Senza Censura n. 5/2001

[ ] Processi di integrazione



Alcune riflessioni sulle strategie dell'imperialismo nell'area mediterranea

Combattere l'imperialismo richiede la conoscenza approfondita di come questo si sviluppa e quali strategie adotta nella ricerca della valorizzazione del capitale sulla pelle di milioni di proletari. Ma nello stesso tempo è necessario comprendere dove le contraddizioni si sviluppano per poter meglio individuare i terreni di conflitto avanzato.
Non vogliamo in questa fase individuare un terreno di scontro aperto tra le varie fazioni dell'imperialismo, così come non abbiamo letto nella guerra in Jugoslavia, a differenza di altri, un semplice scontro tra potenze imperialiste.
L'imperialismo si è mosso unito nello scontro contro il popolo jugoslavo, nella produzione del processo di frammentazione e occupazione dell'area balcanica, così come si muove unito nello scontro generalizzato contro il proletariato internazionale. Al suo interno sicuramente si sviluppano contraddizioni, fazioni e blocchi, funzionali a garantire maggior terreno di valorizzazione per il capitale transnazionale appartenente a questo o quello, ma ad oggi si denota ancora una netta superiorità Usa, sia economica che politica militare, tale da garantire ancora la loro leadership mondiale.
Nello stesso tempo sarebbe un errore sottovalutare il ruolo dell'Europa imperialista (e della sua attuale fase, anche se non priva di contraddizioni) nello sviluppare una strategia autonoma dalla politica americana e dal suo predominio mondiale.
I processi europei di integrazione politico-economico-monetaria, sicurezza e "difesa", devono essere letti in funzione di una organizzazione strategica dell'Europa, che ricerca un suo ruolo, in competizione con le altre fazioni della borghesia imperialista.

L'area mediterranea rappresenta sicuramente una "zona" all'interno della quale si vanno a sviluppare processi che troveranno Ue e Usa su un terreno di rivalità economica, politica e militare (che non vuol dire scontro diretto). Le sue caratteristiche di zona di confine tra le aree di Magreb e Mashrek e l'occidente, il suo ruolo di collegamento con i paesi che producono una grossa fetta dei prodotti energetici, petrolio e gas in primis, oltre che rappresentare zona di espansione per l'economia capitalista, rendono appetibile il suo controllo politico economico militare.
La sua continuità geografica con l'unione europea impone a quest'ultima un impegno forte, militare economico e politico, perché tale area sia sempre più integrata all'interno del mercato europeo, sottraendola così alle mire storiche statunitensi.
Con questo articolo tenteremo di approfondire quanto attualmente sta avvenendo a livello di integrazione politica economica militare dell'area mediterranea, e suoi risvolti nello scontro sempre più visibile tra il blocco imperialista europeo e quello americano rappresentato nell'area, oltre che da una presenza economica, dal sul suo braccio armato, la NATO.

Processi di integrazione economica, politica UE e paesi mediterranei
Fin dalla nascita della CEE si è sviluppata, per il capitale europeo, la necessità di intraprendere una politica economica globale, che comprendesse la cooperazione e integrazione Pesei europei / Paesi mediterrane.
Ma per arrivare a vedere definito il progetto attuale di creazione di uno spazio di libero scambio dobbiamo arrivare al 1995 con la conferenza euro mediterranea di Barcellona, sebbene anche precedentemente a Casablanca era sta confermata la priorità del Mediterraneo come zona strategica per la Ue.: " in un periodo di globalizzazione e di rafforzato regionalismo in america settentrionale e asia, la Comunità non può rinunciare ai vantaggi che l'integrazione dei vicini meridionali può comportare ..." (1994).
Più volte è affermato dalle fonti ufficiali, che "non possiamo permetterci che il divario economico e culturale, oltre che la presenza dell"integralismo islamico, si traduca in un allontanamento dall'Europa, in una fase di modifica dell'economia internazionale, ponendo così la necessità primaria di disporre di un'area di influenza: l'Euromediterraneo.
Secondo gli studi il Mediterraneo costituisce un mercato potenziale che, nell'ipotesi di una forte crescita economica, potrebbe imprimere un notevole impulso alle esportazioni europee, una zona di libero scambio che tra 30 anni ingloberà una popolazione di 900 milioni di abitanti.
L'Europa è attualmente il primo partner commerciale degli Stati mediterranei. La quota dell'Unione europea nel commercio estero dei paesi mediterranei è molto alta; per certi paesi supera di gran lunga il 50% delle importazioni (Algeria 62,5%, Malta 68,6% nel 1996) e delle esportazioni (Tunisia 80%, Siria 62% nel 1996). D'altro lato, questi paesi vedono aumentare la propria dipendenza alimentare dalle esportazioni europee (in particolare per i cereali e i prodotti animali), che comprendono anche attrezzature, mezzi di trasporto, manufatti e prodotti chimici.
