IL BOLLETTINO: NOTIZIE EUROPA

Francia:

POLITICA E RESPONSABILITA' DEL PRESIDENTE DELLA RENAULT GEORGES BESSE

Contro il consenso

E' di moda fare riferimento al consenso. L'azione contro il Presidente della Renault è tra quelle che riscuotono l'unanime condanna di coloro che fanno opinione. Ma questo consenso che si concretizza nel discorso dei media non è che l'aspetto palese di un fenomeno di ben altra gravità. Se c'è una cosiddetta convergenza nel condannare l'azione del commando Pierre Overney, c'è soprattutto accordo nel non parlare della politica economica e sociale che G. Besse applicava in azienda. Inoltre, c'è il tacito accordo di non discutere o di impedire la discussione sulle grandi scelte tecnologiche, finanziarie, politiche, sociali e di conseguenza semplicemente e profondamente umane sottese alle ristrutturazioni industriali.

Action Directe è un'organizzazione rivoluzionaria che ha scelto la lotta armata. Ai suoi membri difenderla e giustificarla. Noi tratteremo qui dei problemi sollevati, di riflesso ma anche direttamente, dagli attacchi di Action Directe, e in particolare da quelli contro Guy Brana, vicepresidente del CNPF (equivalente della Confindustria italiana, ndr), e Georges Besse. Poiché la politica messa in atto da questi uomini riguarda ciascuno di noi e si inscrive perfettamente nel quadro mondiale della politica imperialista di dominio e di trasformazione del modo di produzione capitalista nel senso di una maggiore alienazione per tutti, come vedremo.

Ma innanzitutto, siamo grati ad Action Directe perché pone senza ambagi le questioni di fondo. Certo, ci sono altri modi per parlare di ristrutturazioni industriali, per esempio attraverso lo sviluppo della disoccupazione. Ma che cosa constatiamo per l'appunto? Che le vere scelte sulle quali dovremmo discutere vengono eluse a vantaggio di "scelte" superficiali: ci viene imposta la tale o talaltra gestione sociale della disoccupazione (che cinismo in questa espressione!), e ciò senza mai spiegarci le basi e le finalità della politica di ristrutturazione economica a oltranza e le sue conseguenze sociali ed umane. Non ci presentano seriamente neppure gli obiettivi... o arriva Yves Montand a "parlarci della crisi" e ad esortarci a ridurre il nostro tenore di vita! Oscenità dello spettacolo offerto dai media! Al sistema torna del tutto comodo questo aspetto pagliaccesco che, trattando i problemi di fondo col tono della farsa, li svuota. Anche se con Le Pen la mistificazione assume un carattere più tragico che con Montand.

Il discorso politico del consenso non affronta mai lo studio delle alternative. In questo sta il suo totalitarismo: esso si svolge totalmente in un mondo chiuso, che nega qualsiasi possibilità di oltrepassamento. Per questo esso deve restringere i campi di espressione antagonista: è il ruolo, assegnato ai media, di fare da cassa di risonanza solo per quei discorsi che non mettono in discussione gli orientamenti fondamentali. Al contrario, riflettendo pubblicamente sugli attacchi politico-militari di Action Directe, noi ci esprimiamo al di fuori del consenso, contro questo "Stato di diritto" che maneggia un po' troppo la "ragione" di Stato e i vuoti discorsi. L'emergere di questo antagonismo è tanto più necessario nel momento in cui la società è agitata da crisi economiche, politiche ed etiche profonde.

Nel mondo contemporaneo e in un paese come la Francia, il consenso non è più un elemento decorativo. Esso è un ingranaggio essenziale per perpetuare la gestione tecnocratica. Con l'assenza di un vero dibattito e il tabù mantenuto intorno a certi orientamenti politici determinanti, sfociamo in una passività che vuole essere accettazione e persino giustificazione delle decisioni dei "gestori". Ora, non si può avere "gestione" della società se non è bandita ogni opposizione. Si può gestire solo ciò che non viene rimesso in discussione nei suoi stessi fondamenti. Il ruolo del consenso è dunque doppio:

- far credere che solo alcuni possono gestire le cose, visto il livello di estrema complessità del mondo nel quale viviamo: i tecnocrati;

- affermare che le scelte strategiche sono guidate dalla necessità («la crisi impone delle scelte talvolta laceranti»), quindi che non ci sono più scelte nel senso forte del termine; è la "gestione" di tutti gli ambiti della società.

