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Spagna:

REIMPOSTAZIONE STRATEGICA O LIQUIDAZIONE?

In una dichiarazione sottoscritta il 10 aprile scorso, l'organizzazione tedesca Rote Armee Fraktion (RAF) annunciava la cessazione della sua attività armata nei seguenti termini: «Sospenderemo gli attacchi contro rappresentanti di spicco dell'economia e dello Stato per favorire il processo ora necessario». In questo modo, questa organizzazione rispondeva alla proposta, lanciata nel gennaio dello stesso anno dal Ministero della Giustizia, di mettere in libertà i prigionieri politici gravemente ammalati e quelli che sono da più tempo in carcere (alla condizione - non dichiarata in forma pubblica e aperta - che questi rinuncino espressamente all'uso della violenza e si ponga fine alla lotta armata), e chiedeva l'immediata scarcerazione dei suddetti prigionieri e il raggruppamento degli altri fino alla loro totale liberazione.

La RAF si chiede nel suo comunicato «se lo Stato accetterà di aprire uno spazio per soluzioni politiche» al problema della violenza e degli altri conflitti sociali sorti in Germania. E aggiunge: «per parte nostra, con la cessazione dell'escalation del conflitto, ora abbiamo fatto un passo per consentire l'apertura di questo spazio politico. Adesso bisogna vedere come, per parte sua, procederà lo Stato (...)». La dichiarazione conclude con la minaccia di riprendere le azioni armate se lo Stato continuerà con la stessa politica repressiva: «Se annientano con la loro azione repressiva e di sterminio coloro che prendono in mano questo processo e continuano perciò a fare la guerra contro chi sta in basso, considereremo terminata la fase di cessazione delle ostilità e non staremo a guardare passivamente. Di conseguenza, se non lasceranno vivere, insieme a noi, tutti coloro che lottano per una società più umana, allora devono sapere che nemmeno le loro élites potranno vivere. Anche se non è nostro interesse, alla guerra si può rispondere solo con la guerra».

Questa nuova posizione della RAF si fonda sul fatto che la loro linea d'azione, basata sul cosiddetto "Fronte della guerriglia dell'Europa Occidentale", è fallita. «Dovevamo prendere atto - affermano - che l'idea di creare una breccia per la liberazione nella lotta comune internazionale non ha preso piede». La loro riflessione autocritica si estende ad altri aspetti che più hanno caratterizzato la loro attività politico-militare: «facendo politica come l'abbiamo fatta prima del 1989 - anno in cui, a quanto affermano, ha avuto inizio il processo che ha portato a questa nuova presa di posizione - non ci siamo rafforzati ma indeboliti (...). Valutiamo come un errore fondamentale l'aver prestato troppo poca attenzione ad altri che si sono anch'essi ribellati qui, e nessuna attenzione a coloro che non l'hanno fatto (...). Abbiamo visto chiaramente (...) che le cose non possono andare avanti così (...). Abbiamo ridotto la nostra politica quasi esclusivamente ad attacchi contro le strategie degli imperialisti ed è mancata la ricerca di obiettivi reali immediati, di come può iniziare ad esistere qui e da subito un'alternativa sociale (...). Per le nostre esperienze e per le discussioni fatte con i compagni e le compagne su tutte queste questioni, per noi oggi è chiaro che la guerriglia non può essere il centro di questo processo di costruzione». Per tutte queste ragioni la RAF arriva alla conclusione che è necessario «riflettere sugli errori che abbiamo fatto» e cercare «nuove definizioni» politiche.

La dichiarazione della RAF ha provocato una certa confusione nel movimento rivoluzionario europeo, e in particolar modo in Germania. A ciò ha senza dubbio contribuito il modo confuso - peraltro già abituale nei comunicati della RAF - in cui è stata esposta questa dichiarazione, che vorrebbe essere ambigua, ma che per noi, invece, non lo è affatto. Come è noto, ormai da diverso tempo eravamo in polemica con la RAF, perchè, per parte nostra, criticavamo le loro concezioni sbagliate e il loro modo equivoco d'impostare la lotta contro l'imperialismo, cosa che ora la RAF, nel suo bilancio autocritico, in certo qual modo riconosce. Per tutto ciò, proprio come abbiamo fatto durante il dibattito mantenuto con loro in passato, riteniamo un dovere internazionalista - in primo luogo verso i compagni tedeschi - pronunciarci di nuovo su questo passo falso che hanno appena fatto.

