Senza Censura n. 4/2001

[ ] Usa: un altro prigioniero politico è morto!



"Organize, Educate, Liberate to Free Our Political Prisoners and Prisoners of War!"

Il 21 Gennaio 2001, un altro prigioniero politico è morto in una prigione dello Stato di New York. Il secondo in dieci mesi. Teddy Jah Heath, ex membro del Black Panther Party e del Black Liberation Army, è deceduto solo due mesi dopo che i dottori gli avevano diagnosticato un tumore al fegato. Teddy aveva passato dietro le sbarre 28 anni della sua vita.
Nove mesi prima, il 28 Aprile 2000, Albert Nuh Washington, anch'egli ex membro del Partito delle Pantere Nere e del Black Liberation Army moriva in carcere a causa di un cancro. Nuh aveva passato in cella gli ultimi 30 anni della sua vita.
La prima morte ha scosso tutta la comunità: mentre questi prigionieri politici stanno languendo nelle carceri, da nessuna parte vi è scritto che un ergastolo equivalga ad una sentenza capitale. Ma è con questo che dobbiamo confrontarci, misurarci.
La morte di Jah, dopo poco più di dieci mesi, ci impone di contrastare questa situazione nel modo corretto e nel più breve tempo possibile, perché i nostri prigionieri politici stanno facendo i conti con un modello repressivo ben preciso e determinato. A fronte di tutto questo, si fa quanto mai necessario pianificare una serie di azioni.
Ci sono tre tipi di scuole di pensiero per quanto riguarda i prigionieri politici. La nostra storia di persone rapite dalla nostra terra e imballate come sardine in navi che ci hanno portato ad essere schiavi all'interno degli Usa, ha indotto diversi a ritenere l'incarcerazione della gente Nera la naturale continuazione di quella schiavitù. L'istituzionalizzazione del razzismo nella società, la mancanza di lavoro e di oppurtinità per la maggior parte dei Neri, le condizioni sotto le quali siamo costretti a sopravvivere: con queste argomentazioni sostengono il livello politico di questa tesi.
La storia del trattamento della Comunità Nera in questo paese ci suggerisce la validità di questa analisi. La Costituzione degli Stati Uniti, che ha permesso che gli Afrikans (ovvero, gli africani negli Usa, n.d.t.) potessero essere dichiarati solo tre/quinti di una persona normale, non-umani senza anima, è stata la base dello schiavismo. Eravamo bestie da soma. Potevamo essere picchiati, usati, mutilitati, ammazzati, senza che nessuno pagasse per questo. Una situazione che continua negli Usa, da costa a costa, con l'omicidio razzista di James Bird in Texas, il pestaggio della polizia nei confronti di Rodney King in California, il proliferare del razzismo lungo il New Jersey Turnpike, e la violenza e gli omici compiuti dalla polizia contro gente Nera a New York, Chicago, Detroit, Baltimora, Pittsburgh - in tutti le città degli statunitensi.
Il razzismo istituzionalizzato ha portato la Comunità Nera a sviluppare una sottocultura nel tentativo di ottenere quello che si percepiva come bisogni necessari per sopravvivere. I giovani, che vedono la lotta dei loro vecchi portare ad avere a mala pena il giusto necessario per vivere, optano per i soldi facili e veloci. Quello che ne consegue è una popolazione carceraria fatta di giovani uomini e donne Nere, condannati a pene spropositate di 10-25 anni da un sistema di in/giustizia.
La Dr.ssa Charsee McIntyre ha scritto di una "criminalizzazione di razza". Quello di cui parlava è il fatto che i giovani Neri vengono rappresentati come criminali, anche se non hanno commesso nessun atto criminoso - essi sono comunque trattati in quanto tali a tutti gli effetti. Il semplice fatto di essere Neri equivale ad un crimine. In questo modo, quelli che ritengono che tutti i Neri che si trovano in carcere siano dei prigionieri politici hanno buone argomentazioni a loro disposizione. Il problema che subentra con questa linea di ragionamento è convincere questi detenuti del loro essere prigionieri politici la qual cosa dovrebbe far scaturire un lavoro non contro quello che di buono c'è all'interno della comunità, ma piuttosto a sostenere la comunità con l'obbiettivo di arrivare alla liberazione della stessa.
C'è stato un momento molto particolare per quanto concerne il movimento, durante gli anni '60 e '70, un periodo in cui gli Usa erano una prateria in fiamme. Lo Student Nonviolent Coordinating Committee (SNCC), il Black Panther Party (BPP), la Republic of New Afrika (RNA), il Revolutionary Action Movement (RAM), la Junta of Militant Organizations (JOMO), e molte altre organizzazioni lavoravano, organizzavano, educavano la gente alla lotta. C'era un detto molto in voga allora: "Le prigioni sono un microcosmo della società".
