IL BOLLETTINO: NOTIZIE EUROPA

Repubblica Federale Tedesca:

DICHIARAZIONE DI EVA HAULE, MILITANTE DELLA RAF, AL PROCESSO DI STAMMHEIM (SETTEMBRE '87 - MAGGIO '88)

Iniziamo in questo numero la pubblicazione della dichiarazione di Eva Haule, militante della RAF, al processo che si è tenuto nell'aula bunker del complesso carcerario di Stammheim, dal settembre '87 al maggio '88, processo a carico della stessa Eva Haule e di altri due militanti del movimento rivoluzionario tedesco.

Per ragioni di spazio, su questo numero de "Il Bollettino" pubblichiamo una prima parte della dichiarazione, mentre la parte conclusiva verrà pubblicata sul prossimo numero.

Abbiamo deciso di pubblicare l'intero documento poiché riteniamo che esso rivesta un particolare interesse per la conoscenza del dibattito in corso nel movimento rivoluzionario tedesco ed europeo.

Dal punto di vista della strategia repressiva dello Stato tedesco, questo processo si inquadra in quella strategia che i militanti del movimento rivoluzionario tedesco chiamano "RAF totale" per signi ficare un processo di criminalizzazione complessiva di tutte le componenti del movimento rivoluzionario e dell'antagonismo di classe nella RFT, una criminalizzazione esercitata dallo Stato tedesco nei confronti di tutte le lotte.

Lo Stato tedesco ha varato un apposito decreto legge - No. 129 - per perseguire l'indiscriminato obiettivo della criminalizzazione e della repressione.

Il processo a Eva Haule ed agli altri due militanti ha rappresentato un costante punto di riferimento del dibattito fra i prigio nieri e il movimento di lotta in Germania. Infatti, l'ampiezza della dichiarazione e le questioni toccate sono parte integrante del dibattito attuale.

Bisogna rilevare che il processo è stato arricchito da altri interventi dei militanti prigionieri che sono intervenuti come "testimoni".

Nel complesso, dunque, si tratta di un documento che ricostruisce l'esperienza rivoluzionaria tedesca degli ultimi 10 anni il cui approfondimento ci sembra interessante per tutto il movimento rivoluzionario in Europa occide ntale.

DICHIARAZIONE APRILE-GIUGNO 1988

Innanzitutto voglio dire cosa è stato, per me, scrivere questa dichiarazione.

Praticamente ci ho lavorato dal mio arresto, scontrandomi continuamente con la contraddizione che la mia situazione di carcerazione comportava: trovandomi completamente staccata da ogni discussione collettiva e da ogni reale rapporto con i processi vivi della resistenza, è impossibile lavorare e quindi parlare come vorrei.

Le condizioni nell'isolamento sono in antagonismo con tutto ciò che siamo e che vogliamo.

La cosa importante per noi è la lotta collettiva e rivoluzionaria, e così anche la sua capacità di diffondersi nella collettività. Nient'altro!

Trovandoci in una situazione di isolamento individuale, per ognuno di noi è sgradevole parlare in generale e dev'essere chiaro che questa dichiarazione - come tutto ciò che noi come singoli produciamo nell'isolamento - non ha lo stesso spessore ed intensità di quello che scaturisce da un processo collettivo di discussione e lavoro.

Voglio che a chiunque ascolti questa dichiarazione, sia chiaro in quale situazione è stata scritta, situazione che per noi non è più sostenibile. Abbiamo bisogno del raggruppamento, Subito!

Faccio riferimento alla discussione svoltasi fra l'84 e l'86 nella RAF (Rote Armee Fraction) e, in parte, con in compagni di AD (Action Directe). La prima parte, riguarda la nostra valutazione della realtà metropolitana, il mutamento delle condizioni politiche, i nuovi processi di polarizzazione e politicizzazione che nella società spingono alla lotta rivoluzionaria - come noi li intendiamo e ci rapportiamo ad essi.

Nella seconda parte si affrontano le esperienze che abbiamo fatto nel processo per la costruzione del Fronte, nonchè l'approfondimento delle determinazioni politiche e soggettive necessarie a questo processo; nel centro imperialista, la definizione di "Fronte" parte da un'esperienza fondamentale nelle metropoli: l'esperienza della totalità del sistema. Qui, l'esperienza di ogni giorno è questa: una totalità determinata dal lavoro alienato - o dalla mancanza del lavoro- dal consumismo coatto, dal condizionamento attuato attraverso i mass-media, da sviluppi politici e sociali che passano sopra ad ogni resistenza della popolazione, dalla strategia nucleare "über allem", dalla computerizzazione dei sistemi di controllo sociale, ecc.; è l'esperienza della massima differenziazione, fino al minimo dettaglio quotidiano, all'interno di un apparato totalitario.

Questa non è solo un'affermazione della RAF; di fatto, ogni ipotesi politica che pretenda di voler cambiare qualcosa parte da questa considerazione. La linea di demarcazione poi si determina nelle conclusioni a cui si perviene. E cioè: o rottura completa o entrare a fare parte del sistema.

«Apparteniamo a questo mondo solo in quanto ci ribelliamo ad esso », così un gruppo di militanti ha definito il punto di partenza comune del Fronte nelle metropoli. L'impossibilità di cambiare qualcosa in senso positivo all'interno di questa totalità, di ogni tentativo di trovare un'identità con se stessi, significa trovarsi, di fatto, in un circolo vizioso: il sistema è sempre lì. La continua e forzata costrizione della ricchezza soggettiva, degli obiettivi, del bisogno di rapporti sociali, e soprattutto del bisogno di dare un senso alla propria vita, del bisogno di idee e di capacità di svilupparle, conduce al completo esproprio in funzione del sistema, nel quale nemmeno i desideri sono più i propri ma quelli dell'industria, dell'apparato statale, dei mass-media.

Tutto questo si può ribaltare soltanto con la rottura radicale, con la decisione di opporsi e di essere produttori di una realtà sociale fondamentalmente diversa. Il bisogno di liberazione comincia a diventare processo reale quando si ricostituisce nella lotta rivoluzionaria.

Questo è stato, sempre e ovunque, l'essenza delle lotte di liberazione, che nelle metropoli, però, riveste una particolare importanza politica, teorica e pratica, dovuta alla maturità oggettiva e alla profondità dell'alienazione e della penetrazione capillare dello stato nella società. La forza di lottare con una prospettiva di lunga durata, in queste condizioni e con questi rapporti di forza, la continuità, la struttura politica decentrata che è necessaria, trovano la loro motivazione nel fatto che fin dal primo momento viene concepito come elemento centrale quello che per la vecchia determinazione marxista è la méta: mettere l'uomo al centro.

«L'agire pratico-critico in cui si costituisce il soggetto» - secondo Marx - qui è lo sviluppo radicale e soggettivo nella costruzione del processo rivoluzionario contro la totalità del sistema.

Si parla spesso dell'antagonismo, ma ancora in modo poco concreto. La resistenza contro il sistema universale di potere finanziario-tecnologico, diventa lotta di liberazione dalla miseria. La miseria, qui nella metropoli, ha un suo specifico effetto politico: la persona frantumata, la perversione della qualità della vita (intesa come rapporti sociali, volontà, senso morale, motivazioni) trasformata in quantità della vita (numeri, prezzo, calcolo) che, nel suo affermarsi, distrugge tutto ciò che è libero.

E' la morte dell'anima e dei sensi, mediante la privazione di tutte le sensazioni autentiche. Il vetro tra pelle e pelle, rapporti mercificati invece di rapporti umani, ruolo passivo di consumatore invece dell'agire autonomo, "teste vuote" e ottusità, la miserevole idea di "libera opinione" che diventa l'identità apparentemente conquistata, la privacy, l'isolamento e la struttura tecnocratica creano singoli individui che non resistono più al contatto con l'altro. I sensi si spengono e i nervi si trovano scoperti, a disposizione del sistema che potrà manipolarli. Rapporti sociali e integrità sono talmente distrutti che coloro che subiscono questo condizionamento non li riconoscono più come dati di fatto. Fra i diseredati è sporadica la comunicazione autentica, perchè avvelenata dalle concezioni di mercato-merce-dominio. Non esiste alcun movimento sovversivo che, laddove non diventi momento di una strategia rivoluzionaria, non venga prima o poi riassorbito dal sistema. La strada della rivoluzione nelle metropoli, contro le forze dominanti della pietrificazione, istituzionalizzazione e reificazione, passa attraverso la riconquista e la riscoperta degli strati profondi e originari dell'uomo! Per arrivare a ciò è necessaria la violenza rivoluzionaria, la guerra, talvolta la ribellione traumatica, contro il rullo compressore degli apparati imperialisti.

La violenza rivoluzionaria e la coscienza critica portano con sè la forza penetrante in grado di rompere i diversi strati di alienazione e tutti gli schermi in cui si nasconde il sistema. Strategicamente, la violenza e la critica sono le armi del potere rosso; la crescita soggettiva del singolo consiste nel processo di ricostruzione della sua umanità, nel ritrovarsi, nell'apprendere. Così comincia il processo di liberazione dal fango, dalla miseria.

Metropoli vuol dire anche produttività sviluppata, possibilità globale del salto storico con cui comincia il processo autonomo e consapevole della socializzazione degli uomini e che impone la struttura del potere rosso di cui il sistema ha bisogno. La storia delle metropoli dimostra che è maturato oggettivamente il momento in cui è possibile trasformare il sistema capitalistico e aspirare al nuovo contro la terribile continuità dell'annientamento, del deserto sociale e della demoralizzazione, propri dell'imperialismo. Una tale maturità crea un intreccio di innumerevoli rapporti di forza nei diversi settori dello scontro di classe.

Alla tendenza a controllare tutto con un fascismo all'altezza delle tecnologie repressive e delle istituzioni, si contrappone, mediante la lotta della guerriglia e del Fronte, l'altra tendenza che sta già liberando interi settori dalla supremazia dell'occupazione interna ed esterna del sistema.

Il capitale pianifica il progetto di "una società informatica". Reagisce alla maturità dello sviluppo, che spinge verso una comunicazione non alienata di uomini liberi, deviandola perversamente verso un nuovo ciclo di riproduzione capitalistica, in cui la struttura comunicativa viene determinata dalla macchina e dal suo programma di valorizzazione, negando così la sua origine.

Già oggi i capitalisti ed i loro servi, politici e scienziati, di fronte a queste assolutamente nuove possibilità di oppressione, manipolazione e sfruttamento, sparano fuoco e fiamme contro i diseredati.

La struttura tecnocratica è insieme strumento di maggior sfruttamento e tecnica repressiva, in quanto con essa si vuole reagire alla maturità delle condizioni per la trasformazione. La "società informatica" è la risposta dei capitalisti, il progetto che essi devono interporre tra la crisi e la sua soluzione rivoluzionaria. Questa è in sintesi la dialettica.

Ma, per noi, l'analisi è sempre e soltanto un pezzo del nostro pane quotidiano: ci serve per agire e per capire. A noi interessa subito l'elemento dirompente e cioè che si tratta di un modello contraddittorio di accumulazione.

Modello che ha in sè un'ulteriore spinta al declassamento e alla perdita degli ultimi residui di relativa autonomia nel lavoro e nell'educazione. Esso porta all'esproprio della forza creativa, all'esaurimento dell'immaginazione e della volontà poichè il modello prefigurato dalla macchina raggiunge un nuovo spessore.

La razionalizzazione spinta a questi livelli trasforma, anche nelle metropoli, milioni di uomini in esistenze superflue per la produzione di profitto; nelle fabbriche di massima sicurezza deve lavorare una forza-lavoro completamente legata e sottomessa al capitale.

Nello stesso tempo è un modello di accumulazione in cui, sulla capacità dell'imperialismo di imporsi come sistema unitario, prevale il disfacimento della sua realtà unitaria. Il "design" di denaro-tecnologia-fascismo non è più in grado di pacificare nemmeno la sua base originaria, ossia la metropoli, nonostante gli extra-profitti del potere monopolistico e il vampirismo neo-coloniale.

All'inizio dell'87 abbiamo letto sullo Spiegel un rapporto sui giovani: «da molto tempo a nessuna generazione la politica è stata scritta sulla pelle in questo modo. Le condizioni sociali prendono il posto di un'identità che i giovani non hanno più il tempo di sviluppare... Diversamente dai genitori, ai giovani d'oggi manca un cuscinetto tra gli eventi predominanti nel mondo e la loro quotidianità privata, un cuscinetto di tradizioni-valori ed usanze sicuri e garantiti». Questo linguaggio dei porci va solo tradotto.

Le contraddizioni sono talmente pressanti che gli apparati ideologici dello stato non possono più produrre persone alienate e funzionali al sistema. La prospettiva è quella di una ribellione di massa.

Il rifiuto degli schemi di efficienza e concorrenza è sovversivo ed è già il motore per il sabotaggio e la rivolta; però, se è vero che con questo la strategia di valorizzazione del capitale viene attaccata e comincia ad incepparsi, ciò non significa la rovina del potere repressivo; quest'ultimo non funziona il modo identico alla prima (strategia di valorizzazione) dato che, dopo tutto, opera in modo politico-militare. Contro questo insieme di cose, la forza si sviluppa solo laddove gli uomini si ritrovano, ritrovano nella prassi rivoluzionaria la loro unità perduta ed imparano a creare. Si sviluppa laddove la negazione del sistema-denaro è contemporaneamente processo reale della costruzione dell'uomo nuovo, dove la struttura di liberazione prende coscienza di sé come conquista - ognuno è produttore - e dove l'organizzazione collettivistica è riconoscibile nella liberazione e nella mobilitazione politicamente efficace.

Il capitale vuol fare funzionare un nuovo ordine, tuttavia per questo è già troppo tardi e, quando si estende (una critica umanistica dice: «loro vogliono una forza produttiva che non sogna mai»), produce resistenza e ribellione. Un ampio movimento della guerriglia e dei militanti può portare questo processo alla politica, quando esiste questo tipo di interazione, cioè quando coloro che sono disposti a lottare sono in grado di sostenere anche emozionalmente la politicizzazione e l'organizzazione di coloro che sono spinti alla lotta dalla rabbia e dalla ribellione contro il loro stato di emarginazione, di miseria e di repressione.

Il terreno oggi si è esteso: oggigiorno ad esempio, la lotta armata libera la forza di immaginazione dall'umiliazione, dalla gabbia mentale, da una prospettiva politica miope. La sua affermazione dà una spinta ai dibattiti sulla strategia per uscire dal circolo vizioso di una comunicazione apparente, per una prassi che trasformi sia i rapporti di forza che i combattenti. Le armi danno forza e prospettiva reale alla richiesta di una strategia all'altezza dei piani delle frazioni più avanzate della borghesia e sono il mezzo per realizzare il potere rosso.

Gli uomini che chiaramente sperano di diventare uomini ragionano così.

Negli ultimi anni, all'esperienza della totalità del sistema, che sta alla radice delle rivolte nelle metropoli, si aggiunge, come momento nuovo, un ampio processo di resistenza che si sviluppa in tutti gli ambiti della società metropolitana contro la distruttività del sistema in tutte le manifestazioni concrete, con cui minaccia gli uomini nella loro esistenza. Nella sua fase suprema di sviluppo, e nell'attuale rapporto di forza di equilibrio tra rivoluzione e controrivoluzione, il sistema capitalistico produce una distruttività che comprende tutto.

Sempre più lo sviluppo delle forze produttive viene sentito e compreso come pura e semplice dominazione e distruzione degli uomini, della natura e della vita in generale; e sempre più la resistenza, in ogni sua singola sezione, si imbatte nel fatto che all'interno di questo sistema di potere e profitto, non cambia mai niente. Questo è il motivo della crescente diffidenza nei confronti dello stato e del capitale, che dispongono dei mezzi economici e tecnologici, impiegandoli solamente con la logica del profitto e della sopraffazione contro gli uomini.

Queste contraddizioni si sono sviluppate in modo crescente a partire dalla fine degli anni '70, da quando l'imperialismo, nella sua controffensiva alla fase di lotte di liberazione nel Sud, ha imposto la sua ristrutturazione aggressiva e con questa ha portato l'attacco a livello politico, sociale, economico e militare nella società metropolitana.

Per i sottomessi, oggi l'imperialismo non rappresenta soltanto l'esperienza forgiata nello scontro con la politica di guerra della NATO, che per prima ha fatto esplodere le contraddizioni a livello di massa, ma rappresenta una esperienza generale in tutti gli ambiti di produzione e riproduzione della metropoli.

Ogni sviluppo economico-tecnologico, ogni "progresso" in senso capitalistico, vuol dire solo ulteriore eliminazione di lavoro vivo dalla produzione, intensificazione dello sfruttamento e sottomissione di tutti gli ambiti sociali alla legge capitalistica; vuol dire distruzione delle condizioni di vita e ulteriore militarizzazione della politica sia verso l'esterno che all'interno.

Questo sviluppo ha portato nei centri capitalistici ad un processo di proletarizzazione-emarginazione di massa e ad una polarizzazione politica. Ha prodotto proletarizzazione in tutti gli strati della società metropolitana, provocando così una trasformazione qualitativa della sua struttura e della composizione delle classi, e una profonda ed ampia spaccatura nella società che fondamentalmente non si può più saldare.

