Senza Censura n. 7/2002

[ ] Resistenza e lotta in Turchia
Notizie ed approfondimenti dopo le ultime vicende

Alcuni giorni dopo l’assalto al quartiere di Istanbul, Armutlu, avvenuto il 13 novembre scorso, Senza Censura ha incontrato alcuni compagni membri del DHKC venuti in Italia in rappresentanza della Tayad, in occasione dell’iniziativa pubblica organizzata in Versilia dal Comitato contro la Repressione il giorno 21 dello stesso mese.
Nei mesi scorsi la Tayad aveva fatto un appello a livello internazionale per andare ad Armutlu, dove alcuni prigionieri e loro familiari si erano radunati intorno alle case della resistenza, simbolo della lotta contro la repressione dello stato fascista turco.

Il quartiere, attorno al quale si sono mobilitati giovani, artisti e intellettuali, è stato dapprima minacciato, e dopo alcuni giorni dalla partenza della delegazione italiana, è stato assaltato dall’esercito durante il corteo funebre di un resistente morto dopo trecento giorni di Death Fast. Le case della resistenza sono state distrutte, ed è stato instaurato un commissariato circondato da duemila uomini della forza di polizia speciale; inoltre è stata messa la bandiera turca al centro del quartiere come forte provocazione.

Quali sono le organizzazioni impegnate nello sciopero della fame, e come si collocano nell’ambito di pensiero marxista-leninista?

Impegnati in pieno nello sciopero della fame sono il DHKC, il TKP(M-L), e il TKIP.
Le prime due organizzazioni hanno ancora un’attività di guerriglia all’interno del paese. Per esse la lotta armata è una questione di utilità strategica dal punto di vista della rivoluzione e della conquista del potere, per cui questa forma di lotta non viene assolutamente messa da parte.
Ci sono poi organizzazioni di varie origini che vengono dal movimento maoista, che però si sono divise in più parti ed oggi rappresentano poco. C’era l’Esercito di Liberazione Popolare della Turchia che è nato dopo il movimento del ’68; è diventata poi un’organizzazione filo albanese che si è trasformata in Liberazione Popolare, ma in un primo momento non avevano un partito, che hanno successivamente formato; dopo essere stati in carcere ed essere stati sconfitti nelle lotte al loro interno dopo la giunta degli anni’80, hanno cominciato a pensare che fosse necessario costruire un partito clandestino, operaista. Essi non hanno un progetto alternativo, non propongono cambiamenti radicali.
In una situazione in cui la borghesia al potere è in uno stato di putrefazione molto avanzato, e in cui le condizioni di crisi sono estremamente profonde con delle condizioni favorevoli in senso rivoluzionario, una linea simile è quasi criminale.
C’è un’altra organizzazione, il Partito della Libertà e della Solidarietà, che è molto amplificato dai mass media, composto da varie organizzazioni ecologiste, trotskijste, femministe, pacifiste, che fanno colore, ma per la società turca non rappresentano niente.
Ci sono molte tendenze che hanno anche smesso la lotta di classe rivoluzionaria come ad esempio alcune organizzazioni guevariste che si chiamano Sentiero Rivoluzionario e i revisionisti del Partito Comunista, unitisi al Partito della Libertà e della Solidarietà.
Da un lato questo è un elemento negativo, in quanto si sono messe in gioco molte forze rivoluzionarie in un momento in cui le tensioni sociali sono molto aspre; però c’è un elemento positivo che ha portato ad una specie di “selezione naturale”, in quanto sul terreno della lotta di classe sono rimaste le forze più genuine, il DHKC, il TKP(M-L), mentre il TKIP è una forza che contribuisce, ma è molto piccola.

Con quale significato politico i compagni turchi intendono il concetto di internazionalismo, e quale risposta solidale ritengono più opportuna nei propri confronti?

Il Death Fast si rivolge alla sinistra turca e a quella di tutti i paesi occidentali perché attraverso di esso pensano che sia possibile dimostrare anche che di fronte a condizioni difficili quali il fascismo lottando e sacrificando la propria vita è possibile ottenere qualche cosa. Questa è una verità assoluta per molti rivoluzionari nel mondo, però è possibile dimostrarla anche a tutto il popolo. La prima caratteristica della loro organizzazione è che sono nati dopo la caduta del muro di Berlino, quindi in un periodo di grande demoralizzazione dal punto di vista della possibilità di una trasformazione in senso rivoluzionario; in quel periodo nel loro paese la maggior parte delle organizzazioni ha abbandonato la lotta armata ed ha cominciato a dialogare con l’imperialismo e a mettersi sotto le sue ali, per cui per rompere questo periodo di “concordia” hanno dato inizio a delle azioni come lo sciopero della fame, come un segnale che la condizione è difficile dato che il fascismo sta riprendendo piede e che è possibile lottare anche sacrificando la propria vita per scopi rivoluzionari. Attraverso questa forma di lotta hanno ottenuto in passato delle vittorie, in particolare la prima è stata nel 1984 quando ci fu una lotta dura da parte dei prigionieri rivoluzionari, che non accettarono delle imposizioni quali l’introduzione delle uniformi dentro le carceri o del taglio dei capelli. Lo sciopero della fame durò 65 giorni (durante i quali morirono quattro compagni) ed ha portato alla cancellazione di questi provvedimenti, pur nelle condizioni più dure dopo il colpo di stato del 1980.
Anche nel ’96 c’è stato uno sciopero della fame di questo tipo per impedire il trasferimento nella prima cella di tipo F costruita in quel periodo; dopo 69 giorni di sciopero e la morte di dodici persone, quel carcere fu chiuso.
Questa ultima lotta invece è molto lunga perché è iniziata da tredici mesi, ma continua a resistere nonostante le molteplici forme in cui lo stato ha tentato di schiacciarla : i massacri, i compagni rimasti inabili a seguito della tortura dell’alimentazione forzata, gli assalti alle carceri, i morti dello sciopero della fame (che erano inizialmente 99 ed oggi ci sono più di 170 detenuti impegnati in questa forma di lotta).
Il ruolo di questi compagni prigionieri ha un valore inestimabile per il movimento rivoluzionario internazionale, e lo hanno dimostrato le molte delegazioni che sono andate a rendere loro omaggio, anche proprio per l’esempio morale di una grande determinazione.
Ai nostri compagni interessa una solidarietà politica a questa lotta e la comprensione di ciò che sta avvenendo, anche da parte di altre realtà come quella italiana, facendo pressioni a livello internazionale ; la vittoria sulle prigioni di tipo F è importante per tutto lo sviluppo della lotta di classe in Turchia e non solo, perché oggi intorno a questo problema si sta giocando una partita importante, e perché le lotte sindacali oggi portano fra le loro parole d’ordine la chiusura delle F-Type (in queste celle si trovano anche molti sindacalisti). I prigionieri politici sono più di 10.000, una cifra più alta della Colombia o delle Filippine; forse solo in Palestina c’è un numero paragonabile di prigionieri.

La Tayad si occupa anche dei prigionieri kurdi? E questi ultimi partecipano allo sciopero?

Il PKK non ha mai dato alcun sostegno a quest’azione, l’unica volta che ha preso parte è stato per sabotarla apertamente. Non c’è mai stata esperienza di resistenza unitaria. Durante la giunta militare dell’80 ci sono state azioni di resistenza di parti del PKK, ma non hanno mai sviluppato l’idea come organizzazione che quando si è imprigionati l’importante è quello che succede fuori e non quello che succede dentro, per cui hanno sviluppato questa linea secondo cui attendono passