CONVEGNO DI FRANCOFORTE

L'INTERVENTO DI LIBERTAD!

Saluto tutti i presenti a nome di Libertad! e saluto in special modo le compagne e i compagni, venute/i all'iniziativa di oggi dall'Euskadi, dalla Siria, dalla Turchia, dalla Francia e dall'Italia.

Intervengo a nome dell'iniziativa Libertad!, ma esprimo naturalmente anche il punto di vista di uno che è stato una volta nella guerriglia, nel "Movimento 2 giugno", e che è stato in galera. Anche per questi motivi non mi lascia indifferente lo sviluppo della "questione dei prigionieri" in questo paese, così come la condizione della sinistra rivoluzionaria. Il colpo di spugna alla memoria in occasione del "ventesimo anniversario del 1977" agito in questi mesi sia dallo stato che dalla sinistra, tocca naturalmente il cuore, o meglio colpisce lo stomaco: fa vomitare.

Prima sono stato presentato come "ex prigioniero". Naturalmente sono anche questo. Perché ci appartiene. Perché chi si difende contro lo stato delle cose e comincia a lottare può finire in carcere. E' una parte della storia più o meno obbligatoria sia dal punto di vista individuale che da quello politico. Il carcere non lo lasciamo mai alle nostre spalle, perché in realtà è sempre di nuovo davanti a noi.

Bene. A Libertad!. Perché questa iniziativa ha molto a che fare con tutto questo. Libertad! esiste dal 1992 per contribuire da qui alla costruzione di una rete di solidarietà. Un obiettivo concreto è una giornata di lotta internazionale per la libertà dei prigionieri politici in tutto il mondo. Dall'inizio ci interessava però sviluppare questa giornata di lotta come campagna e costruzione che scaturissero da un processo di discussione e mobilitazione comune. Siamo coscienti del fatto che questo è un progetto a lungo termine. Vi fa parte anche la "giornata nazionale d'iniziativa" (sui prigionieri; ndt) del 18 marzo che abbiamo promosso, così come la "conferenza internazionale di lavoro", che progettiamo per il 1998. Su entrambe ritorneremo più avanti. Libertad! non è un movimento, e tanto meno un'organizzazione, assomiglia di più a qualcosa come un comitato formato da diversi gruppi e da singole persone di sinistra. Anche se l'adesione alla giornata nazionale d'iniziativa del 18 marzo cresce, siamo ancora molto lontani dal costituire una forza rilevante contro la repressione dello stato.

Questo non vale soltanto per noi. Se lasciamo da parte gli slogan, è questa debolezza in genere a caratterizzare la situazione della sinistra radicale e rivoluzionaria in questo paese. In mano abbiamo poco, siamo solo puntualmente presenti nelle controversie sociali, e quasi sempre lo siamo solo dal punto di vista di chi resiste. Il governo e il grande capitale si risanano a spese della maggioranza di questo paese: aumenti di tasse, tagli agli aiuti per i disoccupati, abolizione di giorni festivi, politica del "sacrificio necessario": la sanità, abbassamento dello stipendio reale ai livelli di 15 anni fa ecc. Ogni giorno si fanno venire in mente qualcosa di nuovo. Già da molto la "fortezza Europa" sviluppa il suo dominio verso l'esterno con impianti di sorveglianza contro rifugiati e verso l'interno attraverso una repressione quotidiana. La pacificazione viene regolata tanto dalla massiccia presenza di polizia sulle strade quanto nelle discussioni alle tavole rotonde dei progetti d'aiuto istituzionalizzati.

Se noi oggi parliamo di prigionieri politici nelle carceri della Repubblica Federale Tedesca, dobbiamo però parlare anche di razzismo. La stragrande maggioranza dei prigionieri politici proviene da organizzazioni curde, turche, tamil e di altri paesi stranieri e da rivolte di profughi.

La loro prigionia avviene nello scenario di un consenso sociale basato sullo sfruttamento coloniale e razzista. Nelle metropoli noi, come sinistra, dobbiamo combattere anche questo consenso, stabilizzante per lo stato. Anche per questo Libertad! si orienta alla solidarietà internazionale e all'anti-razzismo.

