QUADERNI DI CONTROINFORMAZIONE N.1 - FEBBRAIO 1995

TRE SCHEDE SU FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE E BANCA MONDIALE

PREMESSA REDAZIONALE

Le tre schede che seguono sono già state pubblicate sei anni fa (nel 1989) sul Dossier n. 2 di Kamo - laboratorio di comunicazione antagonista.

Da allora molte cose sono cambiate.

E' crollato il muro di Berlino e con esso il cosiddetto socialismo reale, il mondo da "bipolare" è diventato "multipolare", nel senso che ha cominciato ad approfondirsi la contraddizione tra i diversi poli imperialisti, che prima veniva in qualche modo "raffreddata" da quella "est-ovest".

Nel quadro di questo nuovo rapporto di scontro e connivenza tra i poli imperialisti vediamo una loro diversa assunzione di responsabilità nella difesa dell'economia capitalistica, come ad esempio nei passaggi che in Europa hanno portato prima alla definizione dell'Ecu come rapporto di cambio tra le monete della Comunità e poi alla proposta di moneta unica.

Allo stesso tempio si è modificato anche il rapporto contraddittorio tra Centro e Periferia imperialista con la definizione di nuovi antagonismi e una sempre più marcata tendenza alla guerra.

In questo contesto si stanno modificando di conseguenza anche ruolo e funzioni delle strutture sovranazionali della borghesia imperialista, quali ad esempio il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale di cui si parla in queste schede.

Quale è allora il senso di questa riedizione?

Quello di riprendere il filo di un dibattito, quello sull'imperialismo, riproponendo oggi questi spunti di analisi con cui si era contribuito all'iniziativa contro la riunione del FMI di Berlino (1989), e ripromettendoci di ampliarli e attualizzarli sui prossimi numeri dei Quaderni e della rivista.

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FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI), nasce nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods (1) che sancirono la supremazia economica, politica e militare degli USA i quali assunsero formalmente in quella data il ruolo di paese imperialista guida all'interno del mondo capitalista: se a Bretton Woods furono esaminati e discussi tanto il piano dell'amministrazione statunitense (elaborato da H.D.White) quanto quello dell'amministrazione inglese (elaborato da J.M.Keynes), gli statuti del FMI furono di fatto il riconoscimento giuridico a livello mondiale di questo ruolo che gli USA erano venuti ad assumere già prima della guerra (e del resto la conferenza fu voluta in particolar modo dagli USA per regolare con precisi accordi i prestiti che avrebbero dovuto concedere ai paesi europei il cui deficit, anche per quelli vincitori, si prospettava immenso).

La funzione monetaria del FMI (che poi di fatto si è esaurita con la crisi del dollaro, agli inizi degli anni '70 - vedi Scheda sistema monetario internazionale) fu quella di imporre il dollaro come unità di misura negli scambi internazionali ("gold exchange standard").

La funzione finanziaria è tuttora quella di estendere il mercato capitalista a livello globale attraverso una politica di prestiti concessi prima alla condizione dell'abolizione delle tariffe doganali (per permettere una più facile penetrazione del capitale USA nelle ex colonie europee e la costruzione dello spazio di mercato vitale per l'imporsi del capitale multinazionale) e poi alla condizioni sempre più esplicita dell'inserimento del paese debitore nella sfera di influenza dell'imperialismo e dell'adozione di politiche interne capitaliste.

A Bretton Woods erano presenti i rappresentanti di 45 paesi (2), di questi 30 hanno ratificato gli accordi divenendo membri originari; altri 14 sono i membri entrati in tempi successivi; l'URSS, che era presente, non li ha mai ratificati.

Nel 1981 gli stati aderenti erano 141, praticamente tutti gli stati capitalisti (tranne la Svizzera) e buona parte degli altri; non aderiscono i paesi del socialismo reale tranne la Jugoslavia (membro originario), la Polonia, la Romania (dal 1972) e la Cina (dal 1980).

Organi di gestione del FMI sono:

- il Consiglio dei Governatori al cui interno sono rappresentati tutti i paesi membri e che svolge riunioni annuali in cui si discute tanto del FMI quanto della BIRS;

- il Consiglio dei Direttori Esecutivi cui è delegata la maggior mole di lavoro e i cui membri sono 22 di cui 6 nominati rispettivamente da USA, Francia, Giappone, Germania Occidentale, Regno Unito e Arabia Saudita e gli altri 16 eletti da un'assemblea che raggruppa un certo numero di paesi membri;

- il cosiddetto Staff del Presidente del Consiglio dei Direttori Esecutivi.

La caratteristica singolare della procedura decisionale del FMI è il sistema del voto ponderato per cui l'importanza di ogni voto è proporzionale al peso relativo della quota detenuta dal paese votante, quota che deve essere versata nel Conto Generale del FMI per il 25% in oro e per il restante 75% nella valuta del paese membro (nel 1944 gli USA detenevano una quota superiore al 20% del totale dei depositi nel Conto Generale ed erano quindi in grado di vincolare ogni decisione del consiglio dei governatori dal momento che queste devono essere prese con una maggioranza dell'80% (3)).