E' vitale per il sistema che questi dibattiti vengano soffocati. La repressione si è evoluta nel corso dei secoli. Se gli autodafè sono tipici della tirannia nel senso in cui era praticata dall'Inquisizione, il consenso è l'arma politica del totalitarismo nella sua giustificazione tecnologica. Esso poggia sulla diffusione di massa nei paesi occidentali di standard di vita e di consumo, sul permanente intervento dei media nella vita del cittadino e sulle loro menzogne. Così, quando i tecnocrati ci dicono che non fanno altro che gestire la società o la crisi, è perché hanno tutto l'interesse a far credere che la politica o l'economia siano determinate da decisioni sulle quali più nessuno vuole o "può" ritornare. Tutto ciò mira a negare la loro responsabilità. Noi siamo, da parte nostra, di tutt'altra opinione...

Il ruolo specifico di G. Besse alla Renault

I discorsi dei media sull'"affare Besse", riducendo un uomo che si trovava alla testa di un'impresa come la Renault a un "semplice padre di famiglia", maschera la politica che egli metteva in atto o di cui assicurava la continuità (1). G. Besse alla direzione della Renault ha significato disoccupazione per decine di migliaia di operai, 43.000 per l'esattezza, senza prospettive di ritrovare un lavoro, dato che, per la maggior parte, essi non erano qualificati.

Il discorso dominante predica la totale mancanza di responsabilità degli uomini del potere. Tuttavia, il Presidente della Renault ha conosciuto una carriera edificante. E' stato uno dei padri del nucleare civile e militare francese, responsabile tra gli altri della costruzione della fabbrica di Pierrelatte e del centro di trattamento delle scorie nucleari di La Hague, poi è diventato Presidente di Péchiney-Ugine-Kuhlmann. Quando è stato nominato Presidente della Renault, G. Besse era diventato un perfetto tecnocrate che rivestiva un ruolo chiave nelle relazioni tra lo Stato e il CNPF, per il fatto stesso che la Renault appartiene al settore industriale pubblico e supera largamente, per i subappalti e tutte le attività legate al settore automobilistico, il settore privato. E poi, non dimentichiamo la sua fama di "padrone-buttafuori", come intitolava Libération il giorno della nomina di G. Besse alla direzione della Renault.

Questo ruolo chiave di G. Besse pone il problema della realtà del potere in una società "democratico-liberale". Non essendo investito di alcuna responsabilità politica nel senso corrente del termine, egli godeva tuttavia di un'autorità politica nel senso pieno del termine. E' un caso tipico di quella separazione tra "politica politicante", il politicantismo dei partiti e delle fazioni, da una parte e la gestione economico-social-"politica" assunta da una casta insensibile alle scelte dei cittadini, dall'altra.

Poco importa infine chi, in quanto individuo, mette in atto una tale politica. Ciò che conta sono le decisioni imposte, lo strato sociale che le mette in pratica, e a profitto di quale classe.

La politica di G. Besse alla testa della Renault

1. Politica economica

L'attività di G. Besse alla Renault si inscrive sicuramente nella politica di distruzione delle grandi unità produttive, giudicate troppo poco redditizie e inadatte ai "bisogni" moderni. Attraverso la robotizzazione e l'informatizzazione, vale a dire attraverso la disoccupazione di un gran numero di operai e di membri del personale, si arriva a ridurre i costi di produzione. Ma questo non è tutto poiché, grazie all'informatizzazione, si tratta di ottimizzare l'adeguamento dell'impresa al mercato e di proporre dei prodotti in serie "individualizzati". E' l'irruzione della gestione della produzione con l'ausilio del computer, la GPAO (gestione computerizzata della produzione), nell'industria automobilistica in particolare. Un esempio del genere è la giapponese Toyota, che è in grado di fornire quanto le è stato commissionato in sei giorni, di cui due appena per la produzione propriamente detta! Cosa che implica uno sconvolgimento del modo di produzione in un'impresa come la Renault.

