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IL BOLLETTINO DEI COMITATI CONTRO LA REPRESSIONE

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IL BOLLETTINO: NOTIZIE EUROPA

Spagna:

LA SITUAZIONE E I NOSTRI OBIETTIVI

COMUNICATO DELLA RIUNIONE PLENARIA DEL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO COMUNISTA DI SPAGNA (ricostituito)

Alla fine di agosto, si è celebrata una riunione plenaria del Comitato Centrale del Partito. Ormai da diverso tempo si sentiva la necessità di realizzare un incontro come questo, allo scopo di fare il punto sulle esperienze più importanti della lotta di classe nel nostro paese durante l'ultimo periodo, analizzare la nuova situazione che si è creata sul piano internazionale e poter unificare i criteri in relazione ai diversi affari dell'Organizzazione e all'attività generale del Partito.

Per cui, durante la discussione della Relazione Politica presentata nella riunione dal compagno Arenas, abbiamo potuto constatare gli importanti progressi realizzati dal Partito dall'ultima riunione plenaria, specialmente per quanto riguarda il consolidamento della Direzione, nonostante gli arresti che abbiamo subito e l'accanimento di cui siamo oggetto da parte delle autorità e della polizia politica. Questi avanzamenti sono in contrasto con la crisi in cui si dibattono i partiti e l'insieme delle istituzioni politiche del regime dell'oligarchia finanziaria spagnola, regime che si trova ogni giorno più incalzato dal movimento rivoluzionario e smascherato nel suo vero carattere fascista. Il fallimento stesso della macchina repressiva dello Stato nel suo tentativo di sviarci dalla nostra meta e dai compiti politici più immediati, fino al nostro annientamento, ha aggravato ancora di più la sua crisi e lo pone in una posizione molto più difficile di fronte al movimento di resistenza popolare, giacchè questo non solo è riuscito a conservare l'iniziativa nella lotta contro il terrorismo dello Stato, ma attualmente si trova in condizioni migliori di prima per proseguire con più forza il combattimento.

La riunione plenaria del Comitato Centrale ha messo in rilievo l'eroico esempio e il grande contributo che i compagni prigionieri con il loro sciopero della fame per la riunificazione (che dura da più di otto mesi) stanno dando alla causa operaia e democratica, sciopero che ha inflitto una dura sconfitta politica e morale alla banda di signorotti socialfascisti che qui in Spagna tortura, assassina e ruba. Mai fino ad ora una lotta di questa natura ha avuto una tale ripercussione nè ha generato tante dimostrazioni di solidarietà e di appoggio dentro e fuori dalle nostre frontiere, al punto che, si può affermare, oggi si è trasformata in bandiera della resistenza contro la politica di isolamento e di sterminio dei prigionieri politici dei paesi imperialisti che fanno parte della NATO.

Rispetto alla situazione internazionale, l'assemblea si è soffermata, in modo particolare, sui diversi aspetti che derivano dalla bancorotta del revisionismo contemporaneo, sottolineando che la stessa non è altro che il risultato della crisi generale di cui soffrono il capitalismo e la putrida ideologia borghese. A partire da questo momento, si aprono le porte di una crisi ancora più profonda che si tradurrà in un nuovo avanzamento dell'ondata rivoluzionaria mondiale, così come sembrano confermarlo le notizie che ci sono giunte durante il corso stesso della riunione sul conflitto scoppiato in Kuwait.

Da ultimo, i membri della Direzione del Partito desiderano manifestare la loro soddisfazione per il risultato di questo incontro, che senza dubbio è un duro colpo per la reazione spagnola, mentre rendono pubbliche le seguenti risoluzioni:

- L'Assemblea Plenaria raccomanda lo studio e la diffusione della Relazione Politica approvata, come pure la realizzazione di riunioni che facilitino la sua discussione e la comprensione più esatta dei suoi diversi capitoli, poichè tutti i compagni devono servirsene come guida politica, ideologica e organizzativa per il prossimo periodo.

- L'Assemblea Plenaria chiama alla lotta più risoluta contro il terrorismo di Stato e a promuovere la solidarietà attiva con i prigionieri che ancora sono in sciopero della fame. Solo il raggruppamento di tutti loro in un'unica prigione e in condizioni di vita dignitose potrà porre termine a questo sciopero. Ma per raggiungere questi obiettivi è indispensabile legare il movimento di solidarietà alla lotta che quotidianamente portano avanti gli operai e altri settori popolari contro lo sfruttamento e la repressione capitalista. Appoggiare e orientare il movimento delle masse, dare impulso alla loro lotta unitaria contro i nuovi piani economici dell'oligarchia, diventa quindi un compito prioritario di tutte le organizzazioni e di tutti i militanti del Partito.

- L'Assemblea Plenaria ritiene assolutamente necessario continuare a fornire appoggio alla guerriglia e il Partito dovrà fare tutti gli sforzi e i sacrifici che saranno necessari. Contro il terrorismo di Stato, contro la tortura e gli assassinii, non c'è altra strada che quella della resistenza politica, compresa la lotta armata. Per questo motivo facciamo appello a tutti i lavoratori e ai democratici perchè partecipino alla resistenza, perchè forniscano ogni tipo di aiuto (nascondigli, informazioni, accesso ai diversi centri dello Stato, ecc.) ai distaccamenti guerriglieri.

- Rispetto alle questioni interne, l'Assemblea Plenaria ritiene imprescindibile proseguire il lavoro di rafforzamento del Partito, specialmente del suo apparato politico clandestino. Un passo importante fatto in questo senso è stato il rafforzamento delle commissioni del Comitato Centrale, il quale incrementerà il lavoro nelle fabbriche, nei paesi e nazionalità (1), ecc., dando impulso ovunque alla creazione di comitati e cellule. A questo scopo è importante anche stimolare la discussione e la lotta ideologica a tutti i livelli, promuovere lo spirito d'iniziativa, rafforzare la disciplina e fare un'applicazione giusta e conseguente del funzionamento del centralismo democratico.

- Rispetto alla crisi dei paesi socialisti e del movimento operaio e comunista internazionale, l'Assemblea Plenaria ha preso la decisione di promuovere una campagna di studio delle opere di Mao Tse-tung, cosa che faciliterà la comprensione delle contraddizioni e delle difficoltà alle quali deve far fronte la costruzione del socialismo e il nuovo sviluppo della teoria marxista-leninista. Il pensiero di Mao Tse-tung è il marxismo-leninismo della nostra epoca. Il nostro dovere consiste nello studiarlo a fondo per poterlo applicare in maniera creativa nelle nostre condizioni.

Infine vogliamo approfittare di questa occasione per inviare un saluto di lotta ai nostri compagni, ai simpatizzanti e agli amici e, più in generale, a tutti i lavoratori. Inoltre desideriamo far giungere un saluto fraterno e internazionalista a tutti i comunisti, alle organizzazioni rivoluzionarie e alle molte altre persone che in differenti paesi si scontrano con il fascismo e l'imperialismo, ringraziandoli per tutte le dimostrazioni di solidarietà con la lotta dei nostri compagni prigionieri.

Resistenza e organizzazione!

Per la liberazione dei prigionieri politici!

Abbasso lo stato terrorista!

Bisogna armare la resistenza!

Viva il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao Tse-tung!

Viva l'internazionalismo proletario!

NOTE :

1. Con l'espressione nazionalità si intendono gli abitanti dei Paesi Baschi, della Catalogna, della Galizia.

RELAZIONE PRESENTATA ALLA RIUNIONE PLENARIA DEL COMITATO CENTRALE DEL PARTITO COMUNISTA DI SPAGNA (RICOSTITUITO) FINE AGOSTO 1990

Continua ad approfondirsi la crisi della societa' spagnola

Nel periodo trascorso da quando abbiamo celebrato l'ultima riunione plenaria del Comitato Centrale - circa un anno e mezzo fa - ha continuato ad aggravarsi la crisi in cui si trova la società spagnola.

Alcuni degli aspetti più rilevanti di questa crisi, che già sottolineavamo in quella riunione, come la mancanza di alternativa al governo del PSOE all'interno dello stesso sistema, la delegittimazione del regime e la perdita dell'iniziativa dello Stato di fronte al movimento di resistenza popolare, appaiono oggi molto più evidenti che allora e sono la causa principale dell'isolamento sempre maggiore in cui si trova e dell'inasprimento delle sue stesse contraddizioni.

Apparentemente, tutti i problemi che il paese si trova di fronte alla vigilia del ventunesimo secolo, troveranno facile soluzione con l'incorporazione nel Mercato Unico Europeo e all'interno dell'integrazione politica patrocinanata gli USA sotto l'ala protettrice degli eserciti della NATO. Si sa: facciamo parte del mondo occidentale e respiriamo civiltà cristiana a pieni polmoni. Non c'è nulla da temere. In fondo siamo protetti dall'assalto delle orde rosse che muoiono di fame e ci invidiano moltissimo. Poco importa la guerra sporca che lo Stato pratica contro le organizzazioni popolari o i furti sfacciatamente commessi dai fratelli, dai cognati o dalle amanti di turno. Tutto questo è un fenomeno "epidermico", proprio di ogni società moderna come la nostra. Qui, la cosa veramente importante è la stabilità politica conseguita sotto il governo del PSOE e la prosperità degli affari, la più alta percentuale di utili ottenuti dalle banche rispetto a tutta l'Europa, ecc.

I partiti di regime e i pennivendoli della stampa e dei mass-media presentano la situazione in questo modo così semplice. E non è che non esista la corruzione generalizzata nelle aree del potere e suoi dintorni. Questa è una delle più chiare dimostrazioni della profonda crisi che la Spagna sta attraversando. Ma non è l'unica, e nemmeno si può dire che sia la più importante. Il principale problema, che tutti evitano o mistificano, è molto più profondo, poichè affonda le sue radici nella stessa natura fascista del regime. La crisi morale che tutti ipocritamente lamentano, anche se nessuno fa nulla per porvi rimedio, non è altro, in realtà, che la conseguenza del terrorismo di Stato e del vicolo senza uscita politica a cui è arrivato il sistema, riducendo praticamente a niente tutti gli sforzi fatti negli ultimi anni per ringiovanire il regime e presentarlo con una nuova facciata. E' quello che si è potuto vedere chiaramente con l'imbroglio della nuova "maggioranza assoluta" che si sono procurati i felipisti (1) dopo le ultime elezioni generali e in quelle più recenti dell'Andalusia. In particolare, quest'ultima mascherata elettorale ha confermato, come un vero test, la tendenza che segue l'evoluzione politica del paese: con quasi più del 50% di astensioni e la perdita considerevole di voti subita dal partito di governo, questo ha sconfitto i suoi rivali, uscendone di nuovo con la "maggioranza assoluta", solo con i voti che gli ha dato la sua clientela politica pagata coi fondi del denaro pubblico. Questa è, senza dubbio, una delle maggiori meraviglie e uno dei tanti miracoli che produce la democrazia spagnola.

E' diventato palese che il regime non può durare se non è sostenuto da questa "maggioranza", come è stato già dimostrato durante la tappa del governo della UCD (2) e, ancora prima, durante l'epoca di Franco; è diventato palese anche che i tempi dei patti e del consenso, rispetto a tutto ciò che non sia la "lotta contro il terrorismo", sono passati e non ritorneranno, che essi corrispondevano ad una fase molto precisa della vita politica - quella della cosiddetta "transizione" - e che, finita questa fase, quello che s'impone con forza irresistibile è l'ascesa del felipismo come forma particolare di governo che eredita, insieme ai contenuti economici e politici, buona parte dei metodi del franchismo. Non deve stupire, quindi, che stiano restando soli e che di conseguenza si vadano aggravando le tensioni e le lotte interne, anche in seno allo stesso governo.

In questo senso, conviene ricordare che Don Felipe Gonzalez e gli altri soci sono arrivati alle cariche che oggi occupano spinti dal famoso 23-F (3) e che sono arrivati a queste cariche, appunto, alla condizione di applicare il programma dei golpisti: piena integrazione nella NATO, riconversione dell'industria e dell'agricoltura in conformità agli interessi esclusivi del capitale finanziario, approvazione di leggi e istituzione di tribunali speciali per la repressione, guerra sporca... Il fatto è che avremo corruzione, guerra sporca e felipismo per un pezzo. Quest'ultimo fatto è ciò che esaspera a tal punto i fraguisti (4), che si vedono messi da parte e spogliati del loro stesso programma dal PSOE e che non hanno trovato via più rapida, per cercare di sbarazzarsi di loro, che quella di denunciare la corruzione dei felipisti, nascondendo, sia chiaro, la propria. La replica, come tutti sanno, non si è fatta aspettare. E così, dopo il "caso" Guerra, è venuto il "caso" Naseiro (5) con tutto quel che segue.

Lo stato delle fogne

La crisi è partita da qui, però noi sappiamo che il contenuto del vaso è un'altro, molto diverso da questo fetore che ammorba. In realtà, questo continua ad essere una cortina di fumo che hanno lanciato per impedire che la gente veda gli altri problemi più gravi e le responsabilità molto più sanguinarie del potere. Noi non cadremo nella trappola di concentrare l'attenzione delle masse popolari su questo fetido immondezzaio in cui si è trasformata la politica ufficiale. Più chiaro e definitivo di tutto questo, per descrivere la vera situazione che il paese attraversa, è lo stato delle "tubazioni" e delle fogne, dove, secondo la felice espressione del Presidente del Governo, si difende il cosiddetto "Stato di diritto" che è caduto addosso a noi spagnoli: cioè, le detenzioni arbitrarie e la tortura sistematica praticata sugli arrestati, gli assassinii degli oppositori del sistema, lo sterminio dei prigionieri politici, i crimini dei GAL, (6) ecc. Dobbiamo denunciare ed attaccare fin dalla sua stessa radice il terrorismo di Stato che il governo felipista alimenta, finanzia e protegge, e non la carogna che presentano tutti i giorni, con molti dettagli e abbellimenti, i mezzi di comunicazione complici. Il Sig. Corcuera non sta forse convocando, ogni due tre giorni, riunioni con i suddetti mass-media e con i partiti politici per ottenere la loro collaborazione e perchè facciano la loro parte nella "lotta antiterrorismo"? Un giorno si scriverà la storia dell'infamia, e in essa il governo spagnolo e i suoi complici di destra e di "sinistra" occuperanno un posto di rilievo.

Aveva ragione Felipe Gonzalez quando, nel suo abituale stile presuntuoso e arrogante, si vantava che "mai" si potrà provare la sua responsabilità diretta e quella di qualche suo ministro nei numerosi atti di terrorismo e negli assassinii perpetrati dalla banda di mercenari dei GAL. Si sa fin troppo bene la fine che hanno fatto, e che continueranno a fare, i "fondi riservati" di cui dispongono il Ministero degli Interni e della Giustizia; si sa, perchè non l'hanno potuto nascondere, del continuo ostruzionismo del governo e delle pressioni esercitate dalla Procura della Repubblica perché le istruttorie di alcuni giudici volte a smascherare la trama terrorista ufficiale non arrivassero fino in fondo; si sa della copertura diplomatica che il governo ha fornito ad alcuni di questi assassini per la loro comoda sistemazione in paesi stranieri, della libertà senza limitazioni concessa ad altri sui quali esistono abbondanti prove della loro partecipazione diretta ad attentati, ecc. E nonostante ciò, Felipe Gonzalez ha la sfacciataggine di dire che mai si potrà provare nulla. Da dove gli viene tanta sicurezza?

Evidentamente, tutta la cosiddetta "classe politica", la casta finanziaria, la casta militare, la casta dei preti, la casta degli intellettuali organici e quella dei giornalisti carogne, sono tutte ugualmente coinvolte nella guerra sporca, poichè è stato con la loro approvazione e il loro "consenso" che questa ha cominciato ad essere messa in pratica e viene portata avanti ancora oggi. Questa è la loro guerra, il risultato del patto che hanno stabilito e che definiscono "la lotta antiterrorismo". Tuttavia, nessuno di loro potrà sfuggire alle conseguenze che derivano da questa poichè, a parte ciò che già abbiamo indicato, questo "patto" offre, oltre all'impunità più completa per le forze militari e di polizia, il miglior mezzo che poteva essere dato ai felipisti per prolungare indefinitamente la loro permanenza al governo, giacchè, a parte la complicità che ciò significa con il terrorismo di Stato, permette ai felipisti di utilizzzarlo contro i loro stessi alleati ogni volta che lo ritengono necessario. Questo è, precisamente, ciò che sta accadendo, senza che nessuno osi la più timida protesta.

Tutti conoscono questa storia però sono molto pochi coloro che osano parlarne pubblicamente. Si è imposta la "prudenza" e l'autocensura che, come si sa, è il modo più efficace di chiudere la bocca, di nascondere la verità e di minacciare affinchè la gente abbia paura e si disinteressi di fronte a ciò che sta accadendo. E' chiaro che tutto ciò ha un prezzo. Così si è propagata la complicità con la subornazione, la prevaricazione, le truffe multimilionarie e la corruzione, infettando tutto il corpo sociale.

Forse questo non è un tema appassionante come le storie che ci offre la stampa tutti i giorni sui litigi fra i banchieri e le rispettive consorti? Non è una fonte inesauribile di notizie sensazionali? Non può uscire da qui un buon copione cinematografico? Non è un affare di palpitante attualità per filosofi e sociologi? I preti ed i vescovi, così preoccupati per la salute morale della nostra società e per il rispetto della vita umana, non dovrebbero pronunciarsi contro il terrorismo di Stato e sulle vittime che questo provoca, anche solo per salvarsi la faccia? Ma non diranno nulla, di questo possiamo essere certi, se non li costringe a parlare l'azione rivoluzionaria. Sono in gioco i loro privilegi e i loro interessi. La conservazione e l'incremento di questi privilegi è lo scopo del regime. Per questo, per sostenerlo, sono buoni tutti i mezzi: dalla menzogna al ricatto, alla tortura, all'assassinio. E' la nuova crociata che la borghesia monopolista dirige contro i lavoratori e le loro organizzazioni d'avanguardia e preti e vescovi non si opporranno ad essa. Al contrario, il loro interesse è di appoggiarla, contribuendo alla paranoia "antiterrorista". Ma tutto questo non dà loro i risultati che speravano.

