Senza Censura n. 5/2001

[ ] Editoriale


Alcune settimane fa abbiamo assistito al blitz dei carabinieri contro i militanti di Iniziativa Comunista.
Al di là del battage pubblicitario, in realtà è stato l'ultimo di una lunga serie di iniziative repressive che in questi ultimi anni hanno continuato, con una persistenza apparentemente inossidabile, a colpire militanti e intere realtà collettive della sinistra rivoluzionaria.
Vorremmo prendere spunto da quest'ultimo episodio per fare alcune considerazioni, specifiche e generali, su quella che noi continuiamo a definire come la strategia della "Controrivoluzione preventiva".
La prima considerazione, consentitecelo, è quasi autobiografica. Nell'ascoltare i notiziari nazionali e nel leggere le intere pagine di frescacce sui quotidiani nei giorni successivi agli arresti, ad alcuni di noi sono venute in mente esperienze già viste. Era il dicembre 1991 quando a Bologna gli stessi attori protagonisti (il Giudice Otello Lupacchini, i Ros, fedelmente accompagnati da TV e giornali nazionali) arrestarono con lo stesso clamore e con la stessa accusa 5 fra compagne e compagni del movimento antagonista bolognese. Non abbiamo sentito, ovviamente, lo stesso clamore quando un paio di mesi fa il processo a questi compagni, arrivato dopo 10 anni di traversie in Corte di Assise a Roma, si è concluso con l'assoluzione con formula piena di tutti i compagni coinvolti in quello spezzone di inchiesta.
E in realtà il clamore, oggi come allora, non è tanto nella sostanza degli avvenimenti ma soprattutto nell'uso specifico che di questa buffonata si è voluto fare; con gli ultimi arresti si è voluto unire alla "comune" pratica controrivoluzionaria anche la spallata ad effetto che, pur in piena campagna elettorale, ha accomunato tutto l'arco politico istituzionale nel sostegno al nuovo "pacchetto sicurezza". Erano partiti tutti insieme inaugurando la "nuova gestione" dell'emergenza carceraria con la cd. Legge Simeone (miseramente naufragata con "politicamente corrette" proteste e pestaggi di massa dei detenuti), si sono sbizzarriti con la sperimentazione di nuovi sistemi di controllo a distanza (braccialetti e documenti d'identità elettronici) per ripiegare, in ultima istanza e con efficacia tutt'altro che virtuale, nella solita proroga dei termini di indagine e di custodia cautelare per i "nuovi terroristi".
Con l'approvazione degli ultimi provvedimenti anche le ultime parvenze garantistico-giudiziarie sono definitivamente cadute nel bidone della spazzatura. Della serie: due piccioni con una fava.
Eppure, nonostante tutto questo sia storicamente già successo, appare ancora difficile per buona parte di noi individuare un quadro generale di riferimento in cui collocare i singoli specifici episodi di repressione senza limitarsi a viverli come a sé stanti.
Molte inchieste aperte, molte altre riportate dalle veline pubblicate dai giornali ma ancora coperte dal segreto, criminalizzazione di gruppi politici, criminalizzazione di convegni e di assemblee, centinaia di perquisizioni, pioggia di avvisi di garanzia, alcuni arresti. Ma a fronte di tutto questo nessun tentativo serio di spiegarsi e di spiegare quello che sta succedendo e quindi, per forza di cose, nessuna mobilitazione concreta.
Nel rumore di fondo delle provocazioni, dei falsi comunicati, dei falsi scoop giornalistici dei soliti noti, risuonano le grida della controrivoluzione di 'sinistra' che denuncia il "grande complotto", quelle della controrivoluzione di destra che denuncia il "complotto comunista", e infine si distinguono i mormorii degli opportunisti storici che a scanso di equivoci si dissociano preventivamente anche da quello che non hanno mai osato pensare...; per il resto poco o nulla.
Secondo noi l'obiettivo del governo, come del resto del padronato tutto, è quello di individuare (e colpire) le aree politiche e sociali "a rischio", per prevenirne ogni possibile sviluppo.