Fino all'intervento di G. Besse, l'azienda è servita da palliativo ad un'assenza di pianificazione dell'industria francese attraverso il mantenimento artificiale di attività non redditizie. Accettando di rovesciare questo artificiale e quindi molto fragile equilibrio nazionale, il Presidente della Renault era al servizio di una politica di ristrutturazione su scala nazionale e mondiale che, per mezzo dell'attivazione di mezzi tecnologici enormi (informatizzazione e robotizzazione), condannava indubbiamente interi spezzoni dell'economia francese alla sparizione pura e semplice. E ancora, in mancanza di un dibattito serio su questi nuovi orientamenti, le decisioni sono state applicate senza tante formalità da G. Besse e dai dirigenti della Renault.

Sarebbe tuttavia troppo facile mettere in evidenza solo la responsabilità di un tecnocrate. In effetti, dopo la guerra la deriva revisionista delle organizzazioni della classe operaia (sia il Partito Comunista che i sindacati) ha molto semplificato il compito assegnato al padronato. Il Partito Comunista, con il suo sciovinismo esacerbato dalla "crisi" e la sua collaborazione parlamentarista, non ha sviluppato l'analisi internazionalista e l'azione politica di campo necessarie per denunciare e combattere la trasformazione del modo di produzione capitalista, al fine di operare per il suo superamento. I sindacati si sono apertamente comportati come cinghie di trasmissione del padronato, alla maniera dei loro colleghi americani o tedeschi. Questa critica della politica revisionista e collaborazionista delle vecchie organizzazioni operaie (che non svilupperemo ulteriormente benché sia molto importante) viene troppo spesso svuotata. Tuttavia, la Renault è stata fino alla fine degli anni sessanta il "bastione" della classe operaia. Oggi essa è solo un'impresa come le altre sul piano delle lotte.

A livello di Esagono (espressione figurata che sta per "Francia" - la Francia geograficamente ha una forma esagonale, ndr), il mantenimento dell'industria nel gruppo di testa dei paesi industrializzati (si legga «il mantenimento del dominio e della politica attuali...») è dunque "dovuto" passare attraverso le ristrutturazioni. Queste ultime sono state "giustificate" dalla "necessità" di conformarsi alle regole della competizione economica mondiale (la "guerra economica", ci dicono i media). I rami secchi erano destinati alla sparizione. E' uno degli aspetti tangibili delle contraddizioni in seno al sistema capitalista.

Sul piano interno, il fatto che la Renault sia un'impresa nazionale non ha per nulla moderato la ricerca della sola redditività, a detrimento del suo vecchio ruolo di palliativo ad un'assenza di pianificazione. G. Besse ha diretto l'azienda come se si fosse trattato di un'impresa privata: ha trasformato la Renault in una società di tipo privato, con tutta la libertà di manovra che ciò comporta, sul piano sociale in particolare. Tuttavia, questo scivolamento dalla "logica del settore pubblico" verso quella del settore privato non è stato operato a livello di politica estera dell'impresa. Al di fuori delle frontiere, la Renault è rimasta uno degli elementi che hanno permesso di mantenere o di rafforzare il dominio della Francia su certi paesi, in generale le ex-colonie. Così, il ruolo dell'azienda in Africa è ben noto. Essa non ha mai cessato di consegnare i suoi "camions" muniti di torrette! Non ritorneremo sulla situazione di dipendenza dei paesi del "terzo mondo". Sottolineiamo che la Renault è rimasta, sotto G. Besse, uno di questi strumenti concreti della politica imperialista francese in Africa. In questo campo, l'azienda resta certo al servizio dello Stato, parte integrante del settore pubblico industriale, anche se la redditività della Renault viene esibita per "ristrutturare" a tutto spiano.

2. Il costo sociale

Analizzare la politica di G. Besse in termini di redditività, efficacia, modernizzazione della produzione, tutto ciò è notoriamente insufficiente. Innanzitutto perché fa astrazione dal costo sociale ed umano immediato di una tale politica. Come se bastasse invocare le indennità di allontanamento "volontario", di prepensionamento o di licenziamento per regolare i problemi dei lavoratori. Ora, il lavoro salariato è nella società capitalista il solo modo di vita proposto a centinaia di migliaia di lavoratori. Non soltanto modo di vita finalizzato a guadagnarsi il pane, ma anche modo di esistere in società: come dimostrano varie inchieste, la giustificazione di questo modo di vita alienante attraverso il valore "lavoro" è ancora largamente dominante ed operante, e lo è anche sempre più, con l'aiuto della "crisi"...

