QUADERNI DI CONTROINFORMAZIONE N.13 - FEBBRAIO 1995

DUE INTERVENTI CONTRO IL G7

Due interventi che analizzano la politica del G7 e i suoi effetti sullo scontro di classe a livello mondiale. Il primo, del Collettivo antimperialista napoletano, sviluppa il dibattito nato dalla mobilitazione contro il vertice del G7 di Napoli (luglio 1994).
Il secondo è stato presentato al Controvertice che si è svolto ad Halifax (Canada) in concomitatanza con il Vertice del G7 del giugno 1995

CYBERFINANCE, G7 E LOTTA RIVOLUZIONARIA

A giugno si terrà ad Halifax, in Canada, la sessione del G7 a livello di Capi di Stato e di governo.

Quando nel luglio '94 ci impegnammo, assieme a tanti altri compagni, nella mobilitazione contro il Summit che si tenne qui a Napoli, noi sottolineammo che "il G7 si tiene da vent'anni ogni anno!"... Nel senso che non ci si può confrontare con il G7 solo quando ci militarizzano mezza città riempiendo il nostro piccolo spazio comunicativo.

Bisogna invece collocare correttamente l'esistenza del G7 nell'insieme dei riferimenti che accompagnano ogni giorno la nostra iniziativa politica.

Per noi analizzare l'esistenza del G7 significa semplicemente "analisi concreta di una situazione concreta".

La situazione concreta è questa: nel 1973 si tenne alla Casa Bianca una riunione dei ministri finanziari dei 5 principali paesi occidentali per analizzare insieme le questioni monetarie sorte a seguito del crollo del sistema di Bretton Woods e dello scoppio della prima crisi petrolifera, per coordinare le iniziative comuni necessarie.

Con questa decisione si ufficializzava la necessità di una "sede" che fosse allo stesso tempo: internazionale, perché le questioni in ballo non riuscivano ad affrontarle come singoli stati; informale, per garantirsi lo spazio di manovra che i trattati e gli equilibri che regolano le altre sedi internazionali non consentivano; pubblica, per dare carattere politico alla sue esistenza e quindi peso e legittimazione.

In sostanza offrire un punto di riferimento generale per fronteggiare le grandi contraddizioni e trasformazioni innescate dalla crisi nelle economie occidentali e via via in tutto il pianeta.

Infatti la responsabilità di queste riunioni fu immediatamente portata a livello di capi di stato e di governo e così dal '75 il Vertice divenne ufficiale e rituale. Da allora, progressivamente, nell'evolvere della crisi, la riunione è diventata il "G7". Anzi, sarebbe più corretto dire il "Sistema del G7", perché nel corso degli anni si è ampliato il tipo e il numero delle riunioni, non più solo le questioni monetarie come oggetto, e si sono inoltre articolate nuove modalità di intervento.

La "fase di preparazione" e il "processo decisionale" sono di fatto venute sempre più a coincidere, trasformando il G7 in un coordinamento stabile e strutturato di organi di governo.

L'insieme di funzioni organizzative e politiche svolte inizialmente solo dai cosiddetti "Sherpa" (funzionari di alto rango tipo Tietmayer o Ruggiero) sono diventate appannaggio anche dei vice-sherpa che coordinano gruppi di lavoro specifici; sherpa e vice garantiscono anche il rapporto continuativo "istituzionale" con le varie organizzazioni internazionali (FMI, OCSE, ecc.).

La progressiva istituzionalizzazione del G7 dei ministri finanziari, arrivata a compimento nell'81 al vertice di Londra, ha aperto la strada ai cosiddetti "G7 settoriali", realizzando un rapporto tra settoriale e complessivo sul tipo di quello stabilito nell'Unione Europea tra Consiglio dei Capi di Stato (semestrale) e Consiglio dei Ministri.

Così il G7 finanziario si riunisce almeno 4 volte l'anno con partecipazione di governatori delle Banche Centrali e si articola in sottoriunioni frequentissime a livello di vice-ministri e poi di direttori generali.

Molto frequenti sono le riunioni del gruppo sul commercio internazionale, chiamato il "Quadrilateral", perché vi partecipano i ministri competenti di USA (che ha sempre la presidenza), Canada, Giappone e il Commissario CE responsabile del commercio.

Negli anni '90 sono stati istituiti i G7 dei ministri del lavoro e dell'industria. Ed anche un gruppo di lavoro dei Direttori politici dei Ministeri Esteri ora si riunisce spesso per verificare l'applicazione delle indicazioni o decisioni che scaturiscono dal G7 complessivo.

Riguardo al "potere decisionale" del G7 ci sembra utile evidenziare che in questa sede sono state decise diverse importanti iniziative quali, ad esempio: l'aver affidato alla Commissione CEE la direzione politica dell'insieme degli investimenti verso l'Est, così pure la creazione della Banca per la Ricostruzione e lo Sviluppo dell'Est (BERS) che centralizza le disponibilità finanziarie a tal fine; la spinta finale all'edificazione del WTO, l'organizzazione che deve sovraintendere al commercio mondiale; la ridefinizione del ruolo e della struttura dei grandi organismi internazionali "multilaterali" (tipo FMI, BM, OCSF), ma anche di quelli più ristretti come l'Unione Europea.