Il Mediterraneo offre all'Europa il vantaggio della vicinanza geografica.
In passato, la diminuzione dei costi di trasporto aveva spinto i paesi europei ad una delocalizzazione legata unicamente al costo del lavoro e, di conseguenza, rivolta verso regioni molto distanti.
Questo tipo di delocalizzazione era adatto alla produzione di beni standardizzati, a lunghe produzioni in serie e a una separazione tra progettazione e fabbricazione dei prodotti.
Secondo fonti padronali si rivela, tuttavia, inadeguato alle caratteristiche dominanti della produzione attuale: ordinazioni speciali, brevi produzioni in serie, processi produttivi che richiedono una parte elevata di lavoro qualificato, organizzazioni produttive basate su un accurato adeguamento alla domanda e che presuppongono l'inserimento in una rete di subappalto e di fornitori di servizi.
Come già premesso, la prima conferenza Euromediterranea di Barcellona del novembre 1995 segna un passaggio importante modificando il rapporto classico bilaterale tra Ue e PM (paesi mediterranei) con una "collaborazione e solidarietà globali" fondata su uno spirito di paternariato, nel rispetto delle caratteristiche e delle specificità di ciascun partecipante".
Alla Conferenza di Barcellona partecipano i paesi Ue e i ministri dei dodici paesi mediterranei (tre del Magreb, Algeria, Tunisia, Marocco, i quattro paesi del Mashrek, Egitto, Giordania, Libano e Siria, Israele, Autorità Palestinese, Cipro, Malta e Turchia), come osservatori i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi, Oman, Qatar), La Lega Araba, Mauritania.
Dalla stessa composizione si capisce quanto sia ardua l'operazione e quanto il problema della sicurezza e della stabilità siano gli elementi cardine di questo processo. Il conflitto sionista-palestinese, i conflitti storici del Magreb, peraltro lasciati in eredità dalle occupazioni coloniali, e del Mashrek, sono elementi su cui si concentra la politica di stabilità e normalizzazione della Ue.
Con le linee di intervento definite a Barcellona, e alcuni aggiustamenti finanziari nella conferenza interministeriale di Marsiglia (Barcellona IV) nel novembre 2000, l'Ue imperialista ha così l'occasione di porsi come soggetto forte all'interno della creazione di uno spazio di libero scambio che dovrebbe veder definiti i tempi per la sua definitiva creazione entro il 2010.
Barcellona sancisce formalmente una "strategia collettiva mirata a promuovere la liberalizzazione tra i paesi mediterranei del sud e a sostenerli nel loro tentativo di introdursi sui mercati mondiali", ossia rendere appetibili i paesi del Magreb e del Mashrek agli interessi della borghesia europea.
Ma il processo di integrazione non deve essere letto come lineare, ma come un progetto in continua evoluzione che deve fare i conti con la situazione politico economica esistente.
Le misure proposte dalla Commissione europea per il perseguimento degli obiettivi della cooperazione economica in vista dell'instaurazione della zona di libero scambio sono le seguenti:
- armonizzazione delle norme giuridiche e amministrative, protezione della proprietà intellettuale, apertura dei mercati dei PM, promozione delle esportazioni;
- dinamizzazione del settore privato, modernizzazione e ristrutturazione dell'industria e degli apparati politici e amministrativi, riorganizzazione delle associazioni degli imprenditori e delle Camere di Commercio;
- promozione degli investimenti privati diretti europei e della cooperazione industriale, in particolare nel settore energetico, privatizzazione e deregolamentazione generale;
- adattamento delle infrastrutture economiche e sociali (trasporti, energia, telecomunicazioni, acqua);
- ammodernamento e sviluppo del sistema finanziario (sviluppo del mercato borsistico, dei prodotti finanziari collettivi, delle banche d'affari, delle banche operanti sui mercati monetari e dirottamento verso sud dei capitali dei cittadini dei PM residenti nell'UE).
A tali condizioni potranno essere ottenuti i finanziamenti previsti dai progetti e i prestiti della banca europea.
La borghesia imperialista ha la necessità di poter disporre della possibilità di prelevare il massimo della ricchezza prodotta in questi paesi, attraverso la liberalizzazione del commercio e l'agevolazione dell'entrata di capitale multinazionale.
E' facile comprendere le ricadute di interventi che non differiscono in nessun aspetto con i più famosi aggiustamenti del FMI - BM. Secondo gli stessi sostenitori della "globalizzazione" è previsto che con la liberalizzazione dei commerci il settore manifatturiero vedrà una caduta del 40% in Tunisia e del 22% in Marocco, con ricadute negative sul piano dell'occupazione e possibile aumento dell'emigrazione verso l'Ue.

