario e praticabile un coordinamento a livello europeo delle lotte dei prigionieri politici comunisti e rivoluzionari contro i regimi di isolamento, di differenziazione, contro le estradizioni e lo "spazio giuridico europeo", per il raggruppamento dei prigionieri ed il riconoscimento dello statuto di prigioniero politico?

R. Credo sia di fondamentale importanza per il movimento rivoluzionario europeo realizzare il coordinamento delle lotte dei prigionieri politici europei contro i piani di repressione degli Stati imperialisti in Europa Occidentale. Gli esempi concreti di questo coordinamento, di questa solidarietà militante, sono la viva testimonianza dell'importanza di un rapporto diretto fra i prigionieri politici dei paesi dell'Europa Occidentale. Faccio degli esempi: durante lo sciopero della fame dei prigionieri della RAF e della Resistenza dell'84/85, i prigionieri di Action Directe hanno fatto uno sciopero della fame di solidarietà, mentre, a sua volta, il movimento di Resistenza nella RFT ha sostenuto concretamente lo sciopero della fame che i prigionieri di Action Directe hanno fatto quest'anno. I militanti della Resistenza sono stati presenti al processo di Action Directe a Parigi, hanno occupato a Francoforte il "Centre Culturel Français" ed hanno fatto azioni contro la Renault, vicino a Francoforte. E' assolutamente necessario sviluppare queste ed altre forme di lotta e di solidarietà. Così come ritengo molto importanti iniziative come il Congresso Antimperialista tenutosi a Francoforte nel gennaio del 1986. Tutto ciò a condizione, naturalmente, che si dia continuità a queste iniziative di lotta comuni.

D. Ritorniamo un passo indietro: tu sai che in Italia ci sono state discussioni e contrasti fra i prigionieri politici sull'uso dello sciopero della fame come forma di lotta. Ci vuoi spiegare come è stata politicamente assunta questa forma di lotta da parte dei prigionieri della RAF e della Resistenza?

R. Anche nella RFT ci sono stati settori del movimento che hanno criticato l'uso dello sciopero della fame considerandolo una forma difensiva di lotta. Credo che queste critiche siano sbagliate poiché partono da una visione schematica della realtà dello scontro di classe nella RFT. I prigionieri della RAF e della Resistenza hanno sempre impiegato questa forma di lotta come una lotta di resistenza offensiva: basta vedere come lo sciopero della fame è stato impiegato, quali erano e sono i suoi obiettivi politici (la lotta contro l'isolamento, per il raggruppamento dei compagni) per capire che questa forma di lotta, nelle concrete condizioni dello scontro nella RFT, è del tutto giusta.

D. Qual è attualmente la situazione dei prigionieri per quanto riguarda il loro raggruppamento?

R. Attualmente ci sono soltanto due gruppi di 3 prigionieri, poi esistono alcuni "gruppi" di 2 ma, in generale, sono tutti divisi.

D. Questo significa che le lotte per il raggruppamento non hanno dato risultati apprezzabili?

R. No. Risultati materiali non ne abbiamo ottenuti. La questione è che lo Stato si oppone con tutte le sue forze al raggruppamento perché si rende conto che esso rappresenta per i compagni la condizione fondamentale per sviluppare il lavoro collettivo, il dibattito politico, per avanzare nella formazione politica individuale e collettiva.

Un esempio della sua feroce opposizione sta nel fatto che lo Stato sviluppa una vera e propria propaganda di massa contro il raggruppamento (Zusammenlegung) e che viene incriminata anche la semplice propaganda del raggruppamento fatta, per esempio, attraverso volantini, dai compagni della Resistenza o, in generale, dal movimento. Ma abbiamo ottenuto risultati politici, per quanto riguarda il riconoscimento politico della nostra richiesta di raggruppamento.

D. Hai parlato spesso della Resistenza come di un settore del movimento rivoluzionario nella RFT. Di che cosa si tratta esattamente?

R. La Resistenza è composta da diversi gruppi di diverse posizioni teoriche e politiche, accomunati dalla lotta contro lo Stato ed il sistema imperialista o contro i progetti strategici dello Stato, delle organizzazioni internazionali o dell'economia.