Il governo ha perso l'iniziativa nella lotta contro il movimento di resistenza

Superato il riflusso della lotta operaia e popolare determinato dalle promesse di cambiamenti e anche, in una certa misura, dagli errori commessi dal nostro Partito nell'ultimo periodo della fase precedente, il movimento di resistenza popolare cresce e guadagna influenza, si organizza ogni volta meglio, perfeziona la sua linea di azione e guadagna adepti. Non passa un solo giorno senza che in Spagna avvengano scioperi e scontri di massa nelle strade contro le forze repressive e diversi atti di sabotaggio e azioni armate che puntano direttamente contro la struttura e le fondamenta stesse del sistema. Questa tendenza viene da lontano, ed è stata annunciata dal nostro Partito con sufficiente anticipo. Per questo motivo non ci soffermiamo qui a illustrare il cammino che si è seguito. Il movimento di resistenza organizzato già da molto tempo ha preso l'iniziativa nella lotta e non l'ha persa, nonostante le bestialità, le provocazioni e le trappole utilizzate dal governo a questo scopo. E' quello che dobbiamo mettere in rilievo in questi momenti: il fallimento strepitoso della macchina repressiva dello Stato e della sua frenetica campagna orientata a far abortire il movimento o a farci deviare dai nostri obiettivi e compiti politici più immediati. Tutti questi progetti si sono rivoltati contro di loro, come è messo in evidenza, fra le altre cose, dal fiasco della loro politica di "reinserimento" (7).

L'oligarchia e i suoi "esperti" nella lotta "antisovversiva" hanno di nuovo fatto un errore con noi. Questi errori stanno segnando il loro destino. E' chiaro che non possono evitarlo, li acceca il loro egoismo. Hanno mentito tante volte che finiscono per essere vittime delle loro stesse bugie. Da qui nasce questo "mistero" che hanno tessuto intorno alla storia del PCE(r) e dei GRAPO, al quale, sicuramente, non credono nemmeno i bambini dell'asilo. Come è possibile occultare la verità e tenerla nascosta per tanto tempo?

Hanno sottovalutato la nostra linea politica di resistenza ed il nostro spirito combattivo, forgiato in lunghi anni di lotta contro il fascismo e i suoi seguaci e adesso sono sconcertati e non sanno nemmeno come qualificarci: "settari", "pazzi", "visionari", "fanatici", figli di satana che tutti i giorni fanno colazione con un miscuglio di vino e polvere da sparo... Abituati a misurare gli altri con il proprio metro, speravano di farci arrendere con la tortura, gli assassinii, gli ergastoli nelle celle di isolamento. Non riescono a credere che da questa dura prova, che stiamo portando avanti da più di quindici anni, saremmo usciti molto più convinti nelle nostre convinzioni democratico-rivoluzionarie e più decisi che mai nella nostra risoluzione di proseguire la lotta fino alla fine. Cosa possono fare i fascisti e tutta la loro corte di buffoni e parassiti, di fronte a degli uomini e a delle donne decisi a dare tutto, anche la vita, se necessario, per la causa operaia e popolare, senza aspettarsi nulla in cambio? Non possono proprio fare nulla.

I felipisti hanno portato la repressione fin dove è stato loro possibile farlo. Alla guerra sporca, all'assassinio, alla scomparsa delle persone, alla tortura sistematica sugli arrestati, hanno aggiunto nuove e più sofisticate tecniche di tortura bianca e di repressione, come il regime di isolamento, l'alimentazione forzata e altre forme di maltrattamenti crudeli ed inumani sui prigionieri politici per cercare di rompere la loro unità e piegare la loro volontà di resistenza. Il governo ha fatto tutto questo, col rischio di mettere in serio pericolo la delicata impalcatura istituzionale innalzata recentemente con la riforma. Speravano di raggiungere in questo modo una vittoria rapida o la capitolazione del movimento. Nel peggiore dei casi, erano convinti di poterci strappare l'iniziativa e di portarci sul terreno di lotta a loro più favorevole. A questo scopo hanno usato i prigionieri come veri e propri ostaggi dello Stato.

Dal momento in cui il movimento di resistenza organizzato ha cominciato a risollevarsi dai rovesci subiti e recuperava l'iniziativa nella lotta, non sono cessate le rappresaglie contro i prigionieri politici e i loro familiari, fino ad arrivare alla situazione che tutti conoscono. Per noi, era chiaro fin dall'inizio che volevano farci perdere la testa, volevano farci abbandonare i nostri progetti politici e organizzativi e che ci impelagassimo in una lotta senza prospettiva con le forze di polizia. Cercavano di "disarticolare" e "decapitare" il movimento. Se avessero raggiunto questo risultato sarebbero state giustificate tutte le loro illegalità e bestialità. Ma il non aver ottenuto nessuno dei loro obiettivi, li costringe adesso ad affrontare la crisi politica e morale che li divora. Come uscire dal pantano?

E' sufficientemente dimostrato che né questo governo "assoluto" nè nessun altro che lo sostituirà, riuscirà a sconfiggere né a far deviare dal loro cammino le forze rivoluzionarie, e che lontani dal conseguire questi risultati, con i loro metodi terroristi e criminali, non faranno altro che darci ulteriori ragioni per continuare a combattere e rafforzare il movimento di resistenza popolare. Questo sta accadendo mentre contemporaneamente, come abbiamo già dimostrato, aumenta l'isolamento del regime, si aggravano le sue contraddizioni interne e appare davanti agli occhi di tutti il suo vero carattere fascista.

Non abbiamo nulla da negoziare

Alcuni settori del regime hanno iniziato a pensare che conviene fare "qualche concessione". Per questo motivo ci hanno mandato degli emissari proponendoci delle "trattative". Questi passi sono ovviamente conseguenti alle sconfitte subite recentemente dal governo, in particolare a proposito della sua politica di "reinserimento" dei prigionieri politici. Il governo parla di intavolare "trattative" per la liberazione dei prigionieri proprio mentre i nostri compagni sono costretti a rischiare la propria vita per far rispettare condizioni di detenzione del tutto compatibili con l'ordinamento vigente. Si può forse considerare una concessione il fatto di non essere torturati o di poter ricevere la visita dei propri famigliari in carcere? Eppure pare che queste siano le concessioni che sarebbero disposti a fare.

E' evidente che anche questa volta si tratta di uno stratagemma inventato per creare confusione e dividere il movimento. Sanno da sempre che le forze popolari desiderano risolvere i problemi in maniera pacifica; sanno anche che non siamo stati noi a cominciare questa guerra e che non la cerchiamo, e cercano di utilizzare questa legittima aspirazione alla pace per farci abbassare la guardia e per piegarci. Quello che vogliono, in realtà, è che ci arrendiamo, così potranno presentare anche noi come dei pentiti. Per questo hanno proposto delle trattative, senza compiere da parte loro un solo passo che provi la loro volontà di trattare. Agiscono come se fossimo dei "polli" che si possono illudere con vaghe promesse, mentre continuano ad incalzarci con la repressione.

Non abbiamo mai assecondato e mai asseconderemo questo stupido gioco; per di più non abbiamo nulla da negoziare, i nostri principi non sono moneta di scambio. Non ci sottomettiamo a questa Costituzione che legittima il regime monarchico imposto da Franco e il sistema di sfruttamento capitalista che promuove e protegge gli assassinii e la tortura. Sta al Governo e agli organismi che realmente comandano in questo paese creare un clima favorevole ad una soluzione più o meno pacifica di alcuni dei gravi problemi che affliggono le masse popolari. Se una situazione simile si creasse effettivamente, nei fatti, il nostro movimento non potrebbe che rispondere e adattarsi ad essa, rivedendo conseguentemente la propria tattica di lotta, ecc. Però finché non ci sono queste condizioni è sbagliato e molto dannoso continuare a parlare di "trattative", se non altro per l'uso mistificatore che ne stanno facendo il Governo e i partiti borghesi.

In questo momento non è di dialogo o di trattativa che dobbiamo parlare, ma della necessità di organizzare meglio e di sviluppare la lotta, innalzandola ad un nuovo livello. Il nostro Partito deve continuare ad appoggiare la lotta armata rivoluzionaria e a fare tutti i sacrifici necessari. Noi vogliamo la pace, ma non a qualunque prezzo e ancor meno al prezzo di abbandonare le giuste posizioni rivoluzionarie.

Da parte sua anche lo Stato assicura di volere la pace, ma sappiamo bene come sta perseguendo questo presunto obiettivo: a colpi di GAL e di torture e senza risolvere alcun problema. In realtà la pace che cercano è quella delle carceri e dei cimiteri. Per quanto a volte, incalzati dai loro fallimenti e dalle loro contraddizioni, fingano di voler trattare, la verità è che non hanno nessuna intenzione di farlo. Cercano soltanto di confondere e di dividere le forze di opposizione e di guadagnare tempo (a seconda dei casi) per organizzare meglio i loro apparati e poi proseguire con più accanimento la repressione. Per questo non dobbiamo fare l'errore di favorire i loro piani seminando false speranze.

Il Governo non negozierà con le organizzazioni rivoluzionarie finché non saranno cambiati i rapporti di forza che oggi sono a suo favore: lo abbiamo detto già più volte. E diciamo di più: l'oligarchia che domina la Spagna non rinuncerà a nessuno dei suoi privilegi né faciliterà in nessun modo i lavoratori su nessun terreno oggetto della lotta di classe. Tutte le riforme che si prevedeva avrebbe fatto per restaurare la monarchia e rafforzare il suo potere economico e politico, le ha già fatte; e ora pacificamente non farà alcuna concessione, perché tra l'altro la crisi che attanaglia il sistema non lo permette. Per non fare concessioni, hanno fatto la riforma, travestendo il vecchio regime e ora, nonostante la crisi, si sentono più al sicuro di prima.

L'accoppiata Corcuera-Mugica che ha sostituito i precedenti Ministri dell'Interno e della Giustizia, ponendo fine così a risse e rivalità interne, ha creato la collaborazione più stretta proprio come la reclamavano le autorità militari che si occupano di pianificare e dirigere la guerra sporca.

I confini fra le strutture dei due diversi ministeri sono stati praticamente aboliti e ora fanno a gara per realizzare i progetti terroristici al punto che attualmente non si sa in quale dei due ministeri ci siano più sbirri. Cosa è rimasto della divisione tra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario sulla quale si pretendeva fosse fondato il cosiddetto stato di diritto?

Tuttavia la cosa più significativa non è questa gara, quanto il fatto che stanno cercando di estenderla a tutta la società e di obbligare a partecipare ad essa anche le varie associazioni professionali come avvocati, medici e altri democratici e progressisti, tra cui anche vari magistrati. In questo modo riportano in vita la vecchia massima fascista secondo la quale chi non partecipa attivamente alla repressione del movimento democratico rivoluzionario è "complice" o "collaboratore" di esso e quindi merita lo stesso trattamento dei militanti più attivi.

Non siamo ancora arrivati a questo punto, ma di questo passo ci si arriverà presto. Perché stupirsi? Il sionista Mugica non era forse in prima fila nell'impresa del F-23? Non c'è differenza di interessi tra l'oligarchia e il suo esercito. Di fatto esiste una divisione dei compiti nell'oppressione e nello sfruttamento del popolo. E' per questo che quando si aggrava la crisi e cresce il movimento rivoluzionario, è l'esercito che assume la direzione ed impone le sue condizioni nella lotta antisovversiva: a questo fine mantiene nel governo uomini che eseguono e fanno eseguire i suoi ordini. Questa è la sostanza della situazione, il resto è facciata!

Ogni classe in ogni momento pone alla testa gli uomini di cui ha bisogno. Per poter andare avanti dopo "l'incidente" del F-23, l'oligarchia spagnola aveva bisogno di personaggi e di istrioni come F. Gonzales e Alfonso Guerra. E anche di alcuni mastini come Corcuera e Mugica. E' noto che la corsa alla presidenza del Governo di quest'ultimo personaggio, portato in palmo di mano dai soldati, è stata stroncata dal caso F-23. Nonostante ciò oggi è riuscito a recuperare spazio sulla scena politica. Ciò rivela l'identità delle forze che stanno dietro le quinte, tirando le fila.

Quel che è certo è che il regime dell'oligarchia finanziaria spagnola continua ad essere debole e che questa debolezza si sente in ogni campo. Questa realtà sfugge al suo controllo. Ma il loro problema più grave consiste nel fatto che non hanno altra alternativa che quella di mantenersi al potere con la forza dal momento che la riforma non paga più, poiché, come abbiamo già chiarito altre volte, hanno dovuto dar fondo nel corso stesso della riforma alle scarse risorse politiche che avevano e al risicato margine di manovra di cui disponevano. Questo è il profondo significato della crisi politica che affligge il regime e che si riflette sull'intera società.

Il terrorismo di Stato è la più chiara manifestazione della debolezza e dell'esaurimento storico del sistema. Una valutazione diversa della situazione comporta la mancanza di ogni analisi politica e l'attribuzione dei mali della società a elementi "estranei" ad essa o alla megalomania e mancanza di scrupoli di alcuni politici. Questo è il modo in cui la borghesia presenta a volte le cose. Vi sono persone che non hanno ancora capito la concezione che guida la nostra lotta contro il moderno Stato di polizia e che ci criticano perché non riconosciamo la differenza (apparentemente abissale) che secondo loro esiste tra il regime fascista e l'attuale "democrazia parlamentare" . Riferendosi solo al senso letterale di alcune espressioni usate da noi relative allo Stato ed ai partiti borghesi, ci accusano di chiudere gli occhi di fronte ai nuovi metodi di dominio che usa la borghesia spagnola, come se noi non li conoscessimo abbondantemente.

Non torneremo qui a ripetere l'analisi che il Partito ha fatto già da molto tempo di questo problema, analisi che l'evoluzione della società spagnola e la nostra esperienza di lotta hanno confermato. Invitiamo i critici a preoccuparsi di studiare le nostre posizioni prima di precipitarsi ad emettere sentenze.

Lo stesso accade per ciò che riguarda la nostra concezione della lotta armata rivoluzionaria, del suo carattere e della sua importanza strategica. Le due questioni sono legate e non si possono separare senza correre il rischio di sbagliare tutto.

Evidentemente la caratterizzazione strategica della lotta armata deriva direttamente dall'analisi della società e dello Stato, dall'analisi di tutta l'evoluzione del sistema capitalista spagnolo e non solo di un suo aspetto e di un suo periodo particolare. E' quest'analisi che ci ha portato a concludere che oggi è impossibile difendere gli interessi dei lavoratori con i metodi pacifici o tradizionali di lotta; per questo è necessario la lotta armata, integrandola nella strategia generale della resistenza popolare al sistema capitalista.

Una volta messo a fuoco correttamente questo problema, si potrà capire perché insistiamo nei nostri obiettivi e proponiamo di accumulare forze nella lotta quotidiana, per fare continui passi avanti; perché perseveriamo nella linea della resistenza rifiutando le facili soluzioni e le strade già battute che sappiamo perfettamente non condurre da nessuna parte.

La causa dei prigionieri politici e' la stessa causa di tutti i lavoratori

La dimostrazione più chiara dell'impotenza dello Stato di fronte a quelli che lo combattono risolutamente è quella che sta dando l'eroica resistenza dei nostri compagni prigionieri. Il governo si è oramai convinto di non poterli "reinserire". Non è riuscito né riuscirà a farli pentire né a far loro abiurare le loro idee rivoluzionarie. Dato poi che ha fallito anche nei tentativi di utilizzarli come ostaggi per impedire o deviare le lotta del movimento, ora cerca solo di evitare che continuino a costituire, secondo le parole del golpista Mugica, "una università del crimine" dentro le carceri.

Ricordiamo che la Procura Generale della RFT li ha già processati accusandoli né più né meno che di "formare un commando terrorista operativo" nella prigione. L'esistenza in Spagna di collettivi di prigionieri politici è insopportabile per lo stato neonazista tedesco, perché mette, tra l'altro, in pericolo il regime di isolamento e di tortura bianca al quale vengono sottoposti i compagni della RAF e altri prigionieri della resistenza antifascista e antimperialista in numerosi paesi.

Per questo si è premurato di dare al Governo spagnolo un supporto giuridico che gli permettesse di porre fine quanto prima alle comuni dei prigionieri. E' ovvio che i nostri governanti hanno anche i loro piani interni. La Spagna non è la Germania, né lo Stato spagnolo può fare la stessa ostentazione di forza di quello tedesco. Per di più quell'accusa sembrava sminuire la provata efficacia dei "nostri" poliziotti. Risulta migliore l'idea del sionista Mugica, bisogna riconoscerlo. Si comprende che costui non può dare più di tanto nelle sue giustificazioni e ragionamenti, di quanto si possa pretendere da elementi come lui. Nessuno ignora che la vita collettiva, fondata sulla condivisione del lavoro, della solidarietà, dello studio, dell'arte, delle risa e della tristezza, è stata sempre, per i fascisti di tutti i tempi e di tutte le latitudini, uno dei maggiori crimini che si possano commettere. Quante autentiche università del crimine hanno creato loro in Spagna anche solo in un anno?

