Senza Censura n. 3/2000

[ ] Le ambizioni dell'Italia sulle rotte del petrolio



Dentro la competizione globale per le risorse strategiche e la definizione delle aree di influenza, emergono anche gli interessi italiani in Medio Oriente e Mar Caspio decisi ad entrare nel "Grande Gioco" del petrolio.

La politica internazionale dell'Italia dagli anni '90 in poi, sta giocando sostanzialmente su tre assi strategici:
1) La piena integrazione nell' unione monetaria e politica europea;
2) La creazione di una propria area di influenza politica, economica e militare nei Balcani ed in parte dell'Europa Orientale (la famosa ostpolitik italiana) che presuppone il rafforzamento e lo sviluppo della relazione "speciale" con la Russia;
3) La definizione di una propria area di influenza nell'area Mediterranea con consistenti proiezioni nella nuova geografia del petrolio che va ridefinendosi intorno alle repubbliche asiatiche dell'ex URSS.
Connesso e al di sopra di questi tre quadranti vi è l'ambizione di pesare di più - come media potenza aderente al G 7 - all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'ONU o comunque di impedire che la riforma delle Nazioni Unite premi le ambizioni di Germania e Giappone ma frustri quelle italiane.
Secondo alcuni studiosi, di queste tre cerchie della politica estera, "quella mediterranea resta quella più enigmatica".
Secondo Carlo Jean, testa d'uovo delle nuove ambizioni italiane, questa sfera della politica estera è addirittura contraddittoria : " Nel Mediterraneo l'Italia partecipa a istituzioni sub-regionali come il gruppo 5+5 del Mediterraneo - oggi dormiente - sia ad istituzioni europee come la Partnership euro-mediterranea ed infine ad istituzioni più globali come la NATO o la Banca per il Medio Oriente e il Nord Africa...Tali istituzioni non solo sono complementari ma anche competitive tra di loro".
Mentre la "politica estera" sta cercando di definire la sua strategia globale, l'ENI dilaga in tutto il Medio Oriente, nel Mediterraneo Sud, nelle repubbliche dell'Asia centrale ex-sovietica e nei paesi africani, stringendo accordi, firmando contratti plurimiliardari, inserendosi nella spartizione delle risorse petrolifere e di gas in tutta l'area.
In sostanza, il grande capitale ancora una volta guida e anticipa la politica estera italiana. Ai governi non resta che adeguarsi alla dislocazione degli interessi strategici del capitale finanziario stabilendo le priorità sulla base di questi ultimi. Quanto sta accadendo nelle relazioni tra l'Italia e il Medio Oriente è emblematico di questa realtà.

La priorità della filiera petrolifera
Con i processi di privatizzazione e liberalizzazione imposti dal FMI e dall'OMC ai paesi del Maghreb e del Makresch, gli spazi per la penetrazione capitalista nella regione mediterranea, si sono allargati. In questi spazi si è inserito con forza anche il capitalismo italiano, soprattutto nei settori delle risorse energetiche (petrolio, gas), in quello crescente delle telecomunicazioni e nella filiera tradizionale del tessile-cuoio. Da segnalare la crescente presenza della Fiat in Marocco, Algeria, Turchia.
La filiera principale nelle relazioni economiche tra l'Italia e il Medio Oriente resta quella del petrolio (e del gas) anche in relazione alla crescita degli investimenti nell'area del Mar Caspio e alla conseguente rete di pipelines che attraversano o raggiungono i paesi del Mediterraneo Sud.
Le relazioni economiche e politiche dell'Italia con i paesi mediterranei e mediorientali sono cresciute o si sono mantenute anche nel caso di paesi "critici" per le relazioni con gli Stati Uniti (come Libia, Iraq, Iran, Siria) e per la situazione interna (Algeria).
Si tratta - ad esclusione della Siria - di quattro paesi petroliferi strategici per l'Italia. Nonostante le sanzioni richieste ed imposte dagli Stati Uniti, l'Italia ha continuato ad importare quote crescenti di petrolio sia dalla Libia che dall'Iran oltrechè da un paese "a rischio" come l'Algeria.

