Senza Censura n. 6/2001

[ ] Il carcere made in Italy si rifà il trucco



[prove tecniche di controllo metropolitano]

Abbiamo avuto modo di affrontare - anche se per forza di cose in modo molto parziale - attravero due articoli pubblicati su altrettanti numeri di Senza Censura, la storia e l'attuale stato del complesso industriale carcerario statunitense.
Mettendolo a confronto, proprio nei paragrafi storicizzati, con i passaggi caratterizzanti del sistema carcerario italiano. Le differenze appuntate erano molteplici, due percorsi completamenti differenti per arrivare ad un'unica e necessaria risposta (per il sistema borghese): gestione del conflitto socio-politico.
Il carcere statunitense, veloce ad adeguarsi alle ristrutturazioni sociali delle metropoli americane, è sempre stato indirizzato verso una specializzazione quasi scientifica (anche se oggi come oggi si potrebbe pure cancellare il vocabolo "quasi") della detenzione, sia dal punto dell'individualizzazione dell'imprigionamento, sia attraverso un sempre più crescente apporto della tecnologia elettronica proprio a sostegno della "qualità" detentiva.
Una qualità detentiva che per certi aspetti ha aperto tutto un recente versante di investimenti e ricchezza a 360 gradi. Il carcere italiano, notavamo viceversa, si è sempre caratterizzato per una particolare lentezza nei suoi passaggi strutturali, modificando la propria organizzazione di cerniera sociale relativamente al contesto di conflitto/crisi generale in atto in Italia ma senza mai raggiungere un livello di specializzazione proprio della storia delle prigioni nordamericane.
Con questo non si vuole certo né sminuire il ruolo (sul piano socio-politico) del carcere italiano né fare del carcere italiano un "carcere dal volto umano".
Proprio in un momento in cui vi sono molte realtà della cosiddetta sinistra istituzionale e non che vorrebbero contrapporre una giustizia "umana" europea, e di conseguenza, un carcere europeo "a misura d'uomo", contro una giustizia e un sistema di pena statuntense che annienta le persone.
Niente di tutto ciò. Il carcere detiene in sé caratteristiche generali e caratteristiche strutturali specifiche: le prime rispondono al sistema imperialista di cui il carcere è stato e continua ad essere strumento di controllo ed annientamento; le seconde sono proprie del contesto economico, politico e sociale rispetto al quale la struttura di pena deve svolgere il proprio ruolo di "controllore".
Quindi va da sè che non capiterà mai di leggere tra le pagine di Senza Censura una contrapposizione di cui sopra. Il mettere su due binari lo sviluppo storico dei due sistemi è stato per noi necessario, in prima battuta, per cercare di capire le questioni centrali che stavano e stanno alla base dell'odierno complesso industriale carcerario statunitense.
Questo modo di affrontare la questione, ci ritornerà utile proprio in quest'articolo, dal momento in cui cercheremo di affrontare, anche se per molti aspetti in modo del tutto schematico, i tre passaggi legislativi attuati negli ultimi due anni, che andranno a ridisegnare da qui e nei prossimi anni il "carcere made in italy". Il gioco dei due binari, ci permetterà anche di poter verificare come il sistema carcerario americano, avanguardia nella gestione del controllo, abbia rappresentato per molti versi un vero e proprio punto di riferimento nella ristrutturazione propria italiana.

In un comunicato stampa dello scorso 3 Ottobre 2001, l'attuale e da poco Ministro della Giustizia Castelli affermava: "Venderemo le carceri 'storiche' per costruirne di più funzionali moderne. Vendere le carceri 'storiche' che si trovano nei centri delle città e finanziare, con le risorse raccolte, la costruzione di strutture più funzionali e moderne, dove i detenuti possano essere ospitati in condizioni migliori rispetto a quelle in cui si trovano oggi e dove si possa mettere in atto un vasto programma di reinserimento dei carcerati nel mondo del lavoro. La finanziaria 2002/2004 comporterà grandi sacrifici per tutti i ministeri, Giustizia compresa. Al fine di poter continuare il 'Piano di ammodernamento' dei penitenziari, abbiamo stabilito di varare uno studio di fattibilità per verificare la possibilità di permutare i penitenziari siti nei centri storici delle città con strutture più moderne, da realizzare in zone più decentrate. L'obbiettivo è quello di migliorare le condizioni di detenzione all'interno delle carceri. Nelle mie recenti visite ad alcuni penitenziari 'storici' di tutta Italia mi sono reso conto che diverse strutture ancor oggi in funzione sono in realtà obsolete e inadatte a ospitare il gran numero di detenuti che vi si trovano. Celle anguste, pochi spazi comuni e soprattutto la quasi totale assenza di strumenti per mettere gli stessi detenuti nelle condizioni di lavorare e quindi potersi costruire, attraverso la formazione professionale, un futuro migliore nella società."