Ed infine, il fatto è che ora, per impedire ai prigionieri di continuare la "carriera" che hanno scelto, devono sterminarli. Non è vero, come affermano i portavoce del governo, che il proposito del governo è quello di imporre ai prigionieri politici lo stesso regime carcerario dei prigionieri comuni. Non si tratta solamente della "dispersione". Il governo vuole dare una lezione. Solo questo può spiegare le crudeltà che sta commettendo. Ai prigionieri non rimane altra alternativa che morire o lasciarsi condurre in quelle stanze della tortura che sono le celle d'isolamento, dove sono sottoposti ad un regime speciale di privazione sensoriale che impedisce loro di sentire persino i battiti del proprio cuore. Vogliono togliere loro le facoltà mentali per convertirli in esseri senza coscienza, senza idee, senza volontà, facilmente maneggiabili.

La politica di sterminio dei prigionieri politici si è concretizzata con quella che il quotidiano "El Pais" ha chiamato cinicamente "strategia del logoramento". Non serve fare ulteriori commenti su cosa significhi per gli scioperanti la cosiddetta "strategia del logoramento". Vogliamo però insistere sul fatto che nessuna persona, che non sia resa insensibile dall'egoismo o dalle idee più retrograde, può rimanere impassibile di fronte a ciò che sta accadendo, tanto più se si considera che si tratta di un collettivo di prigionieri politici che difendono idee e diritti giusti, che interessano tutta la società, contro la bestiale irrazionalità dello stato capitalista. A noi in particolare, per ragioni molto ovvie, non è facile astrarre dall'aspetto umano, personale, famigliare che presenta l'interminabile agonia dei nostri compagni prigionieri. Tuttavia, arrivati a questo punto siamo obbligati a farlo allo scopo di porre il problema nel suo contesto politico: se si tratta di "logoramento" chi lo sta subendo più velocemente? Noi non crediamo che dopo questo assassinio plurimo la combriccola dei bellimbusti socialfascisti che ci governano potrà tenere alta la testa, né presentarsi in nessun ambiente popolare o progressista senza essere oggetto della repulsione che meritano.

Per parte nostra non possiamo impedire che lo Stato continui a commettere questo come molti altri soprusi. I prigionieri della resistenza (con questo termine indichiamo tutti i prigionieri politici) sono una componente essenziale del movimento operaio e popolare. Essi sono una fonte inesauribile di ispirazione e un esempio di dignità e di abnegazione rivoluzionarie. Tuttavia, allo stesso tempo, la loro condizione di ostaggi in mano allo Stato li rende particolarmente vulnerabili.

Abbiamo denunciato l'uso che vogliono fare di loro per esercitare pressioni: sia per portare al pentitismo, sia per sviarci dai nostri obiettivi politici. Forse che non ci stanno offrendo di smettere di torturarli in cambio dell'abbandono della lotta rivoluzionaria?

Come abbiamo detto, non abbiamo la forza di impedire al governo di continuare a commettere questa e molte altre atrocità. Se esiste una maniera per impedirlo, non è lasciandoci attirare sul terreno della provocazione e dell'inganno che i felipisti hanno scelto. Dobbiamo riflettere sul fatto che l'unico modo per porre fine a queste pratiche naziste consiste nel fare il contrario; cioè nel non lasciarci deviare dalla nostra meta, nel proseguire la lotta per gli interessi dei lavoratori e nell'organizzare questi contro la politica sfruttatrice e terrorista del governo.

Solo le masse potranno fermare la mano degli assassini e imporre, come una delle principali rivendicazioni politiche, la liberazione dei prigionieri antifascisti, democratici e patrioti. Questo non esclude che dobbiamo proseguire a dare ai prigionieri ogni tipo di appoggio e di aiuto e addirittura intensificarli, come abbiamo fatto ultimamente.

Sono ben note le maligne interpretazioni che pretendono di farci apparire insensibili ai sacrifici o alla morte, anche a quella dei nostri fratelli di lotta. Dal lato opposto ci viene anche fatto il seguente rimprovero "Bene, di cosa vi lamentate? Non predicavate la guerra rivoluzionaria?" Alcuni sono convinti che la lotta di classe l'abbiamo inventata noi altri comunisti.

Noi non ci "lamentiamo" di niente: denunciamo le crudeltà e i metodi barbari che usa la borghesia monopolista spagnola in questa guerra, non per niente chiamata "guerra sporca". Sono loro, i prepotenti, i dominatori, gli oppressori, che usano la violenza per conservare i loro privilegi. I deboli, gli sfruttati e gli oppressi non usano la violenza se non vi sono obbligati e quando lo fanno è sempre per difendersi da altra violenza. Vi sono persone che non distinguono tra guerre giuste e guerre ingiuste e confondono molto spesso le vittime con i carnefici.

Ah, noi non soffriamo per i nostri martiri! Come possiamo non soffrirne, se sono parte di noi stessi? Invece ai parassiti capitalisti poco importa della vita dei loro sicari.

E' tutta questione di denaro. Possono comprarsi tutti i mercenari di cui hanno bisogno: di loro non gli interessa altro che l'efficacia dei servizi prestati. Se non gliene importa nulla dei loro servitori, possiamo pensare cosa può importare loro dei prigionieri comunisti e di altre organizzazioni democratiche e rivoluzionarie.

Se non li hanno già assassinati tutti è perché non possono farlo o perché non hanno ancora trovato il modo di farlo. Però, non si può negare che lo stanno cercando, senza scartare alcun mezzo né alcun sforzo, compresi i più "umanitari".

L'uomo e la donna sono tutto per noi, la cosa più preziosa, e non possiamo concepire in altro modo la nostra vita; tanto ciò è vero che esistono ben poche cose che non possiamo né vogliamo condividere.

Le dure condizioni di vita nella società capitalista e la lotta rivoluzionaria rafforzano in maniera straordinaria i legami di fratellanza che vorremmo vedere estesi a tutta la nostra classe. Il Partito è una scuola di comunismo. Perché alcuni individui si scandalizzano tanto quando difendiamo le nostre idee e la nostra identità politica come se fossero l'unico bene che possediamo? Per di più solo un perfetto idiota non vede la stretta relazione che esiste fra questa lotta dei prigionieri e quella che viene condotta dai lavoratori per la difesa dei loro diritti e libertà più elementari.

Però non siamo degli incauti come qualcuno vuole presentarci. Non facciamo tutto questo "gratuitamente", né possiamo dire di farlo solo per i nostri simili. Non si può pretendere di tirare fuori uno dal fango se lui sta bene sguazzandoci dentro. Gente simile non merita che si faccia per loro nessuno sforzo.

Se facciamo quello che facciamo e se viviamo una vita di sacrifici e di pericoli, è perché abbiamo fiducia nel nostro popolo, nel suo profondo senso della dignità e della giustizia, nella sua capacità di trasformare ed anche perché siamo fatti così.

Non si tratta del vivere "pericolosamente": questo va bene per bellimbusti oziosi o per avventurieri fascisti. Si tratta, semplicemente, del fatto che non possiamo mandar giù le delizie di questo regime.

Se altri lo vogliono fare, che lo facciano, non ci opporremo, tantomeno possiamo impedirlo. Di modo che sono liberi di fare quello che vogliono e che il sistema gli permette. Però che riconoscano che anche noi siamo liberi di fare quello che consideriamo necessario e che non possiamo tralasciare di fare, diciamo così, per una questione di coscienza.

Non obblighiamo nessuno ad accompagnarci in questo cammino. Di più, sappiamo che nessuno che non condivide le nostre idee potrà farlo; e, come si capirà, queste sono cose che non si possono imporre a nessuno. Si potrebbe dire che vengono "così da sole", come se ci fosse una "grazia divina".

Perché vogliono distorcere la nostra volontà con fandonie e con metodi violenti? In nome di quali principi e di quali interessi? Non esiste nessun principio politico, morale o "umanitario", nel nome del quale si possa giustificare la tortura.

In quanto ai cosiddetti "interessi di Stato" dietro ai quali i torturatori si trincerano, dobbiamo chiedere: quali sono esattamente questi interessi? A chi appartiene, a chi serve questo Stato? Qual è la sua vera natura di classe? Ah no! questo non ha la minima importanza per le mezzemaniche che ci accusano mascherando sempre la verità. Chiamano ciò "libertà". Sono quasi 20 anni che combattiamo questo sistema e tutto ciò che lo rappresenta e ancora non sono stati capaci di conoscerci. Semplicemente giurano che siamo "molto strani". Hanno a loro disposizione numerosi militanti di Partito, li stanno annientando e non possono dire che gestiscono grandi traffici, che sfruttano i lavoratori, che riciclano il denaro della droga, che trafficano con armi né che si appropriano dei fondi pubblici, non sanno dire se sono esseri di un'altra galassia o operai di questo paese con una lunga storia di lotta politica e sindacale ben conosciuta dai loro vicini, dai loro amici e dai loro compagni!

Ad ogni modo, non hanno potuto evitare che tutto ciò in definitiva si superasse, che ogni tanto, nell'esporre i fatti reali o inventati che imputano ai compagni per giustificare gli assassinii nelle carceri o per mano della polizia nelle strade, dalle pagine dei giornali trapelasse la certezza che quegli uomini non facevano parte dei mercenari stranieri del GAL al servizio del governo per uccidere, ricattare e fare sparire quelli che si oppongono al sistema.

Il nuovo atteggiamento delle masse rispetto al movimento di resistenza organizzato

La situazione generale che abbiamo descritto, il lavoro perseverante di denuncia politica e di organizzazione che stiamo realizzando e l'azione armata guerrigliera, stanno creando un clima molto favorevole per il radicamento fra i lavoratori della linea di resistenza che il nostro Partito sta proclamando pubblicamente. E' evidente il cambiamento radicale che si è prodotto nell'opinione delle masse rispetto al movimento di resistenza organizzato. A tutto ciò hanno contribuito in larga misura i prigionieri politici del Partito e dei GRAPO, in particolare con lo sciopero della fame che ancora stanno facendo. Questo sciopero, la detenzione di militanti e simpatizzanti e la morte di José Manuel Sevillano Martin, è stato l'alto prezzo che abbiamo dovuto pagare per questo riconoscimento. La reazione ci accusa per questo, sostenendo che "cerchiamo dei martiri", quando tutti sanno che i martiri li creano sempre loro, senza alcuna necessità da parte nostra di cercarli.

D'altra parte, alcune persone sciocche, intellettuali da quattro soldi, in un gesto di bilioso compatimento, preferiscono presentarci (forse per tacitare la loro coscienza) come degli "eterni sconfitti". Ebbene, noi non abbiamo alcun timore nel riconoscere la parte di verità che racchiude questa maliziosa idea. Sicuramente, nel corso della storia, ci hanno vinto molte volte; questo è certo, come è certo che siamo venuti al mondo già sconfitti. Questa è l'eredità che riceviamo dai nostri antenati ancor prima di nascere, la condizione della nostra classe. Solo essi, la borghesia, per le stesse leggi dello sfruttamento capitalista, sono destinati ad essere gli eterni vincitori in questa società. E' per questo che se, nel momento stesso in cui prendiamo coscienza di questa relazione, ci organizziamo ed intraprendiamo la lotta per cambiarla, si può già dire che stiamo già vincendo. "Resistere è vincere/guadagnare il futuro/affermando la vita che ci negano". Non è per caso che questi versi si trovano nella testata del nostro organo di stampa (Resistencia). Se non facessimo così, e se non avessimo questa certezza, allora sì che si potrebbe dire con ragione che siamo vinti. La borghesia afferma il suo potere solo quando ottiene dagli schiavi moderni la legittimazione del suo sistema di sfruttamento.

Del resto, sappiamo che tutta la storia del movimento rivoluzionario è fatta di una successione ininterrotta di vittorie e di sconfitte, fino a che non si riesce a raggiungere la vittoria finale. Potrebbe forse essere diversamente? E' chiaro che per quelli che hanno già fatto la loro "rivoluzione personale", per i dissociati e i disertori, contano solo le sconfitte o i fallimenti momentanei del movimento rivoluzionario. Si potrebbe anzi affermare che questi sono loro necessari per lavarsene le mani e giustificare la loro condotta da codardi. Come può esistere un "eterno sconfitto", se non nel mondo dei morti viventi che essi abitano? E perchè si agitano? Anche se fossimo riusciti solo a farli agitare, avremmo fatto qualche passo avanti in questa lotta.

Quelli del governo sostengono anche che non "abbiamo appoggi". Bene, non parliamo qui in dettaglio, e il motivo è abbastanza evidente, delle numerose dimostrazioni di solidarietà e di appoggio che stiamo ricevendo, in particolare i prigionieri, da parte di ampi settori della popolazione. Tutto ciò significa una chiara e importantissima sconfitta politica del regime di fronte al movimento di resistenza popolare, sconfitta che apre definitivamente le porte allo sviluppo della nostra attività rivoluzionaria e al radicamento del Partito tra le masse. Il fallimento dello Stato nei suoi sforzi per isolarci e farla finita con la resistenza politica organizzata, non ha potuto essere più completo e clamoroso. Ma i felipisti continuano a sostenere che manchiamo di appoggi. In questa affermazione è implicito che chi ha la forza ha dalla sua parte anche la ragione. Qui non si mostrano le motivazioni, le idee né i programmi. Semplicemente, sostengono: tu sei debole, io sono forte e questa forza mi dà diritto a romperti la testa. E non importa nemmeno che questa ipotetica forza (i loro "appoggi") l'abbiano ottenuta con metodi nazisti.

Quello che non si spiega è come e grazie a quale miracolo, abbiamo potuto resistere per tanti anni ai loro attacchi. Nello stesso modo nessuno sa spiegare questa permanente preoccupazione che i repressori mostrano per la mancanza di appoggio di cui, secondo loro, soffriremmo. Perchè tanto interesse per qualcosa che non abbiamo? E' evidente che cercano di squalificarci come forza politica, di farci apparire come dei pazzi solitari senza ragioni né motivi che giustifichino la nostra lotta. Questo è la loro principale intenzione, ma non è l'unica. Vogliono anche farci uscire dai gangheri perchè facciamo "dimostrazioni di forza" che permettano loro di localizzarci per colpirci e dare così l'impressione di controllare la situazione e, allo stesso tempo, dissuadere coloro che sono disposti a lottare a non entrare nelle nostre file, visto che siamo solo "quattro gatti". Cosa succederà quando riusciremo a raddoppiare il numero e il movimento organizzato potrà contare su appoggi che ancora gli mancano? E' questo il problema, quello che veramente li preoccupa. Con il paese immerso in una crisi irreversibile e in mezzo ad una grande effervescenza sociale, lo Stato capitalista deve affrontare quello che per lui rappresenta il pericolo più serio: l'esistenza di una forza politica che difende gli interessi e interpreta le aspirazioni più profonde delle masse e che si mostra decisa a guidarle nella loro lotta per il potere. Non deve stupire, quindi, che la sua strategia repressiva persegua l'annientamento di questa forza, per quanto attualmente questa sia o possa sembrare piccola.

Da parte nostra, non siamo tanto illusi da credere che possediamo tanta forza o che siamo invulnerabili come, loro malgrado, la loro stessa menzognera propaganda ci fa apparire spesso davanti alla faccia attonita della gente. Non siamo dei giganti e ci sentiamo deboli, particolarmente quando calcoliamo l'enorme importanza dei compiti che abbiamo davanti. Questa debolezza non la nascondiamo, ma non produce in noi né panico né rinuncia. Sappiamo che la nostra lotta dovrà essere lunga e incontrerà purtroppo numerose difficoltà e limiti. Ma siamo convinti che col tempo, con la lotta e il duro lavoro, riusciremo a superarli. Anche per questo abbiamo bisogno di contare sull'appoggio crescente delle masse e di incrementare il numero e la qualità dei membri del Partito. Questo è, precisamente, uno dei problemi più importanti che abbiamo di fronte. Per questo motivo dobbiamo moltiplicarci e ci moltiplichiamo sempre quando occorre, e quando non occorre, "scompariamo". Così si concretizza la nostra strategia politica di resistenza, ed è quello che ci permette di realizzare i compiti necessari, di preservare e accumulare forze. Questa dovrà essere la nostra strategia per lungo tempo, perlomeno fino a che riusciremo ad accumulare forze sufficienti per poter togliere al nemico quella preoccupazione che ha in testa.

E' evidentissimo che attualmente esiste una enorme sporporzione di forze fra la reazione spagnola e chi come noi la combatte; tuttavia, mentre a noi non spaventa tanto questa debolezza di oggi, i capitalisti hanno molta paura della forza che potremo avere domani. Attualmente, la maggior parte dell'appoggio morale di cui abbiamo bisogno per proseguire la lotta, ci viene dalla consapevolezza che stiamo difendendo una causa giusta. Questo spiega di per sé molti "misteri". Dell'appoggio di massa e del lento rafforzamento del Partito e dell'insieme del movimento di resistenza organizzato, cosa possiamo dire di più? Che non disperino i nostri nemici, che abbiano un poco di pazienza, che anche questo problema sarà risolto. Si sta risolvendo; lentamente, ma si sta risolvendo.

E' lo stato fascista e i suoi complici che sono veramente isolati

All'inizio era come un gocciolio, più avanti fu come un filino d'acqua, e ultimamente, il filino si sta trasformando in un torrente. Non è lontano il giorno in cui in questo torrente ne affluiranno molti altri da diversi luoghi. Così cresceremo, sommando volontà, fino a formare il grande fiume della rivoluzione popolare.