E sicuramente a nessuno sarà sfuggito che è in sede di G7, a febbraio, che è stato imposto dagli USA il cosiddetto "salvataggio del Mexico", cioè l'attacco alla lotta di liberazione zapatista e l'assunzione da parte del sistema internazionale dell'onere di sostenere il ruolo del territorio economico e sociale messicano del NAFTA.

E poi ha parzialmente cooptato la Russia, ha definito più volte i termini della rifondazione della NATO.

E molte altre iniziative importanti, come vedremo, sono state prese in questi ultimi due anni.

Sono questi gli anni in cui il "Sistema G7" ha disvelato tutta la sua complessità e si è quindi aperto un conflitto tra gli stati, i potentati produttivi e finanziari, tra le forze emergenti, sul cosiddetto "ruolo istituzionale" del G7.

E' difficile oggi non accorgersi che il sistema del G7 è diventato una espressione stabile del potere imperialista, che non "sostituisce" gli stati (che infatti esistono ancora tutti...) ma si integra ad essi, ricomponendoli in una stratificazione gerarchica ad un livello di complessità superiore e più stringente, perché basata sui vincoli reciproci dell'interdipendenza.

Dire che i Vertici sono solo un'inutile tentativo della borghesia di arginare le sue irrisolvibili contraddizioni e bla-bla-bla... e come dire che l'acqua è bagnata! Le contraddizioni della borghesia sono strategicamente irrisolvibile, certo, ma questo bel concetto non impedisce certo alla borghesia di trovare mille piccole e grandi soluzioni per scaricare sul proletariato il peso di queste contraddizioni. Di governare, appunto. Di governare a tutti i livelli e in tutte le forme che la difesa degli interessi capitalistici richiede.

Il G7, la UE, gli stati, sono facce della stessa medaglia: le forme politiche espressione dell'imperialismo moderno. Perché l'imperialismo è prima di tutto un rapporto economico, che esprime le corrispondenti forme politiche.

Questa interconnessione dinamica tra economia e politica è facilmente inquadrabile se si guarda alla funzione concreta del G7 rispetto alle grandi contraddizioni attorno a cui ruota l'evoluzione della crisi, i complessi scontri di interessi e di poteri che da esse scaturiscono.

Ci riferiamo alle contraddizioni tra capitale finanziario e produttivo, a quella tra capitale e lavoro, a quella tra capitale informatico e gli altri capitali.

Il mondo capitalista soffre da tempo di uno scollamento tra creazione monetaria mondiale e dinamica della crescita reale.

Vi è un eccesso della prima sulla seconda sia sui mercati nazionali che internazionali. L'ambiente altamente speculativo creato da questo eccesso di creazione monetaria rispetto alla domanda di investimenti o all'offerta di beni, genera continue crisi finanziarie.

A partire dal febbraio '94 a Francoforte il G7 finanziario continua a lavorare ufficialmente attorno alla "necessità di opporre all'anarchia dei mercati una politica unitaria fra Europa - Giappone - Usa". Che significa? Significa che in passato la "politica di concertazione finanziaria" del G7 si proponeva di "governare l'interdipendenza", faceva cioè da camera di compensazione delle contraddizioni che nascevano tra gli stati forti, in quanto le politiche finanziarie di uno stato ormai si riflettono immediatamente sugli altri.

Dalla fine degli anni '80, precisamente dal Grande Crack della Borsa di New York, la progressiva globalizzazione dei mercati ha fatto nascere una nuova contraddizione. Le grandi masse di capitali, potendo agire in tutto il mondo lungo tutto l'arco delle 24 ore, grazie al "mercato telematico", creano condizioni di profitto sempre nuove incuneandosi nelle contraddizioni dell'interdipendenza (squilibri nei cambi, nei tassi ecc.). Le barriere legislative ed economiche sono polverizzate, si verificano crolli finanziari verticali che si riflettono immediatamente su tutto il sistema.

Dall'uscita della lira e della sterlina fino alla crisi messicana è un susseguirsi sempre più crescente di "crisi finanziarie" generate dalla "anarchia dei mercati". Il guaio è che le crisi non rimangono localizzate. Diventano una questione di interesse generale, principalmente per la grande borghesia che agisce su scala sovranazionale.

E' così che il G7 che si tiene a Washington in occasione della Sessione primaverile di aprile '94 del FMI, nel comunicato finale si dice che l'esplosione della cyberfinance (la speculazione finanziaria telematica) è un problema affrontabile solo a livello di G7.

Nel febbraio '95 al G7 finanziario di Halifax questo lavoro si concretizza, dopo aver ricevuto l'imprimatur del G7 complessivo di Napoli, nelle decisioni prese rispetto alla crisi messicana e alle nuove funzioni del FMI. L'onere economico per rimediare al crack messicano viene suddiviso: 40% agli USA e 60% al Fondo Monetario e alla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), dopo un duro scontro con i paesi europei che sostenevano una percentuale maggiore per gli USA cui interessa il NAFTA. Venne però decisa in questa suddivisione anche la "sottomissione" del FMI al G7 e contemporaneamente un rafforzamento della sua funzione di sorveglianza verso i paesi "forti" per disciplinare le politiche di riduzione del deficit.

Il fatto che il rapporto debito pubblico/prodotto interno continui ad aumentare in tutti i paesi del G7 è la spia più importante della vulnerabilità degli stati nazionali rispetto alla speculazione finanziaria.