Ora l'antagonismo "uomo-imperialismo" è diventato tangibile e chiaro ed è quello in cui si condensano tutte le contraddizioni.

La borghesia oggi pianifica ed agisce a tutti i livelli con categorie che sostanzialmente sono le stesse che si fanno valere nel potenziale d'annientamento nucleare e convenzionale in cui vengono impiegati i più avanzati risultati della forza produttiva umana (se si parte dal livello di scienza e tecnologia in essi impiegato per la produzione di sistemi d'armamento con cui la borghesia può annientare tutta l'umanità).

Nell'attuale strategia del capitale questo disprezzo per l'umanità e questa razionalizzazione mortale si esprimono in ogni momento.

E' grazie ad essa che le masse del Sud vengono cacciate nella più assoluta povertà e per la prima volta nella storia diventano tendenzialmente superflue per l'esistenza dell'elite nelle metropoli, mentre nelle metropoli la ricerca e la produzione capitalistica si concentrano sulla completa eliminazione dell'uomo a favore della macchina, cioè sul perfezionamento degli apparati militari, repressivi e di manipolazione; e ciò significa anche qui l'emarginazione di ampi strati sociali ed una nuova dimensione dell'impoverimento materiale e morale.

Gli uomini nelle metropoli apprendono che, nell'attuale stadio di sviluppo delle forze produttive, in cui da tempo la base materiale è tale da permettere una regolazione cosciente e sociale atta ad eliminare la povertà a livello mondiale, una ristretta elite accumula una inimmaginabile ricchezza e investe miliardi nella produzione bellica e in una tecnologia disumana, mentre nel Terzo Mondo ogni giorno vengono uccisi con l'affamamento più uomini di quanti ne uccise la bomba atomica su Hiroscima; e che qui non è più possibile nessuno sviluppo che in qualche modo garantisca agli uomini un'esistenza produttiva e sensata. Apprendono - come dice Marx - «l'astrazione da ogni umanità, perfino dall'apparenza di umanità, delle condizioni di vita nel capitalismo».

Però, il «sacro elemento psicologico della paura» che, secondo il boss della FIAT, penetra mediante la ristrutturazione in ogni ambito della società metropolitana, dalla fabbrica agli uffici, alle università, alle scuole, in tutti gli ambiti e rapporti sociali e che doveva costringere gli uomini alla sottomissione, si è già rivoltato contro il sistema. La più chiara espressione di ciò sono le ampie e dure lotte in tutta l'Europa Occidentale contro la politica del nucleare e della guerra, contro la ristrutturazione economica ed i

"maxi-progetti" del capitale che distruggono le condizioni di vita, contro la produzione, nelle scuole, di un personale di elite per le multinazionali e nelle università, e contro una tecnologia disumana.

Con tutto il loro potere strisciante e violento non sono riusciti a trasformare la coscienza degli uomini nelle metropoli in modo tale che essi non siano più in grado di rendersi conto del loro stesso annientamento e di ribellarsi a questo fatto.

Questi nuovi sviluppi cambiano le condizioni politiche per ambedue le parti - forze rivoluzionarie e stato. Dall'inizio di questo secolo nei centri capitalistici si sono mobilitate tutte le controstrategie possibili per congelare l'antagonismo. Lo spostamento della miseria esistenziale-materiale nella periferia mediante il colonialismo vecchio e nuovo, la guerra e il fascismo; la distruzione dei movimenti operai rivoluzionari e la frammentazione della tradizionale classe operaia; la cultura del consumismo e la manipolazione scientifica; la socialdemocrazia e l'atomizzazione della società. Tutto ciò, a parte l'obiettivo economico immediato di espandere e massimizzare il profitto, per i monopoli aveva un preciso scopo politico: congelare nei centri l'antagonismo fra lavoro e capitale.

Qui gli sfruttati non dovevano più avere coscienza della loro condizione - del loro stato di particolare miseria - e dovevano perdere, con l'alienazione e l'individualismo, la capacità di avere rapporti sociali. In breve, l'antagonismo non doveva più essere riconoscibile e quindi non più organizzabile.

Però, questo piano di lungo respiro per stabilizzare la situazione nei centri, è fallito perchè la distruttività del sistema è diventata evidente anche qui e le contraddizioni si sono aggravate e sono arrivate al nocciolo: o si attua la trasformazione del sistema vigente e l'appropriazione delle forze produttive sociali da parte dei diseredati, oppure gli uomini, in quanto soggetti, vengono distrutti nella loro esistenza. Ed è fallito perchè, per merito della guerriglia, qui esiste una continuità rivoluzionaria che fa sì che i loro tentativi di congelare l'antagonismo vengano sempre e di nuovo sconfitti.

Le lotte per sviluppi sociali, economici e politici orientati all'uomo, hanno una dimensione esistenziale e sono principalmente una questione di potere e si manifestano contro ogni singolo progetto della ristrutturazione.

Coscientemente o meno, mettono in discussione il potere del capitale e dello stato di disporre dell'impiego delle forze produttive e della vita degli uomini.

Partendo dagli scontri con lo stato, che tende ad imporre questi progetti contro la volontà degli uomini e che vuole integrare ogni espressione di resistenza esistenziale nel sistema reprimendola con la forza o liquidandola politicamente, se questo non è possibile, si è sviluppato un duro rifiuto ed un vasta rabbia contro lo stato, la classe politica dominante ed i loro apparati di controllo e repressione; e si è sviluppata la consapevolezza della necessità di una resistenza organizzata dal basso che deve imporre i suoi obiettivi fuori dai partiti istituzionali e contro lo stato.

L'antagonismo di massa e i nuovi sviluppi della resistenza sono l'espressione pratica della necessità di attaccare ed impedire a tutti i livelli lo sviluppo distruttivo del sistema capitalista. Essi hanno una dimensione esistenziale, sono già politici e diventano inevitabilmente antagonisti alle strategie di ristrutturazione del sistema. Ciò li porta oggettivamente dalla nostra parte. Non s'intende nient'altro che questo quando si dice che i potenti, con grande perplessità, constatano «l'allontanarsi di sempre più larghi strati della popolazione, che vanno a schierarsi contro il sistema ed il contesto del controllo sociale» e che «questi sviluppi devono essere presi in seria considerazione nel quadro della sicurezza interna, se la risposta al terrorismo non vuole essere solo reattiva, contingente e quindi limitata», come scrive la FAZ.

La base sociale in cui la lotta della guerriglia e della resistenza provoca effetti politici si è estesa e lo stato non possiede più mezzi politici per bloccare questa dialettica fra i processi di resistenza nella società e la lotta rivoluzionaria.

Che questa dialettica si sviluppi verso un rapporto cosciente, soggettivo-politico, che il Fronte si estenda e si sviluppi come espressione cosciente della rottura e come progetto politico-militare per le lotte di liberazione nelle metropoli: questo è l'obiettivo a cui noi miriamo.

Come abbiamo già detto, gli antagonismi di massa, avendo un maggiore carattere politico, spuntando in ogni ambito sociale, esprimendo contraddizioni inconciliabili, sono un momento del rapporto di forza contro lo stato, ma non sono ancora rivoluzionari. Questi nuovi processi sono complessi, non possono essere rinchiusi in un semplice schema; sono contraddittori, frammentari, con tendenze piccolo-borghesi e riformiste.

Comunque si deve tener presente che la linea riformista è fallimentare per due motivi:

1) la crisi generale del sistema che costringe il sistema stesso ad imporre i suoi progetti nei tempi e ad i livelli richiesti dal capitale internazionale nel suo tentativo di consolidamento globale;

2) la crescente consapevolezza che la distruttività del sistema non è riformabile, ma può essere impedita solo con un cambiamento radicale, e che contro questa distruttività ogni spazio vitale deve essere conquistato. Oggi non esiste più un partito istituzionale che possa camuffare e pianificare le contraddizioni mediante il riformismo; il che dimostra che il capitalismo non è più in grado di portare avanti uno sviluppo produttivo.

La massiccia presenza di forze rifomiste nei movimenti non equivale ad una loro rilevanza politica.

La politica riformista è innanzitutto contraddistinta dalla sua totale incapacità di mostrare agli uomini una strada che eviti la distruzione e che porti ad una realtà sociale fondamentalmente diversa.

Così i loro maneggi si limitano a costruire una linea di demarcazione nei confronti della lotta rivoluzionaria e ad incastrare il movimento in uno sterile pacifismo.

Tuttavia fa già parte dell'esperienza che il loro "terreno di gioco" all'interno del movimento viene limitato nella misura in cui la politica rivoluzionaria, in quanto reale fattore politico, è presente negli scontri: l'intervento rivoluzionario fa sì che le contraddizioni sociali divengano riconoscibili come antagonismo di classe e ciò tolglie politicamente il terreno sotto i piedi a queste forze politiche che vorrebbero inserirsi fra lo stato e la violenza rivoluzionaria. In fondo è questo il motivo del lamento dei Verdi, che oggi si trovano davanti al fallimento del progetto politico, progetto con cui sono apparsi sulla scena politica alla fine degli anni '70.

La domanda non è se e come il movimento rivoluzionario "si lega" ai nuovi processi che nascono dal basso e ai movimenti di massa; la domanda che si pone è come esso stesso combatte: come la guerriglia e la resistenza rivoluzionaria fanno avanzare politicamente, praticamente e strutturalmente la loro ipotesi, essendo così d'esempio e d'orientamento su come realmente sia possibile la trasformazione della realtà esistente e la realizzazione di una vita più umana. La questione è come, attraverso la loro lotta, polarizzano i rapporti sociali in modo tale che lo stato e il capitale non possano imporre i loro progetti di annientamento, e come, sulle basi di questa linea, si costruisce nella lotta un rapporto cosciente, aperto e dialettico con i diversi movimenti di resistenza.

Negli ultimi anni, all'interno della resistenza radicale, esisteva un atteggiamento non produttivo nei confronti dei movimenti di massa ed una visione distorta dei nuovi processi di emarginazione.

Nel tentativo di racchiudere la protesta complessiva e le lotte nella categoria delle lotte settoriali, non si è compreso il loro contenuto politico centrale: oggi, esse sono tutte espressione di un antagonismo.

Le lotte in tutti i settori sono, contemporaneamente, prodotto dell'intreccio economico, politico, sociale e militare della ristrutturazione capitalistica e del suo effetto devastante, che coinvolge ogni singolo settore; e nello stesso tempo sono contraddizioni evidenti di questo sviluppo. In ogni singolo scontro le lotte si imbattono nelle, e devono imporsi contro le strategie di potere e di profitto del capitale, che distruggono le condizioni di vita degli uomini.

E' questo che gli uomini imparano a Wackersdorf, dove si trovano di fronte al potere concentrato dei monopoli dello Stato Federale Tedesco, per i quali gli obiettivi economici e militari della politica nucleare hanno priorità sulle vite di milioni di uomini; a Rheinhausen, dove il capitale, per essere concorrenziale a livello internazionale e per imporre il predominio della RFT sul mercato europeo, elimina migliaia di posti di lavoro. E' questo che imparano lottando contro la bio-tecnologia e contro la guerra imperialista, ecc.

Pensare di lottare all'interno delle lotte settoriali, che riflettono soltanto le apparenze, alcuni aspetti della realtà imperialista, non aiuta a comprendere l'acutezza delle contraddizioni che si aprono in ogni lotta, impedisce di prendere coscienza del processo che porta alla comprensione della politica del capitale - fonte di ogni distruzione - e della necessità della sua trasformazione.

In questo modo viene anche negato un insegnamento fondamentale della storia della lotta di classe, emerso anche negli attuali movimenti, e cioè che le proteste e le lotte che si sviluppano spontaneamente durante una crisi acuta contro singoli aspetti dello sfruttamento e della miseria, hanno poi realmente una possibilità di raggiungere la trasformazione radicale del sistema soltanto se sono legate, dal punto di vista strategico, alla lotta rivoluzionaria

politico-militare in un Fronte contro il sistema, in modo da limitarne e paralizzarne le posizioni di potere, e se mettono al centro della lotta la necessità di una radicale trasformazione.

Ogni ipotesi politica che non tenga conto di questo insegnamento storico, ancora attuale, sarà incapace di una politica di rottura che metta realmente in discussione il potere, e quindi, oggettivamente, opera per la continuazione della politica di distruzione, del reciproco processo di adeguamento tra contraddizioni sociali e sistema, e in questo processo è sempre la classe dominante ad avere sufficiente potere e mezzi per bloccare ogni profonda trasformazione e per colpire i movimenti dal basso.

L'idea confusa di immettere contenuti nei movimenti e radicalizzarli in questo modo, senza una chiara linea rivoluzionaria e un orientamento strategico del processo, rimane inevitabilmente legata al limite della resistenza, ed è anche incapace di superarlo nel caso di una radicalizzazione dello scontro.

Una volta di più si è verificato che un ulteriore sviluppo delle lotte, contro singoli progetti dello stato e del capitale, non è possibile attraverso una semplice addizione o l'accrescimento numerico del "fattore militare". Il limite che esse incontrano è dato non dall'esaurimento delle forme di resistenza - che sono inesauribili - ma dalla loro stessa concezione politica e soggettiva: non arrivano cioè alla consapevolezza del sistema globale di potere e della attuale situazione storica, in cui possono esistere solo o distruzione continua o trasformazione rivoluzionaria. Esse non possono quindi sviluppare la coscienza dello scontro reale e dell'acutizzarsi della controrivoluzione. Laddove la resistenza non riesce ad appropriarsi di tutta la lotta di liberazione, laddove gli obiettivi soggettivi non diventano i contenuti e non vengono trasmessi in ogni tappa, non può svilupparsi una identità rivoluzionaria.

L'altra posizione era contraddistinta dai compagni/e che, pur essendo incapaci di qualunque passo pratico, ponevano, in modo molto arrogante, la lotta della guerriglia contro gli stessi movimenti dal basso.

Il fondamento dell'unità della lotta è che ognuno lotta.

Questo deve essere capito da coloro che scambiano la politica rivoluzionaria e la teoria con le chiacchere, da coloro che, quando si tratta della soluzione politica e pratica di questioni concrete nella resistenza, si riempono la bocca con verbosi discorsi sul "sistema globale" e la formazione di un Fronte europeo-occidentale, ecc., senza peraltro chiedersi mai che cosa abbia a che fare tutto ciò con la loro realtà; e che per anni trovano da ridire sull'offensiva del Fronte, senza chiedersi cosa fanno loro affinchè la lotta diventi così a tutti i livelli. - poiché non si tratta d'altro -. Costoro rappresentano, di fatto, la negazione della politica rivoluzionaria: indecisione, assenza di prassi e l'eterno rituale alienato dello spettatore che commenta solo la realtà imperialista; e fanno la stessa cosa con le azioni della guerriglia e della resistenza.

La resistenza contro i singoli progetti dello stato e del capitale perde il suo carattere di intervento limitato solo nel momento in cui raggiunge la consapevolezza dello scontro totale che ora, oggettivamente, è presente in ogni ambito; e quando è coscientemente determinata come parte integrante della lotta contro il sistema, in quanto pratica concreta nel processo di trasformazione e nella costruzione di contropotere. E, viceversa, la lotta contro il sistema totale può essere condotta solo attraverso lo sviluppo di concrete questioni di potere, che possono e devono essere poste in continuità, con l'obiettivo di un allargamento qualitativo delle lotte contro le strategie imperialiste e per l'imposizione degli obiettivi della resistenza.

Quando la base della discussione e della ricerca di possibilità pratiche con gli uomini dei diversi settori della resistenza non è la propria lotta, quando il progetto rivoluzionario e le pratiche concrete per il suo sviluppo non sono la decisione di ogni singolo, cioè il funzionalizzarsi in e per esso, non può avanzare né l'unità nel Fronte né la politicizzazione nei movimenti.

Non esiste un programma o uno schema per il processo di unificazione tra antagonismo di massa e politica rivoluzionaria; esso può essere determinato soltanto politicamente e può essere costruito e sviluppato nelle lotte concrete in quanto processo reale, come dinamica che si può produrre mediante l'esempio pratico della lotta rivoluzionaria, del suo effetto e della sua prospettiva.

Quale livello politico e pratico possa raggiungere questo processo, dipende dall'incisività della lotta delle forze rivoluzionarie e dalla loro capacità di unificare le contraddizioni politiche e sociali nel processo di attacco contro il potere.

In questo processo - e questa è la sua funzione - si creano gli esempi per la lotta, per i suoi obiettivi e per la sua organizzazione.

Questo processo è aperto a chiunque - partendo dalla propria esperienza - si ponga politicamente contro il sistema, cominci la lotta per una vita autodeterminata e comprenda la necessità dell'unità nella lotta rivoluzionaria. Le costruzioni ideologiche che dichiarano "soggetto rivoluzionario" la classe operaia o gli emarginati, non hanno niente a che fare con la vita reale. Noi sosteniamo che sono quelli che lottano ad essere il soggetto: gli uomini che si sono mobilitati in tutti i settori della società metropolitana contro il sistema, partendo dalle diverse contraddizioni; gli uomini che si proletarizzano, che conquistano la loro identità in quanto parte degli sfruttati in tutto il mondo, conquistando così la loro unità e diventando capaci di trasformazione. Lo sviluppo di una strategia rivoluzionaria e di contropotere sarà il risultato dei loro sforzi comuni, delle loro esperienze e delle loro lotte.