Il problema dell'appoggio di massa alla nostra lotta o, per essere più precisi, dell'incorporazione attiva e crescente degli operai e degli altri lavoratori alla lotta rivoluzionaria per il potere, è il problema principale che qualunque rivoluzione deve sempre risolvere, e la nostra non è diversa, sotto questo aspetto, dalle altre: può incontrare maggiori o minori difficoltà e aver bisogno di più o meno tempo, questo dipende dalle condizioni, sia esterne che interne. Per cui questo problema dobbiamo considerarlo nella sua relatività. E' sbagliato impostare questo problema in termini assoluti, perchè nella vita reale non appare mai in questo modo.

In un momento determinato, può essere considerata grossa, per esempio, una manifestazione di cento persone. In un altro momento diverso, cinquanta o centomila persone sono poche. Non hanno la stessa forza politica né lo stesso valore storico e di testimonianza una manifestazione composta da cento persone fatta sotto il terrore fascista e una sfilata "ludica" di centomila persone sotto questo stesso terrore o in regime "democratico". Tutto consiste nel sapere quello che si chiede o si denuncia in ognuna di questi due tipi di manifestazioni. Allora capiremo che non costa lo stesso prezzo né richiede uguale grado di impegno politico il partecipare, poniamo il caso, ai funerali di un rivoluzionario assassinato dal governo o l'andare ad una celebrazione più o meno ufficiale.

La banda di mafiosi e assassini che formano il governo della "nazione" conta forse sull'appoggio dei lavoratori? Davvero credono di avere l'appoggio di quei milioni di lavoratori che scendono in sciopero e si scontrano con le forze repressive che proprio i felipisti mandano contro di loro? I risultati truffaldini delle mascherate elettorali esprimono davvero un appoggio reale della popolazione alla politica sfruttratrice e oppressiva, veramente antipopolare, del governo? Sono questi risultati la dimostrazione del vero sentimento popolare? Questi risultati dimostrano forse la reale correlazione delle forze politiche e sociali? Essi pretendono di fare credere questo, ma tutti sanno che il governo "assoluto" di Don Felipe è un governo della minoranza e che tutti i partiti borghesi insieme, con molta fatica (e con molte centinaia di milioni) arrivano a raggrannellare i voti necessari per mantenere in piedi l'imbroglio. Nonostante le loro "poderose forze", gli ingenti mezzi di comunicazione e i due ministeri della repressione, chi è veramento isolato e chi lo sarà ogni giorno di più?

Anche la Guardia Civil vota. E i militari, e i preti, e le legioni di funzionari. Votano anche i milioni di pensionati, cos'altro possono fare? Questa è la clientela politica che si spartiscono il PSOE, il PP e gli altri partiti dell'"arco costituzionale", i quali contano, inoltre, sulle rispettive "basi" borghesi. La forza più considerevole e decisiva è formata dal partito dell'astensione. E questa forza è composta dagli operai, dai giovani senza lavoro, dalle donne maltrattate e da quelle che non si lasciano maltrattare. Questa forza non sta e non starà mai dalla parte della borghesia e del suo Stato. Tutti questi si schiereranno un giorno dalla nostra parte in maniera aperta e risoluta? Se non fossimo convinti di questo, avremmo rinunciato da molto tempo. E' chiaro che perchè le masse possano aderire alla lotta rivoluzionaria, debbono crearsi determinate condizioni.

Del resto, la storia ci ha dimostrato che è sempre un gruppo minoritario di rivoluzionari di professione a guidare la lotta delle masse. Sono alcuni a dover fare il primo passo e questo è toccato a noi; questo è il nostro diritto e il nostro dovere.

Legare il partito alle grandi masse

Dobbiamo trasformare tutto questo rifiuto e la rabbia popolare che si manifesta tutti i giorni contro il regime sfruttatore, corrotto e assassino, in un movimento politico organizzato di massa. Questa è la sfida che abbiamo davanti. A cosa è dovuto il disinteresse dei lavoratori a partecipare in modo attivo a qualunque tipo di organizzazione democratica? Come si spiega il ritardo del movimento organizzato rispetto al movimento spontaneo delle masse? Perchè ci costa tanta fatica concretizzare in organizzazione questa simpatia e l'appoggio che ci viene da diversi settori? La risposta dettagliata a queste domande ci porterebbe molto lontano. Ciò nonostante, ci soffermeremo su quegli aspetti che interessano più direttamente il nostro lavoro.

Frequentemente, alcuni compagni si mostrano impazienti per la lentezza che si osserva nello sviluppo del Partito e nella articolazione organizzata del movimento di resistenza. In realtà, questo argomento non è per niente nuovo, e ci ha sempre preuccupato tutti; è bene che sia cosi, poichè, come sottolineavamo in precedenza, si tratta del problema fondamentale che ogni partito o movimento rivoluzionario dovrà risolvere: quello di riuscire a fondersi con le grandi masse popolari. È facile capire che per risolvere un problema di questa natura non bastano pochi giorni e soprattutto non occorrono solo pochi sforzi. È necessario sviluppare un lavoro continuo, il quale sarà compensato solo col trionfo della rivoluzione. Solo allora questo problema sarà definitivamente risolto, prima no.

Deve essere chiaro: questo non è né un problema teorico né tecnico; il risolverlo non dipende nemmeno unicamente dalla linea politica e dalla nostra volontà. Si tratta piuttosto di una questione di atteggiamento e di condizione di classe. È possibile accelerare la marcia? Bene, cerchiamo il modo di farlo. Guardiamo se esiste qualche scorciatoia, però in nessun caso la difficoltà o il prolungamento del cammino deve farci rinunciare alla meta.

In numerose occasioni abbiamo spiegato che, perchè il movimento rivoluzionario si sviluppi, sono indispensabili, oltre ad una linea politica giusta e all'attività che possiamo portare avanti con l'organizzazione, altri fattori che influiscano favorevolmente sulla situazione e che facilitino la crescita di coscienza politica delle masse. L'aggravamento della crisi generale del capitalismo e l'intensificazione della lotta di classe che essa provoca, sono fattori favorevoli molto importanti. Però dobbiamo tenere conto anche dei fattori sfavorevoli (come il lavoro subdolo del revisionismo e la situazione internazionale) che influiscono negativamente sulla situazione generale, demoralizzano le masse e disarticolano il loro movimento. In particolare, la crisi dei paesi socialisti e il modo in cui i loro dirigenti la stanno affrontando, si ripercuote nell'animo e nella capacità di resistenza dei lavoratori, i quali si trovano disarmati di fronte alle nuove aggressioni del capitale e non vedono alcuna via d'uscita "valida" alle loro iniziative politiche. Con questo non vogliamo dire che la rivoluzione in Spagna, come in qualunque altro paese, dipende da fattori esterni, però è indubbio che detti fattori influiscono e stanno rendendo molto più difficile e lento il nostro lavoro in questo momento.

Appoggiare il movimento, chiarire le idee

Gli operai e molti altri lavoratori lottano, e continueranno a farlo in modo sempre più radicale, indipendentemente dalla borghesia e da ciò che succede in altri paesi, poichè la loro vita quotidiana non dipende da ciò che sta succedendo fuori dalle nostre frontiere. Altra cosa molto diversa è che si propongano di fare la rivoluzione come unica e vera soluzione a tutti i loro problemi. Questo dipende, in misura non piccola, dal lavoro del Partito.

Il nuovo movimento operaio, in gran parte spontaneo, si trova in stretto rapporto con la crisi del sistema capitalista e con i problemi di ogni tipo che essa sta generando: disoccupazione, miseria, repressione, militarizzazione, droga, degradazione dell'ambiente, ecc. Ma la cosa più rilevante è ciò che si produce ai margini e, il più delle volte, anche contro le istituzioni dello Stato e i partiti politici che lo sostengono, dei quali ormai non si fidano né vogliono accettare le "soluzioni". Noi non possiamo che apprezzare questa indipendenza, appoggiarla ed estenderla ovunque, poichè, in realtà, quello che si sta mettendo in discussione non è altro che la politica "riformista" e l'insieme delle istituzioni su cui si basa il dominio della borghesia monopolista.

E' precisamente questo quello che dovremo far capire agli operai, perchè lo assumano e lo portino avanti in modo conseguente; vale a dire, fino alla distruzione di questo sistema e alla edificazione di un nuovo sistema, veramente socialista. A questo scopo dobbiamo cominciare a spiegar loro che tutte le loro azioni fanno parte del movimento di resistenza popolare, incluso il rifiuto dei cosiddetti "partiti comunisti" e della loro politica collaborazionista. Nessuno prima di noi, né con maggiore energia, ha espresso questo stesso rifiuto e questa denuncia, fondandoli sui principi marxisti-leninisti rivoluzionari. Di modo che non sarà difficile far comprendere la coincidenza di punti di vista e di interessi che di fatto esistono fra il nostro Partito e il movimento di massa. Si tratta di ristabilire la fiducia su questa base e praticare la lotta unitaria senza lesinare sforzi da parte nostra, mettendo in gioco tutto il nostro coraggio e la nostra capacità di organizzazione ed appoggiando le iniziative altrui.

In modo particolare, dobbiamo continuare a prestare appoggio al movimento sindacale della classe operaia. Oggi, si sa bene, il sindacalismo giallo che praticano le CCOO (1) e la UGT (2), è totalmente screditato in Spagna, poichè ha assunto funzioni di polizia, di controllo e di persecuzione del vero sindacalismo di classe e degli autentici leader operai. Contro questi strumenti del padronato e del governo bisogna proseguire la lotta in tutti i modi possibili: con la denuncia, il boicottaggio delle mascherate elettorali, dei loro patti, accordi e compromessi di ogni genere - e, più in generale, stimolando e fornendo ogni tipo di appoggio al movimento sindacale veramente indipendente.

E' indubbio che, da parte loro, i sindacati mafiosi continuano a simulare un'opposizione, che poi non portano avanti, alla politica ufficiale. Ne fa prova il fatto che sempre più frequentemente cercano l'appoggio del governo per sottolineare il loro "rifiuto" ad accettare la politica stabilita dal governo stesso d'accordo con gli interessi dell'oligarchia finanziaria e del grande padronato, quando non chiedono addirittura il suo arbitraggio, come sta accadendo recentemente, per dirimere le loro stesse beghe. Non si sono nemmeno sentiti di mettere in discussione, in nessun momento della "mischia" verbale, la libertà di licenziamento e la privazione di tutti i loro diritti di cui in questo momento sono oggetto i lavoratori. Come potrebbero opporsi a questa politica anti-operaia, se la stessa non è che il risultato dei loro patti e accordi e se per di più, essa viene portata avanti dappertutto con la loro collaborazione?

Anche adesso simulano l'opposizione davanti ai nuovi piani di riconversione e al cosiddetto "patto di competitività" stabilito senza grandi sforzi dai partiti borghesi; quello che vogliono in realtà, come già in precedenti occasioni, è solo un compenso per i loro buoni servizi.

Essi non sono contro la riconversione né contro i licenziamenti, e ancor meno contro gli eventuali accordi; esigono solo di poter controllare la contrattazione, allo scopo di poter imporre agli operai una condizione di vassallaggio forzosa che questo controllo comporta. Questo, logicamente, cozza con gli interessi dei padroni, che desiderano continuare ad imporre le loro condizioni agli operai in modo individuale, senza interferenze mafiose in quello che considerano il loro orto privato. Da qui le risse e le discussioni fra loro.

Riguardo a questa faccenda, c'è il progetto di legge sullo sciopero che il governo sta preparando. A cosa serve una legge sullo sciopero, si domandano i mafiosi sindacali - e non hanno davvero torto - se non hanno la possibilità di imporla agli operai? Per questo patrocinano alcuni mezzi di controllo "naturali", contando per questo sull'aiuto del padronato e del "sindacalista" Corcuera.

Unita' operaia di fronte allo sfruttamento capitalista

La lotta contro la libertà di licenziamento e i contratti a termine, per migliori condizioni di lavoro e per la riduzione della giornata lavorativa, sono esigenze irrinunciabili e non possono essere sacrificate sull'altare della "competitività" e degli alti profitti capitalisti. La concorrenza e l'ansia di guadagno della borghesia costa alla classe operaia migliaia di vittime ogni anno; questo, per non contare gli invalidi e le centinaia di migliaia di malati di mente che la cupidigia capitalista provoca, con tutte le conseguenze che ne derivano per le famiglie operaie. Ma ancor peggiore di tutto questo è la divisione che crea la concorrenza che gli stessi operai sono costretti a farsi tra di loro per conservare o trovare un posto di lavoro, a costo di sacrificare la solidarietà con i loro compagni. Questa è la peggiore di tutte le schiavitù che ci possono imporre, poichè, fra l'altro, è accompagnata dai maltrattamenti e dal disprezzo, a parte il fatto che con essa non si risolve alcun problema, ma anzi si aggrava ogni giorno di più la situazione di tutti.

Dobbiamo rompere questa dinamica cannibalesca del sistema ed imporre le nostre condizioni mediante l'unità e con la lotta più risoluta. Sappiamo che questo non è facile, e ancor meno lo è in una situazione di crisi, ma dobbiamo riuscirci. E' una questione di sopravvivenza, di vita o di morte, che interessa l'irrobustimento di tutto il movimento di classe.

La continua riduzione del tempo di lavoro necessario (della parte della giornata necessaria per ottenere il salario) non può significare, come sta avvenendo, la sua svalutazione al livello più basso e il totale sfinimento degli operai. Bisogna porre un freno allo sfruttamento che mutila e degrada la classe operaia fino a limiti inconcepibili anche solo pochi anni fa. Per far questo non servono - ed è più che dimostrato - i sindacati che sono entrati a far parte dell'ingranaggio capitalista. E' indispensabile sviluppare il movimento sindacale indipendente della classe operaia, articolandolo sulle assemblee e le commissioni di delegati eletti nelle assemblee stesse con metodi democratici.

Su questo terreno, come in molti altri della lotta di classe, i militanti del Partito, i simpatizzanti e gli amici, posseggono una lunga esperienza e possono svolgere un ruolo rilevante attraverso quelli che negli anni scorsi noi chiamavamo "i circoli operai". Chiariamo subito che non si tratta di creare nessun nuovo sindacato né alcun altro imbroglio burocratico (in ogni caso, e dove le possibilità lo permettono, potremmo lavorare nei sindacati già esistenti).

Secondo la nostra concezione, si tratta piuttosto di una "organizzazione senza membri", come quelle che esistono in numerosi posti, in cui è molto difficile potersi infiltrare e ancor più difficile è distruggerla da parte della polizia politica e degli sgherri del padronato.

Un'organizzazione con queste caratteristiche, per la sua stessa natura, deve essere aperta e molto poco regolamentata; non deve avere "rappresentanti" ufficiali, sedi conosciute e tessere di adesione, ecc. E in quanto alla sua continuità, pensiamo che essa sia garantita dal rapporto permanente che mantengono sempre fra loro gli operai più coscienti e combattivi di una fabbrica o di un'officina e con l'appartenenza di alcuni di essi al Partito.

Rompere con la routine, fare proposte concrete

Ultimamente si sono fatti passi molto importanti nell'avvicinamento e nel lavoro unitario con le altre forze e i collettivi, in cui riteniamo sia articolato organizzativamente il movimento politico di resistenza popolare. Un giorno si potrà scrivere questa denominazione con lettere maiuscole (M.P.R.P.) ma al momento continuiamo ad insistere sull'importanza decisiva dell'organizzazione, dovendo prestare da parte nostra la massima attenzione a questo lavoro. Bisogna vincere la paura e le reticenze, che ancora si osservano in alcuni compagni al momento di uscire fuori a contattare la gente e di fare proposte concrete, a rompere con la routine e con le chiacchiere. E' vero che, attualmente, non è molto quello che possiamo aspettarci dalle principali forze politiche democratiche che si oppongono in qualche modo alla politica terrorista del governo e che sono, oggettivamente, interessate al rovesciamento del sistema. Fra queste, per noi spiccano i nazionalisti (3) e i contadini, che insieme alla classe operaia fanno parte o possono arrivare a formare il più ampio e radicale fronte di lotta.

Anche questi settori hanno i loro programmi e le loro impostazioni e non si lasceranno facilmente trascinare sul terreno della lotta conseguente contro il potere della grande borghesia. Il loro carattere di classe li fa oscillare, per cui sarà necessario un grande accumulo di forze rivoluzionarie prima che si decidano ad agire insieme al Partito e alla classe operaia. In ogni modo, noi non esiteremo a fornire loro appoggio nelle loro giuste rivendicazioni economiche e nelle loro richieste politiche, coscienti che, in questo modo, indeboliremo il regime e ci avvicineremo alla nostra meta.

Altra cosa sono i collettivi di giovani (e non più giovani) e altri gruppi vicini all'ideologia rivoluzionaria. In questo campo, riteniamo che già esistano sufficienti conoscenze, legami e obiettivi comuni e pertanto sia inutile soffermarci qui a discutere il tema delle "alleanze", delle "fasi" e dei "processi" prima di poter raggiungere l'unità d'azione e la collaborazione su molteplici aspetti. Tutta questa paccottiglia, questa ciarlataneria propria della tradizione riformista (niente affatto gloriosa) deve essere rifiutata e spazzata via dal nostro movimento come un ostacolo. Ugualmente, dobbiamo evitare di cadere nei facili luoghi comuni che parlano di "unità" senza obiettivi definiti, e dobbiamo considerare che l'unità è possibile solo quando esiste una vera volontà di combattere. Per questo dobbiamo fare in ogni circostanza proposte chiare e concrete. Perchè abbiamo necessità di unirci? Cosa possiamo fare insieme? Da dove possiamo cominciare?

In nessun caso si tratterà di includere una sigla in più nel già famoso "minestrone di sigle". Bisogna evitare queste pratiche infantili, con le quali si ottiene solo, nella maggior dei casi, di mettere in evidenza la divisione reale che esiste nel movimento, la sua impotenza e l'assenza di solide basi politiche. Si devono anche evitare, come la peste, in questo ambiente viziato dalle polemiche di gruppo, i rancori, le liti e i "risentimenti" personali. E' necessario togliere di mezzo tutte queste cose, o trattarle a parte, come faccende private, in modo che non interferiscano nel lavoro né influiscano sulle persone che desiderano onestamente contribuire alla causa.