In sintesi il G7 deve diventare il detentore di una politica finanziaria globale, che regoli (il problema di "eliminarla" neanche se lo pongono) la concorrenza nel mercato finanziario globale evitando gli effetti distruttivi.

Nel marzo '94 si tiene a Detroit il primo G7 sulla "disoccupazione" (chiamato "Conferenza sul lavoro").

Nell'insieme dell'area OCSE si contano tra i 34 e i 35 milioni di disoccupati.

Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, a livello mondiale sono circa 700 milioni. In quantità sono gli stessi livelli della crisi del '30. Un preciso indicatore del perdurare della crisi di sovrapproduzione aperta negli anni '70 nel mondo capitalista.

Nel suo intervento inaugurale Clinton disse: "Un'economia globale sta prendendo forma e non c'è alcun posto per nascondersi... I vecchi posti di lavoro non torneranno. Quel lavoro sarà fatto da una macchina qui negli Stati Uniti oppure da qualcun altro in un paese diverso. I cambiamenti tecnologici sono inevitabili, l'aumento della produttività è la chiave di tutto".

Maggiore produttività, disoccupazione, impoverimento sociale sono tutt'uno.

In Europa negli ultimi due decenni il costo del lavoro è aumentato della metà rispetto alla produttività, negli USA è rimasto fermo!

In tutto il mondo dal decennio '80 i redditi del proletariato e delle classi medie sono diminuiti fino al 10%, mentre i redditi dei più ricchi sono raddoppiati.

"La ristrutturazione capitalistica in corso, resa necessaria dalla mondializzazione dei mercati e dall'intensificazione della concorrenza, comporta una pressione sul costo del lavoro e sulla protezione sociale, con un aumento della diseguaglianza: o in termini di lavoro precario o di non lavoro" (G.R.)

La disoccupazione è sempre più un dato strutturale e se la borghesia lo affronta a livello di G7 non è certo per risolverlo. Ma è comunque un focolaio di contraddizioni che travalicano i confini nazionali.

Le politiche di controllo del mercato del lavoro influiscono sulla concorrenza e quindi devono essere concordate quanto quelle funzionali all'aumento della produttività industriale.

I lavori di Detroit si basano sulle indicazioni contenute in un rapporto OCSE che aveva ricevuto mandato dal G7 di "proporre soluzioni specifiche adattate ai singoli paesi".

E, infine, è nel G7 di Napoli che viene stabilito che le politiche sul lavoro dei singoli stati verranno concordate stabilmente e che di concerto con gli organismi internazionali il G7 stabilirà i principi generali a cui tutti si devono conformare.

A febbraio a Bruxelles si è tenuta una riunione ministeriale del G7 dedicata alle "autostrade dell'informazione". La decisione di convocare questo vertice era stata presa in quello di Napoli.

La riunione è cominciata con una tavola rotonda dei 45 principali gruppi industriali del mercato mondiale dell'informatica. In sostanza il grande capitale e i principali stati imperialisti si sono incontrati faccia a faccia per decidere lo sviluppo del "mercato mondiale dell'informatica". Un "mercato" che nella fusione tra informatica - comunicazione di massa - telematica sta assumendo contorni sempre più giganteschi, generando fenomeni che mettono in discussione parti importanti della struttura economica e politica della società capitalistica.

Sono molteplici le contraddizioni sul piano sociale e politico che l'espansione di questo capitale sta generando nei diversi paesi, basti pensare alle privatizzazioni delle telecomunicazioni o al predominio culturale degli USA.

Ma il nodo centrale per cui il G7 si occupa di informatica è prima di tutto economico.

La concentrazione capitalistica in questo settore è velocissima, su scala mondiale ed assorbe enormi capitali finanziari. La concorrenza è intensissima e avviene in forme e spazi globali. A fronte di ciò non c'è una controparte politica che garantisca stabilmente l'afflusso di capitali (magari a scapito di altri settori industriali) e in quantità tali che nessun singolo stato può mobilitare. Se non, in parte, uno Stato "continentale" come gli USA. O come la Comunità Europea, e infatti il libro bianco di Delors e la recente commissione Bangemann (cui partecipavano De Benedetti e altri industriali europei) vanno in questa direzione. Ma in ogni caso il campo di intervento di questo capitale è immediatamente mondiale e l'infrastruttura per far circolare le "nuove merci" deve essere mondiale.

Il "mercato informatico" dell'America Latina è destinato a raddoppiare il giro di affari tra il '93 e il '98. stesso discorso per l'area asiatica e anche per alcune aree del continente africano.

Per questo lo scontro di concorrenza tra capitali di Europa, USA e Giappone in questo settore è immediatamente mondiale.

L'importanza del vertice di Bruxelles non risiede certo negli "otto principi comuni" e "undici progetti pilota internazionali" che secondo la dichiarazione finale devono cominciare a guidare e sperimentare il passaggio alla "Information Society", ma nell'aver stabilito un punto di sintesi politica a fronte dei fenomeni nuovi nati dall'espansione di questo capitale.

Per finire. Capire perché oggi esiste il G7 e venti anni fa no, significa misurarsi con una visione di insieme, complessiva, delle contraddizioni, dei conflitti e delle trasformazioni del sistema capitalistico.

Senza questa visione d'insieme la politica rivoluzionaria, in sostanza, si mantiene ai margini delle contraddizioni principali, nascosta nei particolarismi e negli ideologismi, incapace di dialogare costruttivamente con i popoli che lottano contro l'imperialismo.