Già in questi anni, in molti paesi mediterranei, la avvenuta concentrazione della produzione agricola (la maggiore, su prodotti per l'esportazione a scapito dei cereali), ha provocato un aumento della dipendenza agroalimentare di questi paesi dalle importazioni.
L'esperienza del NAFTA ci insegna che la liberalizzazione del commercio ha creato, per i paesi più deboli, una dipendenza da prodotti USA a scapito dell'economia locale.
La modernizzazione del sistema industriale, che si traduce nel renderlo appetibile alla penetrazione dei capitali stranieri, passa attraverso la possibilità di massimizzare lo sfruttamento della forza lavoratrice presente, oltre che ad acquisire quote sempre maggiori, da parte di società europee, di settori appetibili. Dalla firma dei primi Accordi di Associazione tra UE e Tunisia e Marocco, "l'apertura dei mercati" ha visto la distruzione del tessuto industriale locale, la chiusura di molte fabbriche che non possono competere con le importazioni dalla Ue.
Secondo quanto emerge l'interesse della borghesia europea è di sviluppare, ove possibile, una produzione ad alto valore aggiunto, ad esempio tecnologia avanzata, e in tutti i settori che lo permettano, disponendo di manodopera a basso prezzo e la possibilità di una maggiore competitività sui mercati internazionali e dell'area.
Il processo di privatizzazione e liberalizzazione del mercato energetico e della estrazione dei suoi prodotti procede in funzione di una sempre maggiore sicurezza di approvvigionamento energetico della Ue, acquisendo direttamente il controllo attraverso una liberalizzazione della entrata di capitale straniero nel settore, liberalizzandolo in ogni suo aspetto.

I firmatari (della Dichiarazione di Barcellona) riconoscono "l'importanza dello sviluppo sociale che deve andare di pari passo con quello economico" ma in realtà i costi sociali dei programmi di aggiustamento strutturali, privatizzazioni, ristrutturazioni, disoccupazione, ecc.., rendono necessario lo sviluppo di una politica di contenimento di tali contraddizioni.
Le iniziative a riguardo, oltre che a finanziare progetti di comunicazione di massa, che si può facilmente prevedere tenteranno di instaurare una base di consenso tra la popolazione, tenderanno a favorire il ruolo, di controllo e contenimento delle istanze proletarie della società civile, attraverso il Forum Civile Euromed. Quando parlano di società civile si riferiscono a università, camere di commercio, organizzazioni imprenditoriali, sindacati, mezzi di comunicazione, organizzazioni culturali e ONG, al loro coinvolgimento nei progetti di integrazione e di gestione delle contraddizioni.
Gli Accordi di Associazione prevedono inoltre forme di controllo diretto dello stato partner mediterraneo attraverso una sorta di inquisizione permanente da parte degli stati Ue, motivate dal controllo della pluralità democratica, della libertà e i diritti umani. Nelle intenzioni della borghesia europea ciò viene comunemente usato come forma di pressione da parte dei paesi imperialisti europei per condizionare fortemente la politica e le scelte interne ai singoli paesi, gli stessi che avevano colonizzato in altre epoche.

La sicurezza e la cooperazione militare UE e paesi mediterranei
Lo spazio mediterraneo concentra al suo interno un gran numero di contraddizione che secondo gli analisti lo rendono estremamente esplosivo: dagli scontri armati, alle crisi economiche, crescita demografica, cristallizzazione di ideologie estremiste con una grossa capacità di mobilitazione.
La sicurezza e la cooperazione militare riveste una fondamentale importanza per il predominio della borghesia europea nell'area mediterranea. Se da una parte ha la necessità di un intervento diretto nella "normalizzazione" dei conflitti storici regionali, per garantire una stabilità tale da non pregiudicare le possibilità di penetrazione economica e per la garanzia della valorizzazione degli "investimenti", dall'altra deve esercitare una capacità di pressione interna ai singoli paesi dell'area per far "rispettare" i processi di riforma economica e radicare la sua capacità di intervento diretta o indiretta nella gestione delle conseguenze che ne scaturiranno a livello di contrasto sociale.
Si è tenuta in Algeri il 20 e 21 giugno 1999 la 5^ Conferenza dei Ministri dell'Interno dei Paesi del Mediterraneo Occidentale.
L'incontro si inserisce nel quadro della cooperazione multilaterale che Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Algeria, Marocco e Tunisia hanno consolidato grazie alla precedenti edizioni annuali della Conferenza (Tunisi, Rabat, Parigi e Napoli) nel corso delle quali sono stati affrontate le tematiche legate alla lotta al terrorismo, alla immigrazione clandestina e, più in generale, a tutti i traffici illeciti tra le due sponde del Mediterraneo.