Nei nostri rapporti, dobbiamo preoccuparci che tutto venga fatto in modo che prevalga sempre il vero interesse della causa democratica e popolare, e non l'interesse di mettersi in vista di questo o quel gruppo o persone. Quindi non ci opporremo se saranno altri a voler "figurare", se lo desiderano, sempre che rispettino gli accordi e li mettano in pratica. Su questo punto dobbiamo mostrarci inflessibili, non dovremo permettere gli inganni né le manipolazioni che, a imitazione dei partiti e degli uomini politici borghesi, alcune persone portano avanti. Questo atteggiamento deve essere garantito dalla nostra pratica e dal nostro stile di lavoro, che si esprime nell'essere sempre i primi negli sforzi e nei sacrifici e gli ultimi al momento di ricevere i frutti o il riconoscimento. Questo si chiama "predicare con l'esempio" e "unire le parole ai fatti", ed è solo in questo modo che potremo guadagnare la fiducia e l'appoggio delle masse, in particolare delle persone più serie e perspicaci.

Rafforzare ed estendere il partito

Per quello che riguarda l'organizzazione del Partito, il fatto che ci poniamo all'avanguardia della lotta - e per noi questa non è una frase vuota - e che svolgiamo la nostra attività principalmente dalla clandestinità, determina uno spazio di separazione che per molta gente, compresi gli elementi più avanzati non è facile da superare. Questo è un problema inevitabile, che non potrà essere risolto che col tempo, estendendo l'organizzazione del Partito mediante la nostra partecipazione attiva alle lotte di massa e moltiplicando i contatti e i legami. Dipende inoltre anche da altri fattori sui quali però non ci soffermiamo qui.

Alcuni identificano il Partito con le forme più rudimentali di organizzazione degli operai, con i loro obiettivi limitati e i loro artigianali metodi di lavoro. Altri lo concepiscono come un gruppo di cospiratori completamente chiuso su se stesso e nel quale prevarrebbero i metodi propri di un'organizzazione militare. Ebbene, non insisteremo ancora su tutto quanto abbiamo già detto su questo stesso tema. E' certo che le autorità non sono solite fare queste distinzioni - se si tratta di un militante del Partito o della guerriglia - al momento di applicare le leggi speciali della repressione. Ma questo non ha a che vedere con il carattere della nostra Organizzazione né con il suo funzionamento, dal momento che sono stati concepiti non solo per eludere per quanto possibile la repressione, ma, principalmente, in funzione del nostro lavoro politico. Lo stesso dicasi della necessaria separazione che deve esistere fra il Partito e le altre forme di organizzazione che le masse adottano, allo scopo di evitare che si "confondano" e si stemperino, nella pratica, i loro distinti compiti. Anche se, in realtà, come abbiamo detto in precedenza, è la polizia politica ad incaricarsi di stabilire queste barriere, senza alcuna necessità che siamo noi a marcare i confini. Inoltre, è indispensabile tenere conto che non ci troviamo alla vigilia di una rivoluzione democratico-borghese, il che ci obbligherebbe a salvaguardarci dalla pretesa di elementi radicaleggianti della piccola borghesia, ecc. di annidarsi tra noi, in attesa del loro turno per fare carriera. Per questo motivo il problema che ci si presenta non è tanto quello di "separare" ma quello di "unire": è quello di legarci agli operai avanzati e agli altri combattenti d'avanguardia.

Deve essere chiaro che non stiamo patrocinando la sospensione della disciplina né delle altre condizioni della militanza comunista. Al contrario si tratta di rafforzarle, rendendole, se possibile, ancora più coscienti. Questo è un imperativo del momento storico che stiamo vivendo, momento di demoralizzazione, di dispersione e di degenerazione politica. E che i nemici e gli avversari del nostro Partito continuino pure a dare addosso al nostro "settarismo"! E' quello che i pusillanimi, e la gente senza alcun principio hanno sempre detto dei rivoluzionari.

Il Partito non è né potrà mai essere un'organizzazione di tipo militare, per lo stesso motivo per cui non è né potrà mai essere un sindacato. Questo non impedisce ai suoi militanti di integrarsi in altre organizzazioni e di partecipare alla loro attività guidati dalla politica generale del Partito. Ma in tutti i casi, il Partito manterrà sempre la sua indipendenza politica e organizzativa. Vale a dire, non si lascerà sviare dai suoi obiettivi né si trasformerà in un'aggregazione di gruppi in cui predominano le abitudini e le idee borghesi. Il Partito deve conservare il suo carattere di arma sempre affilata e pronta alla lotta, e questo potrà farlo solo se sviluppa la sua attività nella clandestinità e applica in modo conseguente il principio del centralismo democratico nel suo funzionamento, impedendo che detto principio si converta in una formula burocratica o in un rituale.

Non possiamo accettare nel Partito l'esistenza di correnti o distinte tendenze, in quanto contraria al principio del centralismo democratico che regge il nostro funzionamento. Nella pratica rivoluzionaria è assolutamente necessaria l'unità d'azione, la quale presuppone la libertà di discussione e di critica, intesa nel suo senso più letterale. Bisogna evitare il formalismo nelle nostre discussioni o dibattiti: che nessuno si senta costretto nelle sue manifestazioni né forzato per nessun motivo a ritirare le proprie opinioni. Ultimamente abbiamo sostenuto una lotta interna di grande importanza intorno a questo stesso argomento. Questa esperienza ci ha aiutato tutti a comprendere molto meglio l'importanza decisiva del principio del centralismo democratico per lo sviluppo della lotta ideologica dentro il Partito e per il rafforzamento della sua unità e combattitività. Pertanto, dobbiamo continuare ad approfondire la natura politica e ideologica di questo problema.

Migliorare il nostro stile di lavoro

Dobbiamo migliorare il nostro stile di lavoro. Molte volte ci lamentiamo per la mancanza di iniziativa che si osserva tra i militanti, e non sono certo sufficienti, per rompere con la passività e il formalismo, i ripetuti appelli che a tal fine stiamo facendo dalla Direzione. I compagni temono che le loro iniziative siano sbagliate, temono le critiche che ne possono ricevere, più o meno fondate, e, in generale, preferiscono aspettare che siano altri a decidere per loro in faccende che li riguardano direttamente. E' come se avessero bisogno di essere sotto tutela.

Abbiamo riflettuto a lungo su questo problema. La sua origine deriva, non c'è dubbio, dal carattere collettivo dell'organizzazione, dagli interessi che persegue, così come dalle decisioni che prendiamo. Questa è la fonte da cui traiamo le nostre forze, ma essa costituisce anche uno dei nostri punti di debolezza. Tendiamo ad appoggiarci al collettivo e a delegare ad esso le nostre responsabilità individuali, in modo che la maggior parte delle volte queste svaniscono. E' necessario tornare ad insistere sulla necessità di stabilire una rigida divisione e specializzazione del lavoro nell'Organizzazione e un controllo rigoroso sulla esecuzione dei piani e degli accordi affidati a tutti e ad ogni singolo militante. Su questa base bisogna stimolare l'iniziativa individuale, facendo attenzione di non cadere nella routine. Nessuno può coprirsi le spalle dietro la responsabilità collettiva, per non fare quello che è un suo preciso compito. In particolare, bisogna andare alle riunioni con una informazione il più dettagliata possibile del lavoro che ognuno sta portando avanti, con idee, suggerimenti o proposte concrete e non limitarsi ad aspettare che gli vengano date delle istruzioni. Dobbiamo farla finita con la cattiva abitudine di porre problemi senza fare allo stesso tempo proposte concrete per risolverli.

Tutto questo stimolerà la discussione a tutti i livelli, lo scambio di esperienze e arricchirà la formazione e il lavoro di tutti. Come stimolare i compagni affinchè assumano pienamente le loro responsabilità, non abbiano timore di fare errori, prendano decisioni e riescano ad orientarsi da se stessi, anche nelle situazioni più complesse?

Una delle chiavi consiste nell'elevare continuamente la loro coscienza politica, facendo in modo che si identifichino pienamente con gli obiettivi e il funzionamento dell'Organizzazione. Ma per far questo è anche indispensabile sostenere la lotta ideologica affinché ci permetta di chiarire meglio le idee in vista dei problemi pratici e più generali del Partito. La lotta ideologica è ugualmente necessaria per rafforzare l'unità interna del Partito. Spesso si insiste sull'importanza dell'unità per poter portare avanti l'attività rivoluzionaria, ma non si fa sufficientemente attenzione al metodo per conservarla ed anche per rinnovarla, di modo che, col passare del tempo, questa "unità" finisce per trasformarsi in un appello poco più che formale, inoperante, o in un ostacolo per lo sviluppo dell'Organizzazione.

Come riflesso nel Partito della lotta di classe che si ha nella società, non solo non bisogna temere la lotta o il confronto delle idee, ma abbiamo anche, in determinate condizioni, il dovere di stimolarla come elemento di dinamismo di tutta l'attività e dello stesso sviluppo del Partito. Questa lotta non ha carattere antagonistico, per cui deve essere impostata in ogni momento come contraddizione interna, vale a dire, partendo dall'unità, anche se in alcune occasioni può rivestire una forma acuta.

Per rafforzare il carattere di organizzazione superiore della classe operaia che deve avere il Partito, abbiamo bisogno di contare su uomini e donne preparati, che abbiano idee chiare e che sappiano fare bene il loro lavoro. E' con loro che dobbiamo formare molti altri militanti e costruire il Partito ovunque, per cui bisognerà preservarli, impedire che si "brucino" o che sprechino le loro energie in un lavoro sterile. Questo è un errore che abbiamo già commesso e di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. Il volontarismo e l'impazienza in queste lotte, renderanno molto più lento e faticoso il nostro lavoro.

E' risaputo che tra di noi non abbondano gli "intellettuali".

Questa è la dimostrazione più chiara e decisiva del carattere socialista, proletario, della nostra rivoluzione. Di modo che il Partito dovrà essere composto, in maggioranza, da operai, proprio come sta accadendo ora. Far sì che un gran numero di operai entri nelle nostre file, non è una cosa facile nelle condizioni che abbiamo descritto e lo è ancor meno avendo addosso, come abbiamo in ogni momento, le diverse "forze e corpi" della Sicurezza di Stato, che ci pedinano e controllano da vicino tutte le persone che potrebbero partecipare alla lotta politica organizzata, ma soprattutto coloro che simpatizzano o mantengono qualche tipo di legame con noi. Questo crea un brodo di coltura molto favorevole perchè germogli e cresca la pianta dello spontaneismo.

Lo spontaneismo non è positivo e lo abbiamo sempre combattuto, per quello che comporta di frantumazione, di spreco di energie, di ristrettezza di vedute e di confusione rispetto agli obiettivi della lotta. Però dobbiamo capire che, in una situazione come quella che stiamo attraversando, potrebbe risultare vantaggioso per la causa popolare tentare di "capirlo" e dirigerlo invece di decidarci solo a combatterlo, senza aspettarci di stabilire legami organizzativi più o meno diretti o durevoli con gli elementi di spicco di questo movimento.

Che ogni sindacato operaio indipendente, ogni collettivo di giovani antifascisti, ogni raggruppamento di intellettuali democratici, di studenti o di donne, ogni gruppo autonomo, organizzi minimamente e porti avanti le sue attività, boicotti le elezioni, faccia il vuoto attorno ai partiti politici istituzionali, denunci continuamente la corruzione e gli abusi che commettono ogni giorno, ogni minuto, la grande borghesia e le forze repressive; che stimoli la disobbedienza civile, estenda l'appoggio e la solidarietà con i prigionieri politici, organizzi l'occupazione delle case e degli stabili vuoti e l'assalto di massa ai grandi magazzini e supermercati; che i più decisi intraprendano senza esitazione azioni armate dirette di sabotaggio contro le imprese, i crumiri e le istituzioni dello Stato capitalista. Che non aspettino domani per cominciare a farlo. Devono avere l'assoluta certezza che il nostro Partito, il PCE(r), li appoggia e fornirà loro tutto l'aiuto che potrà prestargli.

Tutto questo non solo non ostacolerà lo sviluppo della nostra attività politica, ma al contrario, la favorirà in larga misura, elevando la coscienza delle masse e creando le migliori condizioni per lo sviluppo del lavoro di organizzazione del Partito. Per questo motivo dobbiamo incoraggiare questo movimento "spontaneo" ad andare avanti mentre allo stesso tempo critichiamo le sue incoerenze e mettiamo allo scoperto i suoi inevitabili limiti.

Il fallimento del revisionismo moderno

Il revisionismo moderno ha appena finito di subire una delle sue più grandi e strepitose sconfitte. Questa circostanza ha permesso alla borghesia di prendere l'iniziativa nella lotta di classe: dal Medioriente al Centroamerica, passando per l'Europa dell'Est, nessuna regione del mondo è al riparo dalla valanga controrivoluzionaria. Questa "catastrofe" è potuta accadere a causa della posizione egemonica che il revisionismo è venuto occupando nelle file operaie grazie all'influenza, ai mezzi economici e a tutte le altre risorse del potere che alcuni Stati gli hanno conferito. Si spiega quindi così anche la coincidenza fra il crollo di questi Stati e la crisi generale che colpisce il mondo capitalista.

La simultaneità di entrambi i fenomeni non ha, almeno per noi, nulla di misterioso, tenuto conto di ciò che rappresentano realmente, al di là delle forme, il programma e la pratica revisionisti. Per questo motivo possiamo affermare che la sconfitta politica ed ideologica che li ha travolti, insieme alla crisi capitalista, può solo favorire, a partire da ora, lo sviluppo del movimento rivoluzionario. Per il momento, in paesi come la Cina, Cuba, il Vietnam, la Corea del Nord e l'Albania, la controrivoluzione è stata contenuta e non sembra che possa prosperare. In Unione Sovietica, dall'epoca della Rivoluzione d'Ottobre, non c'era mai stato un movimento più esteso né più radicale di quello sorto ultimamente per opporsi ai tentativi restauratori della borghesia e criticare il revisionismo. In tutti i paesi del mondo, i partiti e le masse rivoluzionarie stanno traendo numerosi insegnamenti da tutti questi avvenimenti, riaggregano le loro forze e si apprestano alla lotta. La lotta per un mondo migliore, per il progresso dell'umanità, non è ancora finita. Di questo possiamo essere certi.

Il fallimento del revisionismo ha messo in evidenza che è impossibile uscire dall'abisso del sottosviluppo, dalla dipendenza, dalla miseria e dalla ignoranza (causata da secoli di sfruttamento capitalista) per una via che non sia veramente socialista. Tutte le riforme "liberiste" messe in atto dai leader revisionisti, in contrapposizione alla politica rivoluzionaria, non hanno fatto altro che peggiorare le condizioni di esistenza dei lavoratori, aumentare le diseguaglianze sociali all'interno di ogni paese e le differenze di sviluppo economico che separavano i paesi socialisti dai paesi capitalisti più ricchi. In questo quadro si è avuta la gestazione della crisi. Adesso la borghesia cerca di andare oltre restaurando il capitalismo ed introducendo in ognuno di questi paesi l'"economia di mercato". Però su questa stessa strada si sono messi, e già da molto tempo, l'immensa maggioranza dei paesi che fanno parte del cosiddetto "Terzo Mondo". E qual è stato il risultato? E' chiaro che la borghesia non può riconoscerlo, visto che l'unica cosa che la preoccupa realmente sono i suoi privilegi, la sua libertà, i suoi diritti... Ma per noi, tutto questo conferma solo la necessità del socialismo e del comunismo, non come un capriccio o un'idea "utopistica" più o meno buona che sia potuta venire in mente ad alcune persone, ma come necessità storica prodotta dall'imperialismo, dalla dominazione di un sistema economico-sociale che ha ormai portato a termine la sua funzione e che per poter sopravvivere deve sacrificare più dei tre quarti della popolazione mondiale.

In generale, l'attuale situazione internazionale potrebbe definirsi di crisi generale del sistema capitalista, ivi inclusa la crisi della sua politica e della sua ideologia per la classe operaia. È proprio a partire da qui (dalla sua parte più debole), che la crisi è scoppiata, ma non sarà, con ogni probabilità, l'ultimo "crac" che il sistema dovrà soffrire. Si potrebbe dire che questo è solo l'annuncio di una crisi e di un fallimento ancora maggiori. Questa è una situazione complessa, alla quale, per altro, non si è arrivati in pochi giorni. In questo periodo, ciò che maggiormente richiama l'attenzione è il caos e la confusione che ha provocato nei settori popolari. È indubbio che con ciò il revisionismo ha fornito all'imperialismo la boccata d'ossigeno di cui aveva bisogno per prolungare la sua agonia. Ma per la stessa ragione, il suo fallimento farà sì che questa boccata d'ossigeno finisca al più presto, a partire da ora, cosicché la crisi che travaglia il sistema capitalista andrà facendosi molto più grave. Ciò comincia già ad essere una realtà.