E' inutile inneggiare ai combattenti zapatisti se non i capisce che il sistema internazionale contro cui essi si scontrano ha qui i suoi cuori pulsanti.

In Europa in particolare la sinistra antagonista ha di fronte (a meno che non ci si volti da un'altra parte) il più sviluppato e aggressivo processo di integrazione sovranazionale: l'Unione Europea.

Aprile 1995

Collettivo Antimperialista Napoletano

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LA POLITICA DEL G7 CREA POVERTÀ GLOBALE

di Michel Chossudovsky
Professore di Economia, Università di Ottawa

La prima parte di questo testo consiste in una panoramica della crisi economica globale, incentrata sui problemi del debito e della macroriforma economica. La seconda parte consiste in un esame critico del Comunicato del Vertice del G7 ad Halifax.

LA GLOBALIZZAZIONE DELLA POVERTA'

All'alba del ventunesimo secolo, l'economia globale è ad un bivio pericoloso. Nel mondo in via di sviluppo il processo di ristrutturazione economica ha condotto alla carestia e all'impoverimento brutale di vasti settori di popolazione; allo stesso tempo questo processo offre ai paesi dell'ex Blocco Orientale la sola prospettiva della "terzomondizzazione".

Dai primi anni '80, i programmi di "stabilizzazione macro-economica" e di "aggiustamento strutturale", imposti dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ai Paesi in via di sviluppo (come condizioni per la rinegoziazione del loro debito estero), hanno condotto all'impoverimento di centinaia di milioni di persone. In contraddizione con lo spirito degli accordi di Bretton Woods, incentrati su "ricostruzione economica" e maggiore stabilità dei cambi, i programmi di aggiustamento strutturale hanno in buona parte contribuito alla destabilizzazione delle valute nazionali e alla rovina delle economie dei paesi in via di sviluppo.

DEBITO GLOBALE

Nel mondo in via di sviluppo il debito estero ha raggiunto i 1.900 miliardi di dollari: in conseguenza del crollo delle valute nazionali paesi interi sono stati destabilizzati, spesso con il risultato dello scoppio di conflitti sociali, conflitti etnici e guerre civili...

Sempre più la ristrutturazione dell'economia mondiale sotto la guida delle istituzioni finanziarie internazionali di Washington, nega ai Paesi in via di sviluppo la possibilità di edificare una propria economia nazionale: l'internazionalizzazione delle politiche macro-economiche trasforma i paesi in "mercati di penetrazione" e le economie nazionali in "riserve" di lavoro a buon mercato e di materie prime. Questa ristrutturazione indebolisce gli Stati, mina le basi dell'industria per il mercato interno, spinge al fallimento le imprese nazionali.

Inoltre, queste riforme - nel momento in cui vengono applicate simultaneamente in oltre cento Paesi - contribuiscono alla "globalizzazione della povertà", un processo che mina i livelli minimi di sussistenza e distrugge le società civili nel Sud, nell'Est ed nel Nord. Crolla il potere d'acquisto interno, si moltiplicano le carestie, vengono chiusi gli ospedali e le scuole, viene negato il diritto all'istruzione primaria a centinaia di milioni di giovani. In tutte le regioni del Mondo in via di sviluppo le riforme economiche hanno contribuito al ridiffondersi delle malattie infettive: tubercolosi, malaria, colera...

AGGIUSTAMENTO STRUTTURALE NEI PAESI SVILUPPATI

Fin dai primi anni '90, le riforme macro-economiche adottate nei paesi dell'OCSE hanno cominciato ad adottare molti dei principali ingredienti dei "programmi di aggiustamento strutturale" applicati nel Terzo Mondo e nell'Europa Orientale. Queste riforme macro-economiche hanno contribuito all'accumulazione di enormi debiti pubblici.

Fin dai primi anni '80, i debiti privati delle grandi società e delle banche commerciali sono stati azzerati e trasformati in debito pubblico. Questo processo di "conversione del debito" è una delle caratteristiche principali della crisi: durante il boom delle fusioni degli ultimi anni '80, le perdite delle grandi imprese e delle banche sono state trasferite sistematicamente agli Stati grazie all'acquisizione di imprese in bancarotta, che quindi hanno potuto essere smantellate e cancellate in quanto aziende produttrici di deficit statale. Quindi quelli che erano crediti "inesigibili" delle grandi banche commerciali hanno potuto essere trasformati in perdite del Tesoro. Le "azioni di salvataggio" delle grandi società e delle banche in crisi sono basata in buona misura sul medesimo principio di trasferire i debiti delle società alle Tesorerie degli Stati.

Dunque i molti sussidi e sovvenzioni degli Stati alle grandi imprese, invece che stimolare la creazione di nuovo lavoro, sono stati usati normalmente da queste stesse grandi imprese per finanziare le proprie fusioni, per introdurre tecnologie mirate alla riduzione del lavoro e per trasferire la produzione nel Terzo Mondo. Non solo i costi della ristrutturazione delle società sono stati sostenuti dagli Stati, ma la spesa pubblica ha contribuito direttamente alla concentrazione delle proprietà ed alla contrazione della forza lavoro industriale. Inoltre gli infiniti fallimenti di piccole e medie imprese e il licenziamento di lavoratori (che pagano le tasse) hanno contribuito ad una significativa contrazione degli introiti degli Stati.