Mentre l'attivismo si sviluppava nelle strade, di riflesso lo stesso sviluppo avveniva all'interno delle mura di cinta. Nelle strade c'era H. Rap Brown che proclamava che "il razzismo è Americano tanto quanto la torta di mele" e "Brun Baby Burn". C'era Stokely Carmichael che sosteneva il "Potere Nero" e Huey P. Newton che organizzava "l'auto-difesa" e James Brown che cantava "Say it loud, Sono un Nero e sono fiero", e "You Better Get Ready for the Big Payback". Tra le sbarre, chi entrava per crimini sociali si trasformava in rivoluzionario. George Jackson e i Fratelli di Soledad erano una parte del movimento all'interno delle prigioni californiane. Gli Angola 3 (uno dei quali scarcerato pochi giorni fa dopo 29 anni di detenzione, n.d.t.) erano parte del fronte carcerario in Louisiana - sezioni del Black Panther Party. Vi erano le Prison Unions. Si organizzavano gruppi di studio nei campus universitari, nelle comunità, dentro le prigioni. Nello stato dell'Illinois si formava il New Afrikan Prisoners Organization.
E nello stesso momento in cui si sviluppava la lotta dentro le mura, il potere cercava di distruggere tutti quei soggetti che erano intenzionati a cambiare la loro vita. Ai prigionieri si negava la libertà sulla parola, dovevano passare lunghi anni in isolamento, venivano picchiati. In questo senso, rappresenta un caso emblematico la vicenda di George Jackson e Ruchelle Magee, iniziata con un furto e finita con la morte di George, ucciso dalle guardie del carcere di San Quintino, e il perdurare dell'incarcerazione di Ruchelle, che dura da oltre 30 anni. Hugo Pinell, l'ultimo membro dei San Quintin 6, si trova tuttora dietro le sbarre. Senza dubbio, i fratelli e le sorelle che si sono politicizzati in carcere sono stati condannati a lunghe pene a causa del loro essere prigionieri politici.
Avevamo una idea ben precisa all'interno del Black Panther Party. Ritenevamo di poter organizzarci e organizzare ovunque fossimo. In questo modo, se venivamo arrestati, l'unica cosa che cambiava era il terreno dello scontro. Le motivazioni della lotta rimanevano, e proprio per questo continuavamo a educare, organizzare e fare movimento. Le strade erano viste come luoghi a bassa sicurezza, mentre le carceri come ambiti di massima sicurezza. Ma da una parte e dall'altra vi era la necessità di organizzare la comunità. I militanti che diventano prigionieri politici e i prigionieri che si politicizzavano dovevano fare i conti con sentenze giudiziarie lunghissime.
Quando tutto questo diventa un problema? Quando la comunità internazionale inizia a parlare di prigionia politica secondo i trattati internazionali. Ma, questa è solo una questione strategica e tattica, non di definizione.
Per concludere, vi sono prigionieri diventati tali per la loro attività politica. Questi fratelli e sorelle hanno dedicato la loro vita a combattere per la liberazione dei discendenti Afrikani. Nei loro confronti la controrivoluzione ha costruito a tavolino, in modo premeditato, accuse infondate e tutti i pretesti necessari perché fossero condannati per il più lungo tempo possibile. Questi fratelli e sorelle che, come Nat Turner e Denmark Vesey e tutti i combattenti che li hanno preceduti, che hanno imbracciato le armi contro il criminale governo degli Stati Uniti, in barba a trattati e leggi di definizione concernente la prigionia di guerra, sono stati condannati come semplici criminali. Non vi sono dubbi che questi fratelli e sorelle sono prigionieri politici. E non ci sono dubbi che il sostegno ai prigionieri politici e ai prigionieri di guerra dovrebbe e deve essere parte integrante di ogni movimento di liberazione. E nello stesso modo, non è possibile parlare di movimento di liberazione se questo non ha come obbiettivo, tra gli altri, quello di liberare chi in questo paese ha combattuto per la giustizia e la libertà. Il problema risiede, credo, nel fatto che nella comunità Nera non sia chiara l'idea di essere parte della lotta di liberazione. Da qui poi si differenzia la definizione di prigionia politica: per quelli che nella comunità Nera ritengono che di fatto in questo momento non vi sia nessuna lotta di liberazione in corso, non esistono prigionieri politici dietro le sbarre, solo criminali e tutto si riduce ad una semplice questione di mera "delinquenza".