Nel 1998, per quanto riguarda i Paesi del Maghreb, erano state sottoscritte con Tunisia e Marocco le "proficue" intese in materia di rimpatrio, ritenute "novità" in campo internazionale e misure bilaterali particolarmente efficaci di contrasto all'immigrazione clandestina.
L'UE si conferma come zona di importazione di prodotti energetici.
La Germania, l'Italia, la Francia, la Spagna e il Belgio sono in testa a questa classifica, mentre fanno eccezione i Paesi Bassi e soprattutto il Regno Unito, unico esportatore netto di energia tra gli Stati membri.
I paesi arabi sono i suoi principali fornitori di petrolio: le quote di esportazione più alte spettano alla Libia, all'Algeria, alla Siria e all'Egitto.
Nel rapporto fra produzione e consumo, la situazione in alcuni PM è diametralmente opposta a quella europea. Solo il 30% dell'energia primaria prodotta nella regione è destinata all'utilizzo locale.
L'attuale disegno della distribuzione delle risorse energetiche configura una sempre maggiore connessione tra l'area mediterranea e quella europea. I nuovi oleodotti dell'Asia Centrale e del Caucaso passeranno per la Turchia così come il petrolio irakeno e il 70 % del gas usato dalla Spagna arriverà dall'Algeria.
La dipendenza dell'Europa da una sempre maggiore quantità di risorse energetiche pone la Ue davanti alla sua vulnerabilità economica e politica nel caso di crisi e instabilità nell'area imponendo una accelerazione per la definizione di una politica comune sulla sicurezza nel mediterraneo.
I tentativi di creare uno strumento di coordinamento nel quadro della cooperazione mediterranea si sono infranti nella impossibilità Ue di imporre una propria leadership all'interno dell'area nei confronti dell'egemonia militare Usa nel mediterraneo.
L'esperienza del CSCM (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione nel Mediterraneo), che si proponeva di creare una struttura stabile sulle caratteristiche OCSE, raggruppando non solo i paesi direttamente coinvolti nei progetti economico politici ma anche quei paesi che potenzialmente potevano influire sulla sicurezza euromediterranea, come i paesi del Golfo Persico, fu fortemente osteggiato dagli Usa, che temevano che questo potesse influire sul conflitto sionista-palestinese.
Al fallimento dei 5+5 (Spagna, Italia, Portogallo, Francia e Malta, e i 5 paesi del Magreb Arabo (UMA) Libia, Tunisia, Marocco, Algeria, Mauritania) - tentativo di creare una iniziativa comune al di fuori di Ueo e Nato, per la creazione di uno spazio di sicurezza comune oltre che discutere di temi come la emigrazione e lo sviluppo economico - ha sicuramente contribuito l'isolamento della Libia, voluto dagli Usa in primis, oltre che crisi algerina.
La volontà Usa di mantenere il proprio ombrello politico militare sull'area ha fatto sì che si opponesse fortemente a accordi comuni sulla sicurezza nell'area , impedendo così la creazione di strutture integrate di difesa, in quanto potenzialmente creavano una situazione tale da mettere in discussione i suoi interessi.
E' infatti sul piano del controllo militare, e di conseguenza sull'aumento della capacità di controllo politico economico dell'area, che si misura lo scontro tra Usa e Ueo.
Attualmente sono in corso 5 iniziative di cooperazione nella regione mediterranea per quanto riguarda la sicurezza: l'Iniziativa Mediterranea della NATO, quella dell'UEO, il gruppo di contatto mediterraneo dell'OSCE, il Forum mediterraneo, l'ACRS (Arms Control and Regional Security Working Group).
L'Europa dimostra in questa fase tutta la sua dipendenza dalla politica militare statunitense non disponendo di una capacità militare autonoma da un punto di vista tecnologico e logistico. Infatti la Ue dispone dal 1994 di una CJTF (Combined Joint Task Force). Ma tale struttura consente all'Europa di organizzare operazioni militari multinazionali o nazionali nel quadro dell'UEO (anche se il ruolo e l'efficacia di quest'ultima sono messi in dubbio) con il sostegno americano in materia di logistica, di intelligence e di trasporti.

Eurofor, Euromarfor, Siaf
L'Euromarfor è il frutto di un accordo multilaterale tra Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Le Marine di questi quattro Paesi hanno dato vita ad una forza navale non permanente, combinata e pre-strutturata che può essere impiegata anche in ambito NATO o per missioni sotto l'egida dell'ONU. L'Euromarfor, che contribuisce a rafforzare il concetto di Identità Europea all'interno della NATO, rappresenta una risposta delle quattro Nazioni partecipanti alle richieste della Ueo, espresse nella dichiarazioni di Petersberg del 1992, per la predisposizione di forze che possono essere messe a sua disposizione per operazioni di peacekeeping o in risposta a situazioni di crisi. La forza viene attivata e la sua composizione è dettata dalla situazione contingente.