Nel gruppo dei paesi OCSE, il debito pubblico è aumentato oltre ogni limite (attualmente raggiunge i 13.000 miliardi di dollari). Ironicamente, è proprio il cosiddetto "processo di riduzione del debito globale" che ha contribuito a questo aumento attraverso la creazione sistematica di nuovi debiti. Negli Stati Uniti - che sono di gran lunga la nazione più indebitata - il debito pubblico è aumentato di cinque volte durante l'era Reagan-Bush. E attualmente è dell'ordine di 4.900 miliardi dollari.

Si è creato quindi un circolo vizioso: chi aveva beneficiato delle sovvenzioni statali era divenuto creditore degli Stati: infatti le obbligazioni e i buoni emessi dalle Tesorerie erano stati acquistati dalle banche e dalle istituzioni finanziarie che erano allo stesso tempo destinatarie di sussidi statali. Una situazione assurda: gli Stati hanno finanziato il proprio debito e le sovvenzioni statali sono state utilizzate nell'acquisto di debito pubblico. I Governi sono stati stritolati tra le richieste di sovvenzioni delle grandi lobby monopolistiche e quelle dei loro creditori. E dal momento che una grande porzione del debito pubblico è nei confronti di banche ed istituzioni finanziarie private, queste ultime sono state anche in grado di fare pressioni sui governi e acquisire così ulteriore controllo sulle risorse pubbliche... La crisi del debito ha inoltre portato allo sviluppo di un sistema di tassazione reazionario, che ha contribuito anch'esso all'aumento del debito pubblico. Mentre sono diminuite le tasse alle grandi imprese, i proventi delle nuove tasse sui redditi medio-bassi (inclusa l'Iva) sono stati utilizzati per sostenere il debito pubblico. Gli Stati da una parte raccoglievano tasse dai propri cittadini, dall'altra versavano i propri "tributi" alla grande impresa sotto forma di sovvenzioni e sussidi.

MIGRAZIONE DI CAPITALI

Inoltre, il trasferimento dei profitti sociali nelle banche "offshore" delle Bahamas, della Svizzera, delle Isole del Canale, del Lussemburgo..., reso possibile dalle nuove "tecnologie" bancarie, ha esacerbato ulteriormente la crisi fiscale. Per esempio le isole Cayman, una colonia della Corona britannica nei Caraibi, sono il quinto centro bancario del Mondo per valore dei depositi, la maggior parte dei quali è intestato a prestanomi o a società anonime (le nostre SpA - ndt). L'aumento del deficit del bilancio negli Stati Uniti è direttamente proporzionale alla massiccia evasione fiscale sui profitti delle grandi compagnie e al loro trasferimento all'estero. Inoltre, le enormi ricchezze (controllate in parte da organizzazioni criminali) depositate nelle Isole Cayman e nelle Bahamas sono poi reinvestite negli Stati Uniti.

SOTTO LA TUTELA POLITICA DEI CREDITORI

I debiti delle imprese parastatali e produttrici di servizi sociali (sia livello statale, che regionale, provinciale e comunale) sono attentamente analizzati e classificati dai mercati finanziari (ad esempio dall'indice Moody) e sempre più ci si aspetta che i Ministri delle Finanze si attengano alle indicazioni delle grandi finanziarie e delle banche: ad esempio la stima al ribasso del debito statale della Svezia compiuta da Moody in gennaio, è stata strumentalmente utilizzata per avallare la decisione del governo socialdemocratico di minoranza di quel Paese di tagliare i programmi di assistenza sociale (compresi gli assegni familiari e i sussidi di disoccupazione). Allo stesso modo la stima di Moody del debito pubblico del Canada è stata uno dei principali motivi dell'adozione di tagli massicci dei programmi sociali da parte del Ministro delle Finanze canadese in febbraio. Negli Stati Uniti il controverso "emendamento del bilancio equilibrato" (che è stato bocciato per pochi voti al Senato nel marzo 1995) avrebbe modificato le stessa costituzione degli USA a favore dei diritti dei creditori dello Stato.

CRISI DELLO STATO

In Occidente il sistema democratico è governato con sempre maggiori difficoltà dal momento che chi è stato eletto alle più alte cariche agisce sempre più come un burocrate, mentre i creditori dello Stato sono divenuti i veri depositari del potere politico, pur agendo discretamente sullo sfondo. Di conseguenza si è verificata un'uniformazione dell'ideologia politica: il "consenso" sulle riforme macro-economiche si estende attraverso tutto lo spettro politico. Si è creata una nuova situazione finanziaria a livello globale: l'onda delle fusioni societarie della fine degli anni '80 ha spianato la strada al consolidamento di una nuova generazione di finanzieri raggruppata intorno alle merchant banks*, alle finanziarie, alle società di brookeraggio, alle grandi compagnie di assicurazione ecc. In questo processo le funzioni delle banche commerciali si sono unite a quelle delle banche di investimento e dei mediatori di borsa.

Tanto più questi "manager dei capitali" giocano un ruolo di potere sui mercati finanziari, quanto più perdono, invece, ogni funzione imprenditoriale nell'economia reale. Le loro attività (che eludono le leggi degli Stati) includono transizioni speculative e la manipolazione dei mercati monetari. I maggiori operatori finanziari sono coinvolti abitualmente nel riciclaggio del denaro sporco nei "mercati emergenti" dell'America Latina e dell'Asia del sud-est e nello sviluppo, in molti dei paradisi bancari off-shore, di banche private "specializzate" nel dar consigli ai clienti danarosi. Il turn-over quotidiano delle transizioni in valuta estera è dell'ordine di mille miliardi di dollari al giorno, di cui solo il 15% corrisponde ad un commercio reale o ai passaggi di capitale.

