Senza Censura n. 2/2000

[ ] Trasporti e diritto di sciopero


Dietro la carota dei diritti (negati) il bastone dei doveri (imposti)

L'evoluzione della legislazione in materia di sciopero passa da una funzione di regolazione istituzionale del conflitto ad una prettamente reazionaria di liquidazione del diritto. Questo passaggio viene gestito principalmente dalla sinistra, anche nella rottura di spessore costituzionale. Non è un caso se la "commissione di garanzia" si impervia in "giuristi progressisti" come Giugni e Rescigno, mentre è grazie ai Consigli dei Ministri di centrosinistra che abbiamo un'accelerazione dell'iter procedurale per l'approvazione delle leggi "liberticide", mediante decreti legge, disegni di legge e presentazione in Parlamento fino al voto coatto, scavalcando anche l'ordine del giorno parlamentare, persino al di là del vento di crisi che ha espulso D'Alema dall'Esecutivo per riconsegnarlo di nuovo ai Tecnocrati di Tangentopoli con il governo Amato.
Ovviamente si potrebbe disquisire sul meccanismo che prevede la restrizione di un diritto fondamentale quale quello dello sciopero fino a farlo sembrare un simulacro, l'ombra di un diritto.

Ma non è questa la finalità di queste note di commento. La questione centrale che va posta all'attenzione dei lavoratori e dei compagni è la progressiva dilatazione degli elementi di coercizione contrapposta all'esercizio degli spazi di democrazia borghese. La progressiva liquidazione dell'agibilità politica e il sovvertimento delle regole del diritto stesso; entrano in gioco fattori di capovolgimento dell'ordine di percezione di rapporti sociali tra classi. Ad esempio l'azione dello sciopero viene proiettata (non solo teoricamente) nell'immaginario collettivo e nel sentire comune quale pregiudizio irreparabile ai "diritti di mobilità", di lavorare, una lesione permanente dei diritti sociali, tutto ciò quando è vero il contrario; non si prende in considerazione la realtà vertenziale che genera conflitto tra lavoratori e padroni, si prescinde dall'emergenza dei fattori sotto gli occhi di tutti: riduzione degli occupati, ristrutturazione selvaggia, vendita dei settori pregiati del patrimonio pubblico ai privati, vertenze di contrattazione sindacale.
Nulla deve risultare se non la lesione del diritto dei cittadini e la riprovazione verso "certe forme di lotta" (sic). Chiaramente si maschera la sproporzione esistente tra gli effetti e le cause di uno sciopero corporativo pur nel settore della mobilità) come quello dei gestori della distribuzione del carburante, o degli autotrasportatori in proprio o addirittura degli avvocati o dei giornalisti, rispetto a quello del settore aeroportuale, autoferro o delle ferrovie.

E proprio attorno ai trasporti va impostata l'attenzione critica e va sviluppata la capacità di resistenza e di rilancio dell'antagonismo. Se abbiamo assistito al valzer grottesco dell'informazione e degli intellettuali intorno alla lotta degli operai della Goodyear di Cisterna (LT) è per manipolare il messaggio che ciascuna lotta comunica e renderlo all'inverso percepibile come " de profundis della lotta di classe"; tutto in funzione dell'imput disinformativo: "E' finita la lotta di classe e gli operai sono in estinzione". Un messaggio ossessivo che va oltre la stessa urgenza del controllo sociale tocca i gangli della percezione collettiva. E quindi nella marcia a tappe forzate verso la globalizzazione e la immersione in apnea nella new economy non c'è spazio per una riflessione ponderata sulle ragioni della prolungata stagione di sciopero nei trasporti.
Non è lecito porsi la domanda del perché dal 1996 ad oggi il settore che più resiste alla ristrutturazione e alla privatizzazione è quello dei trasporti, viene spontaneo chiedersi come mai nei settori trainanti nelle lotte come i chimici e i metalmeccanici, hanno visto i propri comparti produttivi, le fabbriche e il modo di produzione radicalmente modificato, la stessa proprietà di stabilimenti e interi settori passare per mani diverse e non c'è stata la reazione di lotta, di risposta che si attendeva. Perché dunque la resistenza si è in parte attestata proprio su questo fronte di lotta? Forse perché essendo la mobilità collettiva un settore strategico è più facile il ricatto trasversale dello sciopero o del tutto contro tutti?
E allora perché la sanità e la scuola non rappresentano altrettanto efficacemente questa linea di demarcazione tra lotta e pacificazione? Si può presumere che sia più avanzata la coscienza del lavoratore per sé all'interno del settore dei trasporti?