Nel 1999 abbiamo assistito alla scarcerazione di 11 prigionieri di guerra portoricani. Nel 1978, 4 indipendentisti vennero rilasciati dall'allora presidente Jimmi Carter. In entrambi i casi questi rilasci hanno mobilitato l'intera comunità di Puerto Rico, ovunque essa fosse dissiminata. Le comunità religiose, gli ufficiali eletti, gli educatori, la comunità economica, gli attivisti, erano tutti nelle strade. Molti di loro sicuramente non appoggiavano il percorso politico degli indipendentisti, ma in loro era chiara la figura di queste persone in quanto militanti e non criminali. E attorno a questi prigionieri politici vi era una enorme mobilitazione e un grande sostegno.
Trenta anni dopo, i nostri prigionieri politici, dopo essere stati catturati e incarcerati, sono reclusi ancora in gabbia. Quando sono finiti in prigione, vi era in tutti gli Stati Uniti un vasto movimento. I loro nomi erano conosciuti all'interno della comunità, le loro organizzazione erano riconosciute e rispettate e molte persone si univano a loro. Oggi, l'ex pantera nera Romaine Chip Fitzgerald, arrestato nel 1968, sta morendo in una prigione nello stato della California (il 4 Dicembre scorso, per l'ennesima volta, gli è stata rifiutata la libertà sulla parola, n.d.t.) a causa dei postumi di un ictus che ha semiparalizzato il suo corpo.
Il cerchio si chiude. Quando le zone rurali del sud sono state spopolate e l'immigrazione forzata ha portato milioni di persone verso il nord degli Usa, il tutto avveniva sotto il colore della legge. Allo stesso modo, oggi, sotto il colore della legge, migliaia di fratelli, sorelle e giovani vengono rapiti dalle strade e incarcerati dando vita ad una schiavitù di tipo nuovo. Le prigioni sono le nuove piantagioni del profitto. La nostra comunità è la nuova sacca da cui attingere schiavi per i nuovi campi di cotone.
Gli oltre due milioni di prigionieri negli Stati Uniti rappresentano opportunità di impiego in tutte quelle aree che hanno risentito fortemente delle ristrutturazioni economiche attuate dalle varie amministrazioni presidenziali, attraverso il NAFTA e il GATT, che hanno portato ad una massiccia esportazione del lavoro. E rappresentano altresì un enorme forma di guadagno per quelle multinazioni che, usufruendo dei contratti con il sistema carcerario statunitense, possono investire sul lavoro in carcere (per maggiori informazioni rimandiamo all'articolo "complesso industriale carcerario e dintorni", pubblicato su Senza Censura n.3/2000, n.d.t.). Questa nuova forma di guadagno è figlia legittima della "guerra alla droga" che il governo americano sta "combattendo" contro la comunità Nera. Non per caso le prigioni statunitensi sono piene di giovani della comunità (dai piccoli spacciatori a chi fa utilizzo di droga), i quali vengono condannati a pene straordinarie, mentre i veri e ricchi trafficanti escono velocemente di galera.
Durante la parabola discendente dell'economia americana negli anni '70 e '80, la sola industria che mostrava segnali di profitto era l'industria carceraria. Ed e' in questi anni che l'idea di guadagnare sul lavoro dei prigionieri diventa un percorso consolidato. La Guerra Fredda finiva e una nuova risorsa economica faceva la sua entrata nel campo del profitto.
Il razzismo è stato utilizzato come strumento, nel primo round dello schiavismo, per giustificare l'utilizzo degli Afrikani nel lavoro schiavile. Oggi, il fatto che Nero sia sinonimo di soggetto fuorilegge o potenzialmente tale, viene veicolato attraverso la "criminalizzazione di una razza" per incrementare in modo esponenziale l'utilizzo dei Neri nel complesso industriale carcerario. Oggi i nuovi schiavi sono le prigioniere che producono indumenti intimi per la nota marca Victoria Secrets nel South Carolina (la stessa che all'ultimo festival del cinema di Cannes raccoglieva decine di milioni di lire tra i ricchi attori e le ricche personalità della borghesia internazionale, da "donare alla" lotta contro l'aids, n.d.t.); sono i pigionieri che producono componenti elettronici per la Microsoft nello Stato di Washington, i blue jeans nell'Oregon, i circuiti elettronici per l'IBM in Texas. Quello che appare immediatamente chiaro è che il lavoro, completamente assente all'interno della comunità, si trasforma in iper-sfruttamento e schiavitù quando le stesse persone della comunità, cambiate di ruolo, diventano manodopera a costo zero dietro le sbarre. Con le amministrazioni dell'ex presidente Bill Clinton, che ha avuto il sostegno della comunità Nera a dispetto di politiche fasciste che hanno tagliato (tra le altre cose) l'Habeas Corpus, oppure emanato veri e propri piani di annientamento come l'Omnibus Crime Bill, la percentuale di incarcerazione di gente Nera è passata da 3mila a 3.620 persone ogni 100mila abitanti.