In questa ragnatela globale finanziaria i soldi transitano ad alta velocità da un paradiso bancario all'altro nella forma intangibile di trasferimenti elettronici. Le attività commerciali "legali" e "illegali" si sono attorcigliate in modo crescente, e sono state accumulate enormi ricchezze private e clandestine. Favorite dalla deregulation finanziaria, le mafie criminali hanno espanso il loro ruolo anche nelle sfere bancarie internazionali.

* Merchant banks o "Banche d'affari". Si tratta di istituzioni finanziarie diverse dalle tradizionali banche commerciali. Queste ultime sviluppano principalmente una funzione di intermediazione nel credito: raccolta del risparmio + concessione di crediti. Le merchant banks sono operatori finanziari che svolgono una funzione di "intarmediazione finanziaria" per l'industria ed il commercio: agiscono sul mercato finanziario (come "consulenti" e "gestori") in nome e per conto dei loro "committenti" rastrellando mezzi finanziari in loro favore.

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LE BANCHE CENTRALI SFUGGONO AL CONTROLLO STATALE

Inoltre, le modalità di funzionamento delle banche centrali in molti paesi OCSE sono state modificate per andare incontro alla domanda dei mercati finanziari. Le banche centrali sono divenute in modo crescente "indipendenti" e "protette dalle influenze politiche". Il che in pratica significa che le Tesorerie nazionali sono sempre più in mano ai creditori commerciali privati. Secondo l'articolo 104 del Trattato di Maastricht, per esempio, "il credito della banca centrale al governo è del tutto discrezionale, la banca centrale non può essere forzata a provvedere a tale credito". Statuti di questo tipo contribuiscono direttamente all'aumento del debito pubblico verso le finanziarie private e le istituzioni bancarie.

In pratica la Banca Centrale (che non risponde né al governo né al Parlamento), opera come una burocrazia autonoma sotto l'amministrazione fiduciaria di finanziarie private e degli interessi bancari. Sono questi ultimi (al posto del governo) che dettano le direttive di politica monetaria. In altre parole, la politica monetaria non esiste più come strumento di intervento degli Stati; essa oramai appartiene alla sfera delle banche private. Di fronte alle evidente scarsità delle riserve statali, "l'emissione di denaro" (che implica il comando delle risorse reali) avviene all'interno del sistema bancario internazionale e con il solo scopo della difesa della ricchezza privata. Di fronte all'incapacità delle banche centrali di intervenire efficacemente, i potenti operatori finanziari privati non solo possono creare e muovere denaro senza impedimento, ma possono anche manipolare gli interessi e costringere al ribasso le maggiori valute, come è successo con la spettacolare caduta della Sterlina inglese nel settembre 1992. Il che in pratica significa che le banche centrali non sono più in grado di regolare l'emissione di denaro nell'interesse della società (ad esempio con l'obiettivo di mobilitare la produzione o di generare occupazione). Dunque l'emissione di denaro, e con essa il comando delle risorse reali, è controllata quasi esclusivamente da finanzieri privati.

L'INSTABILITÀ DEI MERCATI FINANZIARI GLOBALI

La deregulation e lo sviluppo di un grande debito pubblico hanno favorito in modo crescente l'instabilità dei mercati finanziari globali. A partire dal lunedì nero (19 ottobre 1987), considerato dagli analisti un crollo quasi totale della Borsa di New York, si è creato un sistema assai instabile segnato da frequenti e crescenti gravi convulsioni delle maggiori Borse, dal crollo delle valute nazionali in Europa Orientale ed America Latina, nonché dalla caduta dei nuovi "mercati finanziari periferici" (Messico, Bangkok, Cairo, Bombay...). Non è più possibile controllare il mercato finanziario globale, inoltre, a differenza degli anni '20, i principali scambi intorno il Mondo avvengono attraverso collegamenti immediati via computer: l'instabilità di Wall Street si è riversata sulle Borse europee ed asiatiche e sull'intero sistema finanziario, incluso il cambio delle valute e il mercato delle merci.

ESAME CRITICO DEL COMUNICATO FINALE DEL VERTICE DI HALIFAX

1. Il Vertice del G7 ha redatto una bozza di comunicato che nega l'esistenza di una crisi economica globale (paragrafo 3). Malgrado l'ondata di fallimenti, la disoccupazione crescente e l'instabilità dei mercati finanziari globali, il comunicato scommette senza esitazioni su di un ricupero durevole dell'economia globale: "siamo incoraggiati dallo spettacolo complessivo delle nostre economie e dalla forte crescita continua negli altri Paesi del mondo. Nella maggior parte dei nostri Paesi la crescita economica è robusta e l'inflazione è sotto controllo" (paragrafo 3). I dati su cui si fonda questo discorso sono falsi e non vengono prese in considerazione le più recente analisi dell'OCSE che indicano un ritardo significativo nella crescita globale. Né vengono prese in considerazione le stime recenti dell'ILO, secondo cui il numero dei disoccupati nel Mondo superano gli 800 milioni. Il flagello della povertà globale non è neppure menzionato.