Della RAF ci sono ora ancora dieci prigionieri. La fase delle lotte dalla quale provengono si è conclusa. La sostanza delle lotte rivoluzionarie non è sufficiente per riallacciarvi un rinnovamento e una ridefinizione della politica rivoluzionaria in un ambito organizzato. La politica di pacificazione del governo determina i tempi dello scontro. Una soluzione politica per tutti non è mai stata oggetto di dibattito. Il risultato è amaro: l'individualizzazione di una lotta collettiva ben determinata. Parte dei prigionieri sta in carcere da 20 anni è non c'è dubbio che devono uscire tutti. Con il nostro progetto improntato in modo internazionalista ci muoviamo però in contraddizione rispetto a questa immediatezza, in quanto per prima cosa siamo interessati ad uno sviluppo nel quale appropriarsi delle condizioni di partenza mutate e - per quanto riguarda la questione dei prigionieri politici in tutto il mondo - pensiamo che occorrano processi di costruzione a lunga scadenza per un movimento radicale a livello internazionale.

Ma adesso voglio aggiungere ancora qualcosa rispetto la questione: "pacificazione o liberazione". Noi pensiamo che la solidarietà con i prigionieri politici in Germania, così come gli stessi prigionieri, su questo punto riflettevano incertezze e valutazioni non realistiche della situazione. Diversamente da oggi, solo pochi anni fa i prigionieri politici, e soprattutto i prigionieri della RAF, avevano un significato centrale nel pensiero e nell'azione della maggioranza della sinistra rivoluzionaria. Orientati all'affermazione che "lotta genera lotta", i nostri sforzi s'indirizzavano ad affermarci con continuità in carcere come collettivo politico e come punto di riferimento, qualche volta anche motore del movimento combattente fuori. Non volevamo che ci si riducesse a vittime. Avevamo capito che la denuncia delle torture subite, dei programmi di distruzione in carcere attraverso l'isolamento prolungato e dei tentativi di lavaggio del cervello non erano utili in termini di lotta, che la solidarietà politica necessita di più della protesta contro condizioni di reclusione inumane. Necessità di chi si alza e si muove contro la tortura. Così il nostro punto di vista principale deve confrontarsi con la politica, che in quel caso deve essere sistematicamente distrutta, deve, in ultima analisi, rivolgersi contro lo stato che utilizza queste torture.

Ancora oggi ritengo questa consapevolezza assolutamente giusta.

Ma con tale posizione, nella sinistra non ci siamo fatti solo degli amici. Però, anche la sinistra deve accettare che con l'arresto la lotta di guerriglia non finisce. E ancora di più: anche la galera è stata per noi terreno di guerra contro lo stato imperialista. Non eravamo un caso da assistenza con il motto: la lotta vera avviene fuori. E in quanto si trattava della prospettiva di liberazione nella lotta per la liberazione, la libertà per i prigionieri era la richiesta di continuazione della lotta antimperialista iniziata. Questo ha determinato la durezza del confronto sia da parte dello stato che da parte nostra, i prigionieri.

Dopo il 1989 la situazione si è fondamentalmente modificata. In piena crisi della sinistra rivoluzionaria, i prigionieri della RAF cercarono di sciogliere tale legame, mettendo in relazione la loro situazione e la loro lotta non più solo con le prospettive della RAF, ma della sinistra in generale.

La lotta per la loro liberazione doveva sviluppare delle prospettive per la sinistra in generale.

Con lo sciopero della fame dei prigionieri del 1989 è stato avviato uno sviluppo, che in conclusione, almeno fino ad oggi, ha smobilitato il collettivo dei prigionieri e distrutto la loro importanza politica. La RAF ha annunciato il suo scioglimento. Lo dico molto chiaramente: non è stata la politica dello stato a distruggere la RAF e il collettivo dei prigionieri.

Oggi, ancora più di anni fa, si può affermare chiaramente che si compie un errore fondamentale, se si legano le prospettive della propria politica così direttamente con i progressi nella libertà per i prigionieri, come invece è stato fatto in Germania. E' stato pressoché obbligatorio che in questo contesto i prigionieri siano diventati ostaggi dello stato. Si creò una situazione in cui i prigionieri erano ostaggi contro la sinistra armata e la sinistra armata ostaggio contro i prigionieri. Il ricatto potenziale sulla sinistra rivoluzionaria attraverso i prigionieri - ciò che noi chiamavamo "condizione di ostaggio" - diventò un ricatto reale. E' accaduto con la cosiddetta iniziativa Kinkel. Quando poi anche la stessa RAF ha gettato la lotta armata sulla bilancia, la sua fine è stata prevedibile. La situazione attuale dei prigionieri politici nel nostro paese è determinata da un lato dal fatto che persiste la pressione su di loro perché si sottomettano fino all'irriconoscibilità, e dall'altro da un ambito di riferimento collettivo e politico che non esiste più. Da tempo è stata intrapresa la via delle soluzioni individuali.