Una competizione crescente tra Italia, Stati Uniti ed Europa
Queste relazioni consolidate tra Italia, Libia, Iran, Siria sono state al centro di aspre tensioni con gli Stati Uniti e, più complessivamente tra Unione Europea e USA (vedi il "dialogo critico" con l'Iran e l'opposizione europea a nuovi attacchi militari americani contro l'Iraq) indicano la più aperta e complessiva divergenza di interessi sulla gestione del "processo di pace" in Medio Oriente segnata dall'egemonia statunitense e dalla marginalizzazione dell'Europa.
Il progetto di integrazione dei "Paesi Terzi Mediterranei" nel mercato comune con l'Unione Europea previsto per il 2010 (deciso alla Conferenza Euromediterranea di Barcellona nel '95), rappresenta una sfida aperta all'egemonia statunitense nel bacino Mediterraneo.
Un anno prima, infatti, ad Amman, gli USA e Israele avevano dato vita ad una Conferenza economica dei paesi dell'area e ad una banca regionale di sviluppo che ha visto l'ostilità dei paesi europei. In quella occasione, soprattutto su pressione dei vertici dell'ENI, l'Italia ruppe il fronte europeo, partecipò alla conferenza e decise di entrare nella Banca Regionale di Sviluppo per il Mediterraneo e il Medio Oriente con una rilevante quota di capitali collocandosi al quarto posto tra i paesi "azionisti" della Banca.
La divergenza politica dell'Italia con gli Stati Uniti nell'area mediterranea, è diventata sempre più palpabile e non può che crescere.
Da questo punto di vista il governo di centro-sinistra ha avviato dei passi significativi.
Prima il "disgelo" nelle relazioni con l'Iran e la Libia (paesi da almeno venti anni sulla "lista nera" del Dipartimento di Stato USA), poi la ripresa ufficiale delle relazioni diplomatiche con questi due paesi senza trascurare i contatti informali con l'Iraq in attesa di vantaggiosi contratti quando il petrolio irakeno potrà tornare sul mercato.
Con l'uscita pubblica di questa posizione, l'Italia ha portato allo scoperto il suo interesse strategico nelle relazioni con alcuni tra i più importanti paesi petroliferi dell'area. Dini afferma così che il Mediterraneo torna ad essere "area di interesse prioritario per l'Italia". Ma questo interesse entra in rotta di collisione con la politica statunitense che punta invece ad isolare e strangolare proprio tre dei principali paesi fornitori di petrolio dell'Italia.
Due mesi dopo, nei colloqui tra Dini e il Segretario di Stato americano Albright, la divergenza di posizioni sulle relazioni con i tre paesi mediorientali si palesa chiaramente.

Aumenta l'attività delle multinazionali italiane nel Medio Oriente e nel Mediterraneo Sud
La cosidetta "vocazione mediterranea" dell'Italia sta tornando ad essere prioritaria nella agenda della politica estera e dell'espansione economica italiana. Dopo anni in cui i gruppi capitalisti italiani si erano limitati a gestire una parte del mercato di petrolio e le commesse per grandi opere in Medio Oriente senza mai "disturbare il manovratore" USA nella regione, oggi l'imperialismo italiano punta esplicitamente a costruirsi una sua area di influenza e spartizione sia nelle aree petrolifere (non solo il Medio Oriente ma anche i nuovi mercati nell'area del Mar Caspio) sia nel sistema delle filiere mondiali di produzione.
Il Medio Oriente, rappresenta la quarta area del mondo negli Investimenti Diretti Esteri (IDE) italiani per numero di imprese e di lavoratori alle dipendenze di società italiane. In questo senso, il "Vicino Oriente" supera anche l'Asia. Ma il Medio Oriente supera anche l'America Latina e l'Europa dell'Est per la qualità degli investimenti esteri italiani. Infatti nelle alte tecnologie (legate soprattutto alla filiera del petrolio) vi sono più occupati in imprese italiane nella regione mediorientale che nelle due regioni a forti investimenti italiani come quella latinoamericana ed est-europea.

Sergio Carraro
(redazione di Contropiano)


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