2. E' il caso di ricordare che una simile atmosfera di autocompiacimento prevalse durante la frenesia degli ultimi anni '20 negli Stati Uniti. La possibilità di un crollo finanziario non era mai stata presa seriamente in considerazione dall'economia ortodossa del tempo. Predizioni altrettanto ottimistiche sullo sviluppo economico sono continuate anche dopo il crollo di Wall Street del 1929.

3 Il comunicato del Vertice di Halifax non riporta alcuna stima né sulla serietà della situazione del debito, tanto nei Paesi sviluppati quanto in quelli in via di sviluppo, né sull'impatto distruttivo del debito sulle economie nazionali. Non viene prospettata nessuna soluzione concreta al fine di di ridurre il peso di questo debito.

4. I leader politici riuniti nel G7 ad Halifax non vogliono prendere atto di questa situazione sempre più pericolosa determinata da una crisi dell'economia globale che è strutturale piuttosto che ciclica. I piani di "stabilizzazione economica" e di "aggiustamento strutturale" che prevedono la deregulation dei mercati finanziari non possono costituire "soluzioni" alla crisi economica globale. Allo stesso modo in cui la riduzione della povertà e la creazione di nuovo lavoro non possono essere raggiunti attraverso la deregulation del mercato del lavoro (paragrafo 8) e la compressione dei bilanci del settore sociale. Inoltre il comunicato finale del Vertice sostiene anche la necessità di decurtare le pensioni e gli altri sostegni sociali (paragrafo 9).

5. Il Comunicato del Vertice di Halifax sostiene incondizionatamente il proseguimento dei programmi di aggiustamento strutturale e si augura un "sistema efficacie di sorveglianza delle politiche economiche nazionali" (paragrafo 16). E' stato ridefinito il significato di "sorveglianza da parte del FMI", e cioè dell'esame annuale della situazione economica di un paese nel contesto delle consultazioni previste dall'Articolo IV. E' stata instaurata una nuova "triplice spartizione dell'autorità" tra il FMI, la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Il concetto di "sorveglianza" è stato ridefinito (in contrasto con la sostanza dell'articolo IV) nel senso di un'autorizzazione al FMI ad intervenire maggiormente negli affari interni degli Stati sovrani: "Noi crediamo che il FMI... debba fornire i propri autorevoli consigli politici a tutti governi indirizzando chiari messaggi ai Paesi che sembrano voler evitare le azioni ritenute necessarie" (paragrafo 16c).

6. Il G7 ha sostenuto fermamente il nuovo ordine del commercio che è emerso dalla conclusione dell'Uruguay Round a Marrakesh, nonché la necessità di adeguare a questo nuovo ordine le relazioni tra le istituzioni di Washington e i governi nazionali. Il rafforzamento delle prescrizioni politiche di FMI-Banca Mondiale non lascierà più alcuno spazio ad accordi tra Paese e Paese (accordi che vengono considerati "giuridicamente non efficaci"). D'ora innanzi, molte delle clausole dei programmi di aggiustamento strutturale (ad es. sulla liberalizzazione dei mercati ed sulla regolamentazione degli investimenti stranieri) verranno fissati in modo permanente negli articoli degli accordi dell'Organizzazione Mondiale del Commercio(WTO). Questi articoli saranno la base su sui dovrà essere sviluppata la politica degli Stati secondo la legge internazionale.

7. Il G7 ha preso in considerazione l'aumento dei "diritti speciali di prelievo" del FMI (discusso a Madrid nell'ottobre 1994) e una revisione delle modalità con cui vengono concessi. Questa espansione delle disponibilità monetarie del FMI è stata dipinta dallo stesso FMI come un mezzo per assicurare una "durevole ed ampia crescita degli standard di vita a livello mondiale". Ancora una volta ciò che questi accordi implicano in pratica è qualche cosa di molto diverso: la proposta di aumentare le capacità di prestito del FMI, invece che sostenere le politiche di aiuti, rinforzerà il controllo del FMI sui governi nazionali e gli fornirà ulteriori strumenti politici con cui imporre radicali riforme macro-economiche.

8. Un aumento dei prestiti del FMI (senza alcuna ridefinizione del suo mandato) farà sì che il debito globale aumenti piuttosto che diminuire e andrà a vantaggio degli interessi dei creditori internazionali: nel senso che verranno prestati "soldi nuovi" per permettere la restituzione di "debiti vecchi". Infatti, oltre che richiedere la fedeltà dei governi alle prescrizioni politiche del FMI, i nuovi prestiti comporteranno anche l'adesione ad accordi paralleli riguardanti la restituzioni dei debiti contratti nei confronti di creditori pubblici e privati. Si può dire che l'afflusso di moneta multilaterale in un Paese in via di sviluppo indebitato, agisce come una specie di "catalizzatore" che determina un esborso, sostanzialmente maggiore, di risorse finanziarie.

9. La proposta di espansione delle risorse del FMI è lo strumento attraverso cui viene definito un nuovo standard di procedure che va sotto il nome di "Procedura di Finanziamento di Emergenza" da usarsi nei Paesi che affrontano "una crisi sul tipo di quella messicana" (paragrafo 17). Una procedura di questo tipo richiederebbe il raddoppio dei capitali attualmente disponibili al FMI secondo gli "Accordi Generali sul Prestito" (GAB) tra i Paesi del G11 (G10 e Arabia Saudita).