Funzioni istituzionali del FMI sono:

1) garantire il rispetto di un determinato codice di comportamento al quale i paesi membri devono attenersi nei rapporti commerciali internazionali;

2) fornire risorse finanziarie ai paesi membri che ne necessitano con transazioni ufficiali sul mercato dei cambi.

Il codice di comportamento che disciplina il commercio internazionale è contenuto nello statuto del FMI (per quanto riguarda le regole relative ai pagamenti) e nell'Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio (GATT) (4) (per quanto riguarda le regole relative al commercio); questi due accordi condannano (con poche eccezioni) l'applicazione di tariffe protezionistiche e di restrizioni quantitative al commercio estero: anche in caso di gravi problemi economici (alta disoccupazione, deficit di bilancio...) del paese che ha sottoscritto gli accordi. Eventuali contromisure che comportino limiti alle importazioni o vincoli ai pagamenti devono ricevere l'approvazione dei Direttori Esecutivi del FMI.

Con la conferenza di Kingston in Giamaica nel 1976 questa funzione del FMI è stata messa in discussione (5) con il riconoscimento dell'impossibilità di mantenere il dollaro come unità di misura per gli scambi internazionali (vedi scheda sistema monetario internazionale).

A tutt'oggi, quindi, la funzione principale del FMI è quella di controllare i finanziamenti ai paesi in via di sviluppo; essi avvengono con le seguenti modalità: lo scambio della cosiddetta tranche in oro (cioè il 25% della quota) con valuta nazionale non viene considerato debito, al contrario dei successivi prelievi, pari sempre al 25% della quota, che vengono chiamati tranche di credito o diritti normali di prelievo e di norma possono arrivare ad un massimo di quattro: i prelievi sono quindi consentiti fino a che lo stock di valuta del paese membro detenuto dal Fondo ammonta al 200% della rispettiva quota.

Oltre ai diritti normali di prelievo il FMI ha istituito altre forme di prestito:

- i crediti stand by, introdotti nel 1952 e che hanno praticamente soppiantato i diritti normali di prelievo e sono una forma di credito con scadenza annuale e rinnovabili fino ad un tempo massimo concordato;

- i finanziamenti compensatori istituiti nel 1963 a favore dei paesi produttori di materie prime per fronteggiare le fluttuazioni dei prezzi di tali beni. Non a caso, visto il rischio politico per i paesi capitalisti di un rincaro generalizzato delle materie prime eventualmente deciso dai paesi produttori, questa forma di credito è quella che ha maggiori facilitazioni;

- i diritti speciali di prelievo (DSP), una forma di finanziamento diretto del FMI, una vera e propria moneta emessa dal FMI e distribuita gratuitamente ai paesi membri in quantità proporzionale alle relative quote (sulle implicazioni monetarie della creazione dei DSP vedi scheda sistema monetario internazionale).

- le oil facilities, finanziamenti istituiti nel '74 in seguito alla crisi petrolifera e diretti a sostenere le economie dei paesi consumatori di petrolio con prestiti raccolti tra i paesi produttori.

Il paese che vuole accedere al credito deve discutere la sua proposta con lo Staff Direttivo (prima di sottoporla agli altri organi del FMI) esponendo non solo il piano di utilizzo del prestito, ma concordando anche tutte quelle misure di politica interna che possano facilitare un rientro (il più veloce possibile) del deficit di bilancio e quindi una restituzione del prestito. Verranno quindi imposte di fatto scelte precise in fatto di politica fiscale, monetaria, salariale, creditizia...

Chiaramente i parametri cui il FMI fa riferimento per accordare il prestito sono più flessibili per la prima tranche di credito dei diritti normali di prelievo, mentre lo sono assai meno per le tre successive e per le altre forme di finanziamento: in questi casi funzionari del FMI si installano nel paese debitore con la funzione di supervisori, non solo delle modalità di utilizzo del prestito, ma anche dell'intero bilancio del paese; in genere le prime misure consigliate riguardano la drastica riduzione della spesa pubblica in servizi e assistenza, il taglio dei salari, la svalutazione della moneta locale... per dare un idea delle dimensioni che assume questo controllo economico basti pensare che nel quinquennio 1967/1972 il FMI inviò 260 esperti in 67 diversi paesi.

Per quanto riguarda la valuta con cui viene effettuato il prestito essa deve essere quella di un paese membro che non sia nella condizione di debito; ciò ha significato che fino al 1962 tutti i prelievi e i rimborsi sono stati effettuati in dollari statunitensi, successivamente anche in altre valute, ma sempre e comunque con il risultato di legare la moneta dei paesi debitori alla valuta di un paese industrializzato e quindi anche di scaricare sull'economia del primo la crisi di quella del secondo (6).

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NOTE a Fondo Monetario Internazionale

1) "United Nation Monetary and Financial Conference" Bretton Woods (New Hampshire, USA), 1/22 luglio 1944; questa conferenza vide anche la nascita della Banca Internazionale per la Riscostruzione e lo Sviluppo (BIRS) correntemente chiamata Banca Mondiale.