Ovunque si acutizzano le contraddizioni e gli antagonismi sociali del sistema, esplode lo scontento e si scatena la rivolta, per cui non è molto lontano il giorno in cui la coscienza politica dei lavoratori di tutti i paesi crescerà, ed essi si libereranno dal cadavere della ideologia borghese-revisionista e riprenderanno nuovamente il cammino della lotta rivoluzionaria. Nel frattempo, dobbiamo essere pazienti. Questa è una delle qualità che distingue ogni vero rivoluzionario, il che però non vuol dire che dobbiamo stare inattivi. Al contrario, bisogna favorire il nuovo sviluppo della lotta in tutti i modi possibili, ma soprattutto combattendo questa corrente disfattista che cerca di inculcare negli operai più coscienti e in altri combattenti d'avanguardia l'idea assurda che è inutile e illusorio continuare a resistere. La situazione già descritta e l'ingresso dello Stato spagnolo nel club dei "potenti" della terra, rafforza in molta gente questa stessa opinione e tende a dissuadere i lavoratori da ogni aspirazione ad un cambiamento profondo della nostra società. Noi dobbiamo tener bene conto di tutto ciò, senza commettere la stupidaggine di ignorarlo. Ma questa consapevolezza l'avremo sempre da un punto di vista e da una posizione di classe rivoluzionari, non per lamentarci o starcene con le braccia incrociate, e tantomeno per fare concessioni all'ideologia borghese e lasciar spazio alle incertezze o allo scoraggiamento.

La sconfitta dei revisionisti è una sconfitta della borghesia

Non c'è dubbio che, senza l'esistenza dell'Unione Sovietica e della Cina Popolare, il movimento rivoluzionario in tutti i paesi sarebbe stato costretto a lottare in condizioni incomparabilmente più difficili e che ancora oggi non avrebbe trovato uno scenario internazionale favorevole a una vittoria più o meno rapida. Per questo motivo noi attribuiamo tanta importanza alla difesa dei paesi socialisti; da ciò deriva anche il lavoro di denuncia che andiamo facendo contro la linea revisionista, non solo come contributo internazionalista, ma anche a favore del nostro stesso paese.

La maggior parte degli operai oggi sentono questa lotta come loro propria. L'istinto di classe li avverte del pericolo; sanno che mai come adesso la borghesia e i suoi cani da guardia si sono mostrati più sicuri e arroganti e che queste dimostrazioni, unite alla prepotenza vessatoria che le accompagna, all'aumento dello sfruttamento e alla restrizione di tutti i loro diritti, hanno molto a che vedere con la situazione che i paesi socialisti stanno attraversando. Anche l'isteria anticomunista della borghesia è salita di tono. Questo consente agli operai più coscienti di capire più facilmente la nostra propaganda e li fa sentire uniti al Partito. Tuttavia, dobbiamo valutare molto freddamente la situazione che si è creata, poiché solo in questo modo potremo dimostrare che, nonostante la gravità degli avvenimenti ai quali stiamo assistendo, non è andato perso nulla di essenziale per la nostra causa. Dobbiamo lamentarci per la disintegrazione del Patto di Varsavia o per l'attacco condotto dai lavoratori contro gli ultimi baluardi del revisionismo? Visto in modo giusto, questo è un lavoro che era già andato avanti, per cui in un certo modo faciliterà il nostro compito da ora in avanti.

Il revisionismo ha subito una delle più straordinarie batoste che si ricordano; questo è un fatto indiscutibile di enorme importanza, ed è a questo che attualmente dobbiamo dare il massimo risalto. Come è accaduto altre volte nella storia, gli insuccessi e i fallimenti dell'opportunismo e la debolezza propria del movimento rivoluzionario, hanno permesso alla borghesia di prendere l'iniziativa, fino ad arrivare a creare una situazione veramente critica. Alcuni compagni hanno indicato questa circostanza come paradossale poiché, se, come si sostiene, il revisionismo serve alla borghesia e questa finisce per imporsi, la vittoria revisionista sarebbe in questo momento quasi completa. Non dovremmo quindi parlare di "fallimento" del revisionismo. Questi compagni sembrano non capire molto bene che il revisionismo è efficace nei suoi servizi alla borghesia finché conserva l'apparenza "operaista" dell'ideologia borghese che diffonde, e che lo smascheramento dei revisionisti come propagandisti e difensori della ideologia borghese, la lacerazione del velo "socialista" o "comunista" con il quale sono riusciti a coprire il loro subdolo lavoro per molto tempo, significa innanzitutto un fallimento della classe borghese di cui essi sono al servizio. Questo spiega perché la borghesia non ha più lo stesso interesse a sostenerli perchè è stata costretta a mettersi lei stessa direttamente in primo piano. Qualcosa di simile è successo nel nostro paese negli ultimi anni, il che sta dando luogo allo sviluppo di un movimento di massa di tipo nuovo, che non può essere controllato e che si scontra direttamente con lo Stato. Non esiste quindi - o almeno noi non la vediamo - contraddizione alcuna fra il fallimento politico ed ideologico del revisionismo e la "vittoria" delle forze reazionarie. Questa vittoria è più apparente che reale e, certamente, è solo momentanea. Apparirà come una vittoria a chi la guarda superficialmente, e solo per il tempo che impiegheranno gli operai più coscienti a mettere fine alla confusione e alla frantumazione del movimento di classe, formulando una autentica alternativa politica e rivoluzionaria.

Il movimento comunista uscirà più rafforzato dalla crisi

È normale che, in una situazione come questa, lo spirito combattivo di molta gente ne risenta, che altri comincino a vacillare, a mettere in dubbio la validità dei principi del marxismo-leninismo, e che in seno alla classe operaia stiano proliferando le più peregrine idee politiche piccolo-borghesi, il misticismo e altre soperchierie di stile "moderno". Questo succede, soprattutto, nei settori che sono più influenzati dalle varie correnti del revisionismo e fra quegli altri che avevano una concezione eccessivamente semplicistica, rigida e lineare del processo rivoluzionario. Questo non è un fenomeno nuovo. E' già avvenuto altre volte nel passato. Per questa ragione possiamo considerarlo come una cosa "normale", alla stessa stregua della crisi che lo ha generato.

Non è per farci coraggio - noi non ne abbiamo bisogno - che diciamo che dalla crisi attuale, i paesi socialisti e l'insieme del movimento usciranno rafforzati. Se guardiamo alla storia, troviamo la conferma che fin dalla sua nascita il movimento comunista è andato dall'unità alla divisione, per raggiungere poi una nuova unità su basi più ampie e più solide ed una vittoria ogni volta più grande sulla borghesia e sul suo sistema di sfruttamento. Cosa è accaduto con la Prima Internazionale fondata da Marx ed Engels? Essa si scisse e dopo la sconfitta della Comune di Parigi del 1871 dovette essere sciolta. Dopo seguì un lungo periodo di sviluppo del movimento operaio orientato dall'ideologia marxista. L'anarchismo, principale corrente ideologica nelle file rivoluzionarie, fu completamente spiazzato. Cosa è successo con la Seconda Internazionale? Anch'essa affrontò la scissione e il fallimento durante la Ia Guerra Imperialista Mondiale e dal suo seno sorsero i partiti comunisti che portarono al potere la classe operaia in tutta una serie di paesi, intrapresero il cammino della rivoluzione socialista e diedero impulso allo sviluppo del movimento rivoluzionario mondiale. Da questo sviluppo è sorto il revisionismo moderno il quale ha portato la maggior parte dei paesi socialisti, dei partiti comunisti e del movimento rivoluzionario alla situazione che ora abbiamo di fronte. Ma come è già avvenuto in altre occasioni, anche questa volta riusciremo a superare questa crisi e a raggiungere un più alto livello di unità e di forza, necessari per vincere definitamente il capitalismo e creare la nuova società. Questa è la dialettica propria di ogni movimento e il nostro non può sfuggire a questa legge fondamentale dello sviluppo che opera in tutte le cose e in tutti i fenomeni.

Lo stesso processo di trasformazione sociale suscita continuamente nuovi e numerosi problemi che, per essere risolti, hanno bisogno di nuove idee e di procedimenti. Questa è la base materiale dello sviluppo della teoria marxista-leninista come concezione organica, scientifica e rivoluzionaria della classe operaia. Quando, per qualunque circostanza, questo necessario sviluppo della teoria non ha luogo (e tutti sappiamo che ciò accade; che cioè, come già sottolineava Lenin, molte volte l'elemento cosciente marcia alla coda del movimento reale o spontaneo), allora, inevitabilmente, si apre una fase di ristagno di tutte le iniziative, l'imperialismo e la reazione borghese approfittano di questa opportunità per rafforzare le loro traballanti posizioni e, come conseguenza di tutto questo, sopravviene un periodo di crisi e di lotta interna che sfocia in una vera e propria rivoluzione nel seno stesso del nostro movimento, nel corso della quale finiscono per imporsi le nuove idee e i nuovi soggetti capaci di portarle avanti. Però, affiché questo cambiamento rivoluzionario possa avere luogo, è necessario che vi prendano parte le masse; vale a dire che non è sufficiente che alcune persone abbiano chiara coscienza della sua necessità e lo abbiano annunciato in anticipo. Senza dubbio non si può prescindere da questa "coscienza"; si può anzi dire che il processo comincia così (con la formulazione delle idee e la creazione dell'organizzazione d'avanguardia che dovrà metterle in pratica); ma il processo si completa solo con l'intervento diretto delle masse e quando viene a galla tutto il vecchio o il già decrepito che non voleva scomparire.

Bisogna continuare la lotta contro il revisionismo

Non si insisterà mai abbastanza sull'importanza di continuare la lotta più intransigente contro il revisionismo. Certamente, questa è una battaglia molto lunga e nel corso di essa il revisionismo è stato smascherato già molte volte. Tuttavia altrettante volte esso è riapparso con altri abiti e presentando alcune variazioni sugli stessi temi. Anche la borghesia impara e cerca il modo migliore di ingannare gli operai.

Quello che più salta agli occhi ultimamente del revisionismo, è il suo scoperto socialdemocraticismo e sciovinismo. Adesso non cercano nemmeno più di "teorizzare" per tentare di reinterpretare di nuovo Marx e Lenin. Questo lavoro lo hanno lasciato nelle mani degli apologeti dell'imperialismo. Essi si limitano ad applaudire e si mostrano molto soddisfatti dei risultati che quelli gli offrono.

Attualmente i revisionisti hanno deciso di mettere da parte la dialettica materialista. Piccolo impiccio! Gli bastano il pragmatismo e il positivismo, capaci di "superare" tutte le contraddizioni e gli antagonismi sociali del mondo moderno. Qualcosa di simile si può dire rispetto alla loro concezione politica e alla loro teoria sullo Stato. I revisionisti non hanno più bisogno di negare la lotta di classe né di attaccare la dittatura del proletariato perché, come si sa, queste per loro sono questioni già superate da tempo. Per questo si sono decisi, senza alcun rimorso di coscienza, ad instaurare lo "Stato di Diritto" della borghesia. E che dire delle loro tesi economiche? A sentir loro, lo sfruttamento e l'impoverimento crescente delle masse operaie e popolari da parte del capitale non esistono più, sono un fenomeno "del passato", come lo è, senza dubbio, il dominio del capitalismo finanziario sull'economia di tutti i paesi e sul piano mondiale. L'analisi di Lenin dell'imperialismo (la fase attuale dello sviluppo capitalista) per loro è una teoria completamente fine a se stessa. Questo è il motivo per cui si sono convertiti al "liberalismo" e stanno presentando questa dottrina come l'ultima parola della scienza economica e sociale.

Per il momento nella maggior parte dei paesi dell'Europa Orientale si è già messo in moto il meccanismo della "privatizzazione" delle imprese pubbliche, il che comporta, oltre al licenziamento di massa dei lavoratori e allo sfruttamento intensivo di quelli che riescono a conservare il loro posto di lavoro, il più grande e più scandaloso furto che mai sia stato commesso, poiché, proprio come succede nei paesi di più lunga tradizione economica "liberale", saranno privatizzate solo le imprese più redditizie. Le altre continueranno a stare nelle mani dello Stato, perché si veda più chiaramente quanto poco efficiente è la sua gestione.

Il quadro si fa ancora più chiaro se si considera che gli unici compratori possibili saranno solo i capitalisti stranieri e che il denaro ottenuto dalla vendita dell'industria nazionale sarà destinato a pagare il debito estero che i nuovi governanti hanno contratto per fare le "riforme".

Da parte loro, i gorbacioviani hanno dato via libera alla "economia di mercato" e, davanti alle richieste di misure più radicali per sostenerla, rispondono che bisogna andare piano. Riconoscono che non è possibile fare le cose "a metà", però aggiungono che ogni parto comporta che ci sia prima un periodo di gestazione. In questo modo non solo non si oppongono alla restaurazione del capitalismo, ma la stanno promuovendo applicando misure "realiste". Debbono vincere la resistenza ostinata dei lavoratori e temono, non senza ragione, che la fretta possa provocare un aborto. Sperano anche nell'aiuto del capitale straniero sotto forma di crediti ed investimenti (l'altro aiuto, quello politico, propagandistico e militare, lo hanno già da tempo). Il problema che hanno di fronte su questo terreno consiste nel fatto che né la Russia né i paesi ex socialisti risultano un buon affare per il capitalismo finanziario, ma piuttosto un nuovo aggravio da aggiungere al già smisurato indebitamento che strangola le economie della maggior parte dei paesi capitalisti. E' evidente che da questa parte non esiste nessuna via d'uscita. Però i revisionisti la stanno cercando, mentre fanno tutto quanto possono per finire di affondare l'economia dell'Unione Sovietica. Per tutti questi motivi si può esser certi che il danno che hanno fatto finora non è nulla in confronto con quello che ancora possono provocare. Da qui l'importanza di continuare la lotta senza concessioni contro la canaglia revisionista. Su questo punto occorre fare molta attenzione per non lasciarsi ingannare dalle apparenze. La lotta politica ed ideologica su grande scala è appena cominciata e sperimenterà ancora numerosi zig zag o sterzate, di modo che risulta inevitabile, fintanto che gli schieramenti non saranno chiaramente definiti, che gli elementi più diversi e perfino contrapposti appaiano spesso confusi assieme. Inoltre, non dobbiamo perdere di vista gli effetti negativi che hanno prodotto gli oltre trent'anni di predominio revisionista, la confusione che hanno creato, il quasi completo disarmo ideologico e culturale delle masse che hanno prodotto, il discredito a cui hanno portato l'ideale comunista, ecc.

La linea politica e ideologica decide tutto

S'impone un riesame profondo di tutta l'esperienza storica della costruzione del socialismo e della tattica di lotta delle forze rivoluzionarie. A questo fine dovranno essere presi molto seriamente in considerazione i contributi fondamentali di Mao, il quale ha detto in una certa occasione: «Il fatto che la linea ideologica e politica sia corretta o no decide tutto. Se la linea del Partito è corretta, abbiamo tutto: se non abbiamo uomini, li avremo; se non abbiamo fucili, li prenderemo e se non abbiamo il potere, lo conquisteremo. Se la linea è scorretta, perderemo anche ciò che abbiamo già ottenuto». Questa idea di Mao è stata pienamente confermata dalla pratica.

Ai dirigenti sovietici in questi ultimi tempi piace ripetere che desiderano conoscere e adottare le esperienze degli altri paesi che possano risultare valide per loro. È chiaro che si stanno riferendo ai paesi capitalisti e a altri paesi come la Polonia e l'Ungheria. Della Cina tutt'al più apprezzano i "contributi" neoliberisti di Teng e soci. I pregiudizi revisionisti nei confronti del pensiero di Mao Tse-tung (del quale non conoscono che alcuni libelli elaborati per cavarsi dagli impicci) sono così radicati nei dirigenti sovietici, che esso non cessa ancora di essere considerato come il prodotto della mente esaltata di "un nazionalista piccolo-borghese". E' quello che hanno affermato tutti gli elementi borghesi e i nazionalisti reazionari che si erano fatti scudo della bandiera del marxismo-leninismo per tradirlo più facilmente. Non è ancora ora di togliersi la benda dagli occhi e di fare una cura intensiva di modestia? In ogni modo, una cosa è chiara: i "teorici" accademici sovietici non possono presentarsi di nuovo con la pretesa di dare lezioni a nessuno.

Cosa possono saperne del marxismo-leninismo la maggior parte delle migliaia di funzionari accademici sovietici? Possono essere realmente interessati allo sviluppo della teoria rivoluzionaria? La dottrina della burocrazia - perché anch'essa, anche se non sembra, ha la sua propria dottrina, ben condita di "economia di pensiero" - è sempre stata quella dettata dai postulati dell'empirismo e del pragmatismo. Niente avventurismi! proclamano i burocrati revisionisti, intendendo con ciò qualunque esperienza pratica che oltrepassi i limiti fissati dagli interessi dello Stato e qualunque generalizzazione teorica che possa ricavarsi da essa. Non danno importanza che ai processi "già maturi", che il più delle volte finiscono per imputridire o gli scoppiano tra le mani. Il marxismo-leninismo è incompatibile con la burocrazia e respinge il pragmatismo angusto e la scolastica come l'olio fa con l'acqua. Solo la classe operaia può farlo proprio ed è realmente interessata ad interpretarlo, applicarlo e svilupparlo in modo creativo, veramente rivoluzionario.

Il fatto che lo stesso "mister" Gorbaciov si trovi in grave difficoltà nel dimostrare le sue "convinzioni socialiste", rende abbastanza chiaro ciò che stiamo dicendo. Costui vuol farsi passare per "realista" - questo è il suo biglietto da visita - ma non può evitare di sbattere il naso ad ogni passo contro la realtà. La sua percezione della "realtà" è la stessa che ha sempre avuto la borghesia e, chiaramente, anche il suo linguaggio è lo stesso. Per Gorbaciov, il marxismo-leninismo non è altro che un'ideologia del "passato", ormai superata ed incapace di spiegare e fornire soluzione ai numerosi problemi che oggi ha di fronte l'umanità. Questa valutazione non ci deve sorprendere, tenuto conto che non si poteva che arrivare ad essa dopo tanti anni di fossilizzata ideologia ufficiale. La chiocciola ha covato una lumaca. Questo è il vero significato della "rivoluzione" ideologica del gorbaciovismo.