Ma perché allora coesistono punte di resistenza delle categorie dei ferrovieri con spinte corporative che rimandano ad una dinamica di mestiere e di aristocrazia operaia?
Allora la risposta è nella natura stessa dell'attacco a tutto campo che mira alla disarticolazione dell'unità contrattuale del settore di trasporti.
Laddove la parte più asservita della stessa CGIL, quella cosiddetta "componente" di sinistra agitava proposte di contratti collettivi di comparto anziché di categoria. Proprio lì era più profondo il colpo di maglio delle privatizzazioni, del frazionamento e della divisione in settori e società diverse e concorrenti. La risposta di lotta è stato un percorso obbligato che ha sancito la linea di non ritorno del settore lavoratori del trasporto.

La dinamica degli scioperi anche duri, in contrapposizione radicale con la triade sindacale, ha unito e messo in comunicazione settori e componenti di base nel trasporto aereo, ferroviario, urbano e marittimo. Ma perché si è mirato da parte dei padroni a tenere scisse le ragioni delle resistenze dei lavoratori dalla sostanza dell'attacco strategico alle capacità di organizzazione e lotta, oggi siamo di fronte al disgregamento del disegno centrale, guidato da Confindustria e gestito dall'esecutivo e dal Parlamento che è quello di far passare attraverso la regolazione per legge dei conflitti in ogni settore del mercato del lavoro la vera essenza del disegno di liquidazione delle lotte e di azzeramento dei residui diritti conquistati dal movimento operaio quale estremo sacrificio sull'altare della flessibilità e in funzione del profitto.
Tale è la ossessiva ricetta per uscire dalla crisi peraltro strutturale e irreversibile. Questo passaggio che vede l'Italia del dopo Maastricht come esempio per il polo capitalistico europeo non è affatto sganciata dalle dinamiche neocorporative e repressive delle campagne referendarie e delle cordate parlamentari.

Nello specifico, come si può definire una legge sullo sciopero dei trasporti che riduce col meccanismo dei divieti e della franchigia a circa 40 giorni l'anno la facoltà dello sciopero, sempre in assenza di concomitanza o concentrazione tra scioperi in diversi settori del medesimo comparto dei trasporti, qualcosa fondato unicamente sulla regolamentazione di un conflitto pur aspro e tenace?

E ben oltre è il battistrada, per la normalizzazione dello scontro sindacale e non solo. E la cartina tornasole per la verifica dell'imposizione autoritaria della flessibilità del lavoro e dei lavoratori: flessibilità oraria, contrattuale, di carichi produttivi, di nocività, in una parola la desolidarizzazione e la desertificazione dei rapporti di produzione.
Ed ecco, puntualmente la spettacolarizzazione di tali passaggi anche attraverso l'emergere di nuovi capetti sindacali che dai salotti televisivi predicano la nuova era della lotta operaia o addirittura disarmante dinamica resistenziale pre-sessantottina: un ritorno a prima dell'autunno caldo. E pur tra precettazioni mascherate e linciaggi mediatici noi continuiamo a scioperare e i "padroni del ferriere" continuano il loro attacco quotidiano con sempre meno carote da offrire....

Un Ferroviere di Roma

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