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2) Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Canada, Cecoslovacchia, Cile, Cina, Colombia, Costa Rica, Cuba, Danimarca, Egitto, Salvador, Equador, Etiopia, Filippine, Francia, Grecia, Guatemala, Haiti, Honduras, India, Iran, Irak, Islanda, Juogoslavia, Liberia, Lussemburgo, Messico, Nicaragua, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Panama, Paraguay, Perù, Polonia, Regno Unito, Repubblica Dominicana, Sud Africa, USA, URSS, Uruguay, Venezuela. Polonia, Cecoslovacchia e Cuba si sono ritirate dal FMI rispettivamente nel 1950, 1954, 1964. L'Italia è entrata nel FMI il 27/3/47.

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3) All'1/1/76 gli USA detenevano una quota pari al 22,93% del totale dei depositi nel Conto Generale, il Regno Unito il 9,58%, la Germania il 5,48%, la Francia il 5,13%, il Giappone il 4,11%, il Canada il 3,77%, l'Italia il 3,42%; quindi oltre il 54% dei voti nel Consiglio dei Governatori erano riservati ai 7 paesi imperialisti!

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4) General Agreement on Tariffs and Trade costituito nel 1947 e con sede a Ginevra, esercita la sua funzione attraverso negoziati su base multilaterale tra i paesi partecipanti; il GATT controlla circa l'80% del commercio mondiale

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5) La funzione di coordinare le politiche economiche dei diversi stati imperialisti viene assolta comunque anche da altri organismi sovranazionali come per es. l'OCSE.
Nata come OECE (organizzazione europea per la cooperazione economica) nel '48 per stabilire la suddivisione degli aiuti del piano Marshall, si trasformò in seguito in OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico); vi partecipano Austria, Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania federale, Giappone, Grecia, Lussemburgo, Irlanda, Islanda, Italia, Jugoslavia, Norvegia, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Turchia e USA

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6) Ad afferrare la portata di questo meccanismo basti pensare che negli anni '70, quando il dollaro si svalutava nei confronti dell'oro, gli USA riuscirono a convincere il FMI a vendere le proprie riserve d'oro in cambio di dollari per difenderne il cambio, ottenendo su questa operazione il consenso degli altri paesi che vedevano perdere di valore i dollari custoditi nelle loro Banche Centrali.

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SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE

Le teorie che fanno da supporto all'operare degli organismi monetari, tanto a livello nazionale (Banche Centrali, come la Banca d'Italia nel nostro paese), quanto a livello internazionale (FMI, BIRS...) sono tutte incentrate sul problema della liquidità necessaria alla realizzazione dei profitti: nel ciclo dell'accumulazione capitalista (D-M-D') si produce infatti maggior valore di quello impiegato per attivare il ciclo e ciò a ritmi sempre più incalzanti a mano a mano che esso si estende a livello globale.

Ma se questo chiaramente rappresenta la contraddizione classica del sistema capitalista e non è riducibile ad una questione puramente monetaria, gli organismi di cui sopra chiaramente rifiutano una simile affermazione e interpretano la crisi come sola crisi di liquidità elaborando quindi risposte sempre provvisorie e sempre superate dalla realtà; risposte che si possono riassumere nella tendenza a sganciare il corso della moneta dall'oro (che è pur esso una merce prodotta in quantità limitata) e a studiare sistemi monetari tali da essere accettati dalla maggior parte dei paesi e da garantire i capitali dell'effettivo valore della moneta con cui vengono effettuati i pagamenti.

Nei mercati nazionali l'oro non è più moneta da oltre un secolo, né esiste una prefissata convertibilità in oro delle valute dei singoli paesi: il corso forzoso della carta-moneta circolante è di fatto garantito dalla autorità politica, economica e militare dei singoli stati nazione a cui, d'altra parte, permette non solo il controllo dell'import-export, ma anche il controllo della ridistribuzione della ricchezza tra le classi attraverso manovre di politica monetaria.

A livello internazionale, invece, non si è mai verificato, prima di Bretton Woods, nessun tentativo di garantire il corso forzoso di una valuta unica.

A cavallo tra il XIX e il XX secolo gli scambi internazionali (che del resto avevano un volume infinitamente più piccolo di quello attuale) avvenivamo nella valuta del paese esportatore: nelle Banche Centrali di ogni paese doveva essere depositata una quantità di oro di pari valore della moneta circolante come reciproca assicurazione tra i diversi paesi che si rifornivano di valuta estera per effettuare i pagamenti delle importazioni.

Chiaramente nel momento in cui è la moneta stessa ad essere venduta e acquistata il suo prezzo è anche determinato dalla domanda e dall'offerta: più un paese esporta, più la sua valuta è richiesta all'estero e il valore di questa può quindi superare quello fisso legato all'oro. Ad esempio all'inizio della I guerra mondiale il Regno Unito è il paese economicamente più efficiente, quello che esporta di più, e la Sterlina inglese è la moneta dominante e progressivamente rivalutata.

Dopo la I guerra mondiale l'indebitamento dei paesi legato alle spese di guerra è tale da far saltare ogni possibilità di conversione in oro dell'enorme quantità di carta moneta che era stata stampata.