Il complesso industriale carcerario non colpisce unicamente chi di fatto si trova a tutti gli effetti dietro le sbarre, ma anche chi si trova in libertà vigilata o a svolgere "attività sociali". Due milioni di persone sono recluse. Altre 4,5 milioni di persone si trovano detenute secondo pene alternative. Approssimativamente la metà del totale delle persone sottoposte a controllo giudiziario, sono persone Nere. Tutta questa gente viene privata del diritto di voto e in molti stati anche del diritto di avere proprietà. Ecco il complesso fatto realtà. Ed ecco che per incanto, le catene spezzate diventano nuovamente rigide e fredde con il prison industrial complex.
Ma il complesso industriale carcerario non si trova qui per caso. Già nel 1968, se leggiamo con attenzione i documenti dell'FBI, traspare chiaramente l'obbiettivo a cui tendeva allora il governo statunitense, e cioè a eliminare attraverso la droga tutti possibili soggetti rivoluzionari. Nei loro memorandums si capisce molto bene anche come tutto ciò doveva avvenire. Ci sono state campagne di disinformazione attuate attraverso invio di lettere a giornali, famiglie, personaggi politici in cui i militanti venivano fatti passare per ladri e criminali.
Storie inventate sui quotidiani; falsi arresti per giustificare incriminazioni degli attivisti politici; assassinii pianificati come per esempio quelli di Fred Hampton e Mark Clark; infiltrazioni e lunghe pene detentive. E infine la droga nelle nostre comunità.
Con la fine del processo rivoluzionario di organizzazioni come il Black Panther Party, il SNCC, l'RNA, avvenuto attraverso mille modi e mille strade, la comunità si è trovata con la porta aperta, pronta ad aspettare l'entrata massiccia e devastante della droga. Con una comunità addormentata e centinaia di militanti divenuti prigionieri proprio per aver partecipato a quelle lotte, la memoria storica è andata a perdersi.
Ricordo molto bene un giorno in cui mi trovavo ad un gruppo di studio organizzato nell'ufficio di Harlem del Black Panther Party, dove si stava leggendo e discutendo il Libro Rosso di Mao Tse Tung. Quel giorno, il passaggio messo a dibattito riguardava "Non raccontare bugie e non reclamare facili vittorie". L'interpretazione che davo era: vai dalla gente, organizza le persone, lavora con loro e non raccontare menzogne rispetto a quello che vogliamo, rispetto a quello che abbiamo fatto, che abbiamo compiuto.
Quella lezione ha rappresentato l'essenza del mio essere militante. Se acquisiamo l'approccio del "non raccontare bugie" nell'organizzare, avremo modo di preparare le basi di un movimento destinato a vincere. Non dovrebbe essere necessario dare vita a campagne che hanno come obbiettivo quello di "raccontare" l'esistenza dei prigionieri politici, perché nel momento in cui staremo combattendo per l'abbassamento degli affitti delle abitazione o costruendo case decenti per la comunità in netto contrasto con la speculazione edilizia che lascia vuoti interi immobili fatiscenti mentre vi sono migliaia di senza-tetto, nello stesso momento staremo lavorando a sostegno di Abdul Majid e degli altri che in passato hanno fatto le stesse cose nell'East New York e nelle Brownsville di Brooklyn. Mentre staremo lavorando alla qualità dell'insegnamento della nostra vera storia e del nostro ruolo, parleremo di Herman Bell e Albert "Nuh" Washington e del loro lavoro con le Scuole Libere. Mentre staremo organizzando programmi di colazioni gratuite e altri programmi sociali, avremo modo di parlare di Sundiata Acoli, Robert "Seth" Hayes e di tutti gli altri prigionieri politici e prigionieri di guerra che hanno lavorato con le Libere Cliche della Salute, i centri diurni di salute, e sono finiti dietro le sbarre per aver sostenuto e organizzato direttamente le comunità Nere e le comunità oppresse in genere.
