SENZA CENSURA N.4 - NOVEMBRE 1997

MOVIMENTO DI LOTTA PER IL LAVORO

Intervista al Coordinamento del Movimento di Lotta per il Lavoro raccolta dal Centro di documentazione Barbara Kistler di Napoli

Come è nato il Movimento di Lotta per il Lavoro?

Nel lontano 1987 alcune esperienze di disoccupati organizzati presenti in città, in particolare il Comitato per il Salario Garantito di Banchi Nuovi e le Rappresentanze Sindacali dei Disoccupati (RSD) si unirono e diedero vita al Movimento di Lotta per il Lavoro.

Questa fusione nacque sostanzialmente da alcune difficoltà e dalla discussione che era presente in entrambi questi raggruppamenti di disoccupati.

Da un lato il limite nello sviluppo del movimento che era presente soprattutto nel Comitato per il Salario Garantito di Banchi Nuovi e dall'altro da una discussione aperta all'interno delle Rappresentanze Sindacali dei Disoccupati che verteva sull'opportunità o meno di impostare una lotta per il lavoro a livello zonale.

Su questo punto in particolare c'era in atto una vivace discussione.

Una parte dei compagni riteneva giustamente che un'impostazione del genere poteva, in qualche maniera, frammentare l'unità del movimento e, nel tempo, minare lo sviluppo stesso del movimento.

Quindi, sulla base di questa discussione all'interno di queste realtà e di limiti che invece erano presenti in altre, nello sviluppo del movimento stesso ci fu una discussione aperta tra i compagni di queste realtà, e si addivenne alla necessità del superamento di entrambe queste difficoltà con la costituzione di questo nuovo soggetto che è il Movimento di Lotta per il Lavoro, che nasceva su questa impostazione: una caratterizzazione generale sulle tematiche del lavoro che però tenesse dentro e, sempre presente, una vertenzialità che necessariamente doveva rappresentare lo sbocco e il soddisfacimento del bisogno per il quale alcuni proletari si erano identificati in questo movimento stesso e quindi il lavoro.

Per cui da un lato un impianto politico generale sulle questioni del lavoro, di unità con la classe operaia, di difesa dei diritti acquisiti e di sostegno delle lotte che questa stessa classe andava ad intraprendere.

Ricordo benissimo all'inizio le tantissime battaglie fatte assieme agli operai dell'Italsider con i quali si aveva un rapporto politico che in alcuni momenti è stato anche molto stretto, fino ala partecipazione del Movimento di Lotta a delle assemblee all'interno della fabbrica, proprio quando all'interno della fabbrica già cominciava a sentirsi un odore di ridimensionamento che anticipava la chiusura definitiva della fabbrica stessa.

In particolare all'Alfa, dove abbiamo condotto una battaglia a difesa delle donne per consentire la loro entrata in fabbrica, si era all'inizio dell'utilizzo di uno strumento di accesso al mercato del lavoro che già allora si rivelava, come poi si è rivelato sempre di più, uno strumento pericolosissimo, mi riferisco ai contratti di formazione lavoro.

Purtuttavia, nonostante la critica che muovevamo già allora a questo strumento, ritenemmo comunque di scendere in campo e di assumerci la battaglia per la garanzia dell'accesso delle donne e, quindi, perché anche alle donne fosse consentito questo strumento che era un'occasione di entrata nella fabbrica con un risultato minimo ma significativo per il Movimento di Lotta, per alcune donne del Movimento di Lotta che entrarono allora, appunto, in quella fabbrica.

Sostanzialmente era questa l'impostazione, una grande autonomia ovviamente da partiti e dal sindacato, col quale abbiamo avuto sempre un rapporto molto critico ma non di non comunicazione. Siamo stati sempre disponibili alla discussione con il sindacato, all'inizio forse in maniera più frequente però ovviamente sulle nostre posizioni che erano anche di critica e di attacco alla politica sindacale in materia di salvaguardia dei diritti dei lavoratori e a difesa dei lavoratori.