Si instaura di fatto un doppio sistema monetario in cui la valuta circolante all'interno del territorio nazionale non è garantita dal cambio in oro (corso forzoso della carta-moneta), mentre le riserve auree delle Banche Centrali servono a rimborsare in oro la valuta ceduta a paesi terzi nei pagamenti delle importazioni (pagamenti nella valuta del paese importatore).

I paesi che importano un valore di merci superiore di quelle esportate sono costretti a farsi prestare oro per i pagamenti e quindi a svalutare la propria valuta.

Si trattò comunque, in questo periodo tra le due guerre, di un sistema monetario tutt'altro che regolamentato, segnato da una parte dal conflitto sociale dispiegato di quegli anni e dai suoi risvolti internazionali (rivoluzione russa, terza internazionale...) e, dall'altra, dalla crisi capitalistica e dai suoi effetti (politiche protezionistiche dei mercati interni, premi alle esportazioni).

Il mercato globale era basato per la maggior parte su rapporti tra capitale privato dei paesi industrializzati e istituzioni pubbliche dei paesi in via di sviluppo. Rapporti pieni di incognite: in quel periodo molti paesi dichiararono la loro inadempienza riguardo ai debiti e alcuni (specie dell'America Latina) giunsero a dichiarare bancarotta.

Gli accordi di Bretton Woods nel 1944 rispondono quindi all'esigenza di parte capitalistica (non solo USA) di aprire un mercato globale cautelandosi nello stesso tempo con l'imposizione di precise regole del gioco (vedi Scheda FMI).

Il sistema monetario che viene definito in questi accordi è basato sull'uso del Dollaro USA come valuta internazionale. Quindi neppure qui viene teoricamente definita una moneta di corso forzoso a livello internazionale, ma semplicemente gli USA, paese economicamente e militarmente dominante, impongono la propria valuta al mondo intero garantendone la convertibilità in oro (gold exchange standard) nella misura di 35 dollari per un'oncia (31,1 grammi) d'oro; quindi gli USA in questo secondo dopoguerra vengono a svolgere il ruolo privilegiato di chi può stampare moneta teoricamente senza alcun limite, senza pericolo di creare inflazione all'interno (la moneta circola a livello mondiale) e senza dover subire alcuna svalutazione in caso di eventuali deficit della propria bilancia commerciale; non solo, i prestiti internazionali effettuati dagli USA in carta e non in oro rendono pure in interessi e legano sempre più le economie dei diversi paesi agli interessi statunitensi .

L'oro anche formalmente perde la sua funzione monetaria (1) e resta solo un mezzo di riserva, mentre il dollaro non solo acquista la funzione di unità di misura negli scambi internazionali, ma viene anche accumulato come riserva nelle Banche Centrali dei diversi paesi (2).

Ma alla lunga vengono al pettine i nodi di questo sistema monetario internazionale del tutto artificiale che avrebbe dovuto sancire all'infinito il predominio USA all'interno del quadro capitalista ed imperialista: con l'industrializzazione di Europa e Giappone le merci USA divengono meno competitive, la bilancia dei pagamenti va in deficit e l'oro della riserva USA non è più sufficiente a convertire tutti i dollari in circolazione.

Nel 1960 ad un valore di 10 miliardi in oro depositati nelle riserve USA corrispondono oltre 100 miliardi di dollari in banconote circolanti.

Per alcuni anni le Banche Centrali di otto paesi cercano di sostenere il dollaro (3) (di cui i loro forzieri erano stracolmi) vendendo oro sul mercato di Londra per farne abbassare il costo e per mantenere il rapporto 35 dollari/oncia.

Poi, nel 1965, la Francia cessa di sostenere la valuta statunitense e cambia in oro 704 miliardi di dollari. Italia, Germania, Belgio e Olanda seguono immediatamente l'esempio pur cambiando quantità minori di dollari.

Il dibattito interno allo schieramento imperialista è incentrato a questo punto su due ipotesi:

1) mantenere il dollaro come unità di misura per gli scambi internazionali con pesanti conseguenze: per aumentare la liquidità internazionale occorre aumentare il volume dei dollari in circolazione, d'altra parte a questo stadio dello sviluppo economico l'aumento di liquidità non è affatto proporzionale all'effettivo aumento dei profitti delle multinazionali statunitensi, ma piuttosto a quello del sistema globale, quindi l'aumento di liquidità si traduce in un deficit della bilancia dei pagamenti USA, in inflazione che viene scaricata alla fine dei conti sulle valute degli altri paesi.

2) definire una nuova moneta di corso forzoso (cioè non legata alla convertibilità in oro) a livello internazionale. E' in quest'ultima direzione che va la creazione da parte del FMI (conferenza di Rio de Janeiro nel 1967) dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP) a conclusione di un dibattito che aveva avuto origine ancora nel '44 e che ebbe questa conclusione obbligata con la crisi di venti anni dopo.

I DSP avevano anch'essi all'inizio un valore in oro (lo stesso del dollaro), ma dalla conferenza di Kingston (Giamaica 1976) risultano invece completamente sganciati dall'oro (demonetizzazione dell'oro) e fissati invece rispetto ad un paniere di 16 valute (4), ognuna con un peso percentuale diverso e prestabilito.