E' evidente che l'iniziativa del Ministero della Giustizia risponde all'interesse della grande borghesia tedesca di mettere fine quanto prima non solo a più di vent'anni di lotta armata, ma ad ogni alternativa di resistenza suscettibile di trasformarsi in un punto di riferimento per le masse nell'attuale situazione di crisi generale del sistema capitalista. A questo interesse non sono estranei i problemi economici, sociali e politici che devono affrontare i monopolisti tedeschi né, più concretamente, l'aumento dello scontento popolare - soprattutto nelle regioni dell'ex DDR - problemi che possono aggravarsi ulteriormente a brevissimo termine in conseguenza dell'approfondirsi della crisi economica, del crescente interventismo dello Stato tedesco sul piano internazionale e del più che probabile scontro interimperialista. Non è affatto strano, quindi, che davanti a tali prospettive il governo tedesco abbia gettato l'amo alla RAF, approfittando della sua attuale debolezza, del vicolo cieco in cui si trova e del ruolo centrale che essa assegna ai prigionieri politici nel movimento. Per questo ci sembra un terribile errore la tregua dichiarata dalla RAF, poiché, visti i termini in cui è stata stabilita e l'assenza di una linea politica e ideologica realmente rivoluzionaria sulla quale basarsi, non fa altro che favorire le manovre del governo volte ad ottenere la liquidazione e la disfatta del movimento e a dimostrare l'inutilità della resistenza armata contro lo Stato. Per le stesse ragioni, risulta quanto meno ridicola la minaccia di riprendere le azioni armate se saranno disattese le rivendicazioni avanzate.

Nelle attuali condizioni di debolezza e di disorientamento della RAF, pensiamo sia una vana illusione credere che il grande capitale tedesco - o un settore dello stesso - possa avere interesse in questo momento ad aprire «uno spazio per soluzioni politiche» ai conflitti che coinvolgono la classe operaia e altri settori popolari della Germania. E ancor meno al problema della violenza. Dietro l'iniziativa del Ministero della Giustizia, con la quale lo Stato poliziesco tedesco cerca di mostrarsi "umano", non si nasconde altro proposito che quello di creare illusioni e false aspettative, e di accentuare la repressione. Secondo noi, l'unica cosa che ci si può aspettare adesso dallo Stato, viste le nuove idee e i nuovi propositi avanzati dalla RAF, è una politica di "reinserimento" pura e semplice, il che comporterà un aumento della repressione sui prigionieri, cioè l'applicazione della politica del "bastone e della carota": mano tesa per coloro che si pentono e indurimento delle misure di isolamento e di tortura contro gli "irriducibili". Che questa sia la strada su cui punta il governo tedesco è dimostrato dal fatto che, dopo una così "generosa" offerta, la Procura della Repubblica ha cominciato ad utilizzare le dichiarazioni degli ex militanti pentiti, detenuti nella vecchia DDR, per istruire nuovi processi ai prigionieri che hanno ormai quasi finito di scontare lunghe condanne. Come l'esperienza dimostra, non è piegandosi al ricatto del "reinserimento" che si riuscirà ad ottenere la liberazione dei prigionieri e ancor meno a diminuire la repressione che lo Stato esercita su di essi. Al contrario, in questo modo, si contribuisce ad aggravare ancora di più la loro situazione.

Certamente non si tratta di rinunciare alla trattativa come arma di lotta politica, che in determinate condizioni può consentire di strappare allo Stato alcuni miglioramenti, compresa la liberazione dei prigionieri politici. Ma porre la questione da una posizione di debolezza o di resa, come ha fatto la RAF, rinunciando ad ogni resistenza armata, facendo ogni tipo di concessioni politiche ed ideologiche e "riconoscendo", non solo la debolezza e l'isolamento del movimento e l'erroneità delle sue concezioni, ma anche l'impossibilità di ogni via di uscita che non sia la capitolazione preventiva, non è precisamente ciò che può portare ad una soluzione che favorisca il movimento rivoluzionario.

Nella sua dichiarazione la RAF cerca di giustificare la sospensione della sua attività armata con la necessità di favorire il processo di dibattito interno e la costruzione di «un contropotere dal basso». Ma tali argomenti sono così deboli che non stanno neppure in piedi. In primo luogo, perché si parte dal fatto compiuto di dichiarare una tregua che lega mani e piedi al movimento e che, in ogni caso, doveva essere uno dei risultati di questo dibattito. In questo modo, la RAF - o più concretamente i suoi dirigenti - continua a fare lo stesso errore che afferma di voler correggere: cioè essi prendono le decisioni e gli altri debbono seguirle. In secondo luogo, perché è uno sproposito pretendere di costruire «un contropotere dal basso» di fronte ad uno Stato poliziesco armato fino ai denti e pronto a estirpare fin dalle radici qualunque germoglio organizzativo di carattere rivoluzionario, come ha dimostrato la storia stessa degli ultimi anni. A maggior ragione se si prescinde da una strategia di lotta per il comunismo che includa - come una componente essenziale della stessa - la lotta armata, non solo per far fronte alla violenza controrivoluzionaria, ma soprattutto per la presa del potere. Lo Stato imperialista tedesco non rinuncerà a sfruttare e ad opprimere «quelli in basso» né «lascerà vivere coloro che lottano per una società più umana». Pretendere che possa fare altro - a parte l'assurdità di supporre che la borghesia come classe possa arrivare un giorno a farsi il karakiri - può solo nascondere la mancanza di una volontà reale di continuare la lotta contro le ingiustizie e il terrorismo dello Stato.