Credo che da questa esperienza debba emergere anche come insegnamento importante, quello che dobbiamo discutere sulle prospettive della sinistra rivoluzionaria e anche sulla politica delle loro organizzazioni, armate o meno. Perderemo sempre fin tanto che queste discussioni avverranno in relazione allo stato.

Adesso abbiamo già sentito parecchio sulla situazione dei prigionieri politici in altri paesi. Sulle loro lotte e le loro richieste. Anche sulla solidarietà con loro e sulle condizioni di lotta nei singoli paesi.

Per la discussione ci interessa come le lotte siano radicate nella contraddizione tra pacificazione e liberazione, come i combattenti considerino lo sviluppo attuale nel loro paese e sullo sfondo della situazione internazionale.

Quale significato ha per noi la relazione internazionale?

Libertad! è stata costruita anche per uscire dalla strettoia nazionale, che ho appena esposta. Ma anche indipendentemente da questa situazione concreta, è necessario e possibile cooperare su piano internazionale nella questione della solidarietà contro persecuzione politica e contro la repressione di qualsiasi tipo.

Un altro nostro proposito era di non rendere il lavoro di solidarietà dipendente dalla forza o dalla debolezza della lotta rivoluzionaria. Noi intendiamo la repressione, la persecuzione, la tortura e la prigionia, e la nostra resistenza contro di esse, come parte della lotta rivoluzionaria e non solo come una questione morale. Il lavoro di solidarietà con i prigionieri politici deve essere maggiormente inserito nella costituzione di un movimento radicale di base contro l'oppressione; un movimento di base che si lasci guidare dal fatto che la questione dei diritti dell'umanità è una questione rivoluzionaria.

I prigionieri nei paesi dai quali le compagne e i compagni hanno parlato qui, sono un esempio per migliaia di prigionieri politici in tutto il mondo.

La loro situazione, le condizioni politiche e sociali nei loro paesi, portano all'assurdo l'utilizzo del termine "diritti dell'umanità" e la loro rappresentazione ufficiale attraverso l'ONU e gli stati dominanti.

Quando qui parliamo di diritti dell'umanità, non intendiamo solo quelli borghesi-democratici, che, così come la società stessa, si riferiscono sempre solo al singolo, all'individuo. Secondo noi, anche nella lotta per i diritti dell'umanità, diritti collettivi e diritti sociali, gruppi contro la repressione e comitati di solidarietà possono stabilire il collegamento con un movimento internazionale di base. In queste lotte, nelle loro richieste e negli obiettivi che si pongono, i diritti dell'umanità vengono definiti come diritto di vivere in condizioni tali da rendere possibile una vita da esseri umani.

Al primo incontro intercontinentale in Chiapas nell'estate del 1996, a cui abbiamo partecipato, alcune organizzazioni si sono messe d'accordo sulla data del 10 dicembre per una giornata di lotta internazionale. Il 10 dicembre è quel giorno in cui, nel 1948, venne ratificata la dichiarazione ONU sui diritti del umanità. Non a caso abbiamo posto l'iniziativa di oggi in vicinanza temporanea al 10 dicembre; ma anche perché tre giorni fa è stato il primo anniversario dell'occupazione dell'ambasciata giapponese a Lima, attuata dal commando Edgar Sanchez del MRTA.

Scegliere il 10 dicembre come data per una giornata internazionale di lotta per la libertà dei prigionieri politici in tutto il mondo, non significa volerci accodare all'ONU, oppure appellarci ad essa. Così come non ci salva nessun essere superiore, la conquista dei diritti dell'umanità non sarà raggiungibile attraverso appelli diplomatici.

Per questo dobbiamo scendere in piazza e dare alla nostra protesta e alla nostra resistenza la dovuta espressione. E ciò può essere moltissimo in una giornata di lotta caratterizzata delle cartoline postali fino ai blocchi stradali, da una mobilitazione fino all'occupazione di un'istituzione statale responsabile. E' chiaro che la data del 10 dicembre è contraddittoria. Ma proprio anche per questa contraddittorietà, ad esempio dell'ONU, si presenta anche come occasione per fare uno sgambetto all'ipocrisia ufficiale.

Ovviamente in special modo l'anno prossimo, che sarà il cinquantesimo anniversario della ratificazione della dichiarazione dei diritti dell'umanità da parte dell'ONU.