Queste le conclusioni del Guardasigilli nel suo comunicato stampa:
"Procederemo dapprima individuando i penitenziari aventi interesse storico-artistico e verificando la disponibilità delle amministrazioni allo spostamento, dopodiché predisporremo i progetti di massima individuando le necessarie volumetrie, chiederemo ai comuni di organizzare i necessari strumenti urbanistici, verificheremo con il ministero delle Finanze i tempi di sdemanializzazione e infine aggiudicheremo le opere".

Come a dire: il "carcere made in italy" si rifà il trucco e cerca di stare al passo coi tempi...
Il trucco di cui parliamo è ovviamente ben più imponente delle parole di "ammodernamento" presentate dal ministro Castelli nel suo comunicato stampa. Tutto il sistema penale infatti è stato al centro di una ristrutturazione complessiva che l'ha investito negli ultimi due anni e il carcere, tra i cardini nella gestione del controllo sociale, in modo particolare.
A questo punto cerchiamo di procedere con ordine, prenendo in considerazione - anche se in modo del tutto schematico/tecnico - i tre principali interventi di riassetto: il "Decreto per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della Giustizia", il Piano di azione giudiziaria ("Pacchetto Fassino"), il nuovo regolamento penitenziario.
Anche se in modo non sempre lineare, e con risultati che si vedranno comunque non a breve, questi tre interventi si vanno ad iscrivere nel medesimo impianto.
Lasciamo a dopo le considerazioni "politiche", per il momento cerchiamo di focalizzare l'attenzione sulle novità di questi tre atti legislativi, con l'obbiettivo di raccogliere dati e informazioni utili non soltanto per tracciare una breve quanto poco esauriente riflessione, ma anche per ridare forza e vigore ad un dibattito "sul carcerario" che negli ultimi anni è andato spegnendosi.


Il "Decreto per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della Giustizia"
Il 24 Novembre 2000 il consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto lergge n. 341 (trasformato il 17 Gennaio 2001 in DDL Senato n.4932), recante disposizioni "urgenti" per l'efficacia e una sempre maggiore efficienza dell'Amministrazione della Giustizia, introducendo di fatto normative in senso repressivo in campo penale. 8 i punti salienti del nuovo DDL: separazione dei processi e custodia cautelare, aule per i processi, ergastolo, inchieste sulle stragi, modifiche della legge "Simeone-Saraceni", (il cosidetto) carcere duro, l'introduzione del "braccialetto elettronico" e infine l'indennità per i giudici. Vediamo adesso di prendere in considerazione i punti più vicini all'istituzione/carcere:

(Capo III) Ergastolo
Stabilisce una nuova interpretazione dell'articolo 442, comma 2, del Codice di Procedura Penale, in merito al giudizio abbreviato nei procedimenti per reati punibili con l'ergastolo. Finora infatti, nei processi con giudizio abbreviato, era semplicemente previsto che la pena dell'ergastolo fosse sostituita da quella a 30 anni di reclusione. Con le nuove disposizioni, ciò vale soltanto per l'ergastolo senza l'isolamento diurno; quando invece è previsto con l'isolamento diurno, viene sostituito dall'ergastolo senza isolamento. Nei processi penali in corso, per gli imputati è possibile recedere dalla richiesta di giudizio abbreviato: a questo punto non vi è più una modificazione del tempo della pena, ma delle condizioni in cui deve essere scontata.

(Capo IV) Modifiche alla legge
"Simeone-Saraceni"
Apporta cambiamenti all'articolo 656 del Codice di Procedura Penale e all'Ordinamento penitenziario, dove si afferma che l'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione della pena, previsto per le condanne non superiori a tre anni (in determinate situazioni, quattro), devono essere consegnati al condannato. Questi, entro 30 giorni, può presentare istanza per ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione. La nuova formulazione prevede che l'avviso sia notificato (e non più fisicamente presentato) al condannato o al difensore.

(Capo VI) Carcere duro
Proroga al 31 Dicembre 2002 l'applicazione dell'articolo 41 bis dell'Ordinamento penitenziario, relativo alla sospensione delle regole di trattamento dei detenuti quindi all'imposizione del cosiddetto "carcere duro".