Di fatto il peso dei DSP nel mercato internazionale è tuttora assai modesto e si può dire che tutto questo dibattito non giunse a nessuna conclusione se non quella di creare artificialmente un doppio mercato dell'oro: quello libero per le transazioni tra privati e quello ufficiale con la quotazione fissa di 35 dollari/oncia, in seguito modificato con aggiustamenti a sfavore del dollaro.

All'inizio degli anni '70 il capitale statunitense si trova quindi nella convenienza e nella necessità di investire a ritmo serrato nelle economie trainanti, prima fra tutte in quella tedesca; la situazione arriva ad un punto tale che la Germania chiude il mercato dei cambi rifiutandosi di accettare dollari in cambio dei marchi richiesti. Germania, Olanda, Belgio e Svizzera ottengono quindi una rivalutazione delle proprie monete nei confronti del dollaro.

Il 15/8/71 il governo USA decide con un'azione di forza di adottare misure protezionistiche per difendere la propria economia (tariffa doganale del 10%), in aperta violazione degli accordi GATT, e di sospendere la conversione del dollaro in oro, cosa che, anche se era già da tempo una realtà di fatto, nel momento in cui veniva ufficialmente dichiarata si poneva in aperta violazione degli accordi di Bretton Woods sancendo la fine di un periodo storico.

Nel dicembre dello stesso anno gli USA riescono a salvare il salvabile degli accordi di Bretton Woods: concedono una svalutazione del dollaro e un riallineamento dei cambi e, una volta ottenuto il mantenimento del FMI ritirano pure le tariffe doganali (5).

Il dollaro rimane la moneta centrale degli scambi internazionali anche se sganciato di fatto da qualsiasi convertibilità con l'oro: si parla di dollar standard e non più di gold exchange standard.

Con soli quattro mesi di bufera nel Sistema Monetario Internazionale gli USA hanno ottenuto una mozione di fiducia, a questo punto incondizionata, sulla loro moneta.

La crisi del '73, due anni più tardi, non fa che accelerare questo passaggio al dollar standard.

In ogni caso, se il dollaro continua ad essere la prima moneta di scambio, il marco tedesco e lo yen giapponese diventano anch'essi unità di misura nel mercato internazionale e moneta-riserva.

Nel 1972 i paesi della CEE cominciano ad elaborare una proposta di "Serpente Monetario Europeo" nel tentativo di creare una zona di stabilità monetaria in Europa e di difendere le proprie economie dalla debolezza del dollaro e in generale dalle contraddizioni del Sistema Monetario Internazionale (6).

La proposta viene riformulata diverse volte con fortune alterne, fino a giungere nel '79 alla nascita dello SME (Sistema Monetario Europeo).

E' stata così fissata, per ogni moneta, un rapporto di cambio con la moneta ideale europea, l'European Currency Unit (ECU) o scudo europeo.Questa moneta europea è quindi, per adesso, solo un rapporto di cambio, una moneta non coniata.

Sui mercati dei cambi il valore di ogni moneta può oscillare entro limiti prestabiliti, per la lira nel '86 la parità è di 1496,21 lire per 1 Ecu.

Se una moneta va oltre i limiti di cambio consentiti le autorità monetarie del paese si impegnano ad intervenire per far rientrare il corso del cambio nei limiti prefissati. Qualora non ne fosse in grado esso deve rivalutare o svalutare la propria moneta in accordo con gli altri paesi membri.

Scopo dello SME è quindi quello di garantire la massima stabilità monetaria possibile nell'area europea per permettere lo sviluppo della attività produttiva e degli scambi internazionali, ma rappresenta anche senza dubbio un salto nella responsabilizzazione del capitale multinazionale europeo nei confronti di un sistema economico globale che non può essere più retto esclusivamente dal capitale USA.

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NOTE a Sistema Monetario Internazionale

1) E' da ricordare, tra le esigenze politiche che spinsero i paesi capitalisti ad accettare la proposta USA, il fatto che uno dei maggiori produttori di oro a livello mondiale è l'URSS e che quindi mantenendo l'oro come unità di misura, moneta, negli scambi internazionali ci si sarebbe trovati nel paradosso di un controllo sovietico sugli scambi tra paesi capitalisti.

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2) Tra il 1964 e il 1974 la composizione delle riserve ufficiali dei paesi aderenti al FMI vede l'oro diminuire da 40 a 35 miliardi di dollari, il dollaro aumentare da 20 a oltre 100 miliardi e le altra valute "forti" aumentare da 5 a oltre 20 miliardi

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3) Accordi di Basilea del 1961 e del 1962 tra USA, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda e Svizzera, decaduti poi nel marzo del 1968.

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4) Dollaro Usa, Marco Tedesco, Sterlina Inglese, Franco Francese, Yen Giapponese, Dollaro Canadese, Lira Italiana, Fiorino Olandese, Franco Belga, Corona Svedese, Dollaro Australiano, Corona Danese, Corona Norvegese, Peseta Spagnola, Scellino Austriaco, Rand Sudafricano.

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5) Accordo Smithsoniano, dal nome dell'istituto di Washington dove fu tenuta la conferenza.