Poi, la redditività e l'efficacia della politica di G. Besse si misurano in rapporto alla redditività e all'efficacia di una politica d'insieme. Allora non si tratta più soltanto del settore industriale pubblico o della politica economica della Francia, ma si tratta piuttosto del modo di produzione capitalista così come esso ricerca se stesso nel mutamento in corso e delle conseguenze di questa evoluzione sull'insieme della società.

Il costo sociale diretto è la disoccupazione. La politica di ristrutturazione ha in effetti avuto in Francia un saldo di milioni di disoccupati e si è chiusa con un'offensiva contro le conquiste sociali (che si tratti del calo del potere d'acquisto, degli attacchi al diritto di sciopero, della scomparsa di fatto dello SMIC attraverso la scappatoia dei salari miserevoli dei TUC, PIL e altri SIVP, della rimessa in discussione della sicurezza sociale, fino all'offensiva ideologica contro il concetto stesso di conquiste sociali). Non dimentichiamo che G. Besse alla direzione della Renault ha significato 43.000 lavoratori licenziati, senza contare le conseguenze indirette a breve e medio termine, sulle imprese di subappalto in particolare.

Nell'impresa, la robotizzazione delle catene di montaggio smembra i gruppi di lavoro. La politica di individualizzazione spezza le potenzialità della lotta collettiva. A livello di politica sociale ciò si traduce nella differenziazione dei salari, nella compartecipazione dei dipendenti, nei piani di risparmio d'impresa e in tutti i nuovi modi di "gestione delle risorse umane" (sic!). Non passa una settimana senza che un'esperienza in grandezza naturale di queste pratiche di ristrutturazione sociale nell'impresa non venga riportata in un libro o in una rivista specializzata. Ricordiamoci del grande sciopero del giugno 1978 alla Renault-Flins, in cui 300 operai delle presse sono riusciti a bloccare l'attività di 20.000 persone. Si capisce come tutte queste tecniche di robotizzazione e di gestione sociale abbiano interessato al massimo grado la direzione dell'azienda, di fronte a degli operai spesso molto combattivi (assenteismo, scioperi e tutte le forme di lotta che illustrano il principio: «a cattivo salario, cattivo lavoro!»). Con l'individualizzazione, si trattava né più né meno di spezzare le solidarietà consolidatesi in seno ad un gruppo di lavoro. Il vecchio principio «divide et impera» tornava a galla! Ma ci sono ora due alleati che si chiamano robotica-informatica ed ergonomia. E' oggi in effetti possibile sopprimere certi posti di lavoro, sostituirli con dei robot manipolati da un tecnico qualificato, cosa che limita i rischi di sciopero. Quanto all'ergonomia, essa riguarda anche la reificazione dei rapporti di lavoro, essendo l'operaio sempre più assimilato ad una macchina che dispone di un certo tempo per effettuare la tale operazione. Il formidabile sviluppo di questa disciplina rimanda alla reificazione dell'insieme degli scambi umani nella società moderna.

Per riassumere, nell'impresa la politica di ristrutturazione sfocia dunque nell'individualizzazione e nella reificazione dei rapporti sociali. Notiamo tuttavia che per Action Directe la critica della robotizzazione, dell'informatizzazione, della tecnoscienza applicata all'impresa, non è condotta da un punto di vista idealista. Così, nel testo di rivendicazione contro l'European Space Agency nell'agosto 1984, il commando Ciro Rizzato dichiarava: «La scienza, in quanto conquista della storia dell'umanità, del proletariato, non viene attaccata nelle sue possibilità di emancipazione, ma nel suo ruolo in seno ai rapporti di dominazione capitalista». Non nostalgia operaista o passatista, ma una chiara comprensione del ruolo attuale della scienza in quanto strumento di dominazione.

