Senza Censura n. 4/2001

[ ] La lotta palestinese e il quadro internazionale



Dall'inizio dell'intifada Al-Aqsa ad oggi continua ad essere alto il livello di conflittualità non solo in Palestina ma nel mondo arabo nel suo complesso.
Sono però cambiate profondamente, com'era inevitabile, le modalità dello scontro in atto. Questo rende indispensabile tentare di analizzare questa conflittualità nelle sue componenti strutturali per cercare di comprendere alla luce di una dialettica reale le prospettive della lotta antimperialista non solo nel mondo arabo. Pensiamo che questa intervista con Adel Samara, intellettuale palestinese marxista, una volta volta vicino al FPLP, possa rappresentare un utile contributo in questo senso.
Ad Adel Samara, direttore della casa editrice Al-Mshriq ed economista, abbiamo chiesto come valutasse la situazione attuale.

La valutazione non può che dipendere dalla tua strategia generale: se credi negli accordi di Oslo, se la tua strategia è quella che io chiamo "pace per il capitale", allora puoi pensare che la situazione è complessa o si è deteriorata.
Oppure la tua strategia può essere diversa e basarsi sulla convinzione che non esiste possibilità di pace con lo stato askenazi-sionista perché è un regime di occupazione coloniale che persegue l'obiettivo di uno stato esclusivamente ebraico, che ha scelto di essere lo strumento dell'imperialismo nella regione, che vuole tutta la Palestina, che è fermamente contrario al ritorno dei rifugiati palestinesi e che, oltre a tutto questo, vuole la normalizzazione con i paesi arabi.
Se hai la chiara visione che questo stato non vuole la pace, che il problema non sono Barak o Sharon perché questa è una società complessivamente di destra che ha i suoi buoni motivi per non volere la pace perché è sufficientemente forte per farlo, allora tutto risulta chiaro e semplice da capire.
Quindi ci sono due approcci alla questione: chi vuole la "pace per il capitale" ha ragione di lamentarsi perché quest'ipotesi è in crisi, ma chi ha una lucida visione della situazione non può trovare nulla di strano in quanto sta avvenendo, a partire dalla vittoria di Sharon alle elezioni. Sharon ha vinto perché rappresenta il tipico israeliano e le sue aspirazioni.
Il dramma per i regimi arabi, compresa l'A.P., e quella parte di intellettuali arabi che ha sostenuto Oslo, è quello di aver sperato di ottenere gratis qualcosa, e questo non è possibile.

Una volta hai detto che dopo gli accordi di Oslo la questione palestinese non era più centrale. Questa intifada ha modificato in qualche modo la tua considerazione?
All'inizio questa intifada è stata una vera e propria sollevazione popolare ma in seguito è stata strumentalizzata dall'A.P.
Il problema è che anche la sinistra non sta dicendo la verità alla gente, e cioè che questa intifada per certi versi è stata provocata dagli israeliani deliberatamente non solo con la visita di Sharon ad Al-Aqsa, ma dal governo Barak e dalla sua volontà di portare morte e distruzione tra i palestinesi per renderli pronti ad accettare un infimo livello di accordi, così come l'A.P. ha cercato di sfruttare questa intifada per migliorare la sua posizione al tavolo dei negoziati e tra la gente.
Allo stesso modo anche le altre organizzazioni hanno cercato di rafforzarsi e usarla a proprio vantaggio.
Dopo il primo mese Arafat, con la sua organizzazione Tanzim, ha iniziato il confronto con l'esercito israeliano.
Da questo momento in poi non si può più parlare di sollevazione popolare spontanea, cioè di intifada.