Un concreto sviluppo della cooperazione marittima europea è la costituzione della Forza anfibia italo-spagnola (Siaf) sancita lo scorso ottobre dalla firma di un accordo tra i governi di Italia e di Spagna. Con la Siaf, l'Italia e la Spagna renderanno disponibile una forza di specifica natura mediterranea e di capacità superiori rispetto a quelle rese disponibili da ciascuno dei due Paesi con le proprie forze in forma separata.
La Siaf è in grado di svolgere varie missioni, sia di tipo tradizionale per le forze anfibie (quali operazioni marittime di supporto, assalto anfibio, operazioni a terra per preparare l'inserimento di altre forze) sia derivate dai compiti nuovi (quali l'assistenza umanitaria e soccorso in caso di calamità naturali, peace support operations e operazioni con obiettivi limitati, quali ad esempio il salvataggio ed evacuazione di cittadini che si trovano in situazione di pericolo all'estero).
I comandi Eurofor e Euromarfor non dispongono di una capacità di intervento autonomo in senso stretto e l'unica esperienza di coinvolgimento diretto ed autonomo è da ricercarsi all'interno dell'intervento Euroforce (Francia, Spagna, Italia, Portogallo) in Albania nel 1997, con il chiaro scopo non solo di intervenire militarmente, ma di procedere in una fase successiva ad una vera e propria occupazione strisciante attraverso l'occupazione di posti chiave come l'esercito, la polizia, i servizi segreti e attraverso il loro addestramento e ammodernamento.
Ma la nascita di Euroforce nel 1996, secondo alcune fonti, per il timore dello sviluppo di un conflitto come quello iracheno nella regione mediterranea e l'ascesa della corrente islamica considerata una minaccia (in quanto nella maggioranza dei casi prodotto dall'effetto devastante delle politiche imperialiste e della mancanza di una reale alternativa antimperialista nel proprio paese e a livello internazionale) suscitò molte proteste all'interno dei paesi del Magreb ed in particolare per l'interferenza nella crisi Algerina.
L'intensità delle proteste si differenziò fino a trovare poi il consenso in alcuni governi dell'area e la conseguente partecipazione di alcuni di questi, con gli eserciti europei, a manovre militari congiunte.
La Ueo ha da tempo intrapreso un dialogo con i 7 partners mediterranei (Algeria, Egitto, Marocco, Mauritania, Tunisia e per ultima la Giordania) con lo scopo di gettare le basi per un processo di sviluppo di una politica comune della sicurezza nel mediterraneo.
Ma come possiamo ben immaginare sviluppare una politica di sicurezza comune, adeguare eserciti e polizie, sviluppare un adeguato sistema di prevenzione ed intelligence, comporta notevoli investimenti per quanto riguarda la tecnologia militare. Questo terreno è estremamente appetibile alla industria bellica europea (vedi senza censura 3) che si pone in competizione con l'attuale predominio dell'industria statunitense, come mezzo di penetrazione economico politico per la borghesia europea.
L'espansione della NATO
nell'area mediterranea
Quando parliamo di Nato parliamo dello strumento del predominio politico militare americano, quello che ne definisce le strategie e gli interventi.
La politica out of area nel mediterraneo degli stati uniti (che ricordiamo ha come supporto la presenza nel mediterraneo la VI flotta) si basa sulla continuazione dei legami economici e militari con i paesi tradizionalmente amici: Egitto, Marocco, Tunisia, e sempre più l'Algeria; sulla relazione speciale con lo stato sionista, lo scontro permanente con la Libia, il rafforzamento degli sforzi europei a supporto della politica americana, la battaglia per il mantenimento delle sue forze aeree e navali (essenziali per condurre la sua politica nell'area per la continuità geografica e politica con le aree del Medio Oriente e Golfo Persico, zone di interesse principale per il controllo delle risorse energetiche).
Negli anni il Mediterraneo si è trasformato dal calmo fianco sud della Nato in un area di vasti conflitti e contraddizioni che va dal Medio Oriente all'Atlantico. La Nato, di conseguenza, ha adottato una nuova articolazione in cui la regione sud ha assunto una maggiore importanza grazie alla sua posizione geografica baricentrica rispetto alle attuali minacce.