Cosa ha di "nuovo" o di "originale" il suo decantato "umanesimo", il suo lambiccato discorso neoliberale e la sua servile apologia dell'imperialismo? La cosiddetta "uguaglianza" di tutti i cittadini davanti alla legge che egli decanta non presuppone, per caso, l'instaurazione di una disuguaglianza di fatto, come in realtà lo dimostra la restaurazione della grande proprietà privata, delle leggi del mercato e della giungla capitalista? Quali leggi proteggeranno gli operai dallo sfruttamento, dalla disoccupazione, dall'ignoranza e dalla miseria? Forse che questi operai potranno viaggiare e farsi delle vacanze negli Stati Uniti, anche se la legge non glielo proibisse? Potranno mandare i loro figli a studiare all'università anche se legalmente ne avranno diritto? Potranno le donne raggiungere un giorno la parità effettiva con gli uomini senza abbandonare le pareti domestiche, in cui sono state nuovamente ricacciate, anche se questa parità sarà proclamata per legge?

Nel paese dei ciechi, dice un proverbio popolare, l'orbo è il re. Il guaio in questo caso è che l'orbo guarda con il suo unico occhio verso un tempo già morto ed una società decadente, che non può più fare storia.

Non si puo' fare marcia indietro

Non vogliamo negare la complessità e l'enorme difficoltà insite nei processi rivoluzionari. Ma i problemi possono anche essere semplificati in ordine d'importanza. Per esempio, quasi tutti gli osservatori concordano nell'indicare nella situazione economica tanto caotica che si è creata in Unione Sovietica, la causa principale della crisi che questo paese attraversa. E questo è falso, così come è assolutamente falsa l'affermazione che si continua a fare che l'economia socialista "non funziona". Ha funzionato per oltre cinquant'anni e perfino nei peggiori momenti di crisi del sistema capitalista mondiale (ponendo l'URSS, la Cina e altri paesi ai primi posti nella crescita del Prodotto Nazionale Lordo, nello sviluppo dei settori chiave della scienza, della tecnologia, ecc.) e adesso si scopre che "non funziona", ponendo come modello di buon funzionamento né più né meno che l'economia capitalista "di mercato". E questo quando, come ben si sa, più dell'80% dei paesi ad "economia libera" sono sprofondati, senza possibilità di uscirne, nella miseria più grande.

L'economia socialista non funziona perché la borghesia la sabota in mille modi e non la fa funzionare. Di fatto, ha smesso di funzionare a partire dal momento in cui la suddetta borghesia si trovò le mani libere per attentare contro il sistema socialista. Questo non è un problema nuovo, è anzi un problema molto vecchio. Cominciò a manifestarsi fin dal primo periodo della rivoluzione e in questa stessa direzione continuano a puntare tutte le proposte ed i progetti che stanno facendo i "tecnocrati" e i liberali borghesi della stessa area del potere. D'altra parte, come si possono pretendere nuovi sacrifici dalla classe operaia, dai contadini e dagli altri lavoratori, senza la corrispondente garanzia che tutto ciò andrà a beneficio dell'insieme della società e non di quella stessa borghesia sabotatrice, dei burocrati corrotti e delle altre canaglie? La soluzione a tutti questi problemi che il socialismo incontra passa per l'imposizione della dittatura del proletariato. Solo questa potrà restituire ai lavoratori la fiducia perduta nel sistema socialista e risvegliare il loro entusiasmo.

Ciò nonostante, alcune delle questioni di cui stiamo trattando sembra che siano sufficientemente chiare o "mature" nella testa della gente. Per esempio, non c'è dubbio che per la maggior parte dei lavoratori, effettivamente non si può fare marcia indietro, non si può retrocedere verso la restaurazione del capitalismo (come propongono i settori liberali e socialdemocratici borghesi in URSS e nella Cina Popolare) senza provocare con ciò una catastrofe. Risulta anche abbastanza evidente l'esistenza di una classe borghese rappresentata dai suddetti settori e la sua lotta per il potere. Finiranno il PCUS e il PCC per riconoscere questa realtà e dare impulso alla lotta della classe operaia volta a raggiungere la meta del comunismo? Non c'è altra via d'uscita dalla crisi, per cui speriamo che non tarderanno a darsi tutte le condizioni necessarie al cambiamento o alla ristrutturazione reale, veramente rivoluzionaria, della società. Questa è la chiave per uscire dal pantano in cui si trovano.

A questo fine risulta indispensabile l'epurazione dello Stato e del Partito dai numerosi elementi controrivoluzionari che detengono posizioni di potere. Solo che... (e qui sta l'essenza della cosa) l'epurazione non può farsi con i metodi del passato. È necessario usare metodi "politici", certamente, ma questi metodi escludono forse l'impiego della coercizione contro i reazionari più recalcitranti? A che serve allora lo Stato? Bisogna esercitare senza esitazioni la dittatura di classe sulla borghesia filo-imperialista; altrimenti finirà che sarà lei che finirà per imporla ai lavoratori, così come è già accaduto in altri paesi. Non crediamo per altro che occorra insistere molto sul fatto che è impossibile convincere, con idee e argomentazioni, tutta questa gente, proprio come è impossibile convincere un gatto (sia questo bianco, nero o tigrato) con dolci paroline a comportarsi bene a non mangiare il pesce.

La borghesia e la sua ideologia non potranno essere soppresse per decreto né col ricorso puro e semplice ai metodi violenti e amministrativi. Questo è più che dimostrato. Tuttavia costituisce una prova di grande irresponsabilità e un crimine imperdonabile contro l'umanità, permettere che essa continui ad agire a suo capriccio, sabotando tutto e seminando zizzania ovunque. Questo è infinitamente peggio dei più sbrigativi metodi impiegati da Stalin.

Il fallimento della perestroika gorbacioviana

Il revisionismo è andato a picco e ormai non potrà rialzare la testa. Questo oggi nessuno lo mette più in discussione. L'attenzione è invece centrata sulla sorte che la storia riserva ai progetti socialdemocratici dei nuovi menscevichi il cui leader è il signor Gorbaciov. Non vogliamo fare qui alcun parallelismo storico, però è evidente che dopo il Congresso di costituzione del Partito Comunista Russo il centrismo di Gorbaciov e del suo gruppo è diventato quello che il centrismo fu già in passato e che sempre sarà in Unione Sovietica: vale a dire, una corrente opportunista minoritaria senza alcuna possibilità di successo. Il gran pasticcio inscenato durante il XXVIII Congresso del PCUS celebrato di recente, non ha potuto nascondere questa realtà che si affermerà sempre di più con il passare del tempo.

Le previsioni del nostro Partito su questa importantissima questione stanno trovando conferma. Fino a poco tempo fa e per oltre cinque anni, si è fatta sentire solo la voce della borghesia, tra la confusione e la demoralizzazione delle masse e di gran parte dei militanti del PCUS . Tutto ciò insieme a quanto è accaduto nell'Europa Orientale, ha fatto aprire gli occhi a molta gente, facendo loro capire la natura di classe del revisionismo e il pericolo reale che incombe sull'insieme del paese e sulle sue conquiste storiche, il che li spinge ad unire le loro forze. Un nuovo gruppo di dirigenti, non compromessi con la fase precedente, si sta facendo strada mediante la lotta, per cui, questo è certo, la sorte di Gorby e dei suoi amici finirà col dipendere dall'atteggiamento che essi assumeranno davanti all'avanzata delle nuove forze veramente democratiche e rivoluzionarie.

Non si tratta di cominciare a tagliar teste come nel passato, né di "liquidare" la classe borghese nel modo in cui si tentò di fare al tempo di Stalin. Questo problema si è rivelato molto più complesso di quanto in un primo tempo si era supposto, e occorrerà del tempo per risolverlo, ma esigerà soprattutto l'applicazione di una politica corretta nell'affrontare le contraddizioni di diverso tipo che si presentano nella fase del socialismo, insieme ad un sistema economico diverso che tenga conto, oltre che della pianificazione e del rafforzamento del settore economico statale nell'industria, nell'agricoltura e nel commercio estero, in quanto settori chiave, anche della necessità della piccola produzione, del commercio al minuto e del decentramento amministrativo. Ma soprattutto si dovrà tener conto di altri fattori di tipo politico, ideologico e culturale, che sono quelli che permetteranno di mobilitare le masse per promuovere la rivoluzione, incrementare la produzione e stabilire una nuova alleanza con i settori interessati allo sviluppo e all'indipendenza del paese di fronte alla borghesia filo-imperialista e alle altre forze reazionarie.

Tutto questo può dar luogo alla legalizzazione di alcuni partiti borghesi che di fatto già esistono, e questo, sicuramente, non comporterebbe alcuna "tragedia" ed anzi potrebbe persino essere utile, sempre che il Partito Comunista riconosca e proclami senza reticenze l'esistenza della classe borghese e non si lasci sopraffare da essa, rafforzando la dittatura democratica delle masse attraverso i soviet, i sindacati e le altre organizzazioni degli operai, dei contadini e degli altri lavoratori della città e della campagna. In questo modo la funzione dirigente del partito, una volta epurato, si rafforzerebbe, facendogli guadagnare di nuovo l'appoggio delle masse per proseguire la lotta fino al raggiungimento della meta del comunismo.

Questa potrebbe essere, a grandi linee, la base per raggiungere un compromesso che renda possibile la permanenza di Gorbaciov nelle sue cariche. In caso contrario senza dubbio la crisi continuerà ad approfondirsi, rendendo inevitabile uno scontro aperto. Gorbaciov e il suo gruppo possono continuare a contare sull'appoggio della borghesia e sull'aumento di aiuti da parte dell'imperialismo per ristabilire quanto prima l'"economia di mercato" e un regime politico "parlamentare", ma in questo caso dovrà scontrarsi in modo aperto con le forze rivoluzionarie e l'immensa maggioranza dei popoli dell'URSS, senza avere più le spalle coperte neanche all'interno dello stesso apparato statale. Finiranno i gorbacioviani e il loro capofila per accettare la realtà? Riusciranno a capire il vero ruolo che la storia ha loro assegnato?

Le sventure di "un uomo della provvidenza"

E' necessario demistificare il culto di Gorbaciov che la borghesia di tutti i paesi ha fomentato. Questo non significa negare i suoi "meriti" né il suo contributo al processo che l'URSS sta vivendo oggi. Il "fenomeno Gorbaciov" e la stessa perestroika risultano comprensibili solo se sappiamo collocarli nel contesto storico e nel paese nel quale avvengono; vale a dire in un contesto di crisi generale del capitalismo, di fallimento politico e di isolamento esterno dello Stato Sovietico, così come di discredito del PCUS rispetto alle masse, con tutto ciò che questo comporta di pericolo di scontro armato, ecc. Bisognava ripiegare e fare concessioni, per poter ristrutturare tutto di nuovo, o correre il rischio di uno scontro con l'imperialismo nelle condizioni più sfavorevoli. A questo scopo c'era bisogno di un uomo con le caratteristiche di Gorbaciov: "energico" e che desse una nuova immagine, ma soprattutto con in testa un guazzabuglio di idee "umanitarie" e socialdemocratiche che gli permettesse di simulare la ritirata e mitigasse in qualche modo i suoi effetti destabilizzanti. Questa è la funzione che attualmente sta svolgendo il "centrismo" politico all'interno dell'URSS. Evidentemente, esisteva ed esiste ancora il pericolo che il centrismo sia utilizzato come formula di transizione verso un regime borghese, ma può anche darsi che esso venga utilizzato per contenere la valanga controrivoluzionaria e dar tempo alle forze comuniste di riaggregarsi di nuovo sulla base di un programma realmente rivoluzionario.

Sarebbe molto rischioso sostenere che tutto questo sta avvenendo in maniera cosciente e pianificata, così come nessun poteva predire che l'uragano scatenato da Gorbaciov sarebbe arrivato fino a rimuovere le fondamenta su cui si basa il sistema socialista e a oltrepassare i confini dello stesso Stato sovietico. L'improvvisazione, le esitazioni, la definizione giorno per giorno del cammino da fare (che è il modo in cui si è sempre manifestata la politica revisionista), l'assenza di principi, di una politica, di piani ben meditati, spiegano in buona misura i disastri che si sono verificati.

La fiducia che avevano riposto nella capacità di "riconversione" dei partiti comunisti dei paesi dell'Europa Orientale e nella loro capacità di "egemonia", non è stata confermata nella pratica. A questo occorrerà aggiungere la grande irresponsabilità che ha significato la nuova dottrina "umanitaria" (più conosciuta come "il nuovo modo di pensare") che ha scatenato le furie nazionaliste contenute da molto tempo in tutti i paesi e che hanno fatto scorrere sangue nella stessa Unione Sovietica. Come si può rinunciare al socialismo e al principio dell'internazionalismo proletario senza provocare la reazione a catena a cui stiamo assistendo? Come impedire la disintegrazione di uno Stato multinazionale, come l'URSS, rinunciando a detto principio?

La realtà è che, tanto nei paesi dell'Europa Orientale come nella stessa Unione Sovietica, il marciume accumulato in oltre tre decenni di sviluppo "pacifico" delle "forze produttive" era molto maggiore di quello che si sarebbe potuto immaginare. D'altra parte, la borghesia non solo non è scomparsa, come si sosteneva, ma ha conservato intatta la sua influenza politica e culturale, e in molti posti l'ha persino aumentata al riparo dello "Stato di tutto il popolo". Questa borghesia si è tenuta in disparte, in attesa dell'opportunità che le consentisse di riprendere di nuovo il potere. Si era introdotta nello Stato e nelle stesse file del Partito, erodendo in mille modi le fondamenta del sistema, in attesa del momento in cui lanciare apertamente il suo attacco. E il segnale è arrivato da Mosca, di questo non c'è alcun dubbio.

Precedendo gli avvenimenti, i dirigenti sovietici si affrettarono a dichiarare il loro proposito di non inviare di nuovo i carri armati per "normalizzare" la situazione in quei paesi. Queste dichiarazioni ebbero l'effetto di provocare la rivolta. In altre circostanze sarebbero state giuste, sempre che, sia chiaro, non fossero accompagnate dalle numerose pressioni e dai continui appelli alla popolazione perché si unisse alla corrente "riformatrice": in tal caso esse avrebbero realmente significato un atteggiamento di non intervento negli affari interni degli altri paesi. Ma al Cremlino avevano molta fretta. La borghesia, logicamente, non poteva non approfittare di questa opportunità che le veniva offerta (l'urgenza sovietica, i propositi dichiarati di "neutralità") di prendere il potere facendo appello, per di più, alla "perestroika". Diversamente, non ci avrebbe neppure tentato. Per questo sono completamente false le affermazioni fatte dai gorbacioviani rispetto al fatto che, con la controrivoluzione, si è evitata una tragedia. La vera tragedia è quella che loro hanno provocato.

E' chiaro che l'URSS non può essere interessata al trionfo delle forze controrivoluzionarie e filo-imperialiste, e ancor meno in paesi confinanti. Però è altrettanto sicuro che la resistenza, che i vecchi apparati revisionisti opponevano ai nuovi venti che soffiavano da Mosca, ostacolava i piani gorbacioviani, con l'ulteriore pericolo che incombeva sulla stessa Perestroika di un'eventuale vittoria dei settori di sinistra della borghesia e sul suo stesso apparato. Per questo si decisero a dare garanzie con il loro "nuovo modo di pensare" e legarono le mani ai loro vecchi amici e alleati che si mostravano decisi a lottare. Solo a questo punto la borghesia non ebbe più esitazioni e scese in piazza dappertutto.

In questo modo gli interessi del gruppo dirigente sovietico si sono imposti, una volta di più, su qualunque altra considerazione, anche a costo di mettere la stessa Unione Sovietica in una posizione di quasi totale isolamento e di disarmo di fronte alle forze ostili dell'imperialismo. Questo è il loro vero tallone di Achille. A questo riguardo, le loro ultime uscite sull'arena internazionale dimostrano sufficientemente la cecità politica dei leaders sovietici. Quando il loro progetto iniziale era già stato sconfitto dalla stessa dinamica della lotta di classe, i sovietici hanno giocato la carta della socialdemocrazia. Non hanno calcolato che dietro i socialdemocratici e i liberali, come succede sempre, potevano esserci i nazi-fascisti con le loro truppe d'assalto. Si può forse attribuire quest'altro contrattempo a un brutto tiro del destino? Marx lo sosteneva già ai suoi tempi: i riformisti vogliono riprodurre la società borghese, ma senza le contraddizioni e gli antagonismi di classe che essa genera e che la sconvolgono. Il "socialismo" di Gorbaciov e soci si esprime in questa formula che riassume il programma "ideale" dei rappresentanti della piccola-borghesia democratica. Ma come è successo molte altre volte, questi finiranno per soccombere (vittime dei loro stessi pregiudizi e dei loro sogni) per mano di forze borghesi molto più poderose e più "realiste" o sotto la pressione del proletariato rivoluzionario.