Ma non sono solo i Tanzim a portare avanti la lotta armata contro gli israeliani.
E' vero, io però mi riferisco a quanto sta avvenendo nelle aree sotto il controllo dell'A.P., agli scontri con l'esercito israeliano che avvengono al confine di queste aree.
L'intifada è iniziata invece come uno scontro sociale e popolare contro l'occupazione, a cui gli israeliani hanno risposto con un enorme uso della forza.
Quello che sta portando avanti Arafat ora alimenta l'immagine che esistano 2 stati e che lo scontro avviene al confine. E questo non è la realtà, perché gli israeliani occupano tutta la Palestina.
Arafat ha chiesto ai suoi di usare le armi per dare l'impressione di combattere per conto delle masse, il che è falso perché ogni fucile di Arafat è stato comprato dagli israeliani, e di conseguenza nulla di quello che sta facendo può nuocere veramente agli israeliani perché rimane comunque confinato al quadro degli accordi di Oslo.
In sintesi, una sollevazione popolare che è nata contro Oslo ora viene sfruttata per implementare Oslo.
Per quanto riguarda le operazioni militari a cui facevi riferimento, come quelle di Hamas, è vero che sono qualcosa di completamente diverso, ma non hanno nulla a che vedere con l'intifada.
Si tratta di lotta armata contro l'occupazione, un elemento che deve essere sempre presente. Le operazioni di Hamas o del FP-CG non fanno parte dell'intifada ma della strategia generale di lotta armata che è il normale rapporto con l'occupazione.

E' vero, ma negli ultimi anni non si può dire che lotta armata contro l'occupazione abbia avuto momenti di grande intensità: per esempio Hamas dal 96 ha fatto solamente poche piccole operazioni, mentre ora sembra le abbia intensificate.
Non penso che Hamas abbia intensificato le operazioni militari a causa dell'intifada. La strategia di lotta armata delle organizzazioni ha il suo sviluppo, i suoi tempi, le sue pause legate a diversi fattori. Aver intensificato le azioni miliari a causa dell'intifada sarebbe un errore da parte di Hamas.

Quindi secondo te c'é una netta separazione tra l'intifada e la lotta armata?
Quello che intendo dire è che l'intifada può esserci oggi e concludersi domani, la lotta armata deve avere una sua prospettiva.
Le azioni militari possono intensificarsi oggi e diminuire domani, ma devono continuare sempre. Non possono interrompersi quando si interrompe l'intifada.
E soprattutto, a differenza dell'intifada, non possono essere controllate dal regime di Arafat.
Questo è il problema di questa intifada, che alla fine è stata controllata dal regime dell'A.P., cioè dal regime di Oslo.
E questo purtroppo è un regime catastrofico. L'intifada dovrebbe distruggere questo regime, non offrirgli nuovo sangue.
In questa intifada un'enorme quantità di gente è stata uccisa ogni giorno. Che senso hanno avuto tutte queste morti? Erano molto meglio, molto più produttive le operazioni militari di questa ecatombe per un regime asservito all'imperialismo. Potrei capire se si trattasse di un governo rivoluzionario, invece stiamo parlando di un regime che è uno strumento degli israeliani. Ma il problema è che anche le altre organizzazioni politiche sono state manovrate dall'A.P., e l'A.P. non può uscire dal tracciato di Oslo e muoversi realmente contro di esso.