L'area di responsabilità (AOR) della regione sud comprende la Spagna, l'Italia, I'Ungheria, la Grecia, la Turchia, il Mediterraneo e il mar Nero. La Spagna, isole Canarie incluse, è integrata nella struttura militare della Nato dal primo gennaio 1999, l'Ungheria dal 12 marzo dello stesso anno.
Un'area di interesse strategico estesa e che copre oltre 40 paesi, di cui soltanto 16 sono formalmente legati alla Nato attraverso il programma di parteneriato per la pace (PfP), e sei attraverso il dialogo per il Mediterraneo (DfM).
Secondo gli ufficiali Nato la maggior parte dei rischi che possono minare la stabilità in Europa si trovano nell'area di responsabilità della regione sud, concentrati principalmente nelle cosiddette "aree a rischio": i Balcani, il nord Africa, il vicino e medio Oriente e il Transcaucaso.
Nel dicembre del 1997 i ministri della difesa dei paesi della Nato approvarono la nuova struttura del Comando alleato in Europa (ACE) che dal primo settembre del 1999 è ripartilo su due comandi regionali, quello del Nord e quello del Sud (con sede in Napoli).
Un lavoro lungo e complesso è ora in atto per il completamento delle tabelle organiche di questi nuovi comandi.
Nell'Aprile del 1999 al Consiglio Nord Atlantico veniva approvato il seguente articolo (38) del documento riguardante "Il Nuovo Concetto Strategico della Nato":
"Il Mediterraneo è un'area che interessa particolarmente all'Alleanza. La sicurezza in Europa è fortemente collegata alla sicurezza e alla stabilità nel Mediterraneo. Il processo del "Dialogo con i paesi del Mediterraneo" (gruppo di cooperazione sul Mediterraneo, che coinvolge la NATO e 6 paesi della regione mediterranea: Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia) ad opera della NATO è parte integrante dell'impostazione cooperativa da parte della NATO del tema della sicurezza. Esso costituisce una struttura per costruire fiducia, promuove trasparenza e cooperazione in questa regione, e rafforza ed è rafforzato da altre analoghe iniziative internazionali. L'Alleanza si impegna a sviluppare gradualmente gli aspetti politici, civili e militari del "Dialogo" allo scopo di raggiungere una cooperazione più stretta con quei paesi che partecipano a questo "Dialogo", nonché un loro coinvolgimento più attivo."
Dal 1° settembre AFSOUTH ha una nuova struttura di comando con quattro comandi subordinati interforze terrestri dislocati in Spagna, Italia, Grecia e Turchia, un comando marittimo (NAVSOUTH) e uno aereo (AIRSOUTH) entrambi dislocati in Napoli.
I comandi interforze non hanno una specifica area di responsabilità o specifiche missioni operative ed è questa la significativa differenza rispetto ai precedenti comandi subordinati principali terrestri, la cui area di responsabilità si identificava con il territorio che li ospitava.
La flessibilità operativa sarà garantita dal Comando di reazione rapida multinazionale e interforze - Combine Joint Tasck Force (CJTF) - che è stato adeguato alle esigenze della nuova struttura di comando della NATO.
Il CJTF sarà il principale strumento per condurre tutte le operazioni di peace support, sia di tipo umanitario (Humanitarian Relief), sia di imposizione della pace (Peace Inforcement) preferibilmente con il consenso della nazione ospitante (Host Nation).
Esso potrà essere impiegato, se autorizzato dal NAC (Comando Nord Atlantico), anche per operazioni sotto I'egida dell'Unione europea occidentale (Ueo) ed eventualmente Osce, purché la Nato dichiari la propria volontà di supportare, con proprie risorse e capacità, tali operazioni.
Anche nazioni non Nato possono contribuire alla costituzione di un CJTF fornendo personale, equipaggiamenti e supporto logistico.
II programma Dialogo con i paesi del Mediterraneo è l'unico programma che non fa parte del PfP, ma che potrà avere un grosso peso nello sviluppo dei rapporti di cooperazione militare con i paesi del nord Africa e del vicino e medio Oriente con l'intento di far crescere la loro fiducia nei confronti della Nato.
Il dialogo comprende molteplici attività: scientifica, di pubblica informazione, di pianificazione per l'emergenza civile, di controllo delle armi e uno specifico programma militare.
Le attività militari sono state autorizzate per la prima volta nel novembre 1997 e continuano oggi sulla base di un programma approvato dal Comitato militare della Nato. Trattasi di attività di modesta entità, non confrontabili con il gravoso impegno del PfP, su cui però la Nato spera di costruire un rapporto di cooperazione da cui la sicurezza emerga reciprocamente rafforzata.
