Senza Censura n. 1/2000


[ ] Repressione e lotte: una questione di prospettiva

In questo periodo gli stati europei sono impegnati in una completa ridefinizione dei loro assetti nazionali e comunitari. Da un lato ristrutturazione del lavoro e compatibilizzazione dei segmenti sociali che a questi progetti si oppongono; dall'altro, costruzione dello stato forte, esercito professionale organizzato in funzione aggressiva verso l'esterno e in funzione antiguerriglia e di "emergenza" all'interno del paese, polizia europea e coordinamento degli organismi della repressione (unico punto varato da subito e senza indugi all'interno del progetto di Unione Europea).

In questo scenario, sempre più vasti settori devono fare i conti con la precarizzazione del lavoro e con la chiusura di spazi di agibilità politica o anche semplicemente di vivibilità.
Un po' ovunque quindi si sviluppano momenti di scontro fra chi si pone quotidianamente il problema di sostenere il conflitto da un punto di vista non compatibile con lo stato, chi individua e sostiene terreni di lotta, garantendo inoltre la memoria delle lotte passate, da una parte; e la controrivoluzione e la repressione dall'altra.

Evidentemente la repressione va a colpire particolarmente quelle situazioni che risultano impermeabili a qualsiasi tentativo di ricondurle a un piano di compatibilità.
Di questo tipo di operazioni a ben guardare ne è piena la cronaca di tutti i giorni, e non basterebbe certo una rivista quadrimestrale a contenerle tutte; tuttavia pubblichiamo in questa sezione vari materiali che forniscono un quadro abbastanza preciso del livello repressivo che è in atto in Italia, così come in Europa e nel mondo, e di quanto questo livello sia determinato in funzione preventiva.

Di quanto cioè le operazioni che la repressione porta a termine non siano azioni giuridiche contro singoli avvenimenti, ma vengano decise in campo controrivoluzionario per fungere da deterrente alle lotte; per creare isolamento di quei settori e situazioni che le portano avanti in maniera radicale; per costituire una minaccia all'incolumità di chi le sostiene; per garantire l'annientamento di chi è prigioniero in quanto collocatosi dalla parte di queste lotte; per garantire allo stato il monopolio dell'informazione su quel che avviene in tal senso.
Così in tutt'Europa si sviluppano inchieste machiavelliche per criminalizzare chi si oppone; gli articoli di legge contro le "associazioni sovversive" vanno un po' ovunque per la maggiore. L'italiano 270bis, o i suoi omonimi tedesco, francese, irlandese, inglese, ecc, sono, sempre più, modello di gestione delle punte del conflitto; quest'articolo viene guardacaso recentemente esportato nell'ordinamento legale turco, assieme a tutta la legislazione "dell'emergenza".

Le inchieste che ne vengono fuori si basano su fatti altrimenti non significativi legalmente, leggi la recentissima inchiesta contro i compagni della rivista "Quemada"; su dichiarazioni di pentiti, o fatti successi decenni fa, come i recenti pesanti episodi repressivi accaduti a Berlin, al centro alternativo Meringhof e con i successivi arresti di compagni accusati di appartenenza a RZ; su dichiarazioni di falsi pentiti, lampante su questo l'inchiesta contro i compagni anarchici sviluppatasi in Italia negli ultimi anni; su campagne stampa costruite ad oc, come nel caso dell'inchiesta contro i CARC; su teoremi deliranti che inventano fantomatici "centri di direzione delle lotte", come hanno provato a fare parlando di "eversione toscana" e andando nelle case di compagni impegnati nelle lotte sul lavoro e sul territorio, o ancora con l'inchiesta contro gli anarchici.

Eccetera.

Così in Palestina il solo fatto di dichiararsi pubblicamente contro gli accordi di Oslo costituisce materia sufficiente per venire arrestati dalla stessa autorità palestinese.
Così in tutt'Europa vengono colpiti con vigliaccheria e premeditazione i rivoluzionari che non accettano di piegarsi; Horst Mayer, militante tedesco, viene assassinato a sangue freddo pochi mesi fa in Austria; Maurizio Ferrari viene aggredito lo scorso dicembre nel carcere di Novara, senza alcun motivo di rilievo.
Così i prigionieri sono costantemente obiettivo di rappresaglie, e il loro annientamento psicofisico è la ricetta base che il capitale adopera per la gestione della contraddizione rappresentata ed evidenziata dalla loro condizione di prigionieri politici.

E ancora da questo ecco svilupparsi delle lotte all'interno delle carceri, contro l'isolamento e i regimi speciali di detenzione, in Germania e altri stati europei, ad opera di militanti del DHKP-C; lotte che inevitabilmente prendono l'unica forma attualmente proponibile, quella dello sciopero della fame e della sete; lotte che partono da una situazione o da un prigioniero per essere raccolte da centinaia di altri rivoluzionari prigionieri; lotte che evidenziano a tal punto le contraddizioni che il capitale tenta di nascondere, da indurlo a sospendere quelle misure repressive che risultano ingestibili perfino nei confronti della società borghese.

Così, dopo più di sessanta giorni di sciopero della fame, Ylhan Yelkuvan, militante del DHKP-C a cui si sono uniti molti prigionieri turchi in Germania, Francia, Belgio, e un paio di migliaia in Turchia, ha visto accettare dallo stato tedesco tutte le condizioni che aveva posto per interrompere lo sciopero.
I materiali che qui pubblichiamo rendono evidente anche come l'agire della repressione sia a questo punto completamente deciso e coordinato a livello sovranazionale; dall'assassinio in Austria di Horst, ad arresti di compagni tedeschi avvenuti in Francia, alla compagna palestinese arrestata in Austria, ai militanti turchi arrestati in svizzera su mandato tedesco, agli interrogatori congiunti attuati dalle polizie di vari paesi europei ai danni di militanti turchi o baschi, risulta evidente che la costruzione di un apparato repressivo internazionale è un dato di fatto con cui fare obbligatoriamente i conti.

Indipendentemente da quali lotte si stiano conducendo, il terreno della repressione, di una repressione decisa a livello sovranazionale, diventa sempre più il terreno con cui tutti i rivoluzionari si trovano a confrontarsi; tassativamente, dato che per portare a compimento i suoi progetti, il capitale ha la necessità di annientare, di dichiarare impossibile, ogni esperienza che si ponga in una prospettiva di trasformazione radicale.

Capire quindi quali sono le caratteristiche costanti nell'iniziativa della repressione, analizzarne la complessità, significa contribuire alla costruzione di strumenti utili a tutti coloro che lottano; vuol dire costruire la consapevolezza che attrezzarsi alla lotta deve significare attrezzarsi a sostenere i livelli di repressione che vengono dispiegati per annientarla.
Questo lavoro di analisi, di ricostruzione del quadro in cui ci muoviamo, prende forma tridimensionale, prende la giusta prospettiva, quando guardiamo non solamente ai fatti di casa nostra, ma all'insieme dell'azione repressiva a livello internazionale e laddove questa viene decisa e progettata.



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