(Capo VII) Il Braccialetto Elettronico
Dispone in merito all'utilizzazione di strumenti tecnici di controllo per le persone sottoposte agli arrestii domiciliari o in stato di detenzione domiciliare: sostanzialmente, si tratta dell'adozione del "braccialetto elettronico". Nel caso degli arresti domiciliari, la modifica avviene attraverso l'introduzione dell'articolo 275bis del CPP. L'imputato può rifiutarsi di indossare il "braccialetto": a fronte di questa scelta, il giudice prescrive la custodia cautelare in carcere.
Se gli arresti non vengono rispettati, il giudice ne ordina la revoca; chi ha violato l'articolo 385 del Codice Penale (CP), commettendo il reato di evasione, non può essere ammesso agli arresti domiciliari nei cinque anni successivi. Nel caso della detenzione domiciliare viene invece modificato, in base agli stessi criteri, l'articolo 47ter della legge di riforma penitenziaria. Infine, coloro che, imputati o condannati, alterano intenzionalemente deimezzi tecnici di controllo, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.

Il Piano di azione giudiziaria ("Pacchetto Fassino")
Passerà alla storia istituzionale come l'"indultino", il Disegno di legge n.4656 approvato in prima battuta dal Senato e del quel la fine della Legislatura non ha consentito la definitva approvazione. Il piano di azione contentuto nel DDL, dal titolo "Misure legislative del piano di azione sulla giustizia per l'efficacia della organizzazione giudiziaria e del sistema penitenziario", meglio conosciuto come "Pacchetto Fassino", perché cercato e voluto proprio dall'ex ministro della giustizia, risulta articolato in sette punti: programma di edilizia penitenziaria, potenziamento degli organici del sistema penitenziario, politiche per il "recupero della devianza", programma di edilizia giudiziaria, misure per l'efficienza dell'organizzazione giudiziaria, misrure di lotta al crimine, interventi sul sistema delle pene. L'obbiettivo dichiarato è quello di collocare le misure di emergenza in un piano di interventi strutturali di breve, medio e lungo periodo.

Edilizia Penitenziaria
La fatiscenza e l'inedeguatezza di molte carceri impongono, secondo il ministero, la ristrutturazione di molti istituti e la costruzione di nuove strutture, anche per far fronte agli standard previsti dal Regolamento penitenziario entrato in vigore il 6 Settembre 2000. Il programma di breve periodo, per il quale sono stati stanziati 160 miliardi di lire, prevede la costruzione di nuove carceri, interventi di ammodernamento di strutture esistenti e l'apertura di quattro istituti pronti da tempo: Rossano Calabro (CS), Castelvetrano (TP), Massa Marittima (GR) e Bollate (MI). Quest'ultimo è stato inaugurato il 1° Dicembre 2000, dopo 14 anni impiegati per la costruzione, per un costo complessivo di 240 miliardi di lire, (29 milioni per ognuno deigli 820 posti previsti dalla capienza), ma è già oggetto di polemiche per malfunzionamenti e inadeguatezze di buona parte della struttura. Per favorire l'istituzione di carceri a cutodia attenuata, in cui siano agite con maggiore intensità le attività trattamentali, verranno riattivate 25 carceri mandamentali.

Gli organici
Con il Piano di azione, viene disposta l'assunzione di 1500 agenti di polizia penitenziaria entro il 1° Gennaio 2001, con la riduzione dei tempi previsti per i corsi di formazione, e l'utilizzazione di 800 ausiliari di leva a partire dal primo semestre del 2001.
Si stabilisce la chiamata immediata di 743 addetti amministrativi e trattamentali, vincitori di un concorso già realizzato; si prevede inoltre l'indizione di altri bandi, autorizzati con il Decreto legislativo n. 146 del 21 Maggio 2000, per l'ammissione in ruolo di 1142 operatori; saranno immessi in servizio 150 addetti amministrativi e 80 educatori nel settore della giurisdizione minorile.

Edilizia giudiziaria
Il Programma di edilizia giudiziaria atribuisce ai Comuni 360 miliardi di lire, disponibili presso la Cassa depositi e prestiti, per finanziare la costruzione o la ristrutturazione di uffici giudiziari; inoltre, 27 miliardi di lire sono destinati alla relizzazione dei tribunali metropolitani di Tivoli (Roma) e Giuliano (NA).
Saranno aumentati gli organici della magistratura, con la conclusione del concorso per l'entrata in organico di 350 nuovi magistrati e l'indizione di un nuovo bando per l'assunzione di altri 360 giudici.
Per rafforzare ulteriormente la macchina giudiziaria, è stata decisa l'assunzione di 1400 assistenti giudiziari e addetti amministrativi, mentre un impegno di spesa per 600 miliardi di lire provvederà all'informatizzazione dell'apparato.