Qual è stato il vostro percorso politico e sociale?

Si può ulteriormente precisare. Noi non abbiamo mai rivendicato il lavoro in quanto tale.

Non il lavoro per il lavoro, per cui qualsiasi tipo di lavoro... siamo stati attenti anche dentro il percorso di rivendicazione a porre l'attenzione su lavori che potessero avere la più ampia ricaduta sociale.

Non è un caso che la battaglia, il percorso che abbiamo fatto finalizzato ai corsi di formazione, alludesse a determinati settori lavorativi che hanno una ricaduta sociale e che riguardano servizi per il proletariato assenti in questa città, e cioè tutta la questione relativa all'assistenza nell'accezione più ampia e non semplicemente intesa come assistenza agli anziani; le questioni relative all'utilizzo delle strutture del patrimonio, quelle costruite dopo il terremoto, che sono per lo più strutture per il tempo libero e sportive, allocate in quartieri periferici della città dove più forte è il bisogno di socialità, di servizi, e che da anni sono chiuse e precluse alla fruizione dei proletari dei quartieri dove queste strutture sono ubicate; la questione ambientale che è anch'essa una grossa esigenza, qui a Napoli e non solo: la questione del verde e l'inquinamento sono degli ambiti di ricerca del lavoro che, in qualche maniera, manifestano la preoccupazione nostra per un lavoro di produzione di servizi.

Qual è stato il rapporto con gli altri settori di classe?

Un rapporto sempre molto attento e oserei dire anche presente per quello che potevamo fare, tenendo conto pure dei momenti particolari che di volta in volta vivevamo, e quindi delle difficoltà interne al Movimento stesso o dovute a particolari passaggi della vertenza che magari richiedevano più dispendio di energie sulla vertenza in quanto tale e perciò più difficoltà ad avere un rapporto con gli altri settori di classe.

In generale, però, vi è stata sempre un'attenzione e una presenza del Movimento di Lotta: accanto agli studenti, per la difesa della difesa del diritto allo studio, contro la privatizzazione del settore scuola in generale; vicino ai senza-casa, visto che negli stessi anni in cui il Movimento era presente in piazza si sviluppava un movimento fortissimo di occupazioni di case (tra l'altro il tipo di composizione del Movimento, squisitamente proletario, portava inevitabilmente ad un intreccio tra la tematica del lavoro, quindi il bisogno del lavoro, e quello della casa).

Quindi c'è stata un'attenzione e una presenza che in alcuni momenti si è vista anche sulle piazze, con manifestazioni unitarie imponenti assieme agli studenti, e agli occupanti delle case.

Qual è stato lo sviluppo del vostro movimento che ha portato alla conquista dei corsi di formazione prima e ai Lavori Socialmente Utili ora?

All'inizio l'obiettivo del Movimento non era la rivendicazione dei corsi di formazione professionale, come pure l'intervento massiccio sulla formazione professionale non era già all'inizio dentro il 'programma' del Movimento di Lotta per il Lavoro, anche perché quello della formazione professionale è un terreno un po' ambivalente.

Una rivendicazione massiccia relativa alla formazione professionale può sposare anche una tesi, che è quella della produttività, della qualificazione.

La rivendicazione di un movimento di disoccupati su un terreno del genere, invece di contrastare una tendenza che è quella appunto che schiaccia sempre di più il non scolarizzato, il non qualificato, può destare qualche perplessità.

Però c'è una spiegazione, la cosa non è nata così, casualmente.

Noi avevamo una grossa difficoltà all'inizio, non solo nel farci riconoscere, ma anche nell'individuazione di un percorso che potesse portarci al lavoro.

Questo perché precedentemente a noi c'era stato l'altro gruppo dei disoccupati organizzati, i 700 per intenderci, che aveva strappato il lavoro in cooperative che attualmente prestano servizio per il Comune e per la Provincia di Napoli.

Ma questo movimento si era concluso con una svendita totale del movimento stesso e dell'esperienza di lotta massiccia che pure aveva prodotto.

