Senza Censura n. 1/2000


[ ] Contro la guerra imperialista

Intervento del Collettivo internazionalista della Panetteria Occupata (Milano) sulla guerra in Jugoslavia

Qui di seguito pubblichiamo un intervento del Collettivo Internazionalista della Panetteria Occupata di Milano sulla guerra contro la Yugoslavia. Lo scritto risale al settembre 1999, ma secondo la redazione rappresenta ancora oggi una delle posizioni più chiare ed articolate espresse dal movimento contro la guerra nel nostro paese.

Attenuata l'attenzione mediatica su quello che è stato e continua ad essere un massacro umanitario, distratto da un nuovo spauracchio spettacolare (Haider) che ben sostituisce l'altra creazione del democratico imperialismo euroatlantico (Milosevic), disorientato dalle provocazioni poliziesco-giudiziarie il dibattito e l'iniziativa languono.
Intanto, fra "imbrogli di guerra", problemi di decontaminazione dall'uranio impoverito, riallineamenti democratici (Croazia) o totalitari (Yugoslavia) ai "valori europei", l'occupazione e la guerra continuano.

Ma "gli affari militari sono un'importante questione di Stato; il terreno su cui si giocano vita e morte; il Dao del permanere e del perire. Non analizzarli è dunque impossibile" (Sun Tzu).
La guerra nei balcani ha rafforzato l'equilibrio instabile che è alla base dell'ipotesi di costruzione dei "due pilastri" della NATO e della Kerneuropa avanzata nel documento della CDU del '94, ribadita dal Parlamento dell'UE (Documento Tindermas) e parzialmente formalizzata nel recente Vertice di Helsinki. Il programma approvato dai quindici ad Helsinki cerca di risolvere alcuni nodi centrali della cessione di sovranità (legislativa, esecutiva, giudiziaria e monetaria) e concretizza la costituzione di una forza di intervento rapido di 40.000-60.000 uomini per missioni esterne di lunga durata, con un'autonoma capacità di trasporto e, come già proposto dal ministero della difesa tedesco, con un comando comune. L'esperienza balcanica ha dato i suoi frutti: è il nocciolo del futuro esercito europeo.
Le uova del serpente imperialista si sono schiuse: i mostri che ne stanno uscendo minacciano un orrore senza fine.

Brevi cenni storici

La storia della Jugoslavia è la storia delle grandi potenze che si sono per secoli contese il dominio dei suoi territori. Nonostante la composizione in 24 etnie su una popolazione di 23 milioni di persone, dal dopoguerra agli anni 80 la Jugoslavia ha saputo gestire le diversità etniche, culturali e geografiche presenti al suo interno.

Il Partito Comunista Jugoslavo di Tito, al potere dal dopoguerra, riorganizzava il territorio in una coalizione di Repubbliche indipendenti su base paritetica e con la discriminante antifascista, strutturate economicamente sull'autogestione delle imprese nazionalizzate, sul decentramento del potere statale, sulla rotazione nelle cariche all'interno degli organi direttivi (lega dei comunisti) e sulla creazione di milizie nazionali. Venivano duramente represse, attraverso l'erogazione di pene severe, le manifestazioni e la propaganda a carattere etnico-religioso.

Questa unità politico-territoriale determinata dalla priorità della difesa militare dall'influenza sovietica, dopo l'allontanamento del Pcy dal PCUS di Stalin, veniva favorita e sostenuta dai paesi imperialisti occidentali in quanto elemento strategicamente favorevole durante la "Guerra Fredda".
Negli anni 70 la crisi economica seguita alla crisi del petrolio produceva una ripresa, seppur sotto tono, dei movimenti di opposizione nazionalista. Gli effetti di questa crisi mettevano in evidenza la fragilità di questo sistema "misto" e di per se portatore di forti squilibri strutturali. La Slovenia, che produceva con l'8% di popolazione 1/3 del Prodotto interno lordo, e la Croazia, con un'economia maggiormente integrata nell'area tedesco-austriaca e italiana, riuscirono a contenere gli effetti della crisi; le altre federazioni, compresa la Serbia, vedevano l'aumento della disoccupazione e la perdita del potere d'acquisto dei salari. La ridistribuzione del reddito a favore delle economie più deboli, fece salire la resistenza nazionalista dei Croati, per contenere possibili conflitti vennero per modifica costituzionale ridotti i poteri di Belgrado e ai governi nazionali vennero demandate tutte le questioni in materia sociale ed economica. Questa operazione politica creava la base per lo sviluppo delle nuove borghesie nazionali che saranno protagoniste della dissoluzione di questo paese.
La morte di Tito, del movimento dei non allineati e il declino del blocco sovietico (termine della guerra fredda), lasciavano al mercato capitalistico la possibilità di collegarsi ai potenti gruppi di interesse presenti nella federazione, che si contrapponevano al potere centrale Serbo e all'esercito jugoslavo che voleva rafforzare la centralizzazione politico-economica.