Dalle diverse lotte del movimento rivoluzionario legate ai movimenti dal basso qui e in Europa Occidentale, si è creata negli ultimi anni una linea d'attacco intorno a cui le lotte si concentrano sempre di più, una linea d'attacco che possiede qualità strategica, cioè una potenzialità che è pericolosa per il capitale e per la sua ristrutturazione: tale è la resistenza e l'attacco contro la strategia del capitale internazionale e le sue strutture di potere, diventate i pilastri del dominio globale dell'imperialismo, di cui fanno parte il complesso militare-industriale, l'insieme dell'alta tecnologia, i loro strateghi, le istituzioni economiche e politiche, i piani e i progetti con i quali oggi la borghesia organizza la guerra contro il proletariato internazionale e l'annientamento di milioni di uomini in tutto il mondo

Le azioni della guerriglia sono politicamente orientate, ora e ovunque, ad attaccare le strutture distruttive di potere e profitto del sistema e a conquistare, mediante l'erosione di queste posizioni strategiche di potere, lo spazio per sviluppi sociali, politici ed economici determinati dagli uomini e intesi a soddisfare i loro bisogni e i loro interessi.

Questo oggi è il punto unificante delle forze combattenti a livello internazionale ed è anche l'orientamento necessario per il rovesciamento del sistema capitalistico che determina oggi la realtà della vita umana; contro di esso bisogna conquistare combattendo ogni sviluppo umano. L'intollerabilità della strategia del profitto, che toglie all'umanità le sue risorse vitali e le distrugge per impiegarle nel processo di accumulazione, si scontra con la consapevolezza che questa contraddizione principale può essere risolta solo con lo sforzo comune delle lotte di tutti i diseredati per poter determinare l'esistenza produttiva di tutti gli uomini.

Questo è il nodo centrale e la dimensione delle lotte per le fondamentali condizioni di vita, l'autodeterminazione e l'internazionalismo proletario.

La lotta per questo obiettivo, e contro la strategia internazionale del capitale e il suo garante, lo Stato, è la linea strategica lungo la quale possono conquistare nuovo terreno politico e pratico linee concrete di intervento, dalle quali il potere imperialista sarà demistificato e destabilizzato. E' così che avvengono le rotture e i passi necessari e materiali nel processo di trasformazione, e viene così creato il terreno per una nuova coscienza rivoluzionaria. Quando diciamo che la lotta rivoluzionaria nelle metropoli deve attaccare queste strategie imperialiste e legare la sua prassi politica ai processi di liberazione nel Sud, in una lotta unita, poniamo subito l'accento sulla concezione complessiva. Le strategie imperialiste, infatti, significano nel Sud una ulteriore escalation della miseria, in una situazione che già oggi vuol dire povertà assoluta per due terzi della popolazione mondiale; mentre nelle metropoli significano l'emarginazione di ampi strati della società, il soggiogamento a un altro livello alla tecnologia, e la distruzione delle potenzialità umane.

La situazione nelle metropoli e nel Terzo Mondo deve essere compresa nella sua essenza, come situazione omogenea e, partendo da ciò, bisogna pensare e agire.

Castro ha detto che la sofferenza degli uomini nel Sud non si evidenzia soltanto nella dimensione materiale, quanto piuttosto nella dimensione morale: sentirsi permanentemente umiliati in quanto uomini, giacché si è solo fango per il sistema. La miseria morale nelle metropoli si esprime anche nel fatto che la morte di milioni di persone nel Terzo Mondo viene accettata come "fatto normale", oppure non viene neanche recepita. Il meccanismo con cui viene rimossa la coscienza dello stato di miseria delle masse nel Sud - che ha qui la sua origine - arriva fino alla visione alienata che ha molta gente di sinistra, cioè allo sciovinismo dello "schiavo bianco".

Quando parliamo qui della riconquista della piena dimensione dell'uomo come contenuto e méta della lotta di liberazione, ciò vuol dire ritrovarsi nella lotta delle masse subalterne in tutto il mondo; questa lotta è, fino in fondo, espressione della sensibilità degli uomini nella metropoli.

Comprendere che la condizione del proletariato è identica nelle metropoli e nei tre continenti vuol dire capire che non vi è differenza - essa c'è solo per coloro che ancora "preferiscono" strisciare qui facendosi oggetto del sistema, piuttosto che morire di fame lì - se uno, nelle metropoli, viene calpestgato in quanto persona e deformato fin nelle sue profonde sensazioni, o se laggiù un altro viene costretto a vegetare nella miseria esistenziale.

Quando l'annientamento è esistenziale non esiste una scala con cui misurarlo, se non se ne vuole evidenziare la mera apparenza: che sarebbe il consumo, la pancia piena, l'individualismo. Il dominio dell'imperialismo, le sue strategie, significano globalmente l'eliminazione dell'uomo. Nel Sud mediante la fame e la politica di genocidio; nelle metropoli mediante la tecnologia e la repressione totalitaria del sistema. Ciò che in entrambi i "luoghi" è liquidato, è identico, cioè il senso d'umanità viene distrutta, la sostanza e la dignità umana e gli uomini vengono costretti ad una esistenza di non-uomini. Questa è la realtà degli sfruttati di tutto il mondo.

Identità rivoluzionaria vuol dire riconoscersi nella situazione e nelle lotte degli sfruttati in tutto il mondo e comprendere, partendo da questa realtà globale, che tutto - soggettivamente e materialmente - è diventato uno scontro.

E non è importante la diversità degli obiettivi concreti nelle diverse fasi delle lotte, importante è l'identità nel contenuto e nella mèta delle lotte stesse: la ri-creazione dell'uomo, della sua dignità, dei suoi complessi rapporti sociali e di solidarietà nella lotta contro l'imperialismo; questo è ciò che si conquista nella guerra internazionale di classe.

Inteso così, l'internazionalismo proletario oggi acquista un nuovo significato: partendo dalla consapevolezza dell'identità di situazione, esso è la strada diretta degli sfruttati per imporsi in quanto uomini nella lotta unitaria e internazionalista contro il sistema di annientamento. Non ha niente a che fare con l'"ideologia" o con una lontana possibilità, che si intravvede appena all'orizzonte. E' la necessità e la possibilità di questo processo di unificazione nel Fronte internazionale contro la barbarie imperialista, ora, in quanto solo attraverso esso la strada per evitare la distruzione diventa possibile.

Nelle metropoli, internazionalismo significa anche negazione radicale della politica del sistema, che qui mira a incatenare ogni singolo alla quotidiana lotta per la sopravvivenza, in regime di concorrenza, e ad alimentare il razzismo tra gli sfruttati nel tentativo di salvare almeno la propria pelle.

Di fronte alla minaccia permanente, attuata mediante la totalità dell'apparato, internazionalismo significa partecipare completamente alla lotta degli uomini in tutto il mondo.

Lo sanno già in tanti che la resistenza nelle metropoli è diventata una questione esistenziale. Ora, il salto consiste nella trasformazione di questa esperienza nella decisione di lottare anche con questa coscienza. Appropriarsi della coscienza e della morale della lotta per una vita autodeterminata, così come avviene, in quanto forza politica operante, nelle insurrezioni delle masse, dalla Palestina fino a El Salvador, nelle lotte dei diversi settori del Fronte e nell'azione della guerriglia. In esse, l'esperienza dell'annientamento è ribaltata contro il sistema, distruggendone la logica: per coloro che lottano non esistono altri criteri che non partano da loro stessi, dai loro bisogni, dalle loro richieste e dai loro obiettivi. Non hanno bisogno d'altro. Sono lotte che non possono essere vinte dal sistema.

In questo modo, qui come in quelle situazioni, avviene la rottura con la miseria. La strada concreta che scuote il potere del sistema è determinante, in senso politico, per vincere l'atteggiamento del "resistere" nella resistenza, del sopravvivere nella quotidianeità del sistema. Determinate in questo modo, le lotte per diverse condizioni di vita nelle metropoli e nelle periferie del sistema s'incontrano nella linea strategica della lotta per il comunismo nella guerra internazionale di classe. Esse costituiscono due elementi dello stesso processo.

Oggi, il nocciolo esplosivo in tutte le contraddizioni e in tutte le lotte, è la questione del senso e dell'obiettivo della produzione, degli sviluppi politici e sociali che ne derivano per tutti gli uomini. Su ciò può basarsi la politica rivoluzionaria e su ciò può radicarsi la coscienza della necessaria trasformazione, dal momento che per questa domanda esiste una sola risposta: la rivoluzione appunto. Basta con la distruzione. I rapporti di potere vigenti devono essere trasformati e deve essere imposta una direzione di sviluppo fondamentalmente diversa, orientata verso i bisogni degli uomini. Questa è l'attuale necessità, che trova la sua ragione e si evidenzia sia nei milioni di morti per fame, sia nell'esclusione da ogni sviluppo sociale delle masse nei paesi della periferia del sistema, sia nel degrado degli uomini nelle metropoli, ridotti a puri accessori delle macchine.

Basta con la fame e i massacri nei paesi sottosviluppati, con la guerra imperialista, con le torture nelle carceri, con le bombe atomiche pronte a scoppiare nelle centrali nucleari, con la tecnologia disumana, con lo stato di controllo totale e di morte sociale nelle metropoli.

E contro tutto questo, ora, in tutte le lotte, la questione è che gli sfruttati si approprino e dispongano della propria vita, dei mezzi economici e degli sviluppi sociali. E' attraverso questo processo di appropriazione che, nelle lotte concrete, si mette principalmente in crisi il sistema capitalista, dal momento che al suo interno oggettivamente e soggettivamente non esistono più soluzioni; ogni nuovo progetto di ristrutturazione infatti spinge in avanti la distruzione nel sociale.

In questo processo gli sfruttati acquistano la capacità di autodeterminarsi verso un'organizzazione e un'azione autonoma, verso una nuova solidarietà nei rapporti sociali, qui e in tutto il mondo.

Questa è la possibilità e la potenza esplosiva che si trova nelle attuali contraddizioni e nelle lotte. Questo è il terreno sul quale la politica rivoluzionaria può diventare punto di riferimento e può rendere vivi i contenuti della lotta per il comunismo.

Nella nostra lotta insieme ad Action Directe, abbiamo valutato che, tenendo conto di questi sviluppi, compito della guerriglia in Europa Occidentale è quello di unire i suoi attacchi in un comune orientamento, per ottenere un'unica incisività, politica e militare, contro il centro del potere imperialista, cioè contro le strutture di sfruttamento e di potere del sistema. Infatti è questa la struttura a cui sono riconducibili gli antagonismi con cui tutte le lotte devono fare i conti e contro il cui interesse e potere devono imporsi: le formazioni del capitale finanziario internazionale, che si sono costituite come pilastri strategici dell'imperialismo, attraverso i processi di internazionalizzazione e di concentrazione/centralizzazione.

Uno di questi è il complesso militare-industriale, gli apparati tecnocratici fascisti di potere delle organizzazioni economico-politiche, gli apparati militari nazionali, europei-occidentali e internazionali; l'elite di potere nel manegement dei monopoli, le istituzioni create per il manegement della crisi imperialista negli apparati statali e militari.

Questa è la struttura portante delle strategie globali della ristrutturazione e del consolidamento del potere dell'imperialismo - così come della formazione dell'Europa Occidentale - ed è quello che sta dietro gli scontri militari in tutto il mondo.

Dalla conoscenza della situazione, in cui gli sfruttati sono messi a confronto con una realtà sostanzialmente identica e con questa struttura di potere, abbiamo dedotto che non solo è necessario ma anche possibile unificare nell'attacco la lotta della guerriglia in Europa Occidentale. Le azioni di Action Directe e della Rote Armee Fraktion sono i primi passi in questo processo; e ora anche le Brigate Rosse hanno portato avanti il loro attacco contro una strategia della riforma istituzionale dell'apparato statale italiano, di cui la borghesia ha bisogno all'interno della formazione europeo-occidentale.

L'unità dei rivoluzionari e l'azione offensiva del Fronte nel centro europeo-occidentale sono le chiavi per l'avanzamento del processo rivoluzionario.

Senza queste forze strategiche, le singole lotte e ogni antagonismo verranno sempre e di nuovo inghiottiti dal potere totale del sistema.

Solo nel rapporto dialettico con questa forza strategica e nel processo di unificazione, pur nel rispetto delle particolari condizioni e dell'autonomia delle diverse forze, esse possono dispiegare la loro piena incisività e creare una situazione fondamentalmente cambiata, favorevole alla trasformazione rivoluzionaria qui e a livello internazionale.

La politica rivoluzionaria nelle metropoli parte sempre dagli interessi di tutti gli sfruttati. Questi interessi sono definiti chiaramente: la fine dello sfruttamento, una vita autodeterminata, la creazione di una società globalmente umana. Si tratta di un processo reale per imporre tali interessi e in tale processo si concentrano le particolari esigenze degli sfruttati, come sono ritenute necessarie e volute ora nei diversi settori dello scontro di classe. Ciò vuole dire che si tratta della lotta unitaria nel Fronte qui e in Europa Occidentale, lotta necessaria per impedire i piani e i progetti del sistema, finalizzati al consolidamento mondiale dell'imperialismo, lotta che cerca così il terreno per quei passi materiali in cui si realizza il processo di trasformazione e crea le condizioni politiche per imporre i cambiamenti necessari adesso.

Essi devono essere conseguiti e questo è possibile - ma lo è soltanto così - nel rapporto dialettico dei movimenti che nascono dal basso con la lotta rivolzuionaria. Solo con il loro operare insieme possono essere bloccati i progetti di annientamento, conquistati cambiamenti ed imposti gli obiettivi della resistenza.

E' necessario essere molto chiari su questo punto, contro le tendenze nel movimento rivoluzionario che vogliono ridurre la lotta armata e, in generale, la politica rivoluzionaria a "sostegno" di singole lotte e quindi ridurla in funzione di singoli antagonismi.

Il risultato è un riformismo di sinistra, unito a un lavoro sociale militante, ma non una strategia rivoluzionaria.

Nelle mobilitazioni della resistenza radicale e nelle offensive della guerriglia un segnale è stato dato: gli strateghi della distruzione devono essere attaccati, le strutture dell'"alta tecnologia" devono essere distrutte.

Questo è l'unico atteggiamento e l'unica prassi ragionevole, umana, e quindi rivoluzionaria, contro questa macchina di morte. Niente di essa può essere riformato, né può essere limitato attraverso nuove leggi fatte dallo stato; solo attaccandola, paralizzandola e distruggendola possono essere impediti i suoi progetti.

La frase di Rodenstock (ex presidente della Confindustria tedesca) dopo l'azione della RAF contro Beckurtz, «dobbiamo serrare le fila e non lasciarci scoraggiare, altrimenti ci arrendiamo tutti », che fra l'altro soggiungeva che nella Repubblica Federale Tedesca ci sono solo altre dodici persone con la sua qualificazione scientifica e capacità di management per la trasformazione del sistema capitalista in un imperialismo tecnocratico, non esprime chiaramente soltanto la consapevolezza da parte dei capitalisti della loro funzione, ma anche il fatto che essi hanno capito la pericolosità della situazione. Con i complessi processi della resistenza radicale e il suo operare insieme alla guerriglia e alla prassi del Fronte, essi vedono approssimarsi uno sviluppo che limita le loro strategie e che può mettere in pericolo il loro dominio qui, nel centro del sistema.

La resistenza radicale, per loro, è già diventata un problema politico concreto, perciò ora reagiscono in questo modo, così come hanno fatto contro le donne autonome. Sanno che non trovano consenso nella popolazione per la bio-tecnologia e quanto più verranno alla luce i loro progetti e le loro ricerche reazionarie, tanto più massiccia sarà la resistenza, che minaccerà così, il salto tecnologico in un settore decisivo. Questo lo hanno già sperimentato con il movimento anti-nucleare.

Però la differenza è che attualmente le contraddizioni scoppiano contemporaneamente in diversi punti caldi, perchè gli uomini soggettivamente e materialmente sperimentano la distruttività del sistema nelle loro condizioni di vita in misura più acuta ed estesa di alcuni anni fa; perciò ogni loro progetto di ristrutturazione si scontra con contraddizioni già polarizzate. La differenza è che la violenza rivoluzionaria organizzata è diventata un fattore permanente, e la legittimità dei suoi obiettivi sociali non è più in questione.

L'anno scorso Boge (del BKA) disse - nel contesto di una «analisi sulla minaccia per l'industria» - che i capitalisti devono crearsi una coscienza del pericolo «che non solo reagisca ma operi piuttosto in modo preventivo». L'apparato statale di polizia, da solo, non sarebbe più in grado di proteggerli, perchè il movimento rivoluzionario ha esteso e diversificato le sue azioni in modo tale che gli obiettivi attaccabili sono diventati l'intera alta tecnologia, l'industria bellica, le grandi banche e anche le aziende coinvolte in modo particolare nel saccheggio dei poli periferici del sistema. E l'elite tecnocratica viene attaccata qui e in altri paesi dell'Europa Occidentale, come hanno dimostrato le azioni contro Zimmermann, Beckurtz qui nella RFT, Audran e Besse in Francia, Conti in Italia e, ultimamente, il manager dell'industria bellica in Grecia.