Questo obiettivo politico viene affrontato anche, ma non solo, con strumenti repressivi quali le strutture "politiche" degli apparati di polizia (polizia di prevenzione e reparto eversione dei ros), con strumenti giuridici di criminalizzazione della lotta di classe, quali ad esempio i reati associativi ereditati dal fascismo, e con strumenti "speciali" quali la disinformazione messa in atto dai servizi di sicurezza.
L'insieme di questi strumenti e delle iniziative politiche tese a "recuperare" e "depoliticizzare" la lotta di classe e a "comprare" (anche nel senso letterale del termine) alcune reali e/o sedicenti avanguardie, non è divisibile. Guerra e politica sono l'una continuazione dell'altra. Questo rapporto dialettico tra controllo politico e repressione prende il nome di controrivoluzione preventiva.
Non è una novità che uno dei nostri obiettivi, con l'esperienza di Senza Censura, sia quello di tentare di approfondire l'analisi e il dibattito su queste tematiche e, al di là dei materiali che già in questo numero ci auguriamo possano contribuire alla riflessione, abbiamo deciso di mettere in cantiere un lavoro di ricerca più approfondito e dettagliato su questi aspetti della controrivoluzione preventiva.
Nel frattempo vi lasciamo alla lettura del numero con un paio di "chicche" emerse dalle nostre ricerche: si tratta di due citazioni prese in prestito dai verbali della Commissione Parlamentare sul terrorismo che ci sembrano assolutamente pertinenti...
La prima è del 25 maggio 1999; il sottosegretario di stato per l'interno, Giannicola Sinisi, ascoltato dalla Commissione "sui recenti gravi fatti di terrorismo e sulle misure di prevenzione" si esprime in questo modo:
" (...) reputo strategica una scelta compiuta nel nostro paese dal Ministero dell'Interno (...) di non modificare mai nel tempo gli apparati deputati al contrasto del terrorismo nel paese. Nonostante negli anni - come è noto - vi sia stata una eclatanza maggiore dei fenomeni di criminalità organizzata, specialmente di stampo mafioso, vi è stata la precisa volontà di mantenere sostanzialmente inalterati gli apparati di polizia deputati al contrasto dell'eversione; per questo è rimasta la funzione della direzione centrale della polizia di prevenzione ed è restato attivo presso il Ros quello che è noto come "reparto eversione" dell'Arma dei carabinieri. (...) Questi reparti, ovviamente, si sono raccordati ed hanno una prassi consolidata di collaborazione con i Servizi informativi di sicurezza nazionali, con i quali svolgono periodici incontri ed hanno uno scambio di segnalazioni."
Precisa poi Sinisi: "L'attività di contrasto dell'eversione è basata molto sull'attività preventiva di analisi che ha bisogno di grandi capacità elaborative a prescindere dalla sussistenza o meno del reato, circostanza che invece vede nettamente in campo l'autorità giudiziaria. Tale attività di analisi è parte integrante, se non assolutamente preponderante, dell'azione di contrasto del terrorismo che ovviamente è attività che viene svolta essenzialmente dai Servizi di informazione e dalla polizia di prevenzione in funzione di supporto."
L'1 dicembre 1999, di fronte alla medesima Commissione abbiamo il prefetto Ansoino Andreassi, direttore centrale della polizia di prevenzione del dipartimento della pubblica sicurezza, chiarisce le modalità operative della attività di prevenzione di cui è responsabile:
"Un tempo la linea che veniva seguita, quando il fenomeno imperversava, era che non bisognasse tanto dimostrare le responsabilità dirette della persona nel compimento di delitti rivendicati dalla banda armata, ma bastava dimostrare, per arrivare a un provvedimento di cattura, la partecipazione della persona alla banda armata che aveva rivendicato quei delitti. Se mi consentite, era un sistema efficace."


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