L'inflazione al 100% annuo, il colossale indebitamento estero, il crollo del mercato socialista (COMECON) che indeboliva ulteriormente la struttura economica di produzione e scambio della Serbia, la fine del precario legame di solidarietà tra repubbliche, costringevano la vecchia burocrazia di stato a chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale in cambio della transizione al sistema capitalista; tagli ai salari, chiusura di fabbriche obsolete, penetrazione del Capitale estero e privatizzazioni.

I grandi scioperi in Croazia, Serbia, Kossovo contro la politica recessiva del governo generavano presso i nuovi investitori il timore dell'esplosione di un conflitto di classe nell'Europa centro-orientale in corso di bonificazione dall'ideologia e dal sistema economico prodotto dal socialismo reale.
L'esigenza inderogabile del capitalismo di integrare rapidamente questi paesi nell'economia neoliberista occidentale, portava alla proclamazione d'indipendenza della Slovenia e della Croazia e all'isolamento politico-economico della Serbia.

Il modo più semplice usato dalla borghesia di Stato, guidata da Milosevic per conservare il potere politico e mantenere il consenso della classe operaia, è stato il ritorno al mai sopito elemento nazionalista di avversione verso i non serbi.
L'incapacità dei sindacati, dei lavoratori, dei disoccupati e degli studenti, pur resistendo al progetto di pianificazione economica neoliberista, di unificare la lotta contro le nuove classi dirigenti in un progetto comune di superamento a sinistra dei limiti del socialismo reale è l'elemento chiave della successiva deriva nazionalista e delle sue conseguenze sull'intera area. La capacità di colmare questo vuoto e di porre un freno, quantomeno virtuale agli interessi del capitale, è stata la prerogativa politica del nuovo nazionalismo serbo.

La guerra nin Kossovo


Lo strapotere del FMI e della Banca Mondiale ha imposto sull'intero pianeta il ripensamento del ruolo, del senso e del significato dello stato-nazione nel contesto della globalizzazione del mercato.
Tutti i paesi, ricchi e poveri, sono stati ammoniti a porre in atto riforme strutturali e istituzionali per adeguarsi al nuovo mercato e alla nuova logica di accumulazione e distribuzione del profitto.
L'integrazione al nuovo sistema capitalistico e alle sue esigenze di dominio non ha risparmiato gli ex paesi del blocco socialista anche a prezzo di nuove povertà, crisi dello stato sociale, distruzione dei legami di solidarietà e divisioni etniche.
Nell'ex Jugoslavia si succedevano l'indipendenza Slovena, la guerra tra Croazia e Federazione, la crisi mineraria del Kossovo, la guerra di Bosnia (dopo il riconoscimento Europeo della sua indipendenza) l'embargo alla Serbia e gli accordi di "pace" di Dayton imposti dagli americani.

La pace americana, ottenuta con il ricatto di pesanti rappresaglie contro la Serbia, prevedeva la divisione della Bosnia in settori, la presenza stabile delle truppe NATO come garanti degli equilibri etnici e la legittimazione di Milosevic come intermediario politico degli sconfitti.
In questa prima fase di scissioni e ri-confederazioni in Croazia venivano privatizzate il 60% delle industrie, in Macedonia il 50% e in Montenegro l'80%.
La Serbia, riottosa ad abbandonare completamente la politica "dell'interesse nazionale" e sottoposta ad embargo economico dal 92 al 96 promulgava nel 1994 una legge di ri-nazionalizzazione. Solo nel 1997 dopo gli accordi di Dayton la nomenclatura populista Serba, composta oramai da ex comunisti come Milosevic e Nazionalisti come Draskovic e Sesely, dava spazio agli investimenti stranieri per l'acquisto delle grandi imprese di Stato, ad eccezione del Settore petrolifero.
Governi di destra ed economie pienamente dipendenti dal Capitalismo euro-statunitense sono al potere in Croazia, Bosnia, Slovenia. La nuova micro-confederazione jugoslava (Serbia-Montenegro), restia a concedere l'apertura delle frontiere per i traffici commerciali Ovest-Est, è percorsa dalla questione del Kossovo.
La presenza di militari occidentali, sotto le spoglie di osservatori OSCE, gli appoggi logistico-militari di Berischa e dell'Albania ai nazionalisti dell'UCK, e la reazione Serba su un area di interesse strategico (controllo sud del paese), portano all'intensificazione dello scontro e creano l'opportunità di un intervento punitivo.