La lotta al crimine
Questo punto predispone le misure di contrasto alla criminalità, attraverso l'introduzione della misura di controllo rappresentata dal "braccialetto elettronico", di sanzioni aggiuntive per chi viola le prescrizioni in materia di arresti domiciliari e benefici penitenziari, dell'espulsione degli stranieri.
Si aggiunge, nel Testo unico sull'immigrazione, l'articolo 14bis, che disciplina i meccanismi di espulsione nei confronti dei cittadini stranieri in regime di custodia cautelare, escludendo da questa ipotesi gli indagati per reati gravi, come quelli previsti dall'articolo 407, comma 2, del CPP. Lo stesso decreto di espulsione può essere disposto nei confronti di un cittadino straniero condannato ad una pena, anche residua, non superiore a tre anni. Il rientro clandestino di una persona sottoposta a un provvedimento di espulsione passa da reato di natura contravvenzionale a reato penale, punibile con la reclusione fino a sei mesi. E' prevista inoltre la possibilità per gli ufficiali di polizia giudiziaria di agire azioni simulate, di ritardare o omettere atti di cattura, per acquisre significativi elementi probatori o individuare e arrestare gli autori di gravi delitti.

Pene
Interventi sul sistema delle pene, attuati attraverso il nuovo Regolamento di vita penitenziaria entrato in vigore a Settembre 2000; lo sviluppo dei circuiti penitenziari differenziati, la custodia domiciliare e i lavori di pubblica utilità per le condanne non superiori a due anni; la riduzione di pena con l'innalzamento dei giorni di liberazione anticipata da 45 a 60 a semestre, con decorrenza retroattiva a partire da Gennaio 1995, per chi ha dato prova di buona condotta e volontà di reinserimento, escludendo però coloro che sono stati condannati per reati gravi o in grado di provocare forte allarme sociale; la modifica del rito abbreviato in materia di reati che prevedono la condanna all'ergastolo; l'elaborazione del nuovo Regolamento penitenziario per i minori; la riforma degli Ospedali psichiatrici giudiziari con la loro progressiva integrazione nel Servizio sanitario nazionale; la modifica della realtà delle detenute madri con figli di età minore di 10 anni.
A differenza di quasi tutti i punti precdenti, quest'ultimo ha potuto vedere un varo effettivo, attraverso l'approvazione definitiva della legge n.40 dell'8 Marzo 2001, che ha modificato alcune disposizioni di legge in materia penale, adottando provvedimenti per la tutela del rapporto tra le detenute e i figli minori.


Il Regolamento penitenziario
Il 6 Settembre 2000 è entrato in vigore il nuovo "Regolamento di esecuzione della legge 26 Luglio 1975 n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative delle libertà", emanato come Decreto del presidente della repubblica, ai sensi dell'articolo 87, quinto comma, della Costituzione. Il testo era stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 Luglio 2000, dopo che sulla materia, il 17 Aprile, era stato espresso il parere del Consiglio di Stato.
Il precedente Regolamento applicativo risaliva al 1976. Nel frattempo, molta acqua è passata sotto i ponti del sistema carcerario: la composizione della popolazione detenuta, il suo significativo incremento negli anni novanta, l'inadeguatezza strutturale di molti istituti di pena, la progressiva differenziazione dei circuiti penitenziari, la modificazione del lavoro e delle attività formative.
La Legge n. 663 del 1986, conosciuta come "Gozzini" ha approvato modifiche alla legge di riforma del 1975, soprattutto attraverso il sistema dei permessi premio, l'ampliamento della liberazione anticipata e di alcune misure alternative alla detenzione come l'affidamento in prova ai servizi sociali e la semilibertà; il nuovo Codice di procedura penale ha introdotto innovazioni relative al differimento dell'esecuzione della pena e alle misure di sicurezza; la legge "Simeone-Saraceni" (n. 165 del 27 Maggio 1998) ha introdotto la detenzione domiciliare per particolari categorie di persone condannate a pene non superiori a tre anni (o quattro in determinati casi): le donne incinta, le madri con bambini di età inferiore a 10 anni (nonché i padri che si trovano nelle condizioni di accudire da soli i figli della stessa età), le persone gravemente malate o di età superiori a 60 anni, i minori di 21 anni con problemi particolari; prevede inoltre, per chi ha avuto condanne inferiori a tre anni, la possibilità di chiedere l'ammissione a misure alternative senza dover necessariamente entrare in carcere per un periodo di osservazione.
Sul piano dell'organizzazione, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) ha sostituito la Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena e, con l'obbiettivo del decentramento, i Provveditorati regionali hanno preso il posto degli Ispettorati distrettuali e il Corpo degli agenti di custodia è diventato Corpo di Polizia penitenziaria, con nuove mansioni sul piano trattamentale e nuovi compiti, come il servizio di traduzione dei detenuti da un carcere all'altro o il loro piantonamento in ospedale.
Esisteva inoltre il problema dell'adeguamento alle normative internazionali: in particolare alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e alla Risoluzione sulle condizioni carcerarie nei Paesi dell'UE, approvata nel 1998 dal Parlamento europeo. Il nuovo Regolamento, la cui bozza era stata curata dall'ex Direttore del DAP Alessandro Margara, si inserisce in questo nuovo contesto. Si articola in due Titoli.
Il primo Titolo prevede: Principi direttivi, Condizioni generali, Ingresso in istituto e modalità di tattamento, Regime penitenziario, Assistenza, Misure alternative alla detenzione e altri provvedimenti della magistrtura di sorveglianza.
Il secondo Titolo si occupa invece delle disposizioni relative all'organizzazione penitenziaria, alle caratteristiche degli istituti, all'organizzazione dei Centri di servizio sociale per adulti (CSSA), alle modalità di accesso al volontariato carcerario. Grande attesa aveva suscitato sul piano mediatico il previsto articolo 61, relativo all'affettività in carcere, quindi alla possibilità di trascorrere una giornata nelle unità abitative predisposte allo scopo di colloqui in stato di intimità. Il Consiglio di Stato ha cassato questa possibilità.