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6) CEE: Comunità Economica Europea, accordo stipulato il 25 marzo '57 a Roma, frutto di precedenti trattati (CECA), ha dato vita anche alla CEEA o Euratom (Comunità Europea dell'Energia Atomica), alla ESA (Agenzia Spaziale Europea). Ha come scopi l'abolizione dei dazi doganali e dei contingenti all'esportazione tra i paesi membri; l'adozione di un'unica tariffa doganale per gli scambi con i paesi non aderenti; l'attuazione di una politica economica comune; l'uniformazione delle legislazioni degli stati membri; la liberalizzazione nella circolazione tra gli stati aderenti delle persone, dei capitali e dei servizi.
La CEE si configura come persona giuridica di diritto internazionale; i suoi organismi sono: la Commissione (esecutivo), il Parlamento, il Consiglio dei Ministri, la Corte di Giustizia. La CEE con circa 320 milioni di abitanti ed un economia fortemente industrializzata rappresenta la prima potenza commerciale del mondo dal punto di vista della dimensione del mercato e della capacità di produzione.
Nel 1992 con l'apertura delle frontiere si costituirà ancora più palesemente questa unicità di mercato con ripercussioni su tutti gli aspetti della vita civile ed istituzionale (unificazione di alcuni contingenti delle Forze Armate francesi e tedeschi, adozione delle patente europea, Spazio Giuridico Europeo ecc...).

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FMI E "PAESI IN VIA DI SVILUPPO"

Se gli intenti dichiarati delle politiche di organismi come il FMI o la Banca Mondiale dovrebbero essere quelli di favorire lo sviluppo dei paesi del Sud, in realtà questo sistema contempla un solo possibile sviluppo e cioè quello capitalistico a livello globale e non certo quello del singolo paese sottosviluppato; le teorie dello sviluppo che supportano questo tipo di politiche si riducono alla falsità grossolana secondo cui lo sviluppo economico è un qualcosa di totalmente astorico che si può determinare oggi nei paesi sottosviluppati e in un mondo dominato dal capitale multinazionale alla stessa maniera in cui si è determinato nel corso di secoli in quelli che oggi sono i paesi capitalisti ed imperialisti

Nello specifico del secondo dopoguerra funzione precisa di questi organismi è stata quella di centralizzare i flussi finanziari a livello globale per difendere rigidamente una divisione internazionale del lavoro in cui da una parte si rafforzava la base industriale dei paesi sviluppati e dall'altra si relegavano i paesi in via di sviluppo (da qui PVS) al ruolo di produttori di materie prime. Una funzione quindi di consiglio d'affari del capitale collettivo globale in grado di controllare eventuali interessi dei capitali singoli che andassero in direzioni diverse fondando la propria autorità sul rischio concreto del ritorno ad una situazione di caos finanziario ed economico come quella che si era venuta a determinare tra le due guerre (vedi scheda precedente).

All'interno dei PVS si determinarono quindi due tipi di sviluppo differente.

Uno che potremmo definire di sviluppo autonomo, che corrispondeva politicamente all'area del Non Allineamento e che si basava sulla creazione di industrie manufatturiere locali che servissero il mercato interno o comunque mercati regionali di PVS (il primo è il caso dell'India, il secondo è quello del Sistema Economico Latino Americano, del Mercato Comune Centro Americano, dell'Associazione delle Nazioni del Sud Est asiatico, della Comunità dell'Africa Orientale, del Patto Andino etc.).

Un altro che possiamo definire di sviluppo dipendente che è quello di paesi come Hong Kong, Singapore, Malaysia, Taiwan, Filippine e, in tempi successivi, Indonesia, Thailandia, Brasile, Argentina e Cile; paesi in cui, perché ex-colonie o perché erano stati attraversati da tentativi rivoluzionari, la borghesia locale abbandona qualsiasi riserva nazionale, apre incondizionatamente il mercato ai capitali stranieri, si sottomette totalmente alle direttive del FMI e accetta uno sviluppo industriale per l'esportazione, uno sviluppo quindi determinato altrove per quantità e qualità della produzione, uno sviluppo centrato sulle filiali locali dei grandi complessi multinazionali e basato su uno sfruttamento bestiale della forza lavoro: questi paesi sono i primi a divenire Periferia della Metropoli Imperialista e ad essi, dalla divisione internazionale del lavoro, è assegnato il ruolo di produttori manifatturieri, e non solo di materie prime, solamente a condizione del basso costo della forza lavoro e solamente di quelle produzioni che sono state rese economicamente non convenienti nell'Occidente a causa del conflitto di classe degli anni '60 e '70.

Chiaramente i flussi di finanziamento anche privato verso i PVS si sono indirizzati a questo punto per la stragrande maggioranza verso i paesi a sviluppo dipendente: questi ultimi, infatti, oltre ad essere politicamente affidabili vengono considerati anche economicamente sicuri dal momento che il primo indice a cui si guarda in questa valutazione è quello del rapporto tra importazioni ed esportazioni (che significa possibilità per le Banche di rientrare in possesso dei loro crediti operando sui pagamenti delle esportazioni del paese debitore).