Non solo aveva lasciato un segno molto pesanti tra i proletari, ma anche un'ostilità delle istituzioni stesse, che prendevano a pretesto la consumazione di quell'esperienza nella maniera peggiore per chiudersi a riccio e per non riconoscere più altre istanze di disoccupati.

Quindi noi avevamo sostanzialmente questa grossa difficoltà e avevamo anche difficoltà ad individuare un percorso peculiare, perché, sull'onda di come si era conclusa quell'esperienza, tutte le istituzioni, i partiti, il sindacato compreso, avevano chiuso ai disoccupati e avevano avviato una discussione pubblica di chiusura a queste organizzazione autonome dei disoccupati dicendo che il lavoro non andava conquistato così, perché questo significava passare sulla testa di altri proletari con uguali diritti.

Noi non abbiamo mai fatto una rivendicazione corporativa, ma rivendicazioni molto più ampie, non disconoscendo il diritto uguale di tutti i proletari ad un reddito.

E quindi avevamo anche una difficoltà di percorso che ci portasse al lavoro.

Avevamo intuito che la formazione professionale era il nuovo volano per le istituzioni, per i padroni, il nuovo business, il nuovo affare per accedere a tutta una serie di sovvenzioni, di finanziamenti ecc. ecc.

C'erano delle partite di finanziamenti che giacevano presso la Regione Campania per corsi di formazione finalizzati, non quindi corsi di formazione semplici, tout court che potevano appunto rafforzare quella preoccupazione che dicevo prima, cioè la qualifica per la qualifica, che non ci ha mai interessato.

Questi fondi inutilizzati giacevano per la formazione finalizzata, un tipo di formazione che fosse in qualche maniera agganciata direttamente alle occasioni di lavoro che si aprivano in città o che comunque venivano programmate.

E' qui che noi abbiamo rinvenuto alcuni settori lavorativi (che erano i settori che ti ho indicato prima): della manutenzione del patrimonio, dell'assistenza ecc.

Abbiamo individuato quei settori come settori di finalizzazione di un percorso formativo che da lì dovesse condurci direttamente al lavoro.

La vertenza era tutta ritagliata intorno a questi settori a cui poi, una volta seguito il corso, dovevamo accedere.

Del resto le stesse istituzioni, il Comune di Napoli in particolare, su questi settori vantavano e vantano tuttora una propria competenza specifica; per esempio il settore della raccolta differenziata è un settore di competenza comunale, anzi, intorno a questo servizio c'è addirittura un obbligo previsto dallo Stato, per i comuni, di attivare un servizio di questo tipo; lo stesso vale per le questioni relative alla manutenzione del patrimonio, ecc.

Insomma intorno a questi settori c'era una competenza diretta degli enti che necessariamente dovevano approntare i relativi servizi.

Quindi per noi erano settori abbastanza concreti di lavoro, e la formazione professionale diventava in questo modo l'anticamera da un lato per poter accedere a questi settori di lavoro e dall'altro per aggirare questa ostilità che si era manifestata dentro le istituzioni a seguito della vecchia esperienza dei disoccupati.

In effetti è successo che il Comune e gli altri enti hanno dichiarato di voler attivare questi servizi una volta conclusi i corsi.

Quello che poi ne è venuto fuori, non è frutto solo della volontà o meno del Comune di attivare questi settori, ma della crisi generale per cui, ad un certo punto, oggi si preferisce sfruttare alcuni strumenti che sono stati prodotti in questo ultimo scorcio di tempo, quali i L.S.U., piuttosto che dare una prospettiva di lavoro certo ai proletari che ne sono alla ricerca.

E quindi c'è stata questa chiusura delle istituzioni ad attivare immediatamente questi campi di intervento che erano stati individuati e quello che è stato offerto come continuità di reddito è stata l'esperienza in L.S.U. anche se nelle discussioni e nelle riunioni che si sono avute con la controparte istituzionale, il passaggio, il transito negli L.S.U. è temporaneo perché poi si mette mano alla realizzazione di questi settori di intervento.