Prime riflessioni sulla ristrutturazione in atto
Quando prima si diceva, come si trattasse di uno slogan pubblicitario, "il carcere italiano cerca di stare al passo coi tempi..." non lo si diceva giusto per giocare con frasi ad effetto ma per introdurre una semplice quanto centrale questione: nello stesso modo in cui sul piano economico l'italia ha l'obbligo di rispettare parametri europei (prima di tutto) e parametri internazionali (in modo dialettico), stessa cosa dicasi sulla gestione specifica del controllo interno.
Le carceri italiane, vecchie di trent'anni, devono misurarsi con parametri già prestabiliti.
Lo stesso discorso sta investendo proprio in questo momento anche altri paesi europei come la Spagna, la Grecia, l'Inghilterra e la Turchia.
Ci siamo soffermati molto nei vari numeri di Senza Censura proprio sulla questione turca e spagnola, dove l'introduzione rispettivamente delle F-type (celle d'isolamento) e del sistema F.i.e.s. (carceri di massima sicurezza) hanno dato una accelarata, in questi due paesi, in senso ulteriormente "specialistico". Per quanto riguarda il piano italiano, se riprendiamo in mano la lettura schematizzata dei tre passaggi di legge di cui sopra, potremmo senza difficoltà notare come la ritrutturazione in atto nel nostro paese investa a tutto campo il sistema penale.
Varati dispositivi antiproletari, che faranno sì che il carcere diventi sempre più centrale nelle politiche repressive e di controllo, vale la pena inziare a prendere in considerazione alcune questioni quali: l'introduzione del "braccialetto elettronico", la differenziazione dei circuiti penitenziari e il lavoro in carcere.
Riteniamo sia importante porre alcune riflessioni su questi tre punti, che vanno necessarimente rivisti nel quadro generale in cui sono inseriti, perché rappresentano certamente un salto di qualità nella gestione del controllo.
Il "braccialetto elettronico", introdotto formalmente come abbiamo visto attraverso il Decreto legge n.341/2000, convertito successivamente in legge il 17 Gennaio 2001, introduce l'utilizzazione di meccanismi di controllo elettronico come possibile strumento di sorveglianza nei confronti dei detenuti che si trovano agli arresti o in detenzione domiciliare. Come funziona tecnicamente? Il "braccialetto", di plastica, indossato al polso o alla caviglia (il competente ministero degli Interni ha alla fine optato per quello alla caviglia), invia segnali radio a un'apparecchiatura installata nell'abitazione del detenuto che, tramite segnali periodici, raggiungerà le centrali operative di carabinieri e polizia. Il bracciale viene noleggatio presso istituti specializzati a un costo che si aggira tra le 20.000 e le 30.000 giornaliere.
La sperimentazione è iniziata, all'inizio di Aprile 2001, a Milano, Torino, Roma, Napoli e Catania. L'applicazione di questa "misura alternativa" sarà possibile soltanto con il consenso del detenuto che, in caso di rifiuto, rimarrà in carcere.
Ora, il dibattito istituzionale attorno all'introduzione o meno di questa "misura alternativa" è nato in Italia attorno al 1996, quando nella consueta relazione annuale del ministro della Solidarietà sociale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, si affacciò l'dea, elaborata dal DAP, del suo possibile uso come forma di controllo nei confronti dei detenuti tossicodipendenti in grado di accedere a pene "alternative".
Fu poi riproposto nell'estate del 1999, quando alcuni deenuti agli arresti domicliari commisero reati vari; è stato infine ripreso in considerazione nell'ambito del "piano sicurezza" elaborato dal governo nel 2000.
Il "braccialetto" è uno strumento già in uso in diversi alri paesi. Negli Stati Uniti (avanguardia nel campo della gestione elettronica come abbiamo visto nella premessa inziale) viene applicato nei confronti dei detenuti in attesa di giudizio ritenuti non socialmente pericolosi.
In Francia, il Parlamento, in via generale, ha approvato a febbraio 2000 la possibilità di adottarlo per i detenuti in regime di detenzione preventiva.
In Germania viene applicato per chi si trova in libertà vigilata.
In Belgio la sperimentazione riguarda 50 detenuti condannati a pene non superiori a sei mesi.
In Svezia è limitato a coloro che hanno pene inferiori a due mesi.
In Svizzera viene sperimentato su 200 persone condannate a pene brevi.
In Olanda, invece, è utilizzato per i detenuti considerati a rischio. dei quali si vogliono controllare i movimenti in pevisione del fine pena.
In Gran Bretagna il sistema è stato introdotto a Gennaio 1999 per i reclusi con condanne non superiori a quattro anni e con un fine pena non superiore a due mesi. Il ministro dell'Interno Jack Straw lo ha scelto come strumento di controllo per i ragazzi tra i 10 e i 15 anni che hanno commesso reati. Sperimentato su 155 ragazzi in due città, Manchester e Norfolk, nella prima quasi il 40% dei sorvegliati ha violato le prescrizioni.
Ora, l'introduzione del "braccialetto" è stato veicolato, nel nostro paese, sul piano mass-mediatico, attraverso due questioni portanti: svuotamento delle carceri, umanizzazione della detenzione verso un "recupero" completo della "devianza".