L'attuale rapporto tra la Nato e i paesi del Dialogo Mediterraneo non prevede una imminente incorporazione, a differenze di quanto avvenuto per i tre paesi del est europeo Polonia, Ungheria, Rep. Ceca, ma la partecipazione in qualità di "associati esterni" a manovre congiunte e l'aiuto bellico e addestramento da parte di militari statunitensi, sempre e quando esiste l'impegno di acquistare materiale bellico Usa.
Le manovre, finora limitate a Marocco, Tunisia e Egitto, si sono allargate anche all'Algeria che sta tentando di legittimarsi come partner credibile nel Mediterraneo.
Ma la presenza delle flotte straniere nel Mediterraneo è stata vissuta da sempre dalle masse popolari arabe come una chiara minaccia alla loro libertà. La Nato è vista, giustamente, come braccio militare dell'imperialismo americano e la cultura antimperialista è fortemente radicata nell'area per la storica presenza coloniale e per il ruolo svolto negli anni da Israele nei confronti del popolo palestinese e arabo tutto.
Questo è sicuramente un elemento fondamentale di difficoltà per l'effettiva annessione degli stati arabi mediterranei nella Nato, che rischia di scatenare un movimento di opposizione che già nei singoli paesi tende a svilupparsi davanti al progressivo peggioramento delle condizioni di vita dovute alle riforme strutturali con una chiara delegittimazione del potere istituzionale, complice degli interessi dell'imperialismo nell'area.
Lo scontro tra Usa e Ue
nel Mediterraneo
Alla definizione di una politica europea nel mediterraneo ha fatto eco immediato il Progetto Eisenstat, dimostrazione del tentativo Usa di contendere alla Ue il controllo economico e politico dell'area del Magreb.
Il progetto ha assunto una prospettiva chiara quando sono state prese in considerazione misure concrete per l'eliminazione delle barriere doganali tra Algeria, Marocco e Tunisia e per quanto riguarda gli scambi tra questi paesi e gli Usa.
Con l'intenzione di contribuire al rafforzamento delle misure effettive per la creazione di una sorta di mercato di libero scambio (che finora non trova nessun accordo scritto), viene mantenuto in vigore un incontro annuale a Wahington, al margine della riunione quadripartita della Banca Mondiale e del Fmi, con la presenza dei ministri delle finanze dei tre paesi del Magreb (Marocco, Tunisia, Algeria) e quello delgi Stati Uniti.
Il modello di associazione proposto chiarisce il ruolo strategico crescente dell'area nel contesto della crescente rivalità Usa - Ue.
Tale strategia preoccupa gli europei perché può potenzialmente innescare un allontanamento dei paesi del Magreb Arabo dalla Libia e Mauritania, rischiando di portare con se conflitti mai sopiti, e rischia di creare una dipendenza militare e di sicurezza dagli Usa rafforzando la loro presenza politica, militare ed economica.
Elemento da non sottovalutare è l'interesse americano ad intensificare le pressioni esercitate sul Magreb perché vengano normalizzate le relazioni con l'entità sionista (cosa già fatta dalla Mauritania l'anno successivo - il 1999 - alla nascita dei contatti Usa/Magreb).
Nell'ultimo anno si sono ulteriormente intensificati gli incontri commerciali tra Usa e paesi del Magreb. Ambasciatori, industriali, politici e vertici militari hanno fatto la spola nelle varie capitali.
Non a caso questo avviene proprio nel momento in cui l'Unione Europea sta compiendo uno sforzo rilevante, anche sul piano finanziario, per sostenere le riforme e i programmi di sviluppo dei paesi maghrebini, nel quadro del partenariato euromediterraneo, e quando si ricomincia a parlare dell'Unione del Maghreb Arabo come valido interlocutore dell'Europa e come nuovo soggetto politico mediterraneo.
Nella Libia di Gheddafi non vanno delegazioni ufficiali, ma sono molti gli scambi ufficiosi.
La presenza americana nel Maghreb pone qualche problema, in primo luogo, all'Europa e al progetto d'integrazione euro - mediterranea, poiché si pone come ipotesi concorrenziale e punta dritta al cuore della questione maghrebina: al petrolio e agli armamenti per rafforzare la stabilità dei regimi al potere impegnati a garantire il meccanismo di produzione e di rifornimento.
"Nel 1999, l'Algeria ha sborsato 600 milioni di dollari per acquistare materiale militare dagli USA, divenendo in un colpo il secondo cliente arabo degli Stati Uniti e il settimo del terzo mondo...", assicura il giornale algerino "Le Jeune Indipendent" del 26/4/2000.
Il settimanale tunisino "Realites" (del 2/3/00), scrive "13.000 esperti U.S. alla riscossa", parla di "offensiva americana verso l'Africa del Nord...dopo l'apertura a Tunisi di un ufficio del Global Technology Network, ancora un segno della determinazione di Washington di concretizzare il suo progetto di partenariato economico con i paesi della regione, più che mai all'ordine del giorno..."