Le operazioni di polizia dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, negli ultimi due anni, dimostrano quanto sia pressante per loro bloccare questo sviluppo.

Le misure adottate dall'industria e il loro coordinamento nazionale e internazionale, fanno parte di questi sforzi: taglie individuali di milioni di marchi per la caccia ai guerriglieri, una cooperazione ancora più stretta fra servizi segreti e apparati di polizia, la creazione di squadroni della morte privati, una maggiore sorveglianza dei loro manager e la costruzione di bunker, cosa che a loro costa ogni anno, già adesso, miliardi.

Essi si trovano di fronte al fatto che non solo non riescono più a creare consenso per i loro maxi-progetti, per la ristrutturazione economica, ecc. - ciò è finito per sempre - ma si scontrano anche con una resistenza decisa e radicata nella società, sicché quindi né le loro manovre per creare spaccature né la crescente repressione possono bloccare queto sviluppo.

La loro paura concreta è di non riuscire ad imporre una ristrutturazione nei settori centrali, nel lasso di tempo che è assolutamente necessario per loro. Questo dipende dal fatto che i loro progetti e le loro ricerche in tanti settori devono essere condotti in segreto, per motivi di concorrenza e perchè la gente non deve sapere quali metodi barbari il capitale adopera per soddisfare la sua sete di profitti: dalle sperimentazioni sull'uomo - prevalentemente nei paesi sotto-sviluppati dato che qui (nel centro) spesso vengono imposti loro dei limiti - fino ai trasporti segreti di scorie nucleari. Perciò reagiscono in modo così isterico alla resistenza che strappa dai loro progetti segreti il velo della discrezione.

E la loro "alta tecnologia" è per tanti versi un "punto nevralgico": i capitalisti dipendono dal funzionamento permanente e senza frizioni di questa loro macchina.

La ragione di tutto ciò sta nell'importanza del salto tecnologico che deve portare al consolidamento della base economica, nella concorrenza internazionale e nei tempi sempre più brevi dello sviluppo tecnologico.

Per questo hanno bisogno della flessibilità, dei turni alle macchine 24 ore su 24 e di sette giorni lavorativi alla settimana. Per questo vogliono assumere soltanto persone controllate dai servizi segreti e di cui possono verificare che hanno venduto se stesse e la loro umanità al capitale. Per questo la nuova fabbrica della Siemens è sorvegliata e controllata come il Quartier Generale della NATO: se, con azioni rivoluzionarie, si distruggessero le installazioni sensibili dei loro laboratori e delle loro fabbriche, o se queste venissero paralizzate con il sabotaggio o con lo sciopero, questo fatto probabilmente colpirebbe la loro posizione sul mercato internazionale, e ciò, per loro, è qulcosa di molto materiale e concreto.

L'anno scorso, durante una conferenza internazionale dell'industria, a Londra, nella quale venivano discussi i problemi della lotta al terrorismo, si constatava che le lotte rivoluzionarie già adesso hanno conseguenze economiche per le multinazionali e per le economie nazionali, fosse solo per i costi per la sicurezza delle installazioni, delle ricerche e delle produzioni, oltre che dei loro manager. I capitalisti premono sempre di più sui governi nazionali al fine di bloccare questi sviluppi e, allo stesso tempo, sono messi di fronte alla necessità di aumentare i loro sforzi per la concentrazione ed il rafforzamento delle forze controrivoluzionarie.

Un altro aspetto della questione è che ogni azione di resistenza e ogni attacco all' alta tecnologia rendono vani i cinici slogans di propaganda della nuova "società pacificata" che dovrebbe realizzarsi attraverso le nuove tecnologie. I manager che non osano più girare fra la gente, se non circondati da gorilla armati; il filo spinato ed i sistemi elettronici di sorveglianza per i loro bunker e le loro fabbriche; le conferenze sulla bio-tecnologia che si svolgono sotto la protezione degli sbirri; tutto ciò parla molto chiaro: le strategie ed i progetti del capitale per consolidare il suo dominio attraverso il salto tecnologico, sono una guerra contro gli uomini, qui e in tutto il mondo. La lotta contro di essa è una realtà viva e lo stato è costretto a presentarsi sempre più apertamente come un apparato in antagonismo agli interessi degli uomini.

Questo è una parte del retroscena politico dello scontro attuale, come si è sviluppato nella dialettica fra resistenza e attacco della guerriglia - fra i suoi effetti e l'obbligo dello stato a reagire e prevenire. In questo contesto devono essere comprese le recenti misure in materia di ordine pubblico.

Nel mio caso tentano di liberarsi da ogni pressione per poter finalmente esibire condanne delle azioni della RAF, dall'84 in poi.

Nell'estate dell'85, il governo americano, attraverso la CIA, intervenne presso il governo di Bonn, esigendo risultati nella caccia ai guerriglieri e preannunciando azioni proprie per catturare i militanti della guerriglia.

2. Da alcuni anni si notano discussioni pubbliche nell'ambiente governativo e negli apparati di polizia negli stati membri della NATO il cui tema è « se il modello tedesco di anti-terrorismo é fallito». Questo modello, fatto di leggi speciali, di un sofisticato apparato di controllo e ricerca, di gruppi speciali anti-terrorismo, di carceri speciali, era ed è considerato esemplare per la guerra anti-sovversiva nella metropoli. Adottato in misura sempre maggiore dagli stati membri della NATO, ora è applicato anche nei paesi del Terzo Mondo, nel quadro di una conduzione della guerra di basso profilo, come ultimamente è avvenuto in Colombia.

Tutto ciò costringe il governo tedesco e il suo apparato di polizia a ricercare successi, perchè se questo modello non si dimostra efficiente, perde di credibilità a livello internazionale. Ed efficienza per loro significa: combattenti morti o arrestati, condanne all'ergastolo per azioni concrete e infine il tentativo di annientamento dei combattenti mediante l'isolamento.

Da anni si trovano di fronte al fatto che il loro apparato di caccia all'uomo gira a vuoto. Dall'84 dicono apertamente che non sono in grado di fermare la guerriglia, non sanno chi cercare nè dove cercare. Partono dal fatto che qui in Germania la lotta armata è diventata una realtà sociale di cui non possono più sbarazzarsi.

I processi contro di noi non hanno politicamente più significato. Con essi si persegue ormai soltanto l'interesse dello Stato all'annientamento dei militanti della guerriglia.

E' importante capire questo nuovo livello di guerra contro la resistenza radicale, che ora è diventato evidente a molti, in seguito alle misure prese dallo Stato. Esso infatti ha esteso la guerra anti-guerriglia, per cui l'intera area della resistenza viene oggi criminalizzata e combattuta come «terrorismo».

Questa, da due anni, è la linea strategica della controrivoluzione decisa politicamente dallo Stato, ed è il livello irreversibile raggiunto dallo scontro. Essi forzano in avanti questa linea, come dimostrano gli ultimi sviluppi, allargandola sempre di più.

Il loro agire è determinato concretamente dal fatto che non hanno più in mano tutto lo sviluppo, sia per quanto riguarda il processo del Fronte, sia per quanto concerne la presenza di militanti in tutto lo spettro della resistenza radicale. E' l'organizzazione dei combattenti e il processo di unità fra guerriglia e resistenza nel Fronte che stanno dietro l'atteggiamento repressivo e la propaganda sull'onnipotenza dell'apparato.

Il confronto con questa nuova qualità della controrivoluzione ha un valore d'uso per il movimento rivoluzionario solo se viene ben compresa la sua dimensione politica e se si prende coscienza che sono cambiate le condizioni per l'organizzazione.

La politica dello Stato è orientata verso la creazione di una situazione stabile di repressione, caratterizzata dalla presenza permanente dell'apparato terroristico dello Stato. E' una tattica di accerchiamento e snervamento, che consiste in una serie di misure, che vanno dal nuovo articolo 129/a (1) fino alle recenti leggi sulle manifestazioni. Lo Stato, attraverso l'escalation della repressione, fa sì che ogni iniziativa rivoluzionaria per imporre gli obiettivi della resistenza diventi, per lo Stato stesso, una questione di potere. Ciò è stato dimostrato anche dalle esperienze delle ultime manifestazioni.

La procura generale (BAW) ha avocato a sè le istruttorie e le indagini contro tutti i militanti della resistenza, e ciò vuol dire l'impiego dell'intero apparato repressivo, inclusi i metodi terroristici che vengono normalmente impiegati contro la guerriglia; e ciò come manovra preventiva per bloccare il processo rivoluzionario.

Per i compagni e le aree politiche che ne sono colpiti direttamente questo significa che l'osservazione ed il controllo mediante gruppi speciali del BKA o LKA (2) e le misure adottate dai servizi segreti «con una strategia coraggiosa e di lungo respiro» - come dice Lochte (ufficiale del servizio segreto interno ad Amburgo) - avvengono ora ad un livello completamente nuovo. La loro storia, il loro contesto di vita e i loro rapporti vengono attentamente analizzati ed essi possono aspettarsi in ogni momento perquisizioni nelle case e nei posti che frequentano.

Essi usano la leva del «terrorismo»: la loro costruzione della RAF «su diversi livelli», fatta per colpire tutti coloro che combattono nel contesto del Fronte. Secondo questo modello, ognuno può essere un «membro legale della RAF»; essi sostengono che tutti i militanti che hanno partecipato alle lotte contro l'allungamento della pista di decolllo dell'areoporto di Francoforte sono «membri del movimento autonomo terroristico», così come sono membri di questo movimento le donne che, partendo da un rapporto antagonistico contro il sistema, lottano contro la bio-tecnologia e certe «politiche demografiche» miranti a sancire l'utilità o meno di parti della popolazione, ecc. Essi sostengono che le frazioni sociali rivoluzionarie della resistenza farebbero parte della Rote Zora (RZ), e, contro tutti i militanti che non possono racchiudere entro questi schemi, applicano il nuovo articolo 129/a.

Per lo Stato è sufficiente che singoli militanti o gruppi lottino per obiettivi identici, che facciano parte della resistenta radicale e si occupino di temi esplosivi per lo Stato e il capitale, o semplicemente conoscano compagni noti, per criminalizzarli come «simpatizzanti» o membri di gruppi terroristici. Più semplicemente, per lo Stato, chiunque lotta attivamente per una vita autodeterminata e si organizza contro lo Stato, è un «terrorista». Questa è la linea di coloro che dominano nelle metropoli e nel Terzo Mondo contro tutte le lotte per l'autodeterminazione e la liberazione.

Il nuovo articolo 129/a e l'aumento delle condanne, devono essere compresi anche come elementi della politica dello Stato per ridurre/indurre i militanti alla resa e al tradimento. Il calcolo dello Stato è che, minacciando così massicciamente la resistenza, attaccando i singoli militanti con questa violenza - e qui la legge sul «testimone della corona» e il nuovo art.129/a si completano - alcuni di loro, perchè non coscienti del livello dello scontro o perchè non lo vogliono a questo livello, crollino e rivelino dei fatti concreti o denuncino politicamente la resistenza.

Dopo gli spari presso la pista di decollo, durante la manifestazione all'aereoporto di Francoforte, si è scatenata la caccia contro gli autonomi, con perquisizioni a tappeto secondo una lista fornita dai computer del LKA, e la gente è stata messa a confronto con chi ha visto o ha sentito dire; vennero così rastrellate le donne dell'autonomia. Ciò dimostra la misura e l'estensione dei controlli con cui, per anni, l'ambiente della resistenza e i singoli militanti sono stati osservati, ricercati e registrati. Per la prima volta qui in Germania, durante il processo, è stato affermato chiaramente che tutti i compagni che il BKA sospetta che lottino nel contesto del Fronte, sono di fatto soggetti da perseguire, in particolare dopo azioni della RAF.

Il movimento rivoluzionario deve capire che sono cambiate le condizioni in cui e contro cui esso si organizza; ogni militante ne deve essere cosciente e avere chiara la propria responsabilità, per tutto il processo.

Contro questa tattica di accerchiamento e logoramento la resistenza deve combattere contemporaneamente su diversi livelli, certamente non con campagne difensive, ma con una linea politica offensiva e militante.

Si devono stabilire rapporti solidali nella resistenza, che possono essere costruiti soltanto con serietà e con una precisa discussione politica che permetta di comprendere la propria lotta e la situazione in cui ci si trova. Si deve lavorare per l'unità della resistenza, contro i tentativi di divisione messi in atto dallo Stato e dalle forze politiche che lo sostengono e che sono presenti anche nei movimenti di massa, e contro gli attacchi diretti dello Stato. Questo perchè, anche se fondamentalmente il livello della guerra è ormai irreversibile, c'è sempre un problema di rapporti di forza concreti.

«Situazione di repressione permanente», quale obiettivo della politica dello Stato, significa che la repressione non è più l'effetto di spinte congiunturali, ma si sviluppa preventivamente e permanentemente, in ogni momento in cui si esprime una resistenza esistenziale e radicale. Perciò essa non conosce limiti, se non quelli posti dal movimento rivoluzionario nell'unità della resistenza. Il movimento rivoluzionario, invece, deve conquistarsi ogni volta l'iniziativa perchè o é esso a determinare lo scontro e il suo ritmo, o è lo Stato a determinarlo, cacciando i militanti sulla difensiva.

Negli ultimi anni si è anche evidenziato che il campo della discussione e informazione, necessario per l'avanzamento e l'estensione della lotta, deve essere continuamente conquistato e difeso contro lo Stato. L'esperienza fondamentale è che uno spazio autodeterminato per incontrarsi, deve essere imposto contro gli attacchi dell'apparato.

Lo scopo della guerra dello Stato è preciso e totale: repressione e distruzione di ogni espressione di vita e di ogni organizzazione autonoma degli sfruttati, che non è già sotto il controllo dello Stato e del capitale, ma è espressione di autodeterminazione e di rapporti solidali.

Il modo in cui lo Stato "cospira" contro le comunità (occupanti di case) della Kiefernstrasse e - come sempre - della Hafenstrasse lo dimostra una volta di più. Ai compagni che lottano là va tutta la nostra solidarietà.

La linea offensiva contro la politica statale repressiva è la lotta per imporre gli obiettivi soggettivi - politici della resistenza in ogni settore dello scontro.

L'attacco all'attacco controrivoluzionario è una linea di intervento politica e pratica, che necessariamente è presente nell'intero processo rivoluzionario, così come lo era e lo è in tutte le lotte di liberazione. Questa determinazione era presente, come momento, nell'offensiva dell'86: nell'attacco di AD contro l'Interpol a Parigi, nelle azioni delle unità combattenti della resistenza contro il BGS (Guardia generale di frontiera) e il Bundesamt für Verlassungsschutz (Ufficio Federale del servizio segreto interno). L'apparato più sofisticato di repressione gira a vuoto, quando la resistenza sviluppa la sua forza sovversiva nell'agire responsabile e nei rapporti coscienti, che sono il nocciolo di ogni struttura di contropotere rivoluzionario, e quando trova sempre nuovi metodi e forme di organizzazione e di lotta per imporre i suoi obiettivi contro la legalità controrivoluzionaria.

L'identità dei combattenti, e cioè la loro decisione cosciente di autodeterminare se stessi e la loro vita contro il potere, i loro rapporti nelle strutture solidali e nell'unità della resistenza sono le armi e lo spazio di vita sovversivo della resistenza rivoluzionaria nelle metropoli, la cui sostanza e il cui processo non possono mai essere afferrati dallo Stato che, di fronte ad essi, arma il suo apparato con la «tecnica agghiacciante del suo progetto di controllare la vita degli uomini», come dicono in El Salvador.

Queste sono le armi di cui ogni singolo militante dispone nello scontro diretto con la macchina dello Stato: di fronte ad esse i mezzi e i metodi della repressione si rivelano spuntati.

L'offensiva della guerriglia e delle unità combattenti della resistenza nella primavera/estate '86 ha portato a esperienze importanti e, come hanno detto i compagni di AD, «nella sua estensione e durata, nella sua costruzione politica e pratica, è stata l'espressione più avanzata della lotta collettiva per il comunismo in Europa occidentale.» Essa ha evidenziato la necessità di lavorare adesso, in uno sforzo concentrato e comune del movimento rivoluzionario, per l'approfondimento e l'ampliamento delle linee politiche del progetto rivoluzionario in questa area e per svilupparle in rapporto ai nuovi processi di polarizzazione nella società. L'offensiva, però, ha anche evidenziato una debolezza, e per poter avanzare nel processo rivoluzionario ora è necessario superarla: finché la resistenza non è in grado di sviluppare una prassi autonoma, cioè finché non lotta in modo autodeterminato, autentico e con continuità, lo sviluppo del Fronte è sempre nuovamente bloccato. Ora si tratta di fare il salto qualitativo dalla resistenza spontanea alla lotta rivoluzionaria organizzata. Concepito soggettivamente, si tratta del salto dal rifiuto attivo della realtà a soggetto rivoluzionario vero e proprio.