Sul piano mass-mediatico. In realtà l'introduzione del "bracialetto" introduce a sua volta una specializzazione all'interno del corpo carcerario. In effetti basta l'esempio statunitense a dimostrare come nessuno dei due propositi poc'anzi descritti siano i veri obbiettivi di queste politiche "alternative".
Negli Stati Uniti, dove il controllo a distanza è in atto su decine di migliaia di persone e da quasi vent'anni, non si è ridotto né il numero dei detenuti dentro le prigioni (che viceversa sono cosantantemente aumentati fino a superare i 2 milioni attuali) né si è ottenuto il tanto sperato (?!) reinserimento visto che la stragrande maggioranza dei detenuti sottoposti a questo tipo di sorveglianza ha fatto presto ritorno dietro le sbarre. E' verso una marcata specializzazione che corre il "braccialetto" elettronico e con lui tutte le politiche di classificazione del corpo detenuto.
E ancora una volta il modello preso ad esempio è quello statunitense, dove in alcune carceri si arriva addirittura a suddidivere i prigionieri in otto livelli di cosiddetta pericolosità, con in più tutto il versante ad alta sicurezza denominato SHU (unità di massima sicurezza).
La risultante americana non va vista come vorrebbero far credere, cioè nel percorso di "rendenzione" del detenuto, che scende la scala della pericolosità fino a raggiungere il tanto sperato resinserimento. Questo semplicemente perché il reinserimento non è né un obbiettivo di chi gestisce le carceri né dei loro rispettivi superiori.
L'obbiettivo principale è e rimane il controllo, che diventa più facile e redditizio se passa attraverso suddivisioni forzate che fanno leva su premialità o lavoro. E allarga questo controllo al territorio.
Ecco, il lavoro, altro elemento centrale nella gestione del controllo del vasto complesso industriale carcerario americano e che come abbiamo visto, si sta prendendo fortemente in considerazione anche in Italia. Il lavoro si inserisce, esattamente come il "braccialetto", come elemento di "distinzione".
Storicamente parlando avevamo visto, negli scorsi numeri di Senza Censura, che la storia americana è ben diversa da quella italiana: il lavoro infatti, è sempre stato un elemenento interno e mentre già ad inizio secolo i detenuti nel loro percorso "riabilitativo" dovevano volenti o nolenti essere soggetti produttivi, i prigionieri italiani hanno vissuto in un carcere statico, fermo, per molti versi completamente estraniato dal contesto generale.
Pur essendo entrambe istituzioni totali e totalitarie (per dinamiche e condizioni proprie), il carcere statunitense, ad esempio, andava fin da subito a compartecipare alla produzione di materiali e quant'altro - anche se solo negli ultimi dieci anni i modo proporompente - e quindi a produrre di fatto ricchezza sommando questo al dato di base e cioè al controllo.
Basti pensare oggi all'esempio del carcere di Pelican Bay (California) dove i detenuti di primo livello vengono tranquillamente utilizzati nella gestione delle infrastrutture della contea e cioe' nella costruzione di edifici, nella pulizia delle strade, ecc...
In Italia questo esempio è lontano anni luce dall'attuale situazione. Però a quanto pare e sempre con maggiore insistenza si sta puntando sul discorso del lavoro. Il 22 Luglio 2000 il Senato ha approvato, in via definitiva, la legge n. 193, recante "Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti", conosciuta come legge "Smuraglia", dal cognome del suo primo proponente.
Questa legge , di breve (sei articoli) ma significativo contentuto, è nata formalmente dall'esigenza di colmare una lacuna presente nella normativa sulle cooperatve sociali (legge n. 381/191).
Le facilitazioni previste per l'inserimento lavorativo riguavano solo le persone detenute in misura alternativa. Il Disegno di legge firmato da Smuraglia, Manconi e Fumagalli prevedeva che anche le persone detenute o internate fossero ammesse al regime di agevolazioni nella normativa delle cooperative sociali (n. 381/91), che le riduzioni contributive fossero estese alle aziende pubbliche o private che organizzano attività produttive o di servizi all'interno degli istituti penitenziari, limitatamente agli importi dovuti per le persone detenute o internate; che fossero concessi sgravi fiscali alle imprese che assumano lavoratori detenuti per un periodo di tempo non inferiore a 30 giorni o che svolgano effettivamente attività formative nei confronti dei reclusi.
Nel Febraio 2001, l'ex ministro della Giustizia Fassino, e quello del lavoro, Salvi, hanno firmato un protocollo d'intesa per favorire il cosiddetto "reinserimento sociale" dei condannati, che ha l'obbiettivo di rendere effettiva la legge n. 193/2000.
Saranno incentivati la nascita e lo sviluppo di cooperative sociali che abbiano come soci anche ex detenuti e internati; verrà istituita una banca dati, in cui saranno riportate le caratteristiche professionali di ogni recluso; sarà promossa l'attività delle "società di mediazione per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro"; verranno sviluppate iniziative finalizzate alla produzione di beni e servizi per il mercato esterno, trmite la promozione di commesse da parte di enti pubblici, imprese, cooperative sociali.
Ogni sei mesi, i due ministeri verificheranno lo stato di attuazione dei contenuti del protocollo.