10. La procedura di emergenza non affronta le cause della crisi. I prestiti verranno accordati in gran parte per permettere ai Paesi indebitati di pagare i loro creditori internazionali. Invece che fornire un aiuto ai Paesi in crisi, la "Procedura di Finanziamento di Emergenza" costituisce in realtà "una rete di salvaguardia per i creditori". La misura proposta avrebbe inoltre la conseguenza di ingrossare ulteriormente il debito pubblico dei Paesi del G11 - trasformando cioè i debiti privati in debiti pubblici.

11. Il G7 non analizza le cause della crisi messicana e il ruolo chiave che ha giocato in essa la riforma del settore finanziario. "La prevenzione della crisi è il tipo di azione che va privilegiata" (paragrafo 16): la "soluzione" proposta (e cioè "politiche fiscali e valutarie adeguate") richiede un maggiore sostegno alle riforme macro-economiche, compresa la deregulation del settore finanziario, e la privatizzazione di beni dello stato". La "prevenzione della crisi" deve essere quindi attuata utilizzando quelle stesse "medicine economiche" che sono in realtà la "causa" della crisi stessa (paragrafi 16 e 17); queste procedure, se adottate senza una revisione della politica economica del FMI, non possono far altro che portare allo scoppio di "crisi di tipo messicano". La "soluzione" proposta diviene la "causa" della crisi.

12. "Noi [il G7] salutiamo con piacere la recente svolta in senso positivo degli eventi messicani" (paragrafo 15). Il comunicato del Vertice si riferisce all'emissione di crediti da parte della Tesoreria degli Stati Uniti, del FMI e della Banca dei Regolamenti Internazionali, crediti offerti per permettere al Messico di onorare i propri precedenti debiti con i creditori internazionali, le banche e le altre istituzioni finanziarie. Ancora una volta debiti privati sono stati riciclati in modo opportuno e trasformati in debiti pubblici. Ciò nonostante l'economia messicana rimarrà azzoppata per molti anni ancora determinando una crisi sociale e politica ancor più profonda: le banche messicane dovranno essere cedute a stranieri ed i guadagni dell'intera esportazione del petrolio messicano dovranno essere depositati in un conto bancario di New York a favore dei creditori internazionali del Messico.

13. Nel Comunicato del Vertice di Halifax non viene riconosciuto l'impatto distruttivo dei mercati finanziari e al contrario si auspica la rimozione delle restrizioni residue alla circolazione internazionale del capitale (paragrafo 22b) "sulla base delle direttive delle appropriate strutture finanziarie internazionali".

14. La proposta di tassare le speculazioni sui cambi (tassa Tobin) non è neppure in discussione. Il "consenso" ad Halifax è invece sul fatto che i governi non debbano intervenire e che mercati finanziari debbano stabilire i loro propri modelli di regolamentazione (con strumenti definiti dalle autorità della varie Borse). Vale la pena di ricordare, a questo proposito, che i cosiddetti "circuit-breakers" ("interruttori di circuito" introdotti da Wall Street dopo il crollo del 1987) si sono rivelati totalmente inefficaci nella prevenzione di un crollo di Borsa. Il "circuit-breakers" consistono in un "congelamento" del commercio computerizzato quando l'indice Dow Jones cade di oltre 50 punti; ciò che si è verificato in realtà è che nell'ottobre 1992 durante un'esplosione di panico a Wall Street, i "circuit-breakers" sono stati incapaci di evitare una ripetizione quasi totale del crollo del 1987... Inoltre, un rapporto pubblicato dalla Bundesbank nel 1993 ha messo in guardia che il commercio di titoli poteva innestare "reazioni a catena che avrebbero messo in crisi il sistema finanziario nel suo complesso". Il Presidente del Federal Reserve Board degli Stati Uniti Alan Greenspan ha inoltre dovuto riconoscere che: "La legislazione non basta a prevenire una ripetizione della crisi di Baring in un mondo ad alta tecnologia in cui le operazioni finanziarie vengono effettuate semplicemente premendo un bottone."

15. Il Comunicato del Vertice di Halifax mostra una totale mancanza di previdenza nello stimare il funzionamento del sistema finanziario globale. Il G7 così come le istituzioni finanziarie internazionali non comprendono che dagli anni '80 la struttura macro-economica (e la riduzione del deficit di bilancio) ha contribuito ad esacerbare e non ad alleviare la crisi del debito. L'accumulazione di grandi debiti pubblici (e le pressioni esercitate dai creditori sul sistema degli Stati) è il cuore di questa crisi e richiede un'effettiva regolamentazione pubblica e l'intervento sui mercati finanziari, vale a dire strumenti di "disarmo finanziario" atti a ridurre le attività di destabilizzazione degli speculatori.

16. Sono necessari concreti meccanismi finanziari come l'annullamento del debito estero dei Paesi in via di sviluppo ed l'abbattimento dei debiti pubblici dei Pesi sviluppati assieme a politiche regolatrici, in grado di analizzare attentamente le attività delle istituzioni di Bretton Woods e di "democratizzare" la struttura delle Banche centrali. La comunità mondiale dovrebbe riconoscere il fallimento del sistema neoliberale dominante. Di importanza cruciale è l'articolazione di nuove regole di governo del commercio mondiale come lo sviluppo di un programma di politica macro-ecnomica finalizzato all'espansione della domanda e finalizzato a ridurre la povertà e a creare occupazione a livello mondiale.

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