E' ovvio che non sarà semplice, di questo ne siamo consapevoli, ma siamo altrettanto pronti ad ingaggiare una battaglia per il lavoro vero perché non ci è assolutamente sfuggita la pericolosità di questo ultimo strumento che sono i L.S.U. cioè l'ulteriore precarizzazione, legalizzata per giunta, dei lavoratori e dei disoccupati in cerca di lavoro.

Avete rapporti o confronti con altre organizzazioni di disoccupati, sia a livello italiano sia a livello europeo?

Ci sono stati dei momenti di confronto ma con altre realtà, all'inizio del movimento, ma molto delimitati nel tempo.

Per esempio con una realtà di disoccupati in Francia; ci sono stati anche dei contatti epistolari e di comunicazione attraverso documenti, con realtà di disoccupati a livello europeo, ma non si è mai andati oltre lo scambio molto delimitato nel tempo, uno scambio di documenti, di volantini, di conoscenza...

(interviene un altro disoccupato)

Ma pure perché in altre città d'Italia non ci sta tradizione come a Napoli, dove i disoccupati sono organizzati da venticinque anni e riescono ad ottenere dei risultati.

I proletari vedendo un risultato in positivo che hanno raggiunto altri proletari, si organizzano.. allora c'è un'organizzazione dei disoccupati che nasce dalle vittorie dei proletari.

In altre città questo tipo di organizzazione non c'è stato.

A Napoli ci sta una situazione un po' più articolata, organizzata, c'è una tradizione, una storia di venticinque anni...

Se vai al Nord, oggi c'è una crisi che è più generalizzata, ma fino a dieci quindici anni fa un disoccupato riusciva a rimanere come disoccupato in un collocamento di... Vicenza sette - otto mesi e poi trovava un lavoro precario, però lo trovava, a Napoli il lavoro non esiste proprio.

Allora c'è questa differenza.

C'è uno scambio praticamente di vedute ma con un gruppo di disoccupati di altre città, non con organizzazioni, perché qui c'è una vera e propria organizzazione che dura nel tempo

(riprende la parola la disoccupata precedente)

Qui a Napoli certo ci sono stati rapporti con altre realtà, con altri gruppi di disoccupati presenti sulla piazza che all'origine erano sorti proprio in contrapposizione a noi, manipolati da alcuni potenti politici del tempo, Masciari per esempio, quindi PSIni, che, per contrastare la nostra presenza che in quegli anni era anche di rottura e di denuncia forte di quello che era allora il potere dei socialisti in città, avevano pilotato la nascita di un altro gruppo di disoccupati organizzati presenti in città.

Poi negli anni a venire anche il rapporto di questo gruppo con quei personaggi, soprattutto dovuto alla caduta di quegli stessi personaggi, è diventato più lento, più tenue e quindi c'è stato da parte nostra il tentativo di un confronto nella speranza che si potesse addivenire ad un'unità dei disoccupati in città, di queste esperienze che erano presenti sulla piazza.

L'abbiamo ricercata più volte in vari tentativi di dialogo con momenti anche di maggiore intesa su alcuni punti, ma sostanzialmente poi abbiamo misurato una differenza sostanziale non solo di impostazione politica, che era scontata, ma anche nell'organizzazione stessa del movimento, nella struttura stessa, nella gestione del movimento stesso e quindi da questo punto di vista abbiamo registrato una sconfitta, perché ovviamente ogni qualvolta non si riesce ad unirsi su obiettivi, che poi sono gli stessi, in qualche maniera si è sconfitti.

(interviene nuovamente il disoccupato di prima)

Ci sono state delle difficoltà di intenti e di obiettivi con questi disoccupati napoletani che comunque venivano diretti da personaggi poco affidabili però l'importante alla fine è che i proletari hanno fatto delle iniziative anche assieme a noi in certi momenti però alla fine non ci siamo trovati e quando come diceva lei non ti trovi e l'unità non ci sta è una sconfitta quasi.