All'origine di queste sue nuove posizioni vi è, secondo la RAF, la valutazione che si è prodotta «una situazione completamente nuova nei rapporti di forza a livello mondiale», come conseguenza di ciò che definisce come «sconfitta degli Stati socialisti» per cui, in mancanza di una spiegazione più chiara, si può solo interpretare che l'abbandono delle sue precedenti posizioni sia il risultato dei cambiamenti sopravvenuti nella situazione internazionale. Per la stessa ragione, considerata l'importanza che sembrano avere per la RAF questi cambiamenti, non si capisce come mai la dichiarazione non si sia soffermata di più ad approfondire questo importante problema. Se l'avessero fatto, probabilmente si sarebbero resi conto che la nuova situazione che si è creata ha contribuito decisamente a scatenare le rivalità interimperialiste e in particolare quelle che oppongono gli Stati Uniti allo Stato imperialista tedesco. In questo modo, la RAF avrebbe trovato una spiegazione di fondo al fallimento della sua strategia antimperialista, basata sulla supposta integrazione degli Stati capitalisti e del loro «dominio universale». Del resto, non è questo il momento di polemizzare su questa presunta «sconfitta del socialismo» alla quale si riferisce la RAF, facendo eco alla propaganda con la quale la borghesia cerca di nascondere la crisi del suo stesso sistema di sfruttamento e la completa bancarotta delle concezioni revisioniste.

Per capire in tutta la sua complessità come la RAF ha potuto arrivare ad un tale grado di confusione e sbagliare fino a questo punto, pensiamo che occorra risalire alla prima fase della sua esistenza e tenere conto del contesto storico nel quale è nata e ha fatto i suoi primi passi. Per questo ci ha colpito che la loro dichiarazione non faccia neppure il minimo riferimento a questo periodo, anche solo per rivendicare la propria storia e fare un bilancio sufficientemente attendibile del loro percorso. Questo avrebbe contribuito a centrare e a chiarire il dibattito e a sgomberare il campo da molte delle incognite con cui in questo momento si confrontano i rivoluzionari tedeschi. Per questa ragione è importante ricordare che alla nascita della RAF i suoi dirigenti rivendicavano il marxismo e riconoscevano la necessità del Partito, anche se, secondo le loro analisi, ritenevano che, nella Germania della fine degli anni '60 e inizio anni '70, fosse impossibile la sua costituzione a causa della situazione venutasi a creare dopo la II guerra mondiale e delle caratteristiche dello Stato della RFT. Ciò nonostante, pensavano che all'interno del movimento che la lotta armata della RAF avrebbe generato, si sarebbero create le condizioni per la sua creazione. Tuttavia, a causa di fattori avversi, sia internazionali (apogeo del revisionismo) che della stessa Germania (il disorientamento del movimento operaio, l'influenza delle correnti revisioniste, il boom economico, ecc.), questi progetti finirono per essere relegati in secondo piano. Se a questo si aggiunge la cattura e l'eliminazione fisica della maggior parte dei dirigenti storici, così come l'inserimento nella direzione di giovani militanti con poca esperienza e male attrezzati ideologicamente, ci si spiega meglio come abbiano potuto acquistare spazio le idee spontaneiste, dando luogo allo sviluppo di teorie, come quella del Fronte Antimperialista, che già esistevano in germe.

Che adesso la RAF metta in discussione la linea che ha seguito in quest'ultima fase è, a nostro parere, un passo importante verso l'abbandono delle concezioni spontaneiste e soggettiviste e la reimpostazione della sua strategia. Da questo riconoscimento, indipendentemente dalla rotta che finirà per prendere la RAF, il movimento di resistenza può solo uscirne rafforzato poiché, in questo modo, si creano condizioni favorevoli per approfondire il dibattito e il processo di rettifica delle idee sbagliate, per avanzare sul terreno dell'organizzazione ed elaborare una strategia e un programma rivoluzionari che sintetizzino le esperienze di lotta della classe operaia e del popolo tedesco. Logicamente, se saranno conseguenti con la loro autocritica, questi sono - fra gli altri - i compiti che dovranno assumersi i compagni tedeschi. Tuttavia, esprimiamo la nostra preoccupazione per ciò che sembra puntare verso la ricerca di queste «nuove definizioni» e di «questo spazio per soluzioni politiche», in un riformismo mascherato con abiti radicali e all'ombra della legalità del sistema, seguendo i passi dei movimenti guerriglieri latino-americani patrocinati dalla socialdemocrazia. Per questo sarebbe tragico che, ancora una volta, la RAF sbagliasse strada e si lasciasse prendere nella rete che lo Stato le ha teso. Nonostante tutto confidiamo che il movimento sia capace di superare questo difficile momento e che al suo interno nascano le persone e le forze capaci di creare un'organizzazione veramente rivoluzionaria e di elaborare la strategia di lotta per il comunismo in Germania.

Giugno, 1992

Comitato centrale del Partito Comunista di Spagna (ricostituito)

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