L'intervento militare dell'Alleanza Atlantica per "motivi umanitari, in favore dei Kossovari" è sotto i nostri occhi. Tonnellate di bombe di varia natura che hanno distrutto le infrastrutture economiche della Serbia e raso al suolo il Kossovo, migliaia di morti, milioni di persone senza lavoro, danni ambientali che si ripercuoteranno per anni come i tossici chimici nell'aria, la distruzione delle reti idriche, l'inquinamento del Danubio e danni sociali incalcolabili.
Questa azione infame mette sullo stesso piano, attraverso la partecipazione militare attiva, i due poli imperialisti (USA e EU) innescando un processo che ha tra i propri obiettivi la mobilitazione e il coinvolgimento ideologico dei lavoratori europei per il sostegno della "guerra giusta".
L'apparato politico-culturale dell'imperialismo, proprio perchè oggi rappresentato in Europa da governi socialdemocratici, ha messo alle corde una sinistra, antagonista, pacifista o riformista, incapace ad andare oltre alla richiesta di mediazione del conflitto per opera della Comunità Europea, apparentemente disponibile al dialogo diplomatico, o nell'altra ipotesi capace di legittimare l'UCK come parte integrante della storia dei movimenti di liberazione nazionale.

Dopo 79 giorni di incursioni NATO (e di resistenza popolare) per isolare territorialmente e commercialmente la Jugoslavia, le condizioni per la pace imperialista, sancita dal vertice dei G8 a Colonia (accompagnato dall'accordo sul "Patto di stabilità per l'Europa sudorientale" che prevede lo stanziamento di 50/60 miliardi di dollari per la ricostruzione dei Balcani, influenzando il bilancio dei Paesi Europei per il 2% del PIL), sono state recepite dall'ONU e accettate dal governo serbo. Il bombardamento, voluto, dell'ambasciata cinese di Belgrado e la promessa di integrazione rapida nell'organizzazione del commercio mondiale hanno fatto cadere le resistenze della Repubblica Popolare Cinese verso una risoluzione ONU che legittima l'occupazione militare di un territorio appartenente ad uno Stato sovrano.

Compiti dell'alto commissariato ONU (sotto il controllo NATO) riguardano: la smilitarizzazione delle parti, la tutela delle etnie e la creazione di un'amministrazione provvisoria dentro la sovranità e l'integrità territoriale della Repubblica Federale Jugoslava. La realtà che si nasconde dietro le parole è ben diversa; il Kossovo viene diviso tra i paesi dell'alleanza atlantica, il disarmo riguarda prevalentemente i serbi del Kossovo (costretti di conseguenza all'esodo di massa), vengono insediate, sotto il controllo diretto dei militari, le nuove amministrazioni centrali e locali e le nuove forze di polizia composte dai miliziani dell'UCK e dai clan politici filoccidentali. Questa ripartizione del Kossovo è affidata al comando Inglese (Gen. Jakson) che controlla il settore strategico di Pristina.
I contingenti coloniali britannici la cui esperienza diretta in "contro-sovversione" contro comunisti e movimenti di liberazione è stata in un recente passato patrimonio comune delle borghesie europee e utilizzata in 18 paesi (es. deportazione della popolazione repubblicana irlandese in "distretti strategici", sperimentazione di nuove tecniche di interrogatorio, uso di armi elettroniche e chimiche, detenzione di massa e introduzione delle celle di "deprivazione sensoriale", legislazioni di emergenza, creazione e addestramento di gruppi paramilitari fascisti, addestramento dei reparti speciali spagnoli contro l'ETA) è diventano la punta di diamante dell'operazione di pacificazione dell'area Balcanica.