Se è vero che si è passati da un 37,9% di detenuti lavoranti del 1990 al 23,1% del 1999, è altresì importante notare come questa legge cerchi di riprendere le fila del discorso riproponendo dopo un decennio la questione del lavoro in carcere come tra gli obbiettivi in programma.
Difficile individuare i tempi di resa effettiva di questa legge (e di conseguenza, di questo processo comunque in atto), perché ha in sè molte più implicazioni rispetto ad esempio all'introduzione della tecnologia nel campo della sorveglianza.
Servono: strutture, infrastrutture e "personale detenuto" in grado di sostenere la produzione richiesta. Seppure i tempi non saranno brevi, il passaggio è certamente storico. Perché andrà a mutare sia qualitativamente che strutturalmente la concezione stessa dell'istituto di pena in generale e il concetto stesso di sorveglianza nello specifico. Il carcere italiano, statico e addormentato, guarda all'esempio statunitense.
I due sono piani talmente distanti tra loro che non vi sono paragoni: negli Usa, la produzione all'interno delle prigioni arriva ad essere quotata in borsa e vi sono vere e proprie multinazionali che si gestiscono a 360 gradi controllo & produzione, aprendo in questo modo tutto il versante delle carceri private che seppure non superano il 6/8% delle carceri manovrano migliaia di detenuti. Va da sè però che la politica d'esportazione statunitense è fortemente "influente" e penetrante.
Paesi come Inghilterra, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda hanno già inziato a far nascere carceri produttive e carceri private.
Quindi se è vero che allo stato attuale il carcere italiano non può essere - proprio per la mancanza dei tre elementi prima descritti - un carcere/produzione, è comunque fondamentale che si inizi a ragionare sull'istituzione penitenziaria come di una struttura molto più complessa che in passato, e complessa proprio come insieme di strumenti coesistenti.
Non per niente, abbiamo citato l'attuale ministro di Giustizia quando parla della vendita delle vecchie strutture per la costruzione di nuovi istituti. Il passaggio ovviamente non è inteso in senso "democratico", diretto cioè verso alla costruzione di carceri "umane", perché come già scritto in precendeza questo non è assolutamente un obbiettivo di un sistema imperialista, di cui il carcere è e deve essere una emanazione; la nascita di nuove prigioni, in teoria meglio attrezzate (a livello di infrastrutture e di tecnologia), andranno ad alzare il controllo parcelizzato del corpo detenuto.
Le politiche antiproletarie andranno a formare i nuovi prigionieri. Che, se ci è permesso fare una proiezione, saranno sempre più giovani (la stragrande maggioranza dei detenuti negli Usa sono compresi nella fascia d'età che dai 19 anni ai 27), e pescati nelle sacche sociali delle metropoli completamente escluse, fuori, dal sistema di produzione. Quindi, i soggetti che fuori di fatto sono estraniati dalla produzione, vengono riconvertiti in manodopera a costo zero.
E ad un Agnelli qualsiasi farebbe comodo avere manodopera a costo zero e senza diritti formali...Fantascienza?! Vedremo.
Il controllo parcelizzato dei prigionieri sta di fatto già prendendo piede con la formalizzazione dei tre differenti circuiti carcerari, ai quali vanno aggiunti il circuito del 41bis e i campi di detenzione amministrativa per stranieri. Vale la pena qui riportare quanto scritto dagli avvocati Pelazza e Giannangeli sul n.5 di Senza Censura: "Coerentemente è iniziata, nell'ultimo periodo, la classificazione dei detenuti in AS (alta sicurezza), media sicurezza, attenuata sicurezza, con condizioni di vita diversissime: quelli in AS fanno socialità solo sezione per sezione, subiscono perquisizione a ogni uscita di cella, non hanno lavoro, non hanno contatti con i detenuti di altre sezioni e/o di altra classificazione; quelli in media sicurezza hanno la cella sempre aperta, possono circolare nella sezione, non hanno polizia penitenziaria in sezione, spesso trovano lavoro; quelli in attenuata sicurezza (una esigua minoranza) fanno colloqui con i familiari in appositi spazi all'aperto, beneficiano spesso di permessi, hanno sempre possibilità di lavoro.La pena varia quindi, non solo nella quantità ma anche nella qualità con un duplice effetto: la minore afflittività, oltre ad alleviare le condizioni di segregazione, favorisce un maggior numero di benefici e, naturalmente, viceversa. Se si aggiunge che i criteri di assegnazione non sono noti, soprattutto per la distinzione tra alta e media sicurezza, e che l'assegnazione è fatta dal Ministero o dalla Direzione, è facile capire come l'arbitrio, finalizzato a raggiungere i non dichiarati scopi dell'Amministrazione, regni sovrano."
Oggi come oggi, rispetto alla questione della differenziazione, è difficile addirittura fare un quadro sull'effettiva applicazione all'interno degli istituti di pena.
Risulta quindi difficile riuscire ad avere per le mani elementi oggettivi e dati chiari. Questo tipo di processo, che di fatto a detta di chi scrive rappresenta il punto nodale attorno al quale ruotano tutte le altre forme di controllo come "braccialetti elettronici" e lavoro, è in piena attuazione e già sta contribuendo a ridisegnare il "carcere made in italy".
Niente quindi da invidiare alle F-type turche o al F.i.e.s. spagnolo, anche l'Italia è sulla buona strada...