Il FMI, quindi, non solo lascia (al contrario che nell'immediato dopoguerra) maggiori margini di discrezionalità al flussi di credito di istituzioni finanziarie private verso i PVS, ma anche appoggia ed incentiva questi flussi ponendo come condizione politica dei propri finanziamenti l'abolizione di qualsiasi ostacolo a questi da parte del paese debitore: una quantità enorme di capitale si sposta dai paesi del Centro verso quelli della Periferia: l'area del Non Allineamento si disintegra sotto questa spinta e il totale cedimento alle imposizioni dell'economia capitalistica da parte dell'Egitto di Sadat o della Cina di Hua Kuo Feng (1) non sono che i due esempi più eclatanti di questa disintegrazione.

Ma al di là della volontà politica di imporre questa divisione internazionale del lavoro e di distruggere ogni tentativo di sviluppo autonomo, sono gli stessi meccanismi concreti indotti dai finanziamenti (che qualcuno chiama anche aiuti) e i loro effetti distruttivi nei confronti dell'economia dei PVS a mettere comunque questi paesi e questi popoli nelle mani del capitale multinazionale.

Quando i prestiti non sono semplicemente una tangente pagata dall'imperialismo alla cricca dominante del paese debitore (vedi ad esempio i tesori accumulati da Somoza o dallo Scià), il risultato primo del finanziamento è quello di sostituire le riserve della Banche Centrali dei PVS con valuta dei paesi imperialisti il cui potere d'acquisto è legato alla salute dell'economia del paese creditore e le cui fluttuazioni hanno effetti diametralmente opposti nel paese creditore ed in quello debitore: per esempio una caduta del cambio del dollaro nei confronti del marco o dello yen negli USA stessi è ripagata da una maggior concorrenzialità dei propri prodotti sul mercato, ma nei paesi debitori degli USA ha come unico effetto quello di svuotarne le casse.

I prestiti e gli "aiuti", in una situazione di crisi economica globale, sono una forma di finanziamento dei paesi capitalisti a danno di quelli sottosviluppati.

I programmi economici concordati tra il paese che accede al credito e le autorità monetarie (FMI, Banca Mondiale...) sono semplicemente lo studio dei possibili itinerari di penetrazione del capitale imperialista nel paese debitore, cosa che nulla ha a che vedere con il reale sviluppo di un paese.

Pochi finanziamenti sul totale riguardano lo sviluppo dell'agricoltura, ma quei pochi bastano a produrre un effetto devastante: la vendita sottocosto di trattori e macchinari agricoli arricchisce grandi e medi proprietari terrieri che hanno il denaro liquido necessario ad acquistarli, costringe la grande massa dei contadini poveri e dei braccianti divenuti inutili ad abbandonare i campi e ad emigrare verso le città; ciò significa non solo l'annullamento delle conquiste ottenute dai movimenti contadini, ma anche l'aumento verticale della disoccupazione, la crescita incontrollata di enormi bidonvilles (2), l'affamamento della popolazione: i proprietari terrieri tendono, infatti, a produrre monoculture pregiate per l'esportazione per raccogliere valuta dei paesi capitalisti e ripagare i macchinari, quindi molti paesi prima autosufficienti sono costretti, dopo lo sviluppo agricolo, ad importare derrate alimentari come ad esempio è successo nelle Filippine (3).

I progetti di finanziamento per lo sviluppo industriale, in questo contesto, non risolvono il problema della disoccupazione: si tratta o di industria pesante, di produzione di mezzi di produzione, o, più recentemente, di industria che produce beni di consumo su macchinari dimessi dalle imprese occidentali: in entrambi i casi produzioni ad alta intensità di capitale fisso relativamente a quello che è il grado di sviluppo reale dei PVS e che quindi non sono in grado di assorbire la disoccupazione.

A questo punto il paese è pronto per la penetrazione da parte delle multinazionali: l'ulteriore proposta dei funzionari del FMI per frenare la disoccupazione è quella di instaurare politiche di ulteriore contenimento del costo della forza lavoro per favorire l'investimento diretto del capitale multinazionale dei paesi industrializzati!

Attualmente per quanto riguarda l'uso dei crediti del FMI, i PVS che ne hanno richiesti di più (in termini di percentuale sulla propria "quota" nel Conto Generale del FMI) sono stati, fino al 1979, Nicaragua, Filippine, Giamaica, Sri Lanka, Sudan, Cile e Perù e, dopo questa data, Thailandia, Turchia, Jugoslavia, numerosi stati africani, Brasile e Messico (fino al 1983): tutti paesi ad alta conflittualità e tutti posti di fronte all'alternativa tra sbocco rivoluzionario e propria trasformazione da PVS a Periferia Imperialistica; chiaramente infatti per la borghesia di questi paesi ottenere credito da parte del FMI e accettare i piani di sviluppo da esso proposti è una specie di credenziale da giocare in termini di credibilità nel mondo capitalistico.

Esemplare il caso della Turchia a cui il FMI ha posto condizioni talmente pesanti per accedere al credito che il governo turco le ha tenute segrete.

In questa nuova fase dello sviluppo imperialista, dunque il FMI, da centralizzatore che era dei flussi finanziari verso i PVS e da promotore dello sviluppo ineguale diviene sempre più esplicitamente poliziotto del sistema finanziario globale e agente della trasformazione dei PVS in Periferia.