Ma il principale effetto sociale della politica di ristrutturazione è senza alcun dubbio quello di portare alla "ristrutturazione" dell'insieme della popolazione lavoratrice, nel senso di una disgregazione sempre più completa della comunanza di interessi che ha fatto la forza del proletariato nel XIX secolo.

La ristrutturazione della società intera

Ristrutturazione, individualizzazione, reificazione, sono altrettanti assi portanti che ritroviamo nella società nel suo insieme, assi che, tramite la frammentazione della vecchia comunanza di interessi della classe sfruttata, mirano al suo puro e semplice smembramento ed alla perpetuazione della sua alienazione. La Renault non può essere isolata o ridotta a un semplice caso particolare. In effetti, la produzione industriale, robotizzata, informatizzata, ergonomizzata, è l'immagine della società futura. La fabbrica è un laboratorio in cui si prepara la gestazione di un modello di società interamente rivolta verso il profitto di alcuni (su scala nazionale come su scala planetaria), che non si rimetta più in discussione, in un'assenza di conflitto, un consenso, apparentemente idilliaci. Nei paesi dominanti, è l'individualizzazione, la reificazione, l'alienazione che arriva al culmine.

L'individualizzazione

L'individualizzazione come strategia di dominio non opera solo nel mondo del lavoro o in quello della disoccupazione. A tutti i livelli della società, appare il principio di spezzare le comunità e quindi di isolare gli individui. Che questo avvenga negli spazi urbani esplosi delle periferie, nel terribile impiego del tempo in distrazioni abbrutenti che isolano dal mondo esterno e impediscono la comunicazione, che questo avvenga attraverso i discorsi razzisti della destra o il disfattismo degli ex-rivoluzionari sessantottini integrati, ovunque converge l'idea di smembrare le collettività e i "momenti collettivi" degli individui per consolidare più facilmente un potere che cerca nella negazione di ogni valore al concetto di collettivo la panacea contro ogni velleità di rivolta.

Una buona immagine dell'individualizzazione ci è data dalla produzione automobilistica stessa, così come oggi è concepita: dei prodotti in serie, ma "individualizzati". Grazie alla GPAO, è possibile in effetti combinare le differenti opzioni di uno stesso modello per produrre, nel quadro della serie, dei veicoli "individualizzati". Ciò significa che l'individualizzazione è nello stesso tempo illusione dell'unicità dei prodotti o degli individui e realtà della produzione in serie o della superficialità degli scambi sociali. L'individualizzazione è lo pseudo-trionfo dell'Io, attraverso la paranoia sociale al suo punto più alto: la negazione dell'Altro. Essa mira a far sì che ciascuno si senta unico, mentre noi non siamo altro per questo sistema che dei produttori-consumatori.

Ci troviamo su un terreno conosciuto. Uno dei fondamenti dell'ideologia occidentale è questa negazione dell'Altro. L'Occidente si afferma sempre contro qualche idea o qualche altra civiltà, mai o raramente per se stesso. Ma ciò che è totalmente nuovo è il livello di atomizzazione della società. Non si tratta più di particolarismi locali che bisogna reprimere, di gruppi di pressione o di classi che bisogna rendere inoffensive. No, è l'individuo stesso, l'ultima e più piccola unità sociale concepibile, ad essere preso di mira da questa volontà di innervare il corpo sociale. Arriviamo in qualche modo allo stadio supremo della divisione sociale.

Come non collegare questa individualizzazione totalitaria con l'uniformità che invade a poco a poco il mondo contemporaneo? Ci sono stati i materiali standard, i modelli standard, poi gli standard di consumo. Ora ci sono gli standard di vita. Tutte le vetture si assomigliano? Non solo le vetture... La vita di un abitante della periferia assomiglia curiosamente alla vita di un altro abitante della periferia! Questa uniformizzazione non è in sé una strategia. Essa è una conseguenza del modo di produzione capitalista. D'altra parte, analizzata in modo diacronico, l'uniformità non è che il risultato della distruzione dei particolarismi etnici, regionali o nazionali. Il sistema capitalista è planetario! Sussistono tuttavia tracce evidenti di questo confronto tra il locale e il globale: la rinascita di questi particolarismi, giustamente, che rappresenta un reale pericolo per la politica di integrazione messa in atto nei paesi industrializzati. L'individualizzazione si offre contemporaneamente come risposta all'uniformità del mondo e come controffensiva di fronte ai diversi particolarismi. Finendo con l'essere confinata nella non-azione e nella passività, l'esistenza alienata non può più essere rimessa in questione. In effetti, come trasformare la propria esistenza senza un dialogo con l'Altro, per agire collettivamente? Non si rovesciano i rapporti sociali senza farsene carico, in quanto individuo senza dubbio, ma soprattutto in quanto gruppo, in quanto classe. Siamo allo stadio dell'uomo ad una dimensione di cui parla Marcuse. «Il soggetto alienato è assorbito dalla sua esistenza alienata». Interamente assorbito dalla sua esistenza alienata.