Conclusioni (?!)
Beh, conclusioni chiaramente non ve ne sono. La riorganizzazione è in atto anche se alcuni risultati sono già visibili. Lo stato delle cose, figlio della enorme politica di pacificazione e normalizzazione, "tutta incentrata sui meccanismi individualistici del premio e della punizione" (Giannangeli e Pelazza, SC n.5) teso a formare soggetti detenuti individualistici e competitivi, non è certamente roseo.
Del resto, le dinamiche interne riflettono quelle che sono le condizioni esterne. Tuttavia non è assolutamente detto che la ristrutturazione attualmente in progress prosegua così linearmente come nelle previsioni.
La pacificazione e la normalizzazione viene ciclicamente spezzata dalle lotte dei detenuti che però non riescono ad andare oltre alle richieste più immediate, colpa anche e soprattutto della situazione di lotta esterna alle prigioni.
Ed ecco che di volta in volta queste lotte vengono riassorbite nei dibattiti riguardanti indulti e amnistie, che veicolati dal piano istituzionale e prettamente riformista nascono e muoiono nel giro di poche settimane. Riformiamo perché tutto rimanga così com'è. Anzi, magari peggiori pure.
Perché questa è la situazione. Mentre tutto il dibattito a seguito delle lotte dei prigionieri dopo i fatti di Sassari (e la mobilitazione dei detenuti in tutta Italia), verteva unicamente sul discorso amnistia o indulto, senza la reale volontà di arrivare poi a stabilire una o l'altra cosa, i legislatori borghesi apportavano tutto il riordino radicalizzato in senso antiproletario di cui abbiamo parlato in questo articolo. Ancora una volta quindi, abbiamo avuto la possibilità di verifcare con mano quanto sia del tutto controproducente la politica riformista dal momento in cui il carcere, come ogni istituzione portante dell'attuale sistema imperialista, non può e non potrà mai passare attraverso alcuna riforma perché istituzione non più riformabile.
Esattamente, quindi, come scriviamo "guerra alla guerra imperialista", allo stesso modo dobbiamo lavorare per l'abbattimento del sistema carcerario borghese. A partire dalle sue contraddizioni.


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