Non vedi la possibilità che questo quadro venga destabilizzato da un intensificarsi del coordinamento tra le organizzazioni e i movimenti che a livello regionale contrastano la normalizzazione dei rapporti con lo stato sionista e la penetrazione imperialista?
Esistono due strade rispetto a questo: quella che cerca di ottenere qualche risultato a breve termine e quella che cerca di sviluppare qualcosa di più efficace e duraturo nel lungo periodo.
Purtroppo le organizzazioni palestinesi si muovono sulla prima strada, che in ultima analisi è quella che ha reso possibile Oslo.
Mi spiace dirlo, ma fino ad ora la nostra società è stata incapace di dar vita ad un movimento rivoluzionario.
Perché il segretario generale del FPLP (Abu Ali Mustafa - n.d.r.) si trova qui? Per combattere Oslo? E' una grossa falsità. E' venuto perché gli è stato permesso. Questo come potrebbe essere un fattore di mobilitazione contro Oslo. Non è credibile.
Finché questa sinistra sarà in buoni rapporti con il regime avrà una funzione di freno rispetto alla possibilità di creare qualcosa di alternativo.
In realtà non esiste il FPLP. Ci sono solo degli uffici, leaders che parlano, ma nelle strade non c'è nulla! Per questo l'ultima intifada ha dato ad Arafat l'opportunità di mostrare che l'unica organizzazione sono i Tanzim di Fatah, e che gli altri seguono.
Questo è il risultato di un approccio che cerca qualche risultato in fretta. E con Sharon primo ministro sarà ancora più evidente, perché Sharon, come tutti gli israeliani, non ha alcuna intenzione di farla finita con Oslo. Perché dovrebbe? Oslo per gli israeliani è la manna dal cielo. Quello che Sharon farà sarà inquadrare Oslo nella sua vera dimensione, trattando l'A.P. per quello che è: un regime fantoccio sotto il controllo degli israeliani.
Quando è iniziata questa intifada era contro Oslo e, almeno indirettamente, contro l'A.P., ma la sinistra non è stata capace di far emergere e stabilizzare questa posizione e ha dato l'opportunità ad Arafat di trarre vantaggio dalla situazione.
Rispetto all'altra strada, quella che potrà dare risultati significativi, si tratta di una guerra di lunga durata. Non c'è possibilità di soluzione a breve termine.
Finora i regimi e le organizzazioni arabe si sono mossi sul binario del minore rischio possibile: se gli israeliani sembrano calmi cercano di ottenere qualche concessione. Questa è merda che può portare solo ad un compromesso che legittima l'esistenza di "Israele" e il suo diritto ad occupare la Palestina.
Per questo è fondamentale capire capire che l'unica soluzione è una lunga guerra tra noi e lo stato sionista e l'imperialismo.
Per questo penso che l'unica strada sia il proseguimento della lotta armata, debole o forte che sia. Un'intifada che ha come risultato quello di far vedere in TV i palestinesi che vengono uccisi non può essere la strada giusta. Non si capisce a cosa serva. A farci mandare dai paesi arabi dei soldi che finiscono nelle tasche dell'A.P.?
La strategia di lotta di massa oggi più valida è, secondo me, quella che sta iniziando a prendere piede nei paesi arabi, la strategia anti-normalizzazione. Le masse arabe stanno creando, a partire dalle piccole cose, una nuova realtà che ha alla sua base il fatto che noi, popoli arabi siamo contro qualsiasi forma di normalizzazione con "Israele". Questa nuova realtà è molto importante!
Purtroppo le organizzazioni palestinesi non ne hanno la consapevolezza, a differenza dei regimi arabi che ne hanno compreso molto bene le implicazioni. Infatti il regime giordano sta uccidendo la gente per contrastare queste spinte.
La sinistra palestinese, invece, è così debole che non riesce nemmeno a fare un'analisi adeguata, non dico sviluppare una strategia di guerriglia.
Fino a che la sinistra palestinese lavorerà con Arafat sarà in prima persona responsabile della repressione contro chi si oppone alla normalizzazione.
L'unica strada che potrà risollevare il mondo arabo è quella di potenziare i movimenti anti-normalizzazione, che sono la risposta popolare alla pacificazione con il regime askenazi-sionista e rappresentano una strategia di lungo periodo, come di lungo periodo sarà inevitabilmente questo conflitto. Non esistono scorciatoie!
Non c'é nulla di complesso da capire. Chi sostiene che la situazione è complicata non fa che mentire. I sionisti ci stanno dicendo: noi siamo i più forti, quando sarete forti quanto noi tornate e parleremo. Finché sarete deboli continueremo a darvi dei calci in bocca.

Quello che hai detto del FPLP secondo te va esteso anche al FP-CG, Hamas e la Jihad islamica?
Il FP-CG in Palestina praticamente non c'è.
A parte questo, negli anni 80 era un'organizzazione marxista, ora è diventato un'organizzazione islamica.
Non voglio dire che non sia legittimo cambiare posizione, ma non mi sono chiari i motivi di questa scelta. Non sono circolati documenti o dichiarazioni che la spiegassero.

Ma non pensi sia utile un coordinamento con le organizzazioni islamiste?
Non sono contrario a questo tipo di coordinamento, ma questo non significa cambiare la propria ideologia.
Le organizzazioni islamiste che non accettino di coordinarsi con un gruppo di sinistra, a meno che non cambi la propria ideologia, non possono rappresentare una soluzione.

Ed Hezbollah?
Hezbollah non ha mai posto questo tipo di condizioni quando si è coordinato con il PCL.