L'offensiva ha dimostrato due cose: quali forti possibilità sono insite nel contesto combattente del Fronte e che per nessuno è possibile andare avanti come prima. Divengono quindi cose sorpassate l'atteggiamento nei confronti di se stesso e della lotta, la merda secca dei politicanti, gli aridi concetti di liberazione; tutto ciò doveva diventare una contraddizione aperta nello sviluppo della lotta. Chi prende sul serio se stesso e la lotta nel Fronte, l'ha sperimentato: senza la scelta di una vita fondamentalmente diversa, senza la rottura con il sistema, che è la base soggettiva dei combattenti - indipendentemente dal livello della loro prassi politica - non si trova la strada verso un autentico processo di sviluppo, si rimane oggetto del sistema e la resistenza perde il suo senso.

La politica rivoluzionaria o è il reale processo di liberazione, di trasformazione del sistema vigente e, nello stesso tempo, degli uomini, o è il niente.

Avevano detto che non esiste nessuno schema o programma per lo sviluppo del Fronte e la sua organizzazione. Però il movimento rivoluzionario può elaborare una comune linea politica che recepisca i contenuti soggettivi e politici del processo rivoluzionario nelle metropoli diventando così momento dell'identità collettiva, e può sviluppare criteri per il dispiegamento pratico della lotta e della sua organizzazione che siano autentici, in quanto partono dalla radice e dalle esperienze nelle metropoli, nonché dalle necessità dettate dalle condizioni specifiche.

Se si tirano le somme delle esperienze della guerriglia, della resistenza rivoluzionaria e dei tanti singoli militanti dei diversi movimenti, risulta chiaramente che ora lo sviluppo dell'identità rivoluzionaria e l'organizzazione concreta devono essere gli assi principali di tutte le mobilitazioni e iniziative, altrimenti non è possibile né la continuità, né la costruzione di contropotere.

Nel processo del Fronte il nucleo centrale è l'unità politica nella lotta per gli obiettivi rivoluzionari, che sono definiti come radicali processi di trasformazione sociale, politico-culturale ed economica, e l'organizzazione per questi obiettivi.

Nel Fronte, processo soggettivo di liberazione, trasformazione della realtà metropolitana e internazionalismo sono qualcosa di unitario, ed è questa unità che determina la sua organizzazione. Qui l'organizzazione antagonista è il processo in cui vengono ribaltati l'alienazione e l'individualizzazione e vengono superate le divisioni all'interno della persona stessa, quelle fra gli uomini, fra volontà e obiettivi, teoria e prassi, fra il processo soggettivo e quello politico, fra organizzazione della vita e quella della lotta.

Si deve concepire una prassi in grado di estendere la capacità dell'agire rivoluzionario organizzato a livello mondiale in modo da poter prevenire la controrivoluzione, strategicamente, per rompere l'equilibrio fra rivoluzione e imperialismo, e tatticamente, arrivando ad attacchi permanenti del Fronte contro i progetti centrali di potere e di ristrutturazione del capitale internazionale, e riaffermando gli obiettivi della lotta per la liberazione nelle metropoli.

La struttura organizzativa del Fronte metropolitano si deve intendere nel suo contenuto collettivo. Solo così è possibile superare e ribaltare la struttura dell'alienazione e della reificazione, in cui l'uomo viene ridotto a oggetto della razionalità della merce e viene distrutta la sua capacità di sentirsi soggetto sociale e, con queste responsabilità sociali, di pensare e agire.

La sostanza del processo rivoluzionario e della sua organizzazione nel Fronte è: autodeterminazione e identità rivoluzionaria. Esse caratterizzano il rapporto dell'uomo antagonista nei confronti del sistema, in quanto decisione di combatterlo e abolirlo e di vivere in questa lotta.

La lotta per la liberazione significa qualcos'altro da quello che è possibile e che è contenuto nelle singole iniziative, campagne e attacchi; è il rapporto fondamentale dei combattenti, fra di loro e come singoli, alla distruttuvità del sistema, è il nostro essere antagonisti al sistema. E' un processo profondo in cui la dialettica dell'attacco contro il potere è coscientemente compresa come lotta per la conquista della capacità di agire collettivamente e per l'identità politica, lotta in cui gli sfruttati diventano soggetto rivoluzionario e possono ricostruirsi in quanto classe proletaria cosciente. Autodeterminazione e identità diventano reali solo nella lotta per la trasformazione rivoluzionaria; nella prassi politica quotidiana, in cui i rapporti, le discussioni e il processo di organizzazione sono finalizzati allo scopo di essere contemporaneamente cambiamento radicale della situazione soggettiva e strumento per l'attacco contro il sistema; e necessariamente devono essere conquistati e sviluppati ulteriormente e continuamente nella pratica della lotta contro il sistema. Questa, qui nelle metropoli, è una lotta per ogni millimetro di terreno. L'adagiarsi e l'accomodarsi - anche se incoscientemente - nella vita e nella resistenza entro il sistema conducono inevitabilmente alla riproduzione della distruzione, dell'individualizzazione, della concorrenza, dello sciovinismo. Anche questa è un'esperienza acquisita nei processi della resistenza degli ultimi anni.

La frammentazione e la spoliticizzazione possono arrivare al punto che la chiarezza sulle radici del proprio agire svanisce: svanisce cioè la coscienza delle acute contraddizioni fra voler vivere e non poter vivere, perché in questo sistema non esiste niente (nessun bisogno, nessun lavoro, nessun rapporto) che può essere libero dalle strutture e dall'ideologia del sistema; e ogni tentativo di costruire una vita autodeterminata con rapporti liberi conduce solo indietro, nella vecchia merda.

La questione di una vita da uomini deve essere posta come questione di potere nella lotta permanente contro il sistema e deve avere una risposta rivoluzionaria nelle strutture e nelle azioni del Fronte.

Questa impostazione è fondamentalmente diversa dall'idea di resistenza intesa come espressione marginale della vita dentro la macchina del sistema; quest'idea non consente di distruggere né le strutture interne né quelle esterne al potere.

L'analisi della realtà metropolitana e delle sue forme specifiche di impoverimento - come l'alienazione, la reificazione, l'individualizzazione - può diventare un'arma per il movimento rivoluzionario solo in quanto venga impiegata per comprendere come questi concetti si riproducano nelle strutture sociali e negli uomini, e per comprendere come possono essere ribaltati praticamente, rompendo coscientemente con essi. Tutto il resto diventa una ricerca rituale dei motivi per cui non si lotta, invece che una ricerca della prassi rivoluzionaria che è sempre un processo di trasformazione degli uomini e della realtà oggettiva.

Il criterio di autenticità e verità della politica rivoluzionaria è l'identità e la prassi dei suoi soggetti, del loro reale processo vitale. I militanti della resistenza devono chiedersi permanentemente come e quanto si realizzano materialmente nella loro prassi l'autodeterminazione e il senso della collettività, che non sono solo condizioni della lotta, ma anche la più avanzata realizzazione oggi possibile degli obiettivi di liberazione. Laddove questo non avviene come processo cosciente, vi è la negazione degli obiettivi o, semplicemente, se la liberazione non è sentita da ogni singolo nei rapporti tra combattenti e nella loro prassi, non viene permanentemente presa e approfondita la decisione per una vita fondamentalmente diversa e per l'avanzamento della lotta; non si può perciò parlare di autodeterminazione e senso della collettività. Sarebbero solo frasi vuote!

La quantità di distruzione che ognuno qui subisce, le difficoltà politiche e pratiche della lotta, delle condizioni di vita nelle metropoli, possono sempre portare di nuovo all'esaurimento della forza d'immaginazione rispetto alle possibilità reali di una fondamentale trasformazione. La forza necessaria per la lotta e per la sua continuità può nascere solo dalla chiarezza dei propri scopi, dalla capacità di decidere e organizzarsi coscientemente in funzione di essi e dalla nuova realtà umana presente nelle strutture e nella prassi del Fronte.

Ciò significa che essa può nascere dall'identità dei soggetti rivoluzionari, che si contrappongono alla distruttività del sistema.

Nel Fronte, il processo collettivo comincia con l'agire responsabile di ogni singolo, nei rapporti fra i combattenti, nel loro processo di discussione e di apprendimento orientato allo scopo di trovare risposte alle domande su come può essere condotta la lotta contro il sistema, in ogni momento, con chiarezza politica, in forma organizzata e pratica, e in esso viene combattuto radicalmente tutto ciò che distrugge gli uomini e indebolisce e blocca la resistenza. I rapporti fra i combattenti sono la prima zona liberata dalla resistenza rivoluzionaria nelle metropoli. E' questo il processo in cui gli uomini sviluppano nuove capacità creative, nuove forme di organizzazione, nuovi terreni e nuove armi per la lotta di liberazione, è in esso che viene vinta questa sofisticata macchina di repressione.

In questo processo, ogni militante può e deve appropriarsi della capacità di determinare la politica, di pensare e di agire autonomamente. Questa è la condizione centrale per garantire la continuità e l'estensione della lotta rivoluzionaria - questa è la nostra esperienza, da quando esiste la RAF - ed è anche l'arma contro la capitolazione e il tradimento.

Le strutture del Fronte si costituiscono nella lotta in ogni congiuntura, sono orientate ai concreti obiettivi soggettivi e di tattica politica e sono aperte al continuo sviluppo della prassi politica. A livello di azione militante le unità combattenti della resistenza ne sono un esempio. E' una struttura decentrata in cui esistono tanti metodi diversi di organizzazione e tante diverse esperienze pratiche quanti sono i compagni e le compagne; quindi sempre specifici, sempre come i militanti li vogliono, e ne hanno bisogno, in funzione delle loro specifiche condizioni e del loro processo soggettivo.

Nessuno conosce tutti quelli che fanno parte di una struttura e, nonostante ciò, tutti sono uniti nella discussione e nella lotta. Questo è il "fenomeno" che fa impazzire il BAW/BKA e a cui danno la caccia.

La funzione della guerriglia, nel processo del Fronte, è quella di essere di orientamento e di esempio attraverso la sua azione e nella mediazione della visione politica della situazione al fine di sviluppare la prassi del movimento rivoluzionario in un orientamento politico unificato e di organizzare l'offensiva politico-militare. E' un processo collettivo di discussione e di lavoro fra guerriglia e militanti, senza che la guerriglia sia in contatto con tutti coloro che vi partecipano.

Questo è possibile - così lo fu per noi e per le unità combattenti e tanti singoli compagni che nel Fronte lottano su altri livelli - perché esistono obiettivi comuni e tutti coloro che vogliono la lotta rivoluzionaria e optano coscientemente per il Fronte, ne fanno parte.

Il Fronte non è che l'insieme di coloro che in esso combattono.

Questo si intende per: dialettica tra senso della collettività e autodeterminazione nel Fronte, e l'offensiva dell'86 ne è stata la prova.

Partendo dall'orientamento politico comune, elaborato nelle discussioni, ogni unità combattente della resistenza ha determinato autonomamente la sua azione, e ha costruito da sé lo spazio della sua azione illegale, di cui aveva bisogno.

Ovviamente è anche compito della guerriglia trasmettere le sue esperienze pratiche nell'organizzazione di strutture illegali e nelle azioni militari, facendo avanzare così il processo di apprendimento dei militanti; questo è ovvio, visto che essa ha maggiore esperienza. E naturalmente sono tante le possibilità di una collaborazione pratica fra guerriglia e militanti, ma una vera e propria unità organizzativa e nell'azione concreta, come viene sostenuto dal BAW, è esclusa.

Il rafforzamento della struttura militante si è rivelata un momento decisivo per l'avanzamento del Fronte. Le unità combattenti ne fanno parte e sicuramente si tratta di farle diventare più forti. Ma l'azione militante riguarda solo un certo livello della lotta. Il movimento rivoluzionario deve mirare alla presenza della politica rivoluzionaria e per questo è condizione centrale una struttura militante a tutti i livelli.

Si tratta dell'organizzazione del contesto responsabile e combattente nel Fronte, del suo processo di sviluppo orientato alla prassi e solidificato in essa, vale a dire: la capacità di sviluppare autonomamente l'attacco, su tutti i livelli, nell'azione del Fronte.

Partiamo da questo concetto - azione del Fronte - perché in esso il processo è concepito nel suo insieme e nella sua permanenza, perché in esso si esprime ogni discussione, ogni passo organizzativo e pratico a tutti i livelli della lotta, perché esso è volontà e decisione; è azione soggettiva per l'affermazione della politica rivoluzionaria, iniziativa permanente e autodeterminazione dei diversi compagni militanti delle unità combattenti e della guerriglia nella lotta comune per il processo rivoluzionario e per gli obiettivi di liberazione.

Le esperienze hanno dimostrato che questo contesto combattente, nel suo orientamento politico, fatto di obiettivi e di effetti materiali, si può sviluppare su due livelli, congiunti dialetticamente: nella offensiva con la guerriglia, l'attacco militare e l'attacco militante coordinati direttamente contro i progetti strategici dell'imperialismo; e nelle campagne militanti, determinate dalla resistenza rivoluzionaria, che interviene contro i progetti di annientamento del sistema - mediante i quali si impone la strategia imperialista - e contro i piani reazionari dello Stato.

In questa determinazione le lotte contro gli attuali progetti della politica imperialista trovano il loro senso come azioni solidali con la lotta internazionale di liberazione. Ora il problema non è contro quale concreto progetto strategico di ristrutturazione si indirizzano le lotte; la ricerca per individuare il progetto centrale non conduce a niente, perché non esiste il progetto centrale.

In ciò si distingue la situazione attuale da quella dell'inizio degli anni '80, quando la strategia di guerra della NATO era l'asse decisivo della politica imperialista e le mobilitazioni perciò si concentravano necessariamente contro la NATO.

Tutta la situazione è caratterizzata dal fatto che l'imperialismo deve tentare contemporaneamente a tutti i livelli - economico, militare, nel rapporto fra centro e periferia, nella formazione europeo-occidentale e, all'interno dello Stato, contro le contraddizioni e le lotte rivoluzionarie - di ristrutturare il suo dominio, per arrivare ad un nuovo ciclo di accumulazione, e quindi consolidarsi in un completo dominio del sistema.

Dall'altra parte, anche le diverse contraddizioni e le diverse azioni del movimento rivoluzionario lo provano: sono prodotto e espressione di questo sviluppo e della lotta contro l'intera realtà di vita dell'imperialismo.

La cosa decisiva ora è che, con diverse forme di scontro, si lotta a partire dalla comune coscienza della situazione e dai comuni obiettivi politico-soggettivi; che la politica rivoluzionaria è presente come fattore reale e avanza con l'unità nel Fronte, qui e in Europa occidentale.

Dappertutto l'obiettivo principale deve essere quello di fare passi materiali concreti nel processo di trasformazione e di conquistare spazi vitali per l'agire del contropotere rivoluzionario.

In questo processo è possibile lottare, insieme con gli uomini dei diversi ambiti della resistenza, per obiettivi concreti, poiché ora la resistenza dappertutto arriva inevitabilmente al nocciolo del problema e cioè al fatto che nel sistema vigente non è più possibile una vita umana e la borghesia continua con la politica di annientamento fino a quando non incontra una resistenza che si oppone alla realizzazione delle sue strategie economiche e militari - detto altrimenti: fino a che non viene bloccata politicamente e materialmente, e con la forza.

E' vero che i Pershing sulla carta sono spariti, ma arrivano altri missili e si sta formando la potenza nucleare europea; gli stati europei occidentali assumono funzioni nuove nella guerra della NATO contro il Sud - come dimostra chiaramente la loro presenza nel Golfo - e stanno per attuare un gigantesco programma di riarmo che contemporaneamente serve anche al salto tecnologico di cui hanno bisogno per la supremazia militare che cercano sempre di raggiungere.

Da tempo le centrali nucleari non sono più sostenibili politicamente, tuttavia restano finché non c'é un altro piano energetico che prometta altrettanto profitto e finché non verrà attenuata l'intera politica nucleare dello Stato e del Capitale. Anche la resistenza contro le tecnologie che distruggono l'ambiente e la vita umana e sociale viene sempre di nuovo sopraffatta, poiché non arriva a cogliere il concetto del sistema di potere e di profitto nel suo insieme e perché non sviluppa una prassi diretta all'attacco contro la totalità del sistema... ecc.

E' così in ogni punto caldo dello scontro. Da ciò è possibile comprendere che è assolutamente necessario cacciare indietro il sistema nelle sue posizioni di potere, bloccare la distruttività dei suoi concreti progetti strategici, e che è anche possibile mettere in discussione, con diverse lotte, l'intero sistema, attaccando direttamente la funzione imperialista dei progetti di distruzione e della struttura di potere del sistema.