Secondo questo settimanale, solitamente ben informato, tutto è cominciato un anno e mezzo addietro con la famosa "iniziativa" dell'ex sottosegretario di Stato americano agli affari economici, Stuart Eisenstat, mirante a favorire un partenariato economico che dovrebbe sfociare nella creazione di una zona di libero scambio USA - Maghreb. L'iniziativa Eisenstat, che non brilla per originalità visto che ricalca quella meglio programmata, anche se scompensata, promossa dall'Unione Europea con gli accordi di Barcellona, è riuscita a mettere in moto interessi e progetti in vari settori, soprattutto a carattere privato.
Le attuali dottrine strategiche americane intravedono nel Maghreb "una zona di interesse vitale per gli Stati Uniti"; da qui la scelta dell'Algeria - al pari di altri importanti paesi quali il Brasile, l'India, l'Africa del Sud - come "paese strategico, ovvero come Stato - chiave della politica estera americana".
In questo senso, si muovono le annunciate (dal sottosegretario USA incaricato per gli affari del M.O., Edouard Walzer) manovre militari congiunte algero - statunitensi, le prime del genere ed aventi carattere bilaterale. Le visite, il 24 aprile 1999, dell'ammiraglio Charles Stevenson, comandante in capo aggiunto delle forze americane in Europa, e nel settembre 1999 di Daniel Murphy, comandante della VI flotta, ricevuti entrambi dal presidente Bouteflika e dal generale di corpo d'armata Lamari, vero patron dell'Armata popolare nazionale algerina, confermano il fortissimo interesse USA per il piano di ammodernamento militare algerino e "per la messa a punto di un programma militare comune permanente...che potrebbe sfociare in una alleanza strategica fra Washington ed Algeri, mirata essenzialmente a garantire la stabilità nella regione mediterranea...Non è escluso che l'ambizione di Washington, mediante questa cooperazione, sia di fare dell'Algeria un partner economico e militare attivo nel Mediterraneo e successivamente un alleato nella regione del nord-Africa." (cfr. "Le Jeune Indipendent" op.cit.)
Gli americani sembrano avere fretta e procedono da soli nel loro disegno, senza aspettare le conclusioni del dialogo politico avviato fra la Nato e un gruppo di Paesi nord-africani, fra i quali la stessa Algeria, il Marocco, la Tunisia e la Mauritania
Stando alle dichiarazioni di Kenneth Bacon, portavoce del Pentagono, (riportate dal quotidiano marocchino "Le Matin" del 25/2/00), questa cooperazione dovrà consistere in "esercitazioni militari complesse e nel proseguimento del dialogo fra le Forze Armate dei due Paesi..." per fronteggiare le sfide alla sicurezza nella regione dell'Africa del nord rappresentate "dai rischi d'instabilità, piuttosto che da minacce specifiche..."
E' chiaro che se per la borghesia il mediterraneo è terreno di valorizzazione e di espansione dell'economia capitalista, di dominio imperialista, di scontro, per il proletariato è il luogo di ricomposizione della lotta antimperialista. Agire sulle contraddizione che a livello mediterraneo si sviluppano, tessere una rete di collegamenti, è una condizione fondamentale per una ripresa del movimento antimperialista che sappia effettivamente misurarsi con il suo nemico storico. L'area che si sviluppa dall'atlantico alla Palestina, passando per il Marocco e i Balcani, assume in questa fase un'importanza strategica, dove gli effetti devastanti dell'imperialismo, o delle politiche delle globalizzazione come a qualcuno piace chiamarle, si fa sentire in maniera non inferiore di quanto succeda in aree che, forse perché lontane, richiamano maggiore attenzione della sinistra "antagonista" e rivoluzionaria.
Il ruolo imperialista degli Usa è sicuramente predominante nei confronti del polo imperialista europeo, disponendo ad oggi di una capacità di egemonia militare e una chiara. Ma la ricerca di una propria autonomia militare e tecnologica da parte della Ue per supportare la propria politica imperialista ci chiama ad una maggiore responsabilità nell'affrontare questo problema, spesso dimenticato, ma chiaramente delineato nella nascita del nuovo esercito europeo.
Il timore che alcuni conflitti generino una reazione a catena, che la cultura antimperialista radicata nell'area, le crescenti contraddizioni che si sviluppano a causa delle manovre di aggiustamento strutturale (questa volta un soggetto molto vicino e visibile: la Ue e la Banca Europea) la disoccupazione, l'aumento dei flussi di immigrazione, portino ad un aumento delle tensioni sociali, deve tradursi per i comunisti nel comprendere le potenzialità che la situazione attuale ci offre.


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