Ritieni possibile che Hezbollah in futuro abbia un ruolo anche a livello regionale, in particolare in Palestina?
Mi piacerebbe, ma non sono convinto che le organizzazioni islamiste palestinesi siano pronte a comprendere il modo di pensare e il modo di lottare di Hezbollah.
Comunque lo spero, e per ora non ho elementi per giudicare, anche se temo che non essendosi mosse in questo senso all'inizio e finora non saranno in grado di adattarsi.
In ogni caso credo fermamente nell'importanza di un coordinamento tra organizzazioni islamiste dalla mentalità aperta come quella di Hezbollah, organizzazioni marxiste e organizzazioni nazionaliste radicali.
Questo è il tipo di coalizione di cui abbiamo bisogno, senza interferenze nelle rispettive ideologie.

Tornando alla penetrazione imperialista nella regione, quali sono le strategie in termini di sicurezza per garantirla? Si sta parlando già da tempo di ampliamento della NATO verso sud. Pensi che questa sarà una delle strategie significative?
L'imperialismo sta già proteggendo i suoi interessi nella regione molto efficacemente. Qualsiasi cosa faccia non parte certamente da zero. L'ultimo sviluppo significativo è stato l'occupazione militare dell'Arabia Saudita e della regione del Golfo.
Le forze militari statunitensi si trovano ancora nel Golfo anche se è evidente che dopo l'aggressione subita nel 91 l'Iraq non è in grado di esprimere azioni militari importanti.
Questa vera e propia occupazione militare è uno degli strumenti dell'imperialismo.
Un altro strumento è lo stato di "Israele" e la capacità di "Israele" di colpire militarmente la maggior parte dei paesi arabi in modo da fare il lavoro per conto dell'imperialismo. E questo ruolo di "Israele" non esclude l'occupazione diretta da parte degli Stati Uniti. Si tratta di 2 braccia di uno stesso corpo.
Un altro fattore di controllo è l'alleanza tra i "sub-imperialismi" nella regione, come "Israele" e la Turchia che stanno costruendo una forte alleanza strategica in modo da stringere in una tenaglia i paesi arabi, soprattutto quelli del lato orientale.
Questo riguarda le forze esterne al mondo arabo: l'intervento diretto dell'imperialismo, soprattutto americano, "Israele" e Turchia.
Ma ci sono anche le forze interne alla regione che stanno lavorando per conto dell'imperialismo: gli eserciti dei paesi arabi, soprattutto quelli del regime giordano, egiziano e dei regimi dell'area del Golfo che stanno facendo manovre congiunte ogni anno, il che significa che la leadership americana non solo conosce dettagliatamente le capacità di questi eserciti, ma anche ha compiuto un'azione di penetrazione e li usa direttamente.
Inoltre dobbiamo considerare l'azione di contenimento dei regimi arabi. Un classico esempio è quello dell'Iraq. Una delle articolazioni della strategia imperialista contro l'Iraq è il suo contenimento attraverso l'avvicinamento a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi con il regime egiziano,siriano e giordano. Come si spiegherebbe altrimenti questo improvviso legame quando né l'Iraq, né Egitto,Siria e Giordania hanno modificato le rispettive posizioni?
Perché Egitto, Siria e Giordania stanno dimostrando questa apertura senza precedenti nei confronti dell'Iraq?
Temo che questi regimi, in stretto coordinamento con l'imperialismo, soprattutto con gli Stati Uniti, stiano svolgendo un lavoro di contaminazione dell'atteggiamento iracheno. Non potendolo attaccare militarmente, lavoro che l'imperialismo svolge in proprio, cercano di infiltrarsi con altri mezzi nella mentalità della leadership irachena, proponendo nei fatti uno scambio tra apertura economica da un lato e dall'altro la disponibilità a non cercare un ruolo oltre i confini del proprio paese e anche all'interno del proprio paese a non esprimere una tendenza marcatamente e sostanzialmente antimperialista.
Tutti i fattori che ho elencato rendono inutile, almeno per il momento, pensare ad un ingresso dei paesi arabi nella NATO, anche perché questo scatenerebbe inevitabilmente le reazioni delle masse arabe che considerano la NATO un organismo nemico al servizio del capitale imperialista.
Abbiamo avuto un'esperienza di questo nel 1954-56, quando gli inglesi avevano tentato di costruire un'alleanza strategica tra Turchia, Giordania, Iraq ed "Israele". Ricordo bene in quel periodo come la reazione delle masse abbia impedito la formazione di questa alleanza. E' chiaro che dagli anni 50 ad oggi l'atteggiamento delle masse verso l'imperialismo non è cambiato, anzi l'avversione nei suoi confronti è aumentata. Quindi non penso sia facile per i regimi arabi diventare parte della NATO perché questo significherebbe un adeguamento della struttura di questi regimi alla nuova realtà e dovrebbe anche comportare una "rieducazione" delle masse così da diventare le parte orientale di uno schieramento militare occidentale. E questo non è così facile.
Ma questo non significa che l'imperialismo non stia cercando di fare, di sviluppare, di cambiare qualcosa per influenzare le popolazioni della regione. Uno di questi meccanismi è l'assistenza economica verso le popolazioni della regione. La maggior parte delle ONG stanno lavorando per influenzare la mentalità e la cultura della gente. E anche tutta la propaganda sui benefici del libero mercato mira a questo. Ma si tratta di un processo che richiede tempi lunghi.