L'intervento del FMI si articola in diversi gradi di ingerenza nell'economia di un paese (dall'intervento hard come nel caso dello Zaire, a quello più soft come nel caso della Yugoslavia).

Schematicamente possiamo distinguere tre gradi di ingerenza:

1) Subordinazione: controllo diretto del FMI nelle posizioni chiave dell'apparato statale; è il caso appunto dello Zaire dove funzionari del Fondo controllano la Banca Centrale, il Ministero delle Finanze, quello del Commercio estero e la Agenzia per la pianificazione.

2) Convergenza (o meglio accordo di subordinazione): esistono gruppi economici e politici all'interno del paese debitore che fanno proprie le proposte del FMI o ne adattano la prospettiva alla situazione concreta: è il caso del Messico, del Brasile, della Tanzania, del Kenya.

3) Negoziazione e resistenza: il FMI negozia con il paese da finanziare, ma la proposta è rifiutata o significativamente modificata direttamente dal governo o in seguito a protesta popolare; l'esempio storico delle conseguenze è il Cile di Allende, più recente (1985) quello della Bolivia di Paz Estensoro in cui in risposta alla reintroduzione del programma di austerità voluto dal FMI è stato proclamato lo sciopero generale e... una giunta militare ha preso il posto del governo, di destra, ma incapace di controllare la situazione.

Ma la percentuale più pesante di indebitamento dei PVS (oltre il 70%) non è più oggi quella legata ai finanziamenti del FMI e della Banca Mondiale ma quella per crediti contratti direttamente con il capitale finanziario (sia privato, sia degli stessi stati industrializzati) e in particolare per crediti al fornitore che sono poi prestiti ottenuti da una banca occidentale per pagare l'acquisto di beni o di servizi ottenuti da un paese o da un'impresa occidentale (4).

In questo quadro l'impossibilità a saldare i debiti si traduce nella necessità di contrarne di ulteriori per pagarne almeno gli interessi: già all'inizio degli anni '70 il 75% dei nuovi prestiti erano concessi per pagare gli interessi di quelli precedenti.

Nel 1985 i ministri degli affari esteri e dell'economia di dieci paesi dell'America Latina (5) complessivamente indebitati per 368 miliardi di dollari e impegnati a pagare 30 miliardi di interessi annui (pari mediamente al 30% del valore delle esportazioni) chiedono di risolvere questa situazione senza sbocco con una soluzione politica.

La proposta parte dal governo cubano ed è quella di una moratoria generale dei debiti, è ripresa dal Perù che annuncia di non voler pagare come interessi più del 10% dell'introito annuo delle esportazioni, contro il 60% allora necessario e poi via via dagli altri stati dell'America Latina.

Il FMI risponde con il "piano Baker" (ministro del tesoro USA): nessuna deroga dalle leggi economiche, ma semplicemente la disponibilità da parte delle maggiori banche private a concedere ulteriori finanziamenti ai 15 paesi più indebitati per un ammontare di 20 miliardi di dollari da restituirsi in tre anni!

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NOTE a FMI e "Paesi in via di sviluppo"

1) il piano delle "quattro modernizzazioni" (1979-1989) prevedeva un credito di 90 miliardi di dollari da parte dei paesi capitalisti, i primi a rispondere positivamente furono Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Giappone.

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2) La crescita urbana nei paesi del Sud è il doppio di quella dovuta alla sola natalità: in 20 anni (dal 1950 al 1970) Lagos è aumentata da 250.000 a 1.500.000 abitanti, Seoul da 2.500.000 a 5 milioni, Banghok da 1 a 3 milioni, Bogotà da 650.000 a 2.500.000.

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3) Oppure possono scatenarsi meccanismi perversi come quello del "riso miracoloso": mentre milioni di persone morivano per fame in Asia, a causa delle esportazioni delle eccedenze di riso dagli USA andò in crisi l'economia dei paesi locali tradizionalmente esportatori di riso come la Thailandia e la Birmania (tra il '69 e il '71 il prezzo del riso passò da 155 a 92 dollari a tonnellata), paesi tradizionalmente importatori come l'India e il Giappone si trovarono con eccedenze di riso e convertirono le coltivazioni a foraggio, e gli USA vendettero tutte le loro eccedenze ad un prezzo concorrenziale, ma che comunque era sempre troppo alto per le masse di contadini disoccupati e affamati.

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4) Stime della Banca Mondiale affermano che circa la metà dei crediti nei confronti dei PVS è detenuta nei portafogli di sole 30 banche occidentali, americane, ma anche inglesi, svizzere, tedesche e giapponesi. Banche i cui consigli di amministrazione sono sempre più politicizzati: H. Kissinger, per esempio, lasciata l'amministrazione USA ha assunto la carica di vice presidente di una di queste.

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5) Il "Gruppo di Cartagena" che riunisce i seguenti paesi elencati in ordine alla grandezza del loro debito espresso in milioni di dollari: Brasile (101.930), Messico (97.700), Argentina (50.000), Venezuela (30.300), Cile (19.580), Perù (13.750), Colombia (13.350), Ecuador (7.300), Uruguay (4.900), Bolivia (3.190) e Repubblica Dominicana (2.760)

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