Ma proprio perché questo movimento, passatemi il termine, ha "perduto" quelli che erano i principali obbiettivi organizzativi agiti attraverso dimostrazioni, comizi, conferenze e conferenze stampa, oggi si parla di prigionieri politici unicamente quando ve n'è convenzienza oppure quando c'è la necessità di legittimarsi di fronte agli altri. Poniamoci allora una domanda: "Siamo seri o siamo solo degli opportunisti"? Se siamo seri, dobbiamo smetterla con i soggettivismi, con gli opportunismi, con i fenomeni da baraccone, e iniziare a muoverci per organizzare. Parlare è poco, l'azione è suprema!
I prigionieri politici non sono diventati tali per qualche caso fortuito. Essi sono finiti in gabbia per aver fatto parte di organizzazioni politiche. La maggior parte di questi fratelli e sorelle stanno scontando pene che vanno dai 25 anni di reclusione all'ergastolo; Zolo Azania e Mumia Abu-Jamal stanno lottando contro una condanna a morte. Tutte questi militanti sono entrati in prigione quando fuori, per le strade, vi era un forte movimento. Oggi il movimento è totalmente frammentato e giace in uno stato di totale disorganizzazione. Nel frattempo loro stanno diventando vecchi. La loro salute si sta sempre più deteriorando. E continuano ad essere oggetto di repressione. Prigionieri come Kwasi Balagoon, Merle Austin Africa, Albert "Nuh" Washington e Teddy Jah Heath, sono morti dietro le sbarre. Solo due dei nostri prigionieri politici, Geronimo ji jaga e Dhoruba Bin Wahad, sono stati rilasciati da corti di tribunale rispettivamente dopo 27 e 19 anni di reclusione. Nessuno ha mai ricevuto clemenze. Una parola finale ai nostri prigionieri politici. Abbiamo utilizzato la definizione di "carcere come microcosmo della società", e oggi questa stessa definizione non ha perso la sua valenza. Se tornate indietro col pensiero a ciò che succedeva nelle strade nel periodo in cui voi eravate incarcerati e confrontate quella che era allora l'attività fra i prigionieri con l'attività odierna, vi rendere perfettamente conto dello stato di salute del movimento odierno. Come noi abbiamo da fare un lavoro qui, voi avete un lavoro da fare dentro quelle mura di cinta. Stare in galera non vi ha liberato dall'obbligo di continuare a sostenere la lotta di liberazione - come invece appare di capire da qualcuno di voi che sembra essersene dimenticato. Essere in prigione ha cambiato solo la sede dove svolgere le riunioni, ha cambiato unicamente il campo da gioco.
Ricordo un'altra lezione del gruppo di studio della sezione del Black Panther Party di Harlem. Quella lezione aveva a che fare con il Programma dei 10 Punti. Era una lezione sull'organizzazione. Abbiamo imparato il Programma dei 10 Punti e la Piattaforma del Partito. Abbiamo imparato le 26 regole del Partito. Abbiamo imparato gli 8 Punti dell'Attenzione e le e Regole Principali della Disciplina. Abbiamo imparato il motto e l'Obbiettivo Primario. Abbiamo imparato e fatto nostro tutto questo. Abbiamo imparato e fatto nostro tutto questo per il giorno in cui non avremmo più avuto un ufficio aperto. Abbiamo imparato e fatto nostro tutto questo affinché potessimo continuare a portare avanti la lotta rivoluzionaria con o senza le altre Pantere. Una volta imparata e fatta nostra questa lezione siamo stati pronti a lavorare per organizzare la gente. La teoria era che se ognuno di noi avesse organizzato dieci persone, e quelle 10 persone avessero organizzato a loro volta altre dieci persone, il terzo gruppo sarebbe stato di 10mila militanti. Sicuramente un metodo non facile, questo è vero, ma un metodo che è stato provato. Questo era l'approccio organizzativo che ho usato nella mia sezione quando ero nel Partito. Durante il periodo della mia detenzione a Goochland, Virginia, la gente della mia sezione nella comunità era quella che mi inviava i pacchi e le cartoline e che mi ha salutato quando sono stata rilasciata nel 1983.
Le organizzazioni vanno e vongono; dobbiamo creare all'interno della nostra comunità lo spirito della lotta. Dobbiamo costruire un movimento per liberare la nostra gente. La prigionia politica è parte integrante del lavoro di costruzione di questo movimento, dobbiamo ricordarci che "prigionia politica" e "movimento" non sono cose separate, ma fibre dello stesso tessuto. Dobbiamo cambiare le modalità con le quale ci rapportiamo verso i nostri prigionieri politici:
Organize, Educate, Liberate
to Free Our Political Prisoners
and Prisoners of War!

Safiya A. Bukhari
[The Jericho Movement]


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