Ora, l'attacco deve essere condotto parallelamente su diverse linee:

- contro l'instaurazione di una struttura tecno-fascista di dominio che può funzionare a condizione che avvenga l'emarginazione umana. Ciò vuol dire, attacco contro i progetti del capitale internazionale attraverso i quali viene imposta questa strategia - attacco al quale il movimento rivoluzionario contrappone la lotta per i processi di socializzazione autodeterminati degli uomini, una nuova forma di solidarietà fra gli sfruttati qui e in tutto il ondo, la lotta per una nuova vita autodeterminata, dignitosa e umana;

- contro la creazione e il mantenimento di una situazione di costante repressione nelle metropoli che passa attraverso il controllo totalizzante, la repressione e l'occupazione di ogni ambito sociale. - Al contrario il Fronte pone la lotta per strutture di contropotere rivoluzionario, perché solo in esse è possibile vivere, ed esse devono essere imposte contro lo Stato e difese in modo offensivo;

- contro la formazione politico-militare europeo-occidentale, mediante la quale la borghesia vuole concentrare le forze e i mezzi del sistema imperialista per la guerra, a tutti i livelli, alla lotta internazionale di liberazione, per schiacciare ogni sviluppo autodeterminato e rivoluzionario; condizione questa - cioè la guerra - per raggiungere il nuovo ordine imperialista. Ciò vuol dire: attacco contro i piani e i progetti con cui viene imposto questo processo di ristrutturazione. La lotta contro la guerra imperialista è e rimane una linea centrale dell'attacco contro il potere del sistema.

Sviluppare l'azione del Fronte negli scontri concreti, attaccare le strategie imperialiste nei loro progetti centrali e imporre, in questo processo gli obiettivi soggettivi della resistenza: questo è ora l'unico processo possibile e necessario con il quale si possono raggiungere cambiamenti e in cui diventa reale l'unità tra guerriglia e resistenza.

Senza unità non è possibile alcuna vittoria!

3. Rispetto all'Intifadah del popolo palestinese, Abu Djihad ha detto:

«Esso non è spinto dalla disperazione, ma dalla precisa conoscenza della sua situazione. Ha delle idee precise sulle condizioni e gli obiettivi della sua lotta».

Con ciò ha evidenziato il punto centrale che è oggi in questione per la resistenza radicale nelle metropoli: bisogna essere coscienti delle profonde radici e degli obiettivi che determinano la scelta della "ribellione", obiettivi che devono essere approfonditi e sviluppati per fare vera chiarezza su di essi e sulla situazione politica contro cui essi devono imporsi. Ciò che oggi è centrale, attorno a cui deve svilupparsi la politicizzazione, è la questione dell'identità e dell'obiettivo - quindi chi siamo e come vogliamo vivere di fronte alla prospettiva di distruzione insita nel sistema.

Se non se ne ha coscienza, la radicalità rimane senza sostanza. Infatti, poiché non c'è nient'altro cui attaccarsi, i soggetti possono trarre le loro certezze nel corso della lotta e continuare a sviluppare la pratica necessaria al processo di trasformazione, soltanto facendo affidamento sull'acuta coscienza politica della propria condizione e di quella di tutti gli sfruttati e dell'assoluta necessità di trasformarla, perché altrimenti non è possibile alcuna vita; da ciò la rottura con il sistema e la volontà di sviluppare e imporre l'idea di una vita autodeterminata nelle lotte concrete contro il potere.

L'esperienza della mancanza di vita e di significato della vita nel sistema, e quindi il crescente bisogno di una società fondamentalmente diversa, questa esperienza troppo spesso viene giudicata come un fatto individuale, invece di riconoscerlo come comune punto di partenza dei diversi soggetti e delle loro lotte. Ciò non soltanto è insopportabile da un punto di vista soggettivo, poiché così non si rompe con l'individualismo e l'impotenza, ma è anche una contraddizione politica negativa.

Oggi il punto centrale delle tante esperienze specifiche, e la sostanza della situazione politica globale, è la negazione dell'uomo e delle sue basi vitali nel sistema capitalistico, che può produrre soltanto distruzione.

Questa oggettività abbraccia oggi l'intera vita degli sfruttati e li obbliga a conoscere con chiarezza la propria situazione e la necessità di trasformazione.

Oggi questa esperienza riguarda tutti coloro che concepiscono l'essere-uomo come qualcosa di diverso da un'esistenza in cui si è ridotti a oggetto, senza pensieri né volontà, senza emozioni e sensazioni, strumenti utili soltanto per la produzione di profitto oppure assolutamente superflui. E riguarda tutti coloro che hanno conservato abbastanza umanità per poter comprendere e rendersi conto che bisogna farla finita, subito e per sempre, con le politiche di annientamento dell'imperialismo nel Sud e di distruzione globale di ogni base di vita, perché minacciano l'esistenza dell'intera umanità.

Invece, la dialettica in questa oggettività è che quelli che oggi si ribellano, cominciano a comprendere che l'essere-uomo significa invece riconquistare la propria capacità di autodeterminare la propria vita e gli sviluppi sociali sia qui che a livello internazionale. Che gli uomini devono essere veramente i soggetti della loro storia individuale e collettiva. O, come disse Sartre: «Si può fare solo una cosa, cioè far valere e sostenere con tutte le forze quello che nelle concrete situazioni sociali e politiche può condurre ad una società di uomini liberi. Se non si fa questo, vuol dire che ci si rassegna a che l'uomo sia solo un pezzo di fango».

La ricerca di un modo di vita umano si identifica con la ricerca di una prassi trasformatrice della società. In altro modo, non sono possibili né vita né cambiamenti. Laddove si lotta partendo da questa coscienza, si costituisce quella forza che non può essere vinta. Il fondamento della comprensione e dell'unità di tutti gli sfruttati nel mondo è il fatto di vivere come uomo contro questo sistema di potere e di profitto. Laddove ciò comincia a diventare politica e lotta, non esiste più nessun altro criterio che l'uomo stesso, e quindi la prassi, in cui viene imposto l'obiettivo, diventa realtà. Conquistarsi la vita: questo è tutto!

L'essere-soggetto è una scelta rivoluzionaria. Ora significa: trasformare, nel processo delle diverse lotte contro i progetti di distruzione del sistema, l'intera realtà imperialista, partire da questo obiettivo e, per esso, conquistarsi la capacità, la politica e le strutture, imporre contro il potere gli obiettivi soggettivi e politici - così come sono voluti e sono necessari. Questo ora è il punto, in ogni singolo scontro, in ogni passo qui nel centro imperialista; e ciò come processo internazionale.

Finché non si comprende ciò, non può svilupparsi una forza capace di dare continuità al processo rivoluzionario, e tutto rimarrà come negli ultimi anni: i soggetti e con essi le mobilitazioni cadono ogni qual volta viene meno un preciso aggancio internazionale alle loro lotte; e le basi soggettive spesso rimangono tanto fragili da spezzarsi al primo scontro reale con il massiccio potere dell'apparato.

Tutti coloro che ora cominciano a lottare partendo da questa profonda coscienza di se stessi e della situazione - dunque cominciando lì dove vengono eliminati come oggetti e lottando contro il loro annientamento per imporre, nei rapporti e nella prassi di autodeterminazione, nuovi sviluppi sociali - sono i soggetti del movimento rivoluzionario qui da noi, e proprio dello sviluppo di questo movimento si tratta.

La situazione oggettiva comporta, nelle lotte, condizioni soggettive cambiate; chi si ribella lo prova: a questo livello di distruttività del sistema si può solo opporre nel modo più radicale la propria identità, la propria coscienza e i propri obiettivi, e imporli nella lotta, oppure arrendersi. Chi non lo comprende è ancora sempre oggetto del sistema, alienato da se stesso e dalla realtà.

E solo da qui - se ci si rende conto dell'acutezza della situazione - tutto può essere sviluppato in modo nuovo: le discussioni, i rapporti, le strutture e gli obiettivi, la linea politico-tattica della lotta contro il potere. Tutto il resto è astrazione, rimane uno spazio vuoto, come se gli uomini non avessero veramente di fronte la distruzione, oppure come se si trovassero fuori e sopra questa realtà. Ma questo, oggi, non è più possibile, al contrario, le cose stanno in modo tale che chiunque possieda ancora un barlume di umanità e non vuole perderla, viene attaccato in modo totale. E' così in ogni scontro con la realtà come si presenta attualmente - in quello contro la repressione, la tecnologia, la distruzione ecologica, ecc.

Ora la condizione per avanzare nel processo rivoluzionario, partendo da un terreno nuovo, è quella di determinare e sviluppare praticamente da questa coscienza il proprio processo di sviluppo politico e quello più generale. Concretamente, in tutto, in ogni battaglia contro il sistema.

Ciò vuol dire comprendere che: o viene impedita tutta la catena di sviluppi distruttivi, e viene cacciato indietro il potere - il che significa distruggere i loro piani e i progetti che rendono completamente impossibile una vita umana in ogni posto del mondo - e contro questo vengono imposti gli obiettivi rivoluzionari nella produzione materiale di autodeterminazione e contropotere, o ci si può togliere dalla testa le idee di un'altra vita, perché si arenano nella distruttività, diventando parte della miseria e della pietrificazione.

Chi è sincero, lo prova così!

I soggetti non hanno bisogno dei modelli ideologici - sia che vengano chiamati M-L, socialrivoluzionari o antimperialisti - e non hanno bisogno di frasi vuote come: «la distruzione del sistema». Essi hanno bisogno di una politica che trasformi la loro situazione, che renda possibile la vita e che contenga una prospettiva reale della fine del sistema.

Questo è politica rivoluzionaria. Non può esisterne nessun'altra, tutto il resto è astrazione. E solo così si arriva anche a concepire una strategia rivoluzionaria oggi.

Lo scontro con il sistema e la sua distruttività avviene in ogni singola battaglia e i cambiamenti necessari e voluti devono essere imposti contro l'intero potere del sistema.

Le soluzioni per i tanti problemi esistenziali non possono essere rimandate a quando l'imperialismo sarà abbattuto; d'altro canto possono essere raggiunte vere soluzioni solo nel processo di trasformazione e nel suo fine che è l'abbattimento del sistema totale; questa è la situazione oggettiva a livello mondiale. Lo sviluppo ha raggiunto un tale livello che sono contemporaneamente necessari sia la trasformazione del sistema - quindi una strategia internazionale di lunga durata -.sia i cambiamenti immediati, che devono essere conquistati con la lotta, altrimenti una serie di sviluppi negativi porteranno all'annientamento, come è dimostrato apertamente dai milioni di morti per fame nel Sud.

Politica rivoluzionaria è oggi il processo in cui i nuovi soggetti (che vengono da tutti gli ambiti sociali e che lottano contro il sistema di annientamento e per una vita autodeterminata) si conquistano la loro vita e nuovi rapporti e sviluppi sociali, nella lotta collettiva e nell'unità delle lotte settoriali; nell'attacco concreto contro il potere, e, insistendo in questo, non smettono di sviluppare nella pratica le strutture e le tattiche per trasformare l'intera realtà del sistema.

Questo è, soggettivamente e politicamente, un concetto di lotta e di resistenza qualitativamente diverso da quello dominante oggi nelle mobilitazioni e nella resistenza. Si tratta di questo. Questo concetto è radicale nel senso marxiano del termine: va alla radice, all'uomo e alla sua vita. E' la situazione storica che produce nelle lotte delle masse subalterne su scala mondiale questa radicalità. Il livello di distruzione raggiunto ovunque conduce al nocciolo del problema: imporsi come uomini contro il sistema, cominciare a vivere come uomini ora o mai più. Questo è il fuoco che deve alimentare le lotte, ovunque. Questo è il nostro compito. Dappertutto l'antagonismo uomo-sistema è l'esperienza fondamentale , anche se, ovviamente, viene sperimentato e sentito diversamente a seconda delle situazioni.

La realtà e le lotte nelle metropoli, nelle loro specifiche espressioni, sono parte di questo antagonismo globale e generale. Le diverse lotte, che si sviluppano nei diversi punti caldi dello scontro per una vita autodeterminata, devono essere comprese come elementi della battaglia per una politica rivoluzionaria. Qui, per potersi sviluppare come processo reale ed aperto che deve abbracciare la rottura con l'intera realtà di vita nel sistema, essa può partire solamente dalle tante lotte autentiche degli uomini per la loro vita, portandole, nel processo pratico e nell'unità del movimento ad una vera strategia. Ciò vuol dire che esse sono elementi dell'intero processo e, come tali, sono funzionali ad esso. Questo processo ha tante espressioni diverse quanti sono i soggetti che lo supportano e vivono in esso, poiché essi decidono coscientemente e costruiscono nelle loro lotte nuovi rapporti, facendo esperienze che sono importanti per il movimento rivoluzionario, e creando così condizioni diverse.

I progetti concreti e le realtà contro cui vengono condotte le lotte devono essere compresi e attaccati per quello che rappresentano per il mantenimento del potere; e al contrario il "nuovo" deve continuamente svilupparsi e concretizzarsi negli obiettivi politici soggettivi.

Ogni lotta resta lotta specifica, ma la comune coscienza e gli obiettivi identici la legano a tutte le altre lotte che si sviluppano in altri punti.

La situazione richiede soluzioni concrete sia per l'immediata realtà di vita degli sfruttati, sia nell'impedire i progetti di annientamento e la distruzione totale. Esse possono essere individuate solo nelle tante battaglie degli uomini che, nello scontro con il sistema, vogliono mettere fine alla distruttività del sistema e contro questo vogliono sviluppare e cominciare a vivere le loro idee di una vita dignitosa e per una nuova realtà sociale.

Tutte le lotte ora devono essere concepite sia come necessità immediata, sia come elementi dell'intero processo di trasformazione. Solo in questa prospettiva le singole lotte hanno un senso, possono diventare lotte rivoluzionarie e andare al di là della realtà esistente.

Ciò che ora si può conquistare con la lotta può essere sempre e solo un passaggio: passaggio sia in quanto l'erosione di posizioni di potere del sistema viene spinta in avanti, sia in quanto materializzazione dei passi necessari per la costruzione di contropotere e la realizzazione degli obiettivi di liberazione. In nessun altro modo sono immaginabili né i concreti cambiamenti ora necessari, né il processo di trasformazione nel suo insieme.

Ora, in ogni frangente delle diverse lotte legate tra loro dall'identità della meta, ciò che avanza è il processo che ricaccia indietro il potere, impedendo i suoi progetti e cambiando i rapporti di forza; dall'altra parte della barricata, ciò che avanza alla base è il processo di appropriazione, la capacità di imporre "allo stato di cose presenti" gli obiettivi concreti della resistenza in quanto tappa del processo di trasformazione e creazione di spazi di vita come contropotere.

In questo, ogni lotta per una vita autodeterminata e contro i progetti strategici del sistema, ogni iniziativa rivoluzionaria è un elemento di costruzione del processo. Solo dalle diverse lotte, dal loro operare cosciente e dal loro processo verso l'unità può nascere la forza soggettiva contro la distruttività, contro l'imperialismo. Una forza contro la quale non possono vincere, una forza in grado di produrre delle rotture nella loro strategia e che apre così realmente e materialmente la prospettiva della fine del sistema. Poiché comprendere la situazione oggettiva vuol dire comprendere la necessità della rottura. Tutto il resto significherebbe prolungare una situazione già insopportabile che ha come prospettiva la distruzione e sviluppi catastrofici di cui si ignorano le conseguenze, perché non esiste assolutamente nessun automatismo verso un cambiamento rivoluzionario, al contrario il sistema e la crisi si sviluppano solo in direzione della guerra imperialista.

Qui e ovunque la lotta deve essere condotta con l'obiettivo fondamentale di limitare e di scuotere le posizioni strategiche del potere nel sistema, di porre ad esso limiti politici-materiali, di disintegrare realmente le sue strategie. Il che vuol dire combattere con questa coscienza e questo atteggiamento: basta con la distruzione e con le condizioni di vita in questo sistema, fra gli uomini e il potere non esiste più nessuna mediazione; bisogna imporre una realtà sociale radicalmente diversa. Solo così la distruzione può essere capovolta, può diventare un'arma contro il potere dominante, può cioè favorire il processo in cui gli uomini si appropriano della capacità di determinare gli sviluppi economici, sociali e politici. Il processo, dunque, in cui essi stessi prendono in mano la storia secondo i loro bisogni e secondo i loro interessi che sono in antagonismo alla logica del profitto e del potere.

Le concrete linee politiche di questo processo possono essere sviluppate solo dai diversi soggetti che in esso lottano, dalla loro prassi, dal momento in cui si afferma la coscienza che gli obiettivi possono essere raggiunti solo nell'unità delle lotte e nel contesto del processo internazionale.

Nel centro imperialista non esiste nessun'altra prospettiva di una vita liberata, produttiva e autodeterminata che non sia la lunga e complicata disarticolazione, unita a livello internazionale, dell'intero sistema. Fino a quando il sistema funziona nel suo insieme, lo Stato qui resta sempre lo stesso, non ci sarà uno Stato riformista che imbocca un'altra direzione di sviluppo, tantomeno uno Stato socialista. Questo non è possibile data la compatta struttura di potere del sistema statale imperialista.

E diventa sempre più chiaro che i rivoluzionari in tutti i continenti, in ogni singola battaglia, si confrontano con il potere dell'intero sistema e che, per la vittoria della lotta armata così come per la realizzazione delle basi materiali e degli obiettivi sociali e politici nei paesi che si sono liberati dal giogo dell'intero sistema, la lotta contro il sistema nel suo insieme e, in prospettiva, la sua disarticolazione, diviene una condizione indispensabile.

L'instabilità dell'equilibrio internazionale e l'acuirsi della crisi economica comporta che gli imperialisti non possano permettersi di perdere neanche un millimetro di potere - sia territorialmente che politicamente - e che tentino, piuttosto, di annientare le popolazioni di intere regioni a suon di bombe e di dollari.