Appaiono di nuovo le vecchie cause che conducono alla guerra

Adesso tutti questi paesi dovranno pagare in partita doppia le conseguenze di questa politica: alla crisi interna, che non può essere superata sotto il regime di proprietà privata capitalista, si aggiungeranno l'isolamento e l'incertezza di un mondo in cui c'è, sì e no, posto per le loro debilitate economie. Da subito la Germania, unificata sotto l'egida del grande capitale finanziario, ha incominciato di nuovo a reclamare il suo "spazio vitale". Il vecchio sogno dei pescecani e dei militaristi tedeschi - la dominazione dell'Europa - sembra sia sul punto di compiersi, questa volta senza sparare neanche un colpo di cannone. In realtà i dirigenti sovietici gliel'hanno offerta su un piatto d'argento. La RFT non ha fatto altro che prestarsi al loro gioco, offrendo loro in cambio l'illusione della "neutralità" socialdemocratica. Ma ancora una volta è stato dimostrato che una cosa sono le promesse degli imperialisti e i trattati da loro firmati, e un'altra cosa ben diversa le necessità che, soprattutto in un'epoca di crisi, si impongono al sistema capitalista. I nazisti non erano razzisti per una qualche pulsione naturale della razza "ariana" contro gli ebrei e gli slavi, ma perché ciò era necessario ai grandi monopoli finanziari e industriali. Il "nazionalismo" della borghesia ha la stessa origine "genetica", per cui risulta quanto meno stupido pensare che possa cambiare prima che sia sparito il sistema che gli ha dato vita.

L'inasprimento delle contraddizioni interimperialiste è un altro fattore importante dell'attuale situazione che deve essere tenuto bene in considerazione. Queste contraddizioni sono sempre esistite, anche se più o meno mitigate a causa dell'identità di interessi della borghesia e degli Stati capitalisti che li contrappone ai paesi socialisti e ai movimenti rivoluzionari. Però ultimamente le loro dispute e rivalità stanno venendo in primo piano. Il crollo del socialismo nei paesi dell'Europa Orientale e la prospettiva di un indebolimento dell'URSS ha risvegliato gli appetiti e le smanie di spartizione. L'odore del bottino eccita le fiere che hanno già cominciato la lotta spostando il centro di gravità delle tensioni da altre regioni del globo all'Europa Centrale e Orientale. Questa lotta non potrà che avere gravi conseguenze.

Come già abbiamo sottolineato, l'evoluzione di queste contraddizioni e di queste lotte dovrà essere tenuta bene in conto, ma non fino al punto di perdere completamente di vista le contraddizioni esistenti fra i due sistemi e quella che oppone l'imperialismo ai movimenti rivoluzionari. La solidarietà di "classe" della borghesia finisce per manifestarsi con forza travolgente. L'esperienza ha dimostrato che gli Stati capitalisti trovano sempre un terreno comune di interesse che permette loro di mettere da parte per un po' di tempo le contraddizioni che li dividono per dedicarsi a combattere il movimento rivoluzionario. Di fronte a questa evidenza è inutile e molto dannoso persistere nella stessa politica di "distensione" che si è praticata al prezzo di congelare i processi rivoluzionari interni, cosa che ha permesso agli imperialisti di avere un periodo di respiro nelle loro dispute e di concludere accordi per sviare le loro tensioni e i loro conflitti verso il campo contrario. E' stato al riparo della "distensione" che gli imperialisti USA e degli altri paesi della NATO hanno raggiunto la supremazia negli armamenti, hanno provocato la crisi economica nei paesi socialisti, hanno sviluppato una loro strategia di infiltrazione e sovversione all'interno di questi, hanno organizzato e diretto numerosi eserciti mercenari nei cinque continenti; con tutto ciò hanno ottenuto importanti successi nei loro piani di "contenimento" del comunismo. Questi successi non si spiegano con la ipotetica "mancanza di efficacia" del sistema economico. La superiorità del socialismo sul capitalismo sul terreno economico è indiscutibile, ed è stata dimostrata molte volte. Il problema è nella politica interna ed estera del revisionismo, che facilita i piani della reazione.

Troppo spesso si dimentica che, di fronte alle forze progressiste, sarà sempre di più quello che unisce di quello che divide la borghesia dei diversi paesi, poiché alla fin fine, almeno una parte considerevole di questa preferirà la diminuzione dei suoi profitti o una semplice partecipazione al grande bottino, piuttosto che perderlo del tutto per mano del movimento popolare rivoluzionario. Qui non c'entra per niente l'"umanità", la civiltà cristiana e tutte le chiacchiere di questo genere. Cosa resta del ridicolo progetto gorbacioviano della "casa comune europea"? Con il Patto di Varsavia colpito a morte e la stessa Unione Sovietica estenuata, completamente disorientata e distrutta da trent'anni di revisionismo e cinque di perestroika, quella che si sta imponendo con forza travolgente non è altra "casa" di quella che già da molto tempo avevano tracciato gli imperialisti yankee e i loro soci della NATO.

La catastrofe che incombe adesso sul mondo non sembra essere piccola, poiché questo processo è pieno di contraddizioni e tensioni sempre più gravi e pericolose. La vecchia storia si ripete, solo che questa volta la rappresentazione non sarà propriamente una commedia. Se l'Unione Sovietica non riesce ad indirizzare la sua rotta e ad incamminarsi verso la meta che si era data, una crisi mondiale di incalcolabili conseguenze sarà inevitabile. I leaders revisionisti hanno proclamato più volte i loro propositi di pace e credono di lavorare per essa. Però, con la loro politica timorosa e di corto respiro, in realtà quello che stanno facendo è di creare tutte le condizioni perché scoppi di nuovo la guerra.

L'oligarchia spagnola ha già preso partito. Questa volta non rimarrà neutrale. Nei limiti dello sviluppo capitalista raggiunto, tenterà di giocare la sua carta, come potenza di secondo piano, nella lotta per le fonti di materie prime e i nuovi mercati, d'accordo con i paesi più forti. Ciò vuol dire, sicuramente, dalla parte dei tedeschi, ma senza abbandonare la sua alleanza strategica con gli USA. La Francia e il suo progetto di confederazione europea non contano. Questo poteva essere un progetto attraente per l'URSS e la RPC, ma non per la grande Germania né per gli USA. Inoltre né questi né gli inglesi sono interessati ad una Germania neutrale, come propongono i sovietici, e ancora meno a uno Stato tedesco che domina l'Europa. Questo nodo di contraddizioni potrà essere sciolto, come sempre, solo con la forza.

Solo l'esistenza di una Unione Sovietica forte ed unita, alleata della Repubblica Popolare Cinese e alle forze rivoluzionarie di tutto il mondo, potrà consentire una nuova parità di forze capaci di evitare un terzo conflitto mondiale. Non c'è altra alternativa che la rivoluzione per salvare l'umanità dall'ecatombe o dalla barbarie capitalista.

Quale eredita' riceviamo?

Secondo alcune persone che ancora non hanno capito la nostra lotta, il fallimento della piattaforma del revisionismo significa una "enorme perdita" che ci lascia al buio e quasi senza alcun appoggio per proseguire l'attività rivoluzionaria. Altri ci considerano come degli orfani abbandonati che, per maggior disgrazia, sono costretti a farsi carico di un'eredità ignominiosa. Noi, naturalmente, non possiamo che fare orecchie da mercante, ma faremmo male a rispondere in malo modo a persone tanto compassionevoli. Per questo motivo dobbiamo sforzarci di far loro comprendere l'inutilità dei loro buoni uffici, dicendogli che hanno sbagliato porta, che il defunto non è nostro parente e che non possiamo nemmeno rinunciare all'eredità, poiché questa non ci appartiene. Tutta questa immondizia è a carico dei legittimi eredi dei Krusciov, dei Breznev, dei Teng, dei Berlinguer e dei Carrillo. Tutti questi non avevano rinunciato già da tempo alla rivoluzione socialista e all'internazionalismo proletario? Non hanno calpestato le idee rivoluzionarie di Marx, Lenin e Mao? Sono i revisionisti ad essere rimasti veramente orfani e senza nulla a cui attaccarsi; sono loro ad avere motivi in abbondanza per piagnucolare; ma noi? Noi continuiamo per la nostra strada e, felici come pasque per la "tragedia" che li ha colpiti. Non abbiamo mai rinunciato né rinunceremo all'opera di Marx, di Lenin, di Stalin e di Mao; non rinunceremo alla storia del movimento operaio e comunista internazionale né al patrimonio rivoluzionario del PCE. Di tutto questo sì ci consideriamo gli eredi.

Commentavamo all'inizio le ripercussioni così negative che stanno provocando tra le masse popolari del nostro paese gli avvenimenti che si sono verificati in URSS e nei paesi dell'Europa Centrale e Orientale. E' ben vero che non si tratta di una novità e che la loro risonanza, più forte in Spagna che altrove, è partita sempre dalla banda carrillista e dai suoi epigoni dell'ultima ora. Perfino adesso il signor Carrillo va scrivendo da Mosca a proposito del "pentimento" di Lenin sul letto di morte e di come fu trattato male da Stalin nei suoi ultimi giorni, benché ciò - incomprensibilmente - sarebbe avvenuto con la complicità di Trotzki, Bucharin e degli altri leaders bolscevichi. Parla anche della nuova lettura, da parte degli attuali dirigenti sovietici, delle opere di Lenin. Si vede che alcuni di loro non le aveva mai lette, come nel caso dello stesso signor Carrillo. Se fosse il contrario, è evidente che non potrebbero fare solo adesso delle scoperte così sensazionali: ad esempio, che la NEP fu concepita da Lenin come un ripiegamento della rivoluzione socialista, necessario davanti alle enormi difficoltà che il suo sviluppo stava incontrando, all'arretratezza del paese, al basso livello culturale delle masse, al riflusso della rivoluzione europea, ecc. Ma se questo lo sapevamo fin da quando abbiamo imparato a leggere, quando eravamo bambini! Com'è possibile che i dirigenti sovietici non si siano informati fino ad ora? La ragione è molto semplice, per quanto cerchino di mascherarla: la rivoluzione socialista è già avvenuta in Unione Sovietica, e quello che cercano di fare gli elementi come Carrillo non è altro che distrarre le masse, disorientarle e rendere irreversibile la crisi che essi stessi hanno provocato, perché possano diventare "fattibili" le "soluzioni" capitaliste.

Attualmente l'URSS non è il paese arretrato e analfabeta che trovarono i bolscevichi quando presero il potere. Inoltre, in tutto questo tempo che da allora è trascorso, la rivoluzione ha trionfato in buona parte del mondo e si sono fatte numerose esperienze che prima non si avevano. Come si può quindi parlare, in queste condizioni, di una seconda edizione della NEP senza esporsi al più spaventoso ridicolo? Insomma, lasciamo il signor Carrillo alle sue stupidaggini e ai suoi piccoli intrighi di bassa lega, visto che non riusciranno più ad abbindolare nessuno.

È chiaramente evidente che, senza l'instaurazione del revisionismo nel PCUS, i carrillisti non avrebbero trovato il terreno propizio né gli appoggi necessari per arrivare ai posti di direzione del Partito e per portarlo alla totale degenerazione. Oggi, il PCE ufficiale non è nemmeno l'ombra di quello che è stato in passato: si è trasformato in un partito borghese istituzionalizzato, in una parte della macchina burocratico-repressiva dello Stato capitalista, e in quanto tale ormai non può continuare ad ingannare che coloro che vogliono farsi ingannare. Un partito con queste caratteristiche può solo servire gli interessi della borghesia e di un settore dell'aristocrazia operaia, per cui l'influenza che può esercitare sui lavoratori è minima. Per questo è costretto a muoversi nello stretto margine che il PSOE ha lasciato alla sua "sinistra": il suo programma politico si sostiene grazie agli appoggi che gli forniscono i transfughi di questo partito e adesso non aspira ad altro che a disimpegnare lo stesso triste ruolo che nel passato ha svolto la socialdemocrazia. Il fatto che questa formazione politica borghese continua ad ostentare - anche se non sarà ancora per molto tempo - l'onorato nome del comunismo, ha reso più difficile il nostro compito. Ma questo è un problema che è stato ormai quasi risolto dalla storia.

In realtà, questa faccenda, e tutto ciò che ad essa è connesso, ha un duplice aspetto: da un lato, ostacola e ritarda la marcia del movimento rivoluzionario organizzato in Spagna, esige da noi un doppio lavoro di denuncia, di spiegazione e organizzazione; ci costringe a lottare contemporaneamente su vari fronti. Dall'altro lato, tutto ciò ci permette di costruire una base molto più solida per il futuro sviluppo, rende possibile una migliore selezione dei quadri rivoluzionari e una più precisa comprensione di tutti i problemi della rivoluzione.

Chiariamo, inoltre, che noi non ci siamo mai aspettati nulla da fuori, nessun tipo di aiuto o di riconoscimento, a parte che ci rendiamo conto che non sempre detti "riconoscimenti" e aiuti sono possibili né convenienti. Ci basta che si rafforzino gli Stati socialisti, che si approfondiscano i processi rivoluzionari che si sviluppano (o che possono svilupparsi) in essi, con l'esempio e lo stimolo che sempre questi rappresentano per i lavoratori e l'enorme influenza che esercitano sul piano internazionale. Abbiamo ben presente che la rivoluzione nel nostro paese la dovranno fare i nostri popoli contando solo sulle proprie forze. Questo principio diventerà ogni giorno più evidente. Per tutti questi motivi, non abbiamo nemmeno paura di dire le nostre quattro verità (chi potrà impedircelo?) e se ci sbagliamo, siamo noi che sbagliamo, e non per delega di qualcun altro. Gli errori e gli equivoci saranno sempre nostri, come sarà anche responsabilità esclusivamente nostra emendarli o correggerli. Non dovremo renderne conto che al nostro stesso popolo.

Il vergognoso spettacolo offerto più di una volta da alcuni "comunisti" buoni per tutte le salse che si lasciano strapazzare e obbediscono ad ogni passo agli ordini di altri, deve portarci a riflettere molto seriamente sul principio dell'indipendenza politica e ideologica del Partito, non facendone solo una categoria di "massima dignità", veramente irrinunciabile, ma anche una questione politica e strategica di somma importanza. Cosa ne sarebbe stato della rivoluzione cinese o della rivoluzione cubana, per fare gli esempi più conosciuti, se i loro dirigenti si fossero sottomessi ai dettami di Mosca? Alcuni commentano «... se almeno fossero marxisti...». La questione è che, se anche lo fossero e in nessuna circostanza, i dirigenti di nessun partito, grande o piccolo, hanno alcun diritto di esercitare pressioni o di interferire nella vita interna di altri partiti. Naturalmente, le discussioni e lo scambio di esperienze saranno sempre necessari, ma anche questi dovranno essere fatti su una base di uguaglianza e di rispetto reciproco. In questo senso sarebbe desiderabile che i dirigenti dei paesi socialisti osservassero, rispetto al movimento operaio e comunista di altri paesi, lo stesso atteggiamento di "neutralità" che hanno nei loro rapporti con gli Stati e i loro affari interni. Questo faciliterebbe il lavoro di tutti per l'obiettivo comune.

NOTE DI CHIARIMENTO DEL TESTO

1. CC.OO (Comisiones Obreras) - Centrale sindacale vincolata soprattutto ai revisionisti del Partito Comunista Spagnolo (PCE) e con alcune componenti della Lega Comunista Rivoluzionaria di tendenza trotzkista (LCR) e di gruppi "marxisti-leninisti" (MC e OC-BR).

2. UGT (Union General de Trabajadores) - Centrale sindacale vincolata al PSOE (Partido Socialista Obrero Español).

3. Con questo termine si intendono gli abitanti dei Paesi Baschi, della Catalogna e della Galizia.

NOTE DEL TRADUTTORE

1. Sono i seguaci di Felipe Gonzalez, Segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) e capo del governo.

2. Unione del Centro Democratico, partito di centro-destra il cui leader è Adolfo Soarez, che capeggiò il governo subito dopo la morte di Franco, fino alla vittoria elettorale del PSOE nell'83.

3. Il 23 febbraio 1981 il colonello Tejero occupò il parlamento per circa 18 ore con altre 150 Guardie Civili, tenendo in ostaggio i deputati presenti. Contemporaneamente, a Valencia, il generale Milan del Bosch decretava lo stato d'emergenza, uscendo per le strade con i carri armarti. Il tentato golpe rientrò senza spargimento di sangue.

4. Sono i seguaci di Fraga Iribarne, altro centrista sopravvissuto alla morte di Franco.

5. Sono scandali in cui sono rimasti coinvolti uomini del regime.

6. Gruppi Antiterroristi per la Libertà - Dal dicembre 1983 portano avanti, per conto dei governi spagnolo e francese la "guerra sporca" nei confronti dei patrioti e dei rivoluzionari rifugiati in Euskadi Nord (il paese basco francese) con assassinii, sequestri e attentati contro persone e locali frequentati dai rifugiati. Sono provati i legami dei GAL con polizia e servizi segreti spagnoli e francesi, in omaggio alla collaborazione Gonzalez - Mitterand. Fra la manovalanza dei GAL, oltre ad ex membri dell'OAS francese e delinquenti comuni reclutati a Marsiglia e a Bordeaux, figuravano alcuni fascisti italiani. Negli ultimi anni l'attività dei GAL sembra "rallentata", probabilmente perchè il governo francese ha riconsegnato al governo spagnolo o espulso verso paesi dell'America Latina e dell'Africa moltissimi rifugiati baschi.

7. Anche il governo spagnolo ha aderito al progetto di reinserimento dei prigionieri politici portato avanti da quasi tutti i governi dei paesi dell'Europa Occidentale e che si sostanzia nella richiesta ai prigionieri di dissociarsi e di farsi portavoce della impossibiltà di cambiamenti radicali nelle società capitaliste.

8. CC.OO (Comisiones Obreras) - Centrale sindacale vincolata soprattutto ai revisionisti del Partito Comunista Spagnolo (PCE) e con alcune componenti della Lega Comunista Rivoluzionaria di tendenza trotzkista (LCR) e di gruppi "marxisti-leninisti" (MC e OC-BR).

9. UGT (Union General de Trabajadores) - Centrale sindacale vincolata al PSOE (Partido Socialista Obrero Espagnol).

10. Con questo termine si intendono gli abitanti dei Paesi Baschi, della Catalogna e della Galizia.

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