Quindi pensi che il cosiddetto "dialogo euro-mediterraneo" abbia prevalentemente una funzione di penetrazione economica?
Penso che prima di tutto si debba operare una distinzione tra imperialismo anglo-americano e imperialismo europeo. Nel senso che operano attraverso sistemi diversi. L'Europa è presente nel mondo arabo (non uso il termine Medio Oriente perché si tratta di un concetto militare-strategico di origine britannica che non ha alcuna radice culturale e sociale) da moltissimo tempo. Come realtà coloniale e imperialista prima, poi ex-coloniale ed ex-imperialista e ora come realtà ex-coloniale ed ex-imperialista che cerca di rinnovare il suo ruolo. Comunque è qui, soprattutto per quanto riguarda le relazioni economiche.
L'import-export tra i paesi arabi e l'Europa è molto più alto di quello con gli Stati Uniti.
Intendi tutti i paesi arabi o solo quelli dell'area del Magreb?
No, tutti i paesi arabi. Anche lo scambio tra il Makhrek e l'Europa è superiore a quello con gli Stati Uniti.
A questo va aggiunto il fatto che l'odio a livello sociale per gli americani è molto più elevato di quello per gli europei.
Con gli europei c'è una relazione che va oltre il coordinamento dei regimi arabi in un sistema di sicurezza.
Gli europei sono parte della strategia americana per la regione, in ultima analisi, ma non sono completamente soddisfatti di questo ruolo, il che dà origine a contraddizioni, anche se secondarie.
Questo non significa non cogliere le responsabilità europee, ma analizzare correttamente una diversificazione.

L'imperialismo europeo e americano sono in grado di contenere, almeno per ora, con diversi mezzi lo svilupparsi di organizzazioni e movimenti in questa regione ma, attraverso vari canali, organizzazioni e movimenti radicali tendono ad ampliare la propria influenza verso l'Europa e gli Stati Uniti. E' ipotizzabile nel breve o medio periodo l'apertura di un altro fronte?
Non sono così convinto che da qui ci siano organizzazioni in grado di stabilire delle basi nel centro imperialista per aprire un altro fronte. Mi piacerebbe ma non credo esistano per il momento movimenti o organizzazioni che hanno la forza sufficiente per farlo.

Io mi riferisco soprattutto a coordinamenti come quello di Osama Bin Laden ....
Sì, ma anche l'Islam politico crea aggregazioni con realtà e comunità di questi paesi sulla base di affinità, quindi anche nel caso dell'islam politico quello che viene esportato nel centro è l'idea del coordinamento, non quadri o basi. Questo è possibile molto più che uno spostamento di persone che in realtà sono già controllatissime in partenza e difficilmente riescono a muoversi.
Quello che queste organizzazioni cercano di produrre è un cambiamento nella mentalità dei musulmani o degli arabi in occidente oltre che qui.
Ho potuto constatare come si stia formando una generazione di giovani musulmani molto consapevoli quando sono stato di recente negli Stati Uniti per alcune conferenze all'università. Ne ho incontrati moltissimi che sono nati lì e le cui famiglie si trovano lì da 2 o 3 generazioni. Sono molto rigorosi intelligenti e strettamente osservanti. Quando ho parlato loro di anti-normalizzazione imperialista hanno immediatamente compreso questo concetto anche se si trattava di un termine che non avevano sentito o utilizzato prima.


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