Il nazionalismo


La questione nazionale e il concetto di "autodeterminazione" sono riemersi nel dibattito collettivo in modo confuso e contraddittorio. In un quadro mondiale precedente dove esistevano o coesistevano due mercati (socialista e capitalista) la lotta anticoloniale (e i movimenti di liberazione nazionale che vi si ispiravano) si è evoluta, in molti casi, nella lotta rivoluzionaria per la trasformazione sociale. Queste lotte hanno visto al loro interno scontrarsi correnti ideologiche diverse e spesso conflittuali, l'influenza delle organizzazioni rivoluzionarie socialiste, hanno spesso determinato lo spostamento del baricentro dell'azione, dalla lotta indipendentista alla lotta di classe contro lo sfruttamento imperialista.
Paragonare i nuovi movimenti nazionali su base etnica e interclassista con quelli storici ancora presenti, che si identificano con l'internazionalismo, appoggiano la lotta anticapitalista dei popoli oppressi del mondo e che ancora combattono contro il neocolonialismo è un grave errore di lettura. Sebbene il sistema capitalista si presenti come unico modello possibile, e nelle attuali lotte d'indipendenza (irlandese, basca, kurda, ecc. ) le direzioni politiche mostrino la tendenza ad accettare i processi di pacificazione imposti dall'imperialismo, è altrettanto vero che all'interno di questi movimenti si va sviluppando una riflessione sui limiti delle passate esperienze nel tentativo di riqualificarle e rilanciarle.
L'assenza sulla confusa scena balcanica di un identificabile referente di classe, la consapevolezza che deboli stati nazionali (come la Serbia) non possano dare risposte adeguate all'attacco neoliberista e che la via d'uscita da queste crisi (che continueranno a susseguirsi nell'Europa Orientale), è il rafforzamento dei legami del proletariato internazionale, non giustifica la collocazione impropria del movimento di liberazione kossovaro tra i nostri referenti. E' proprio questo "artificiale" movimento nazionale autoproclamatosi "unico rappresentante del popolo kossovaro" con il progetto della Grande Albania su base etnica, alle dirette dipendenze del Pentagono, che vorrebbe vanificare ogni speranza di reale autodeterminazione ed emancipazione sociale del proletariato kossovaro.
NATO
Nonostante gli stati imperialisti abbiano più volte dimostrato una certa flessibilità nel fare concessioni politiche a paesi "amici" anche se accusati di violare sistematicamente i diritti civili e umani (vedi Turchia) e storicamente abbiano beneficiato di un atteggiamento favorevole dell'ONU nel mantenimento delle politiche coloniali, in questa occasione hanno preferito superare i preamboli diplomatici, costituiti dal possibile veto di Cina e Russia, spostando l'attenzione sulla pianificazione della distruzione della Jugoslavia.

Il primo intervento coordinato dei paesi aderenti al Patto Atlantico per imporre la stabilizzazione dell'area, o per meglio dire, attuare la distruzione delle forme socio-economiche esistenti e sostituirle con altre, nonostante una sua apparente omogeneità nel colpire senza tregua le strutture civili e industriali Jugoslave, mostra alcune contraddizioni.
Questa nuova divisione dell'Europa in micro Stati e zone di libero scambio con il controllo diretto delle dogane impone un ripensamento della " dottrina della sicurezza", che delegava agli USA la pratica della coercizione bellica contro gli oppositori del modello capitalistico. La crescita dell'imperialismo Europeo in termini qualitativi e quindi espansionistici costringe le superpotenze ad accelerare un processo di riequilibrio dei poteri anche sotto l'aspetto militare.