Però poi ci siamo trovati con altri disoccupati fuori dalla città di Napoli, con i disoccupati di Acerra con cui abbiamo fatto diverse iniziative e con loro ci siamo trovati fino al raggiungimento dell'obiettivo, abbiamo fatto dei coordinamenti assieme e delle iniziative di lotta assieme e questo ci ha permesso di rafforzarci, sia noi sia loro, in termini di trattativa e alla fine, assieme ai disoccupati abbiamo raggiunto questo obiettivo di 1220 famosi corsi di formazione professionale e oggi stiamo negli L.S.U. anche grazie all'unità con questi corsisti disoccupati di Acerra.

Poi, dopo che noi abbiamo raggiunto questo obiettivo, altri disoccupati nell'area flegrea, a Pozzuoli in particolare, sulla nostra onda, sulla nostra vittoria, si sono organizzati e hanno tentato di fare delle iniziative.

Questo è un movimento giovanissimo nasce nemmeno sette - otto mesi fa.

Abbiamo avuto dei primi contatti, abbiamo fatto anche qualche iniziativa assieme e a Roma, il 22 di marzo di quest'anno, siamo stati anche attaccati dalle forze dell'ordine assieme a questi disoccupati di Pozzuoli.

(riprende la parola la disoccupata)

Penso che però bisogna aggiungere pure che il confronto con queste realtà non sempre è stato liscio.

In generale è così sempre. Voglio dire che l'unità, che pure c'è stata con i disoccupati di Acerra soprattutto, perché la realtà di Pozzuoli è giovanissima, è stata più sulla vertenza che non su una impostazione su punti politici più generali, questo fatto è sotto gli occhi di tutti.

Anche le manifestazioni che ci sono state, testimoniano la diversa impostazione, per esempio il diverso modo di concepire il rapporto con il sindacato.

Per noi è un rapporto critico, ma non ci interessa isolarci dal sindacato in quanto massa di lavoratori, non in quanto vertice o gruppo dirigente sindacale.

Loro invece evidentemente ragionano nei termini di consumazione di uno spazio di rapporto di comunicazione con il sindacato e hanno fatto invece un'altra scelta, che è quella di appoggiare i Cobas e una serie di organismi sindacali autonomi che sono il prodotto di questi ultimi anni.

Noi riteniamo invece che questa frammentazione non giova, non giova tanto più ai lavoratori, riteniamo invece che vale la pena di continuare a essere critici e a lavorare laddove vi sono i lavoratori.

Ci piaccia o no comunque il sindacato confederale raccoglie milioni di lavoratori, ci sembra poco produttivo un isolamento da questa massa considerevole di lavoratori. Anche nella gestione della vertenza c'è stato uno stesso approccio, uno stesso modo di intervento e di gestione per cui per lo più si è trattato di un'unità di piazza, di natura vertenziale.

(interviene nuovamente il disoccupato di prima)

In certi momenti più in generale loro avevano un altro tipo di impostazione. Come sappiamo tutti, loro sono schierati con i sindacati alternativi, i Cobas.

Cosa pensate della costruzione dell'Unione Europea, delle politiche di Maastricht, che sta portando allo smantellamento del cosiddetto Stato sociale in Italia?

Appunto, che porta allo smantellamento dello Stato sociale, ad un impoverimento sempre maggiore delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari.

(interviene nuovamente il disoccupato di prima)

Non a caso un lavoro vero non esiste più, esiste questo lavoro che loro chiamano L.S.U. che è un lavoro precario, nero, legalizzato dallo Stato che chiede più sacrifici ai proletari.

Questo è l'orientamento di tutte...

Quindi voi l'Unione Europea come un ulteriore attacco...

(lo stesso disoccupato)

Un ulteriore attacco alle condizioni di vita e di esistenza di tutti i proletari.