Riguardo alle lotte dei prigionieri politici si può dividere la storia della Resistenza in due fasi abbastanza distinte:

- una prima fase (grosso modo fino al 1977), nella quale i compagni della Resistenza si limitavano al puro sostegno di queste lotte;

- una seconda fase (che ha inizio, grosso modo, nel 1980) nella quale molti compagni e gruppi della Resistenza hanno cominciato a collegare la lotta per il raggruppamento con le lotte che portano avanti per i loro stessi interessi. Ciò vuol dire che questi compagni concepiscono e definiscono anche la lotta per il raggruppamento come una loro lotta: non è più una lotta "per gli altri", per i prigionieri, ma è una lotta per loro stessi.

D. Dopo quasi 18 anni di carcere hai mantenuto intatta la tua posizione teorica e pratica di rivoluzionaria. Ci vuoi dire come hai potuto conseguire questo fondamentale obiettivo, non farti piegare dalla repressione?

R. La domanda, secondo me, è posta male: andrebbe rovesciata. Mi spiego meglio; dovresti chiedere: perché è possibile che dei compagni accettino la resa, abbandonino la lotta? Ebbene, credo che, in sostanza, questo dipenda innanzi tutto dalla mancanza di una sufficiente forza rivoluzionaria soggettiva (quello che abbiamo definito il «nucleo rivoluzionario irriducibile» di ogni compagno) di fronte all'azione repressiva, distruttrice, costante, metodica, dell'apparato dello Stato, azione che, ovviamente, si sviluppa in modo permanente e molto più metodico in carcere rispetto a fuori dal carcere.

Credo, in ultima analisi, che i compagni che cedono di fronte allo Stato, che si dissociano e si "pentono" manchino della forza soggettiva sufficiente per contrastare e rispondere, attaccando, all'azione repressiva dello Stato.

Nel mio caso, per esempio, la decisione di iniziare la lotta armata era stata una decisione irreversibile per quanto riguardava la mia autodeterminazione, nel senso che tornare indietro avrebbe significato per me la resa di fronte allo Stato e, quindi, la vittoria dello Stato e, quindi, la mia fine come compagna, come rivoluzionaria, non solo, ma anche come persona che ha una propria identità di fronte alla realtà, di fronte al mondo.

Si può cambiare la propria ideologia, ma non si può cambiare la propria identità continuando ad essere se stessi. In Germania, nelle discussioni con i compagni che volevano entrare nella guerriglia, abbiamo sempre dato un'importanza assolutamente fondamentale e decisiva alla coscienza soggettiva, alla profondità, l'irreversibilità della decisione raggiunta dal singolo compagno di entrare nella guerriglia.

D. In questa questione dell'importanza della coscienza soggettiva del militante, hai messo in luce la differenza che esiste tra la lotta in carcere e quella fuori dal carcere. Vuoi chiarire meglio questo concetto?

R. Voglio dire che fuori dal carcere è, in linea di massima, necessario ricercare il confronto con lo Stato, per trasformare il rapporto di forza con lo Stato, mentre in carcere è lo Stato che attacca in modo permanente e quindi non è sufficiente difendersi da questi attacchi, ma, anche nelle condizioni del carcere, è necessario saper applicare una strategia offensiva, per impedire, innanzi tutto, che lo Stato, per così dire, "ti entri dentro".

A questo proposito voglio portare il mio esempio personale: quando sono uscita dal carcere mi sono resa conto che, all'esterno, i rapporti fra i compagni, per le condizioni oggettive fuori dal carcere, sono meno intensi dei rapporti che esistono dentro il carcere. Credo che questo dipenda dalla diversa dialettica fra repressione e lotta di resistenza, una dialettica che non è la stessa in carcere e fuori dal carcere.

In generale, bisogna sviluppare la parte rivoluzionaria nella dialettica dei rapporti fra i compagni. Noi, sin dall'inizio del nostro processo rivoluzionario, abbiamo sostenuto e realizzato nella pratica il rapporto dialettico fra personale e politico nella vita del militante rivoluzionario.

D. Cosa ti ha colpito maggiormente nella realtà politica e sociale della RFT alla tua uscita dal carcere rispetto al periodo del tuo arresto? Come si pone oggi, a tuo giudizio, il rapporto fra lo Stato imperialista tedesco e il concetto di "democrazia borghese" rispetto al periodo precedente agli assassinii di Stammheim?