Due nuove ipotesi si contrappongono nel sotterraneo conflitto inter-imperialista per la divisione delle aree di controllo, per la bonifica delle zone distrutte, nella lotta per il monopolio delle vie commerciali di flusso. L'asse angloamericano, auspica sia un rafforzamento della capacità deterrente dei paesi Europei, attraverso nuovi stanziamenti alla difesa verso il livello americano, sia una radicale riforma delle forze armate sotto il controllo logistico e strategico degli Stati Uniti.
Viceversa, altri paesi europei dopo avere partecipato all'operazione vedono nell'immediato la possibilità di un rafforzamento del progetto di difesa comune europeo. Dopo Maastricht e l'unità monetaria, il coordinamento delle forze di polizia e il controllo comune delle frontiere, la guerra diventa il nuovo motore della difficoltosa integrazione europea. I capi di stato maggiore insistono sullo sviluppo immediato di un progetto di difesa, industriale e tecnologica, che preveda la creazione di un comitato politico per la sicurezza, una sala operativa comune e un servizio di informazioni della difesa Europea e una capacità militare autonoma dalla NATO. Questo risvolto del conflitto che vede opporsi i paesi orbitanti nell'area del dollaro e quelli dell'euro ricadrà dentro gli assetti futuri della NATO ancora sotto il controllo angloamericano. L'Italia per il suo posizionamento strategico sull'asse Adriatico-Albania-Mar Nero, riveste un ruolo primario nelle strategie di penetrazione imperialistica ad Est. Anche l'ONU dopo avere legittimato la NATO come organismo di intervento Regionale e avere svelato la sua vera natura si prepara a diventare da forza di interposizione a contingente di pronto intervento con poteri coercitivi in Asia e Sudamerica.

Il governo italiano

Non destano stupore gli atteggiamenti assunti dal governo di centrosinistra italiano, dai laburisti inglesi, dai socialdemocratici tedeschi, dai socialisti francesi, nei confronti della guerra.
Queste forze della sinistra riformista hanno ereditato dai governi conservatori precedenti il compito di portare i rispettivi paesi nell'area della moneta unica e della globalizzazione economica.
Lo slogan "sviluppo e uguaglianza" lanciato strumentalmente dalle centrali sindacali e perno centrale dell'agire del governo D'Alema è il paradigma di questa fase che vede mondo politico, sistema industriale e organizzazioni dei lavoratori convergere sulla necessità imperativa di allargare i mercati per le imprese italiane e controllare le dinamiche del lavoro. Dai sistemi conservatori che hanno fatto la politica dell'impresa negli anni 70/80 hanno ereditato gli uomini di punta, tecnici come Dini, Fazio, Ciampi, e dalla propria esperienza e conoscenza la capacità e l'intelligenza di imporre senza apparenti scosse sociali la subordinazione del lavoro al capitale.
Questi partiti eredi di una fase storica che offriva la possibilità oggettiva alla crescita del riformismo, dopo aver tenuto legata la lotta di classe alla società borghese e dimostrato l'incapacità di attaccare il peso sociale del capitalismo sono stati legittimati a diventare gruppo dirigente in una nuova fase.
Il PDS e le organizzazioni sindacali confederali dopo essersi attivati in ogni modo per organizzare la classe operaia a lottare contro gli elementi rivoluzionari e a integrarsi nella società borghese sono diventati il referente privilegiato di un mondo industrial-finanziario che affida ad essi il processo di riforma strutturale del mercato del lavoro.
Il patto sociale, la concertazione sindacale, la fine della scala mobile, le privatizzazioni, la flessibilità, la riduzione del diritto di sciopero, la legge sulle pensioni sono gli obiettivi politici messi sul vassoio di CONFINDUSTRIA per continuare abusivamente a rappresentare la classe operaia e il mondo del lavoro nel nostro paese.

Non stupisce quindi che chi ha rifiutato in passato di partecipare alla distruzione del capitalismo e delle sue leggi di dominio e oppressione lavori per condurre le masse ad accettare e a subire passivamente le conseguenze della guerra. Ai lavoratori, costretti dalla disinformazione diffusa dal sindacato dentro le fabbriche, e dai media dentro le case, ad assentarsi dal movimento contro l'intervento militare italiano in Jugoslavia, non è stato ricordato che l'isolamento del proletariato serbo è la cartina tornasole della sconfitta delle forze operaie in Italia.

Questo tentativo, sorretto dall'insieme degli apparati ideologici di potere, dal sindacato all'istituzione universitaria, non solo si è reso funzionale all'aggressione bellica ma è anche strumento per preparare il proletariato delle metropoli imperialiste alle ricadute sociali ed economiche di questa guerra.
Questa guerra servita ad accumulare esperienza per le nuove sfide del capitalismo contro i poveri, gli immigrati e gli sfruttati e a rilanciare, attraverso la ricostruzione, economie in crisi di paesi come l'Italia, ha decretato il rilancio in grande stile dell'economia militare.