La reificazione dei rapporti sociali

Mentre quando era vivo si presentava G. Besse come "il Presidente della Renault" indicando prima dell'uomo la funzione da esso occupata in seno al sistema, una volta morto egli è "solo" G. Besse. Con un fenomeno di spettacolare capovolgimento, la funzione sparisce allora dietro il concetto di "buon cittadino ucciso dai terroristi".

Ciò che dimostra come un grande servitore dello Stato, come si usa dire, sia utile da vivo solo per la sua funzione (prima reificazione), ma possa venire utilizzato anche una volta morto (seconda reificazione). Si va anche oltre. L'occultamento del ruolo di G. Besse dopo l'azione del commando P. Overney spinge la reificazione al suo estremo più osceno, poiché non ha altro scopo che quello di trarre tutto il profitto possibile dal cadavere più redditizio sul piano dei media ed ideologico, quello dell'uomo. Poiché la morte del Presidente ci riporterebbe, da parte sua, al ruolo che G. Besse rivestiva da vivo e quindi alla politica di cui era al servizio e di cui si tratta giustamente di non parlare! Come dire che lo Stato e i suoi media non indietreggiano dinanzi ad alcuna infamia. Essi traggono con il più freddo cinismo tutto il profitto possibile da un uomo, al di là della sua morte, guidati dalla sola logica della mercificazione ideologica, della repressione consensuale. L'"utilizzazione" (2) di un cadavere ha uno scopo repressivo evidente poiché essa mira alla pacificazione del corpo sociale, che si abitua a non discutere delle vere poste in gioco. E ancora, si sono sostituiti i rapporti tra gli uomini con dei rapporti tra "produttori", rapporti di sfruttamento di coloro che sono ridotti a poco a poco al solo ruolo di "servitori" di un computer o di una macchina integrata in una catena di montaggio...

La reificazione dei rapporti sociali non opera solo in seno all'impresa o nell'utilizzazione da parte dei media di ogni atto e di ogni essere "redditizio". Essa appare ugualmente nella mercificazione di tutte le attività umane, comprese quelle che, fino ad oggi, dipendevano dalle relazioni sociali più banali, quindi "gratuite". In tal modo, lo sviluppo dei cosiddetti "servizi" mira a rendere redditizio ogni tipo di attività, da quelle legate a semplici bisogni fisiologici (aiuto alle persone anziane, ai malati o agli handicappati) a quelle legate al piacere, al sentimento, alla cultura, a tutti i bisogni psicologici, relazionali, emozionali. Questi "piccoli lavori" non sono che impieghi malpagati, senza possibilità di avanzamento professionale: metronotte, custodi, personale domestico e adibito alle pulizie, aiuto-infermieri, venditori ambulanti, lustrascarpe, coolies (come li considera la SNCF [Società Nazionale delle Ferrovie Francesi, ndr]) o ancora TUC-RATP, venditori di conversazione o di "piacere" (minitel rosa!), ecc. Il colmo di questa monetizzazione rischia di venire raggiunto con il lavoro domestico, per il quale alcuni richiedono un salario! Se un salario sociale domestico venisse concesso da un governo, quale che esso fosse, ciò tornerebbe a trasformare il lavoro domestico in impiego domestico e soprattutto a porre la sua utilità non più nella sfera personale o familiare, ma in funzione dei bisogni della società. La monetizzazione di quest'ultima forma di lavoro compiuto da e per se stessi finirebbe col completare la reificazione dell'insieme delle attività umane. D'altra parte, se le prospettive verranno confermate, è a questo che arriveremo. In effetti, la produttività aumenta dal 1978 dal 5 al 6% all'anno nell'industria e del 2% nella produzione di beni e servizi, cioè dal 3 al 4% nell'insieme dell'economia. Ora, se la durata del lavoro salariato non diminuisce, arriveremo rapidamente a dei tassi di disoccupazione del 20 e poi del 30% e oltre! Diminuire il tempo di lavoro o vedere la disoccupazione aumentare: delle due cose... una terza! Ridistribuire questa ricchezza eccedente (poiché vi è eccedenza) monetizzando l'insieme dei rapporti sociali. Contrariamente alle previsioni allarmistiche dei gruppi di disoccupati o alle prospettive utopistiche di alcuni pensatori socialisti, si configura molto nettamente un'evoluzione basata sul monetizzare, rendere redditizi e reificare gli scambi sociali. Così, vendendo "rapporti sociali", si arriva non solo alla monetizzazione ad oltranza di ogni bisogno umano, ma soprattutto si sottrae ogni suo significato al semplice scambio relazionale. La sostituzione delle relazioni più profonde tra gli esseri con le relazioni più piatte tra gli oggetti è lo stadio supremo della reificazione. Oltre: trasformare ciò che resta di umano in puro oggetto? Science-fiction? "Migliore dei mondi"?