Riteniamo che ora le prospettive rivoluzionarie nei paesi dipendenti del Sud e quelle nelle metropoli si incontrano direttamente. Questo processo di lunga durata, e unito internazionalmente, riporta nelle metropoli la possibilità reale di cambiare anche qui i rapporti di forza. Così come, dall'altro lato, il Fronte nel centro dell'imperialismo è necessario per il processo internazionale. La macchina imperialista può essere bloccata solo con l'unità strategica delle lotte globali degli sfruttati. L'internazionalismo è la strada che porta a disarticolare il sistema nella sua totalità e infine ad abbatterlo. L'effetto internazionalista è il prodotto dello sviluppo del Fronte nelle metropoli.

Avevamo detto che la strategia autentica, vale a dire sviluppata dalle nostre condizioni e contraddizioni specifiche, dalla loro maturità, è contemporaneamente strategia internazionalista. Esse sono identiche in quanto il Fronte attacca sempre il sistema nella sua totalità. I processi che nascono dal basso e l'internazionalismo sono, nel Fronte e nella metropoli, riuniti in uno.

Il lato oggettivo della determinazione internazionalistica si comprende da sé: il sistema è organizzato su scala mondiale, funziona come tale, da ciò prende la sua forza e conserva il suo dominio globale. L'internazionalismo non è semplicemente una necessità, ma acquista da parte nostra, da un punto di vista soggettivo, un nuovo significato. La linea di sviluppo è questa, che le lotte internazionali diventano, qui da noi, sempre più parte integrante della situazione politica.

Non equipariamo lo scontro in altri settori del Fronte con quello che abbiamo qui. Però, anche se le condizioni di vita nelle metropoli sono la base - perché solo così ognuno si può riconoscere nella lotta e solo così il Fronte può svilupparsi e acquistare la forza in grado di pesare nel Fronte internazionale - è pur vero che il Fronte internazionale, il suo grado di sviluppo nonché la gravità dello scontro militare fanno parte delle condizioni politiche con cui qui ci confrontiamo. Esso infatti influenza la nostra situazione, infatti ambedue i fattori sono contemporaneamente presenti.

La politica qui viene sostenuta dalla totalità delle condizioni ed è la decisione politica nella situazione concreta a determinare come può essere reso produttivo il rapporto fra i diversi livelli dello sviluppo delle lotte. In un mondo di dipendenza reciproca dei sistemi politici, economici, militari strutturati internazionalmente e dei sistemi di comunicazione, la guerra internazionale diventerà parte della realtà della vita nelle metropoli. E lo diventerà sia nel caso in cui i crolli facciano traballare i palazzi delle banche, ovunque esse si trovino, sia nel caso in cui le guerre regionali comportino sempre la possibilità di trasformarsi in guerra Est-Ovest , nel qual caso l'Europa occidentale si troverebbe presto nel centro; e sia nel caso in cui le lotte in una regione si facciano sentire direttamente qui, come è successo negli ultimi anni, a fronte dell'intervento sempre più massiccio degli Stati europei negli scontri nel Sud.

Anche se questa guerra internazionale non colpisce direttamente qui, la sua presenza è permanente, essa cambia fondamentalmente e continuamente la nostra realtà di vita. Essa è sempre presente, e questo non può essere occultato da nessuna manipolazione dei mass-media. E vedere e conoscere questo scontro, la sua acutezza e dimensione globale - il suo contenuto - fa comprendere la realtà che qui da noi si esprime negli slogans: paura della guerra, della catastrofe ecologica, della distruzione sociale; indipendenza dagli apparati tecnologici, dallo Stato poliziesco, ecc.

Essa cambia le condizioni in cui viviamo, cambia l'esperienza di noi stessi. Nella prospettiva di tutto questo sviluppo si pone sempre più urgentemente la questione: chi siamo e chi vogliamo essere.

La guerra internazionale con il suo contenuto entra nella continuità della guerriglia e nello sviluppo del Fronte in Europa occidentale e fa sì che, sia nella sua identità con la lotta nelle metropoli come nelle sue differenze rispetto ad essa, e cioè nel suo sviluppo più avanzato, molti riescano a cogliere il punto centrale della situazione nelle metropoli, si politicizzino e si mobilitino per la lotta nel centro del sistema.

Lo scontro che ora determina l'intero processo internazionale è la lotta degli sfruttati nei tre continenti per sviluppi sociali e politici orientati alla realizzazione dei loro bisogni e interessi, contro l'ordine mondiale dell'imperialismo che li condanna all'annientamento. E' la lotta contro la lunga storia di oppressione e di saccheggio, oggi contro l'esperienza del modello di accumulazione transnazionale a cui sono sottomessi i paesi dipendenti che sono spinti dalla crisi verso la rovina economica e una miseria di massa.

La profonda penetrazione internazionale nel mercato mondiale, il fatto che l'imperialismo ha coperto l'intera periferia con la sua rete di produzione finanziaria e di mezzi di comunicazione, la sua incapacità di garantire uno sviluppo produttivo per la maggioranza degli uomini nel mondo e la crisi globale economico-politica del sistema, hanno contemporaneamente acutizzato e unificato globalmente le contraddizioni politiche, man mano che i movimenti di liberazione si sviluppavano con tutti i loro effetti. Il fatto è che il capitale nel sistema mondiale imperialista non riesce più ad uscire dalla crisi e che ovunque le masse non possono e non vogliono più vivere in questo sistema. Dato che si verificano su scala mondiale, la crisi e le contraddizioni politiche di massa sono più aperte che mai.

La penetrazione nella periferia, negli anni '60 e '70, di merci, capitali e cultura delle metropoli ha prodotto miseria di massa in una nuova dimensione, e contemporaneamente ha trasformato la coscienza degli uomini, cioè la coscienza della loro emarginazione e del loro diritto alla dignità umana e alla giustizia sociale, in diretta contrapposizione politica con l'imperialismo. Il sistema capitalista, nel suo stadio supremo, ha prodotto un tale impoverimento delle masse che evidenzia come la maggioranza degli uomini nel mondo non può vivere dentro questo sistema.

La politicizzazione delle contraddizioni nel Sud è il prodotto di questo sviluppo storico e l'effetto dei movimenti di liberazione: ovunque è cresciuta la consapevolezza degli uomini del fatto che, solo ricacciando il potere imperialista, può essere distrutta la rete di sottomissione, saccheggio e impoverimento, e che nelle lotte stesse possono nascere idee di liberazione e di vita autentica, nuove strutture di solidarietà e processi sociali che vanno al di là del sistema capitalistico.

La lotta degli sfruttati in tutto il mondo è quella contro un'esistenza priva di senso e prospettiva nell'ambito di un sistema che spinge la maggioranza degli uomini nella più profonda miseria materiale e morale, che lascia morire di fame milioni di uomini, perché divenuti superflui alla produzione di profitto. La trasformazione delle condizioni materiali di vita è la base e l'obiettivo necessario, però nella lotta delle masse ora, prima di tutto, si parte dall'autodeterminazione come esseri umani, intesa come produzione di sviluppi sociali per gli uomini. Questa è una necessità insopprimibile.

In Africa, in America Latina e in Asia, ovunque si chiede: «Pane, libertà e dignità». Sono lotte in cui l'obiettivo di distruggere il dominio dell'imperialismo sui popoli e di costruire una società umana è legato allo scopo di imporre, qui ed ora, i cambiamenti necessari per la sopravvivenza degli uomini.

A questo processo di insurrezione mondiale delle masse contro il sistema di annientamento e per una vita autodeterminata il movimento rivoluzionario nelle metropoli può legare direttamente le sue lotte e, in questo processo, diventa possibile la prospettiva dell'erosione del sistema attraverso lo sviluppo di contropotere rivoluzionario, in quanto processo globale.

I compagni in Nicaragua hanno detto: «I processi rivoluzionari sono le esperienze che, da uno stato di agonia fra vita e morte, hanno condotto a una lotta decisa per la vita. Il fatto che in gran parte della popolazione del Centro America si diffonda la volontà di resistenza e di lotta evidenzia che, con l'avvicinarsi della meta fondamentale, si rafforzano le mobilitazioni per le condizioni di vita materiali... La costruzione di una nuova identità culturale - la riconquista della dignità e di una maggiore comprensione della crisi - si esprimono, nella loro forma politica, come organizzazione autonoma del popolo. Per questo i popoli del Centro America vinceranno... perché nella guerra di lunga durata è decisivo il fattore politico-culturale e il fattore soggettivo».

E Abu Djihad dice rispetto all'Intifadah in Palestina: «Questa lotta è più che semplice indignazione e rabbia per la violenza degli occupanti. Essa è l'essenza della determinazione e della dignità di ogni singolo e di tutto il popolo... La meta è la liberazione dalla sottomissione... Le richieste concrete della Intifadah sono: basta con l'occupazione, basta con i coloni, basta con la repressione e l'impoverimento. Perché questi obiettivi non dovrebbero convergere con l'obiettivo generale della liberazione?»

Con ciò, egli ha caratterizzato precisamente non solo il nocciolo soggettivo e la politicizzazione delle lotte - così come ora si sviluppano dappertutto - ma anche il fatto che il processo di trasformazione, per raggiungere gli obiettivi di liberazione nei singoli scontri, è un processo internazionale che oggi può essere portato avanti.

L'aspetto determinante della situazione attuale, con cui tutte le forze rivoluzionarie devono fare i conti e da cui devono sviluppare la loro linea politica, è da una parte il blocco reciproco, nei rapporti di forza globali, determinato dall'equilibrio fra liberazione e imperialismo, e dall'altra la nuova dimensione della miseria e della guerra, la situazione insopportabile a livello materiale e morale delle masse subalterne, situazione che esse non accettano più e che richiede immediate risposte.

Ogni anno 50 milioni di morti per fame, massacri permanenti, fiumi di immigranti, distruzione delle basi di vita e nessuna prospettiva di uno sviluppo per tre quarti della popolazione mondiale, questa è la situazione che impone dei cambiamenti immediati e nello stesso tempo rende più acuta la coscienza che questi cambiamenti possono essere raggiunti solo nell'unità della lotta degli sfruttati contro la struttura internazionale di sfruttamento capitalistico/finanziario e di dominio, contro l'imperialismo.

Questi sono i due lati del processo in cui ora vengono condotte le lotte e in cui devono essere imposti i cambiamenti necessari, voluti dagli uomini, in quanto passaggi nel loro processo di liberazione - contro la povertà, la sottomissione e contro la guerra, per una vita umana e autodeterminata.

Fa parte di questo processo la resistenza contro i "diktat" del FMI e contro le ragioni di scambio internazionali dominate dal capitale monopolistico che rendono impossibile ogni sviluppo economico-sociale nel Sud.

La lotta contro la povertà e per condizioni di vita più umane oggi è necessariamente antimperialista. E' la lotta per imporre le richieste politiche e materiali degli sfruttati contro il capitale internazionale, e con essa l'imperialismo deve e può essere obbligato a fare passi che si muovono in direzione delle esigenze di vita degli uomini nel Sud. I sindacati e le organizzazioni rivoluzionarie dell'America Latina hanno invitato alla mobilitazione tutti i paesi latino-americani contro il vertice del FMI/Banca Mondiale a Berlino.

Se essi chiedono la cancellazione dei debiti, e invitano le masse alla lotta contro la politica del Fondo e per lo sviluppo diretto, indipendente e autodeterminato, si tratta di un chiaro orientamento, a cui si lega direttamente la lotta degli sfruttati nel Sud e la resistenza che qui da noi combatte la politica mortale dell'élite metropolitana, delle multinazionali e delle banche transnazionali nei confronti degli uomini nel Sud.

Le mobilitazioni si rivolgono contro il nemico comune, contro la stessa struttura di dominio, che è responsabile della miseria e della distruzione su scala mondiale. E le lotte, soggettivamente, sono vicine tra loro: si coniugano nella volontà degli uomini di vivere in modo autodeterminato e di imporsi contro il potere.

Per la resistenza qui da noi la questione non può essere se sostenere o no le richieste fatte dalle masse che si ribellano, dalle loro organizzazioni e dai gruppi rivoluzionari - questo può essere solo un riferimento. Se i Verdi poi fanno le stesse richieste, è un problema loro e non del movimento rivoluzionario. Le richieste di cancellazione dei debiti, di un nuovo ordine economico internazionale, e di prestiti in denaro senza condizioni alle popolazioni nel Sud corrispondenti ai loro bisogni, sono elementi della lotta per i diritti fondamentali dei popoli ad uno sviluppo autonomo e autodeterminato. Esse ora sono parte del processo necessario e dialettico, in cui vengono erose posizioni strategiche dell'imperialismo e in cui gli sfruttati strappano all'imperialismo il suo potere di disporre in modo assoluto dei mezzi economici; ed esse sono necessarie per creare ora le condizioni materiali affinché gli uomini possano vivere.

E' una lotta che non solo ha bisogno degli attacchi contro i centri del potere imperialista, ma si lega dialetticamente con essi. Il cavillare su queste richieste è un'idea che può venire solo ad una sinistra ottusa e sciovinista, che da qui celebra le rivolte delle masse e non solo chiude gli occhi di fronte alla situazione insopportabile delle masse stesse, ma per di più non lotta neppure per un progetto reale che possa cambiare questa situazione, o che, a fronte di questo cambiamento, possa far avanzare realmente il processo rivoluzionario. Essa non comprende neanche la qualità politica delle lotte - che, invece, è la cosa nuova e decisiva - e ancor meno comprende la necessità di una politica e di una organizzazione rivoluzionaria che dia forza strategica alle lotte per raggiungere i suoi scopi e per imporre i cambiamenti ora necessari.

Per il movimento rivoluzionario nelle metropoli ora si tratta di arrivare, partendo dal concetto politico dell'identità sostanziale della realtà internazionale nella guerra internazionale di classe, a una visione chiara e politica della situazione e delle lotte nel Sud. Esso può rivolgersi direttamente alle masse in ribellione e alle forze rivoluzionarie. Questo vuol dire in primo luogo: comprendere veramente la situazione e quindi i processi reali degli uomini e le nuove determinazioni dei rivoluzionari in ogni momento.

Oggi si tratta della collaborazione politica e pratica degli sfruttati in tutto il mondo e dell'unità dei rivoluzionari nella lotta contro l'imperialismo, in cui solidarietà rivoluzionaria e internazionalismo sono ovunque e immediatamente parte della politica autentica. Questo è necessario, perché ogni lotta, in qualsiasi settore si svolga, è direttamente parte del processo internazionale, altrimenti essa non ha nessuna prospettiva e i suoi obiettivi non possono realizzarsi fuori da questa dimensione. Tutte le lotte hanno di fronte la stessa struttura di profitto e di potere contro cui devono imporsi. E ciò è possibile perché ovunque le lotte si avvicinano tra loro e l'internazionalismo, in esse, si identifica.

Le azioni degli sfruttati a livello internazionale sono «universali e umane» e sono «azioni nel nome dell'umanità» - questo è l'internazionalismo - così come dicono nel Kurdistan.

Questa è la coscienza che ora cresce ovunque e da ciò sono possibili nuovi rapporti e discussioni, nuovi processi comuni in quanto si tratta di lotte coscienti e comuni. L'autodeterminazione è possibile soltanto entro il rapporto sociale e quello di oggi è internazionale. Partendo da questa concezione, l'internazionalismo è parte della lotta per l'autodeterminazione.

La situazione nei paesi della periferia è caratterizzata dal «prolungamento della guerra e acuirsi della crisi» - come dicono in Nicaragua - senza una fine prevedibile e con la tendenza all'approfondimento delle contraddizioni sociali e politiche nella società e ad una sempre maggiore partecipazione di ampi strati di popolazione alla lotta. Nei paesi in cui esiste la guerriglia, le strategie militari dell'imperialismo - i suoi progetti politici, economici e militari nel quadro di una conduzione della guerra di basso profilo - girano a vuoto: né si riesce a vincere militarmente la guerriglia, né ad isolarla dalle masse, quindi la resistenza della popolazione non può più essere spenta. Al contrario, le lotte di guerriglia e le rivolte si estendono e nasce una nuova dialettica fra resistenza dal basso e guerriglia.

Le cosiddette "nuove democrazie", espressione dello sviluppo storico contro l'egemonia USA e reazione alle crescenti contraddizioni nella popolazione, sono incastrate in una trappola - principalmente in quei paesi in cui la lotta organizzata del popolo è ancora debole - una trappola costituita da: una escalation della guerra sporca, la realtà oggettiva di una profonda crisi economico-sociale e un indebitamento senza vie di uscita, e, infine, dalla sempre più radicale richiesta delle masse di giustizia sociale, dignità umana e partecipazione al potere politico. E' già fallito il calcolo dell'imperialismo di spostare l'equilibrio in modo che le lotte dal basso siano soffocate nella distruzione e soccombano alla politica - perché la miseria diventa sempre più grande e la prospettiva di cambiamenti reali non è tangibile. Questa è la storia del Nicaragua ed è lo stesso sviluppo che si ripete in El Salvador, Sudafrica, Palestina...