(riprende la parola la disoccupata)

Perché il dialogo tra tutte le potenze che costruiscono l'Europa necessariamente dovrà vertere anche su questi temi. Ovviamente se in altri paesi l'attacco già è avvenuto in maniera più massiccia, più totale, mentre in Italia ci sono ancora degli spazi residuali di resistenza, è chiaro che presto anche questi spazi minimali di tenuta finiranno per essere erosi.

Per esempio oggi in Italia i partiti e le istituzioni, stanno discutendo sulle pensioni, sulle privatizzazioni che dovranno riguardare anche i settori, come la sanità, in cui la privatizzazione già si è affacciata, però tutto sommato non è ancora dispiegata totalmente, a differenza che in altri paesi in cui c'è già stato un attacco in questo senso. In qualche maniera il dialogo tra queste superpotenze comporterà anche quello.

Come ha agito in tutti questi anni la repressione contro l'organizzazione dei disoccupati e dei corsisti, negli ultimi tempi?

Nella maniera solita, con decine e decine di procedimenti giudiziari che sono tuttora in corso per i reati più svariati e soliti per chi lotta: la resistenza, l'oltraggio a pubblico, l'occupazione, il danneggiamento e quant'altro.

Ma c'è stata anche una repressione più sottile, ci sono stati per esempio provvedimenti emessi dalla Questura di Napoli, quasi una ottantina, mirati a compagni più esposti, più attivi nel movimento, che sono stati passati come elementi pericolosi e sono stati segnalati e redarguiti.

Ci sono stati numerosi arresti, perché noi rappresentavamo un'anomalia per i tempi. In piazza non c'era più nessuno, la difficoltà dei lavoratori a lottare, a rivendicare, a difendere i propri diritti, ha significato anche un isolamento dei disoccupati sulla piazza e quindi una maggiore facilità, per le istituzioni repressive preposte, di colpire a più riprese il movimento e le sue avanguardie.

Eravate pure considerati insomma una variabile impazzita rispetto a quella che era un'impostazione per arrivare a una pace sociale...

Certo. Eravamo soli sulle piazze per una difficoltà oggettiva, con una classe operaia che negli ultimi anni ha perso molte delle sue conquiste, grazie anche alla complicità del sindacato che ha sposato le politiche governative di ristrutturazione del capitale.

Attualmente ci sono ancora dei processi in atto?

Sì. Un dato parla per tutti: in questi ultimi mesi la Questura e la Procura hanno messo in piedi due maxi-processi contro il movimento dei disoccupati, che ha visto al suo interno, colpiti dalla repressione, molti studenti, molti compagni dei centri sociali, delle strutture occupate.

Due maxi-processi che riguardano complessivamente circa duecento disoccupati, proletari.

Che ne pensate delle attuali condizioni di lavoro che vengono imposte alla classe, come il lavoro interinale, a part-time, la cosiddetta flessibilità?

Sono misure inevitabili per le istituzioni e per il padronato perché attraverso queste misure si mette in piedi la strategia, già in atto da anni, di ristrutturazione del capitale.

Un lavoro sempre più precario, che favorisce anche la conflittualità tra lavoratori più giovani e meno giovani, tra disoccupati e disoccupati, ed è ovvio che questa conflittualità inevitabile fa il gioco dei governanti e dei padroni e non il gioco dell'intera classe che è quello di rivendicare per sé condizioni migliori e più dignitose per la propria esistenza.

Il lavoro interinale è uno strumento di affitto del lavoro, quindi è la precarizzazione istituzionalizzata.

La questione degli L.S.U. che ci vedrà in qualche misura protagonisti nei prossimi mesi, noi l'abbiamo sempre definita per quello che è, assistenza, ma anche lavoro nero legalizzato.

Da un alto significa distribuire pochi spiccioli, dall'altro rappresenta la legalizzazione della precarizzazione.

Eppure questo strumento adesso è stato allargato ad altri settori, gli stessi settori del Pubblico Impiego sono interessati, il che significa che l'attacco è profondo, è preciso.

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