Una politica di integrazione e di pacificazione

Come abbiamo visto in precedenza, questa politica riveste due aspetti principali: l'individualizzazione e la reificazione-redditivizzazione degli scambi umani. Queste politiche sociali si ritrovano sia nell'impresa che fuori. Esse non sono una semplice strategia particolare della tecnocrazia, bensì una dimensione fondamentale nella trasformazione attuale del modo di produzione capitalista. Resta da illustrare come l'individualizzazione e la reificazione siano complementari e mirino ad una pacificazione nei paesi industrializzati.

L'individualismo non è uno "stile di vita" in perfetta linea con una pseudo-evoluzione moderna o postmoderna. Esso è il frutto di una politica di individualizzazione che si è posta in atto molto chiaramente dopo la seconda guerra mondiale. In primo luogo si è avuto l'intervento della televisione: i governanti hanno compreso molto in fretta tutto il profitto che potevano trarne. In circa dodici o quindici anni, siamo passati da una televisione più o meno di tipo culturale a uno strumento di propaganda e di abbrutimento che ha l'immenso vantaggio di sostituire le riunioni collettive di una volta con le serate in cui si è soli. Questo "dialogo" con la scatola che fornisce immagini non ha mai alcuna possibilità di diventare sovversivo... Un momento centrale di scambio umano, di riflessione, spariva per rinchiudere ciascuno nella sua estasi dinanzi allo schermo. E' il principio "rimanete a casa vostra, brava gente!". Ciò che sarebbe potuto essere soltanto una semplice conseguenza del cattivo uso di una nuova tecnica è stato rapidamente sviluppato in ogni tipo di settore. Così, agli HLM (Alloggi ad Affitto Calmierato, ndr) degli anni '50 si sostituiscono oggi le zone residenziali, l'habitat "individualizzato". Le vendite fantastiche di automobili arriveranno a saturazione solo quando ciascuno possiederà il suo veicolo personale. Ecc. Poco importa la "qualità" del collettivo nelle HLM o nei trasporti in comune. Se la qualità è in effetti mediocre, bisogna per questo sopprimere il collettivo piuttosto che riconferirgli tutto il suo interesse? Stiamo vivendo la risposta che è stata data. Ora, le volontà di cambiamento, di liberazione, resteranno impotenti se non verranno strutturate in uno spazio e in un momento collettivi. Non si fa la rivoluzione dal fondo della propria caverna. Da qui arriviamo alla situazione attuale in cui la sola forza collettiva ancora operante è la casta dei tecnocrati, essa stessa al servizio della classe borghese. Di fronte si trovano solo individui atomizzati, dagli interessi tuttavia comuni ma senza alcuna coscienza di tale comunanza. L'individualizzazione si è rivelata una politica efficace.