R. La cosiddetta "democrazia borghese" dello Stato tedesco (in particolare dopo gli assassinii di Stammheim) si è smascherata sempre più, ma questo non ha tangibili conseguenze sul livello di coscienza delle masse rispetto allo Stato. E' diminuita la fiducia delle masse nello Stato ed anche la "lealtà", è vero, ma ciò non basta a trasformare l'atteggiamento pratico delle masse rispetto allo Stato.

D. Che ruolo ha la questione dei prigionieri politici, nella RFT e negli altri paesi imperialisti occidentali, nel complesso di una strategia rivoluzionaria in Europa Occidentale?

R. Un ruolo abbastanza importante perché i prigionieri politici sono parte integrante del movimento rivoluzionario. Nella RFT i prigionieri politici sono stati per un certo tempo gli unici a tenere alto l'aspetto internazionalista della politica rivoluzionaria.

Le lotte dei prigionieri politici sono state di orientamento per gli altri compagni anche perché in carcere l'obiettivo della lotta dei compagni è assoluto, nel senso che i prigionieri devono affermare continuamente la loro condizione di uomini (Menschen).

L'isolamento dei prigionieri, come arma dello Stato contro il movimento rivoluzionario, è stata esportata dalla RFT negli altri paesi imperialisti europei (Francia, Italia, Spagna), ma anche in paesi extra-europei (in Perù, per esempio, hanno cominciato a costruire le carceri di massima sicurezza contro le quali hanno lottato i prigionieri politici che sono stati massacrati due anni fa dal governo socialdemocratico di Alan Garcia nelle carceri di Lima), in Turchia, ecc.

D. Un'ultima domanda: durante tutti gli anni di carcere, malgrado le restrizioni e le difficoltà di ogni genere, hai continuato il lavoro di studio, di riflessione, di dibattito teorico-politico per approfondire la strategia rivoluzionaria in Europa Occidentale. Cosa pensi dell'attuale fase del dibattito fra le avanguardie rivoluzionarie in Europa Occidentale e della necessità di costruire un Fronte rivoluzionario in Europa Occidentale?

R. Credo che la situazione oggettiva, in Europa Occidentale e nel mondo, tenda a peggiorare (20 milioni di disoccupati nella CEE, crisi internazionali sul piano economico, politico e militare, ecc.). In questa situazione i gruppi dirigenti imperialisti non hanno più una soluzione politica ma si limitano a gestire la crisi. Gli USA e gli altri Stati imperialisti occidentali sono in difficoltà ma anche il proletariato internazionale sta attraversando una fase difficile, delicata. Si può dire che il rapporto di forza globale, a livello mondiale, fra borghesia imperialista e proletariato internazionale è in equilibrio. Ciò che caratterizza questa fase, credo, è il fatto che l'imperialismo (in particolare l'imperialismo USA) non è in grado di sviluppare una strategia offensiva capace di distruggere il movimento rivoluzionario mentre il movimento rivoluzionario, da parte sua, non è in grado di portare a fondo la lotta per attaccare e distruggere i centri imperialisti. Siamo, cioè, in una specie di fase di stallo dello scontro di classe a livello mondiale.

Senza entrare in un'analisi approfondita della situazione attuale - che richiederebbe molto tempo e non è certo possibile in questa intervista - credo che il nodo essenziale della strategia rivoluzionaria è la sua natura internazionalista. Voglio dire che, di fronte al coordinamento ed ai tentativi di integrazione delle politiche controrivoluzionarie ed antipopolari degli Stati imperialisti (coordinamento delle politiche repressive come lo "spazio giuridico europeo", integrazione delle politiche economiche antipopolari, integrazione delle polizie e dei servizi segreti, ecc.) è assolutamente necessario che il movimento rivoluzionario superi le barriere nazionali e sviluppi sempre più un coordinamento ed una strategia comuni; e ciò soprattutto, per quanto ci riguarda più direttamente, in Europa occidentale, unendo le forze rivoluzionarie, al di là delle loro specifiche posizioni teoriche e politiche, in un Fronte europeo-occidentale.

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