L'ONU venne fondata nel 1945 come organizzazione succedente all'unione degli stati per la regolazione delle relazioni interstatali. Dall'inizio i rapporti di forza a livello mondiale si riflettevano in questa unione di stati. Naturalmente ci sono stati un numero minore di momenti in cui hanno prevalso posizioni antimperialiste, che quelli in cui hanno prevalso invece gli interessi dei maggiori stati imperialisti.

Ma ad esempio dallo sviluppo del cosiddetto diritto umanitario dei popoli in guerra, così come si riflette nelle decisioni dell'ONU, si rende palese il significato e il carattere di questa istituzione. La vittoria delle lotte armate di liberazione conduce, dagli anni '50, alla decisione, approvata da un enorme numero di stati membri, che le dispute anticoloniali e antirazziste assumessero lo status di conflitti armati internazionali che in questo modo vennero riconosciuti come legittimi partiti di guerra. Nel 1973 l'assemblea generale dell'ONU legittimò, con il voto contrario soprattutto dei paesi della NATO, l'uso della forza contro l'oppressione coloniale e razzista.

Però anche questo oggi è già passato. Le brecce nel rapporto di forza mondiale a favore della borghesia, lo schiacciamento, il ricatto e infine il disarmo dei movimenti di liberazione, la distruzione della loro politica e il crollo interno degli stati socialisti dagli anni '80 in poi, hanno nuovamente fatto dell'ONU uno strumento degli stati e una comunità di stati imperialisti come gli Stati Uniti, l'Europa occidentale e il Giappone.

Oggi è subentrata una situazione in cui l'imposizione degli interessi di questi stati è sempre più affare dell'ONU, e la continuazione della guerra a bassa intensità, il Low-intensity-warfare, avviene sotto la copertura della "salvaguardia dei diritti dell'umanità": pace obbligata, disarmo degli avversari politici e la loro sottomissione. Questa condizione, da loro chiamata pace, non include nemmeno l'assenza di guerra; attraverso la forza intendono stabilire condizioni sociali e politiche, in cui, per la miseria, la fame, le espulsioni in massa, muoiono più persone che nello scontro armato tra lotte di liberazione ed imperialismo.

Tutti questi sono anche motivi per opporre la nostra resistenza all'utilizzo ufficiale dei diritti dell'umanità. Anche e proprio nella solidarietà con i prigionieri politici in tutto il mondo. Si pone la domanda se i prigionieri vengono sacrificati a favore dei trattati di pace. Si pone la domanda se, per giungere ad una "soluzione politica" ai torturatori viene concessa l'impunità.

Tutto questo dimostra chiaramente che, fino a quando esiste il capitalismo, la realizzazione dei diritti dell'umanità rimarrà una questione legata ai rapporti di forza tra liberazione e imperialismo. Questo significa che la lotta per i diritti dell'umanità è la lotta per l'abolizione delle condizioni in cui essi non sono realizzabili.

Di conseguenza affermiamo che occorre nuovamente tessere i fili della solidarietà internazionale. Proprio anche perché le lotte mondiali per la dignità, per l'autodeterminazione sociale, economica e politica si sono frantumate. Manca ancora una tangibile prospettiva comune. Lo sviluppo della discussione e cooperazione internazionale sulla questione dei prigionieri politici rappresenta per noi un percorso essenziale per la nascita di un movimento di base internazionale. Speriamo di contribuire con il nostro lavoro e la nostra mobilitazione al necessario processo di costruzione di un futuro movimento radicale internazionale.

Attraverso la nostra iniziativa vogliamo raggiungere l'internazionalizzazione della questione dei prigionieri politici. Intendiamo con questo qualcosa di diverso dal porre i propri prigionieri politici su livello internazionale e chiedere solidarietà internazionale. Per noi si tratta di un agire insieme per la libertà dei prigionieri politici a livello mondiale.

In tutto il mondo i prigionieri politici, a causa della loro prigionia, vivono il confronto esasperato con lo stato. Dipendono dalla nostra solidarietà. Nelle mani dei nostri nemici, sotto il loro continuo controllo e nella loro completa disponibilità, hanno bisogno della presenza del movimento fuori, come protezione contro tortura e distruzione psichica e fisica. Così come i prigionieri politici sono una parte dei movimenti e delle lotte da cui provengono, le condizioni di prigionia sono parte della repressione dello stato alle basi stesse dell'opposizione radicale.

Bene. Arrivo finalmente alla conclusione. Ciò che disse George Jackson 30 anni fa, "connections, connections, connections", vale ancora oggi: incontrarsi, comunicare, agire - insieme e in modo internazionale.

Libertad! c/o "3 Welt"-Haus, Westerbachstr. 47/H3, D-60489 Frankfurt