Quanto alla reificazione, facendo dipendere sempre più la vita dell'uomo "moderno" dagli strumenti, dalle macchine, da materiali sofisticati, essa induce un sentimento d'impotenza di fronte a tanta tecnica. Tutto sembra definito e deciso in modo irreversibile, avendo le macchine una logica di sviluppo (3) che sfugge completamente alla classe sfruttata che le utilizza. La padronanza dell'ambiente è allora condizionata dall'approccio tecnologico. Alla dialettica tra l'uomo e la natura che si presume sia stata il motore del "progresso" si sostituisce in modo oggi eclatante una dialettica strumento-uomo, in cui l'uomo è divenuto il polo "arretrato". I mezzi si sono trasformati in fini, la scienza è divenuta, sotto le spoglie della tecnoscienza, un ostacolo all'emancipazione.

Allora, pacificazione? Evidentemente, dato che individualizzazione e reificazione dei rapporti sociali dislocano completamente il terreno della lotta o, più esattamente, vogliono negarlo. La lotta sociale si trova di fatto bandita, in quanto necessariamente nefasta a ciò che si pretende essere la sola via di sopravvivenza: la gestione dei sistemi, delle imprese, degli esseri e degli spiriti. Niente più rimessa in discussione. La pace perpetua di cui sognava Kant è sul limitare del terzo millennio!

Individualizzazione e reificazione funzionano come due assi strategicamente complementari e collegati. I rapporti con le macchine e col modo di produzione sono individualizzati. I rapporti tra individui, in questa società atomizzata, sono sempre più reificati. Quindi, la possibilità di operare collettivamente un rovesciamento scompare. La convergenza perfetta di queste due politiche sfocia nei paesi "del centro", i paesi industrializzati, in una pseudo-pace sociale. Ma questa non è che un camuffamento degli antagonismi, che permangono oltre l'assenza di coscienza collettiva dell'alienazione.

Di fronte a questo settore "pacificato" del pianeta si leva lo spettro affamato dei paesi dominati, dove la lotta politica nella sua forma collettiva è ben lungi dall'essersi spenta. Ma in questi paesi "poveri" è all'opera un'altra strategia di dominio poiché essi subiscono direttamente una politica imperialista di subordinazione, una politica aggressiva pensata ed imposta dai paesi del Nord e gestita sul posto dai militari, dai despoti, dalle mafie, dalle camarille o dai capi al potere. Questa situazione è troppo nota perché noi vi si torni sopra.

Per concludere, la trasformazione attuale del modo di produzione capitalista, che si è concretizzata alla Renault in una ristrutturazione di tutte le fasi del processo produttivo e nella disoccupazione di decine di migliaia di operai, deve essere analizzata come il tentativo di risolvere certe contraddizioni del sistema capitalista con un'estrema atomizzazione della classe sfruttata, nella fabbrica come nella società. Ma, nonostante questo mutamento, gli antagonismi di classe permangono, ed è questo che è importante alla fine e che sarà decisivo.

Philippe Godard

Note dell'autore

(1) Nel caso del generale Audran, si pensi alle centinaia di migliaia di Iraniani o di Iracheni che hanno perso la vita in un conflitto alimentato nel modo più cinico dai paesi industrializzati venditori di armi.

(2) E' in questo senso che alcuni hanno potuto dire che «il terrorismo serve al rafforzamento dello Stato». Ma ciò che serve al rafforzamento dello Stato è l'accettazione passiva della mancanza di dibattito. Accettare il "consenso morbido" è rientrare nella logica del sistema. L'azione violenta in se stessa non rientra in nessun caso nella logica dello Stato, tutto al contrario. L'azione del commando P. Overney fuoriesce dalla reificazione repressiva. Per prima cosa non è G. Besse a venire attaccato ma il padrone della Renault (la prima reificazione è denunciata); ma soprattutto è il ruolo del Presidente della Renault nella sua impresa e al di fuori, in quanto ingranaggio del modo di produzione capitalista, a essere preso di mira nell'azione stessa. Quindi i veri problemi sono posti chiaramente.

(3) Si pensi ai prodotti alimentari della quarta o quinta "gamma", ai computer dell'ennesima "generazione", ecc.

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http://www.senzacensura.org/

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