I processi di presa di coscienza e di politicizzazione si approfondiscono ovunque si sviluppa la consapevolezza che l'imperialismo è un sistema totale, e ovunque ne vengono messi in discussione e combattuti l'ordine, i valori e le strutture.

La situazione d'equilibrio tra imperialismo e rivoluzione significa che l'imperialismo vuole impedire con tutti i mezzi e ovunque uno sfondamento rivoluzionario e vuole bloccare ogni sviluppo autodeterminato, però non può neanche ricacciare indietro le lotte che si radicalizzano e si estendono nelle società. Contro questa oggettività deve essere conquistato come contropotere ogni spazio di vita e ogni realizzazione umana.

I contadini impoveriti, gli uomini che vivono negli slums e nei campi si conquistano la capacità di organizzare e difendere la loro vita. Ovunque sono messi a confronto con questa realtà di guerra e di potere totale del sistema, che attacca ogni organizzazione autodeterminata e solidale di vita e che vuol distruggere tutte le espressioni di vita non controllate e non determinate dal sistema stesso. E, attaccando l'ordine dominante e mobilitando il potere popolare, diventano parte dello scontro politico-militare, del Fronte rivoluzionario.

La situazione nei nuovi Stati nazionali in cui gli sviluppi sociali necessari e voluti sono bloccati nella morsa fra le guerre fomentate dall'imperialismo e la dipendenza dal mercato mondiale, dimostra che, finché i rapporti economici sono dominati dall'imperialismo, finché le sue posizioni di potere non vengono ridotte, non sono possibili sviluppi sociali produttivi. Con le vittorie delle rivoluzioni nazionali si son potute costruire le condizioni minimali di vita per la popolazione, ma un ulteriore sviluppo del processo di liberazione è bloccato, fino a quando l'imperialismo può continuare la sua politica economica di ricatto - perché sono gli imperialisti che possiedono il denaro e la tecnica di cui il Sud ha bisogno - e il suo potere è abbastanza forte per condurre guerre controrivoluzionarie. La situazione nel Mozambico, in cui gli uomini soffrono di nuovo la fame, dimostra che l'imperialismo può distruggere nuovamente perfino lo sviluppo più elementare.

E' storicamente fallita la strategia di un recupero capitalistico nei paesi della periferia - cioè il tentativo di promuovere uno sviluppo integrato nella struttura del mercato mondiale e con ciò integrato e controllato dal sistema di egemonia USA.

I programmi di sviluppo regionale, i programmi della Banca Mondiale, il mutamento del sistema di importazioni, la costruzione dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, di tutto ciò nulla è rimasto. In tutti questi paesi ciò che avviene è un processo di de-industrializzazione. Si può osservarlo chiaramente in America Latina ed è una realtà in tutti i paesi dipendenti in Asia e in Africa.

Il Fondo e le banche transnazionali esercitano una politica che uccide gli uomini. I loro programmi di "soluzione" per la crisi di indebitamento non significano nient'altro che ancor meno salario, ancor meno miglioramenti sociali, e questo vuol dire annientamento per tutti quelli che sono già emarginati dal sistema. In America Latina oggi tre quarti della popolazione vive al di sotto del minimo di sussistenza, o, come ha detto Castro, sono costretti ad una esistenza da non-uomini - e questa è oggi globalmente, la situazione delle masse subalterne. Il sistema capitalista nel Terzo Mondo storicamente è fallito, è arrivato alla sua fine!

All'inizio degli anni '60 il governo americano promuoveva in America Latina il progetto dell'"Alleanza per il progresso", come reazione alla vittoria delle rivoluzioni in Cina, Algeria, Cuba. In quella fase di espansione transnazionale tale progetto aveva lo scopo economico di assicurare al capitale internazionale libero accesso ai mercati, alle materie prime e alla forza-lavoro. Il programma prevedeva un investimento di 20 miliardi di dollari in un arco di 20 anni in America Latina. Però, fin dall'inizio, esso fu contraddistinto dall'istaurarsi di regimi terroristici che, mediante la dottrina della "sicurezza nazionale" e sostenuti da una struttura di contro-rivoluzione, finanziata e attrezzata con i metodi del servizio segreto americano, opprimevano brutalmente ogni resistenza della popolazione: migliaia di oppositori venivano arrestati, torturati, assassinati, o sparivano senza lasciar tracce, dopo essere stati sequestrati dagli squadroni della morte.

La RFT vi partecipava direttamente: il suo governo sosteneva politicamente questi regimi, il 90% degli investimenti diretti delle multinazionali tedesche, negli anni '60 e '70, andavano in America Latina.

Il massiccio processo di industrializzazione negli anni '70 veniva finanziato mediante i crediti delle banche transnazionali e dal Fondo/Banca Mondiale. Con ciò si metteva in moto un saccheggio mai visto prima. I crediti e i prestiti delle banche transnazionali, legati a una serie di condizioni - cioè l'imposizione di politiche economico-sociali trasmesse attraverso lo strumento dell'imperialismo, il FMI, - hanno significato una inversione del flusso del capitale. In misura mai vista, ora, da questi paesi, si esportava capitale negli Stati metropolitani. Alla fine degli anni '70 questo sviluppo riceveva una nuova enorme spinta attraverso la politica di riarmo dell'imperialismo e il suo finanziamento mediante il rialzo dei tassi di interesse e la funzionalizzazione del sistema transnazionale delle banche. Per due terzi della popolazione ciò significava miseria assoluta.

Tuttavia, i regimi militari non potevano venire a capo della crisi economico-sociale e non potevano sconfiggere la resistenza delle masse impoverite. Al contrario, le contraddizioni si sono tanto acutizzate da essere ora insolubili.

I paesi dell'America Latina sono oggi quelli con il più alto indebitamento nel Terzo Mondo; la crisi economica è irreversibile, diventa sempre più crisi politica e anche i paesi cosiddetti "democratici" - che venivano instaurati come risposta al fallimento del progetto imperialista - e all'acuirsi delle contraddizioni sociali e politiche - perdono quotidianamente terreno, mentre aumentano le rivolte dal basso. I processi di ristrutturazione che, all'inizio degli anni '80, sono diventati necessari per il capitale multinazionale, aggravano ulteriormente questo sviluppo. Essi significano licenziamenti di massa e de-industrializzazione e con ciò un crescente impoverimento degli strati di popolazione che, negli anni '60, avevano usufruito del "miracolo economico". Gli imperialisti volevano investire 20 miliardi di dollari in America Latina; oggi questi paesi pagano ogni anno 40 miliardi di dollari di tassi di interesse, e questo in una situazione di profonda crisi politica e sociale in cui sono economicamente rovinati.

La crisi economica, le strutture economiche deformate, la miseria di massa, tutto questo non è più reversibile all'interno degli attuali rapporti di potere del mercato mondiale; e, di conseguenza, questo vuol dire, che è irreversibile all'interno del sistema imperialista.

Il rapporto economico centro-periferia è sostanzialmente di guerra e nessun Piano Marshall, proposto da alcune frazioni della borghesia per favorire l'apertura di nuovi mercati alle multinazionali, può aggirare questo dato di fatto. Nel sistema capitalista, per le masse nel Sud non esiste nessuna possibilità di sviluppo economico-sociale, indipendentemente da quale sia il governo al potere. E' la logica capitalista, la struttura stessa del sistema, che uccide gli uomini. Quando, all'inizio degli anni '80, esplodeva la crisi di indebitamento e la miseria di massa raggiungeva nuove dimensioni, ciò è diventato storicamente evidente.

I compagni in America centrale hanno calcolato che, perfino qualora cessasse la guerra e fossero fatti massicci investimenti per la ricostruzione dell'economia nella regione, soltanto in trenta anni si potrebbe determinare un cambiamento sensibile nelle condizioni materiali di vita della popolazione, e solo a condizione che, contemporaneamente, vengano trasformati i rapporti di forza nel mercato mondiale e venga sconfitto il diktat dei monopoli. Però gli uomini non si sdraiano più in attesa della morte, non aspettano più trenta anni; si pone oggi la questione se vivere o morire. La questione è che non c'è alternativa alla lotta, perché altrimenti si dovrebbe rinunciare ad ogni idea e ad ogni esperienza di una vita dignitosa e umana. E le cose stanno proprio così: vengono viste diversamente soltanto dalle teste dei borghesi del piccolo segmento dell'Europa occidentale, degli USA, del Giappone e da quel 2% della popolazione del Terzo Mondo di cui essi possono fidarsi; se non esiste nient'altra possibilità che la lotta, allora la supremazia delle armi perde di significato, perde il suo effetto deterrente, la sua forza materiale e politica.

Ovviamente l'apparato imperialista diventa sempre più sofisticato e brutale in questo scontro, il suo potenziale bellico aumenta sempre di più. Con questo possono sì ammazzare, ma non possono più cambiare nulla. E un grosso colpo possono farlo solo a prezzo del loro stesso annientamento.

I 12 anni di guerra fomentata dall'imperialismo contro l'Angola e il Mozambico, gli 8 anni di guerra contro il Nicaragua, hanno dimostrato che le guerre oggi hanno solo lo scopo di bloccare ogni sviluppo indipendente esercitando il terrore contro la popolazione e provocando la distruzione dell'economia. I massacri del popolo palestinese, l'invasione del Libano, il terrore contro la popolazione in El Salvador, nel Kurdistan... non possono più costringere militarmente nessuno, possono solo distruggere, ma non possono più instaurare il loro sistema. L'imperialismo ha perso irreversibilmente «la battaglia per le teste, i cuori e le pance» delle masse nel Terzo Mondo. Tale è lo sviluppo su scala mondiale, e non è più possibile ritornare indietro. Si effettua in scontri concreti, determinati - il che significa che hanno una loro specificità - contraddittori e spesso aggrovigliati fino al caos. Esso ha però attualmente una direzione reale la quale, dal momento che tutto è connesso, comprende tutti i settori e si delinea sempre più chiaramente in tutti gli scontri come uno sviluppo unitario, creando un fattore politico qualitativamente nuovo: visto che ovunque, in ogni singola battaglia, lo scontro è con l'intero potere del sistema, attraverso gli specifici conflitti regionali si costruisce un'unica linea internazionale del Fronte contro il centro del sistema, cioè, contro gli Stati Uniti e la catena degli Stati imperialisti.

Poiché questo sviluppo è sempre più visibile, effettivo, operante, esso diventa parte della forza rivoluzionaria politico-militare contro l'imperialismo, che è in grado di disperderne le forze, creando difficoltà ai suoi piani strategici. Essi non possono infatti impegnare contemporaneamente e ovunque tutti i loro mezzi e non possono sostenere politicamente la generalizzazione della guerra, né a livello di politica interna, né di quella estera, date le contraddizioni esistenti all'interno della catena degli Stati imperialisti. E questo diventa un fattore politico anche per noi; le lotte si danno reciprocamente forza e certezza. Ogni disarticolazione della strategia politica-economica-militare dell'imperialismo raggiunta dalle masse e dalle forze rivoluzionarie in un settore, ogni spostamento del rapporto internazionale di forza che ne deriva, sposta immediatamente i rapporti di forza nel centro così come in tutti gli altri settori dello scontro mondiale, a causa del suo effetto politico e della dialettica di reazione del sistema. Così oggi si muove la dialettica dello scontro, in ciò diventa reale il dissesto dell'intero sistema imperialista - e anche la possibilità di una direzione di sviluppo fondamentalmente diversa nelle metropoli. Non esiste più mediazione fra il tentativo dell'imperialismo di superare la sua crisi storica attraverso il dispiegamento di mezzi tecnologici e militari, e la situazione delle masse, della loro lotta per l'autodeterminazione e la dignità umana.

Questo trova oggettivamente la sua espressione nelle strategie di alta tecnologia del capitale internazionale: in esse la maggioranza degli uomini nel mondo è strutturalmente liquidata, eliminata, superflua. Nella logica della valorizzazione capitalistica, soltanto l'investimento nel ristretto settore dell'alta tecnologia, dell'industria bellica, dà margini accettabili di profitto. Per i monopoli non sono interessanti gli investimenti che rendono possibile un minimo di sviluppo per i popoli, dal momento che essi non comportano abbastanza profitto.

Jan Myrdal ha scritto: «Però, adesso, alla fine di questo secolo, lo sviluppo scientifico-tecnico ha aperto una strada che conduce in un nuovo mondo, bello e tutto diverso. Un mondo in cui viene abolita la povertà, in cui i miserabili vengono liberati dalla loro miseria terrestre mediante il loro puro e semplice annientamento.

Poiché per la prima volta la maggioranza dei popoli è sulla buona strada per diventare superflua all'élite... non dubito della fredda determinazione dell'élite di abolire sottosviluppo e povertà eliminando fisicamente la povera maggioranza il giorno in cui sarà politicamente possibile farlo. Non dubito che questa determinazione, poi, verrà razionalizzata da una ideologia rivestita di begli ideali... Ora, dunque, i popoli - per primi quelli del Terzo Mondo, ma poi anche qui da noi - per la prima volta si trovano davanti alla scelta: o la non-coscienza che non solo li confina nello sfruttamento, ma conduce al loro annientamento in quanto superflui, o l'azione cosciente che libera non solo una classe ma l'intera umanità».

Tuttavia, ciò che gli imperialisti vorrebbero - cioè buttar fuori, "licenziare" praticamente, la maggioranza della popolazione mondiale dal sistema mondiale e usare questa minaccia come ricatto per la completa sottomissione delle masse - non funziona. Questo è il progetto dell'élite tecnocratica metropolitana, ma non è la realtà. In esso si esprime l'arroganza e la cecità di coloro che possiedono le armi, il denaro, la tecnica e la rete di comunicazione internazionale, e che per questo credono di avere il potere di imporre tutto ciò che vogliono, liquidando le masse con qualche briciola: un po' meno indebitamento, un po' più di aiuto per lo sviluppo; oppure ignorandole completamente.

Ma questi tempi sono finiti. Questo progetto non può funzionare perché il processo di politicizzazione e appropriazione maturato nelle lotte è andato troppo avanti e nemmeno con questa guerra totale, imposta dalla sua strategia, la borghesia riesce ad eliminare la capacità degli uomini di essere soggetti della loro storia, di determinare gli obiettivi e il senso della loro vita, e di lottare per essi.

La situazione e le richieste delle masse subalterne, dei popoli, non possono più essere ignorate.

Gli imperialisti si rendono conto che devono cercare mezzi e strade per impedire le esplosioni sociali, poiché l'escalation nel Terzo Mondo della miseria senza prospettiva di cambiamenti, significa, prima o poi, la rovina dell'intera rete di rapporti della politica internazionale. Essi cercano una soluzione nel "management" della crisi, mediante misure a lungo e a breve termine; la questione è se riusciranno a dirigere i cambiamenti, che sono ineludibili, in una direzione funzionale alla stabilizzazione dell'intero sistema; o se i cambiamenti corrisponderanno invece a quello di cui gli uomini materialmente hanno bisogno e che oggi è voluto dalle forze di liberazione. Ciò significa che la situazione delle masse cambierà a seconda dei loro bisogni se la pressione dal basso e quella delle lotte rivoluzionarie su scala internazionale saranno abbastanza forti per imporre una loro direzione di sviluppo e ricacciare indietro il potere imperialista; uno sviluppo cioè in cui le posizioni di potere dell'imperialismo vengano disarticolate, in cui la strategia del capitale internazionale venga combattuta. Le cose andranno altrimenti se l'imperialismo riesce a costruire - e qui gli Stati Europei Occidentali giocano un ruolo centrale - un patto per la soluzione della crisi internazionale con la borghesia nel Sud e con gli Stati Socialisti, che stabilizzi, in un processo di crisi permanente, le strutture del mercato mondiale, così da poter dirigere la crisi in una direzione funzionale agli interessi del capitale monopolistico; poiché non c'è nulla da riformare: o si rovescierà il sistema mediante la lotta degli sfruttati su scala mondiale, o nella struttura si riprodurrà, a un livello più alto, il potere del sistema capitalista.

La questione per i rivoluzionari in tutti i continenti è, quindi, come possiamo bloccare questa possibilità agli imperialisti, possibilità che per noi, gli sfruttati e oppressi a livello internazionale, significa solo ulteriore aggravamento della miseria, guerra e distruzione senza fine, quindi prolungamento di una situazione che già adesso è insopportabile; e come possiamo mettere in moto uno sviluppo con cui spezzare l'attuale situazione di equilibrio e far nascere una dinamica che spinga in avanti l'erosione del sistema imperialista a tutti i livelli, creando così lo spazio per mutamenti nei rapporti di forza e, di fatto, per un cambiamento nella situazione degli uomini in tutto il mondo.

Nelle metropoli, quindi, si tratta di legare strategicamente le lotte contro l'annientamento e per l'autodeterminazione qui, nei loro concreti contenuti politici, con i processi nel Sud per arrivare ad una lotta unita contro le strategie del capitale internazionale e contro il potere dell'imperialismo.

Note

(1) Articolo introdotto recentemente nella legislazione della RFT. Esso punisce anche i "fiancheggiatori" delle associazioni sovversive. In base a questo articolo viene represso il dissenso politico.

(2) L'equivalente in Germania dell'UCIGOS italiano.

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