Il Ministro della Difesa ha in progetto di aumentare le spesi militari, che già impongono sacrifici popolari per 21000 miliardi, dell'1,5%. Il settore militare in Italia vede attualmente occupati 34000 lavoratori; FINMECCANICA e Fiat concentrano il grosso della produzione, ma emergono altre aziende in forte rilancio come la Beretta, il Gruppo Macchi, Alenia, Marconi. La Cagiva sta sperimentando la produzione di una linea di motociclette speciali, adatte ad essere paracadutate dagli aerei. La FINMECCANICA e la British Airwais hanno concluso un accordo per la costruzione di velivoli da caccia. Il governo Italiano e quello Statunitense stanno cooperando per la progettazione di nuovi e sofisticati missili terra -aria.
Le aziende che si convertono al settore militare sono in continuo aumento e in Parlamento è pronto un disegno di legge per costituire un'agenzia di supporto che aiuti le piccole e medie aziende ad accedere ai finanziamenti pubblici per la ricerca, l'export e lo sviluppo di nuovi prodotti.
Il Governo Italiano in questa fase sta rivestendo nel settore del mercato militare una triplice funzione: AZIONISTA, CLIENTE E VENDITORE.

Le ipocrite giustificazioni umanitarie di questo intervento militare nel Kossovo nascondono in realtà una corsa al riarmo funzionale agli impegni presi dal governo nei confronti degli industriali e delle politiche comunitarie.

Riflessioni

Il limite del fronte antimperialista e anticapitalista sta nel non essere riusciti a riconoscere in questa aggressione un attacco contro il proletariato mondiale.
La minima e minoritaria consistenza dei movimenti rivoluzionari Europei ha lasciato mano libera alle azioni militari e alle imposizioni politiche. Nonostante ciò nel nostro paese si sono sviluppate numerose forme di lotta e resistenza.
I momenti organizzati nelle metropoli come i coordinamenti, le manifestazioni e i presidi, la capacità di portare a risultato lo sciopero generale del 13 maggio, la solidarietà diretta ai lavoratori della Zastava, sono alcuni esempi che andranno in seguito valorizzati e capitalizzati, evidenziandone ed innalzandone il carattere politico.

L'aspetto nuovo all'interno del movimento contro la guerra imperialista sta nell'essere stato capace a differenza del recente passato ( es. Guerra contro l'Iraq) di esprimere forme di critica autonomamente organizzata, azioni dirette contro i responsabili ed i sostenitori dell'intervento, in primo luogo il Governo D'Alema , i sindacati confederali, la presenza NATO in Italia.

Il lavoro di ricostruzione del movimento rivoluzionario metropolitano e un reale progetto di critica e trasformazione dello stato capitalista è una delle priorità che dobbiamo affrontare per rovesciare le tendenze di retroguardia come l'esasperato pacifismo o l'accomodamento dentro il potere costituito.

L'apertura di una discussione fra le diverse situazioni che esprimono quotidianamente forme di resistenza alle politiche padronali e del governo è il preludio alla creazione di un movimento di vasta portata che voglia essere protagonista nello scontro di classe che appare oramai irrimandabile.
E' sul terreno delle ricadute che immediatamente colpiscono il proletariato europeo ed internazionale, conseguenza diretta ed indiretta dei costi di guerra, che occorre mantenere viva la mobilitazione e la critica cercando di dare a questa una dimensione di ampio respiro , mettendo in evidenza le similitudini degli attacchi alla classe nell'intero pianeta.
Questo lo cogliamo da subito negli elementi contenuti nel documento di programmazione economico-finanziario presentato dal Governo Italiano del tutto simili a quelli contenuti nella legge finanziaria del Governo tedesco di Schroeder anch'esso socialdemocratico; delibere e leggi che intensificano l'attacco allo stato sociale , ai lavoratori, ai salari, alle pensioni.

Sviluppare momenti comuni di lotta e mobilitazione, anche a dimensione transnazionale, sul terreno delle politiche del lavoro , evidenziando l'antagonismo tra gli interessi primari del Capitale e quelli della forza lavoro, con la critica delle politiche neoliberiste di privatizzazione delle aziende pubbliche e la lotta contro la flessibilità e la precarietà diffusa, è l'obiettivo che dobbiamo iniziare a porci collettivamente.

Milano, 1 settembre 1999
Collettivo internazionalista della Panetteria Occupata
Via Conte Rosso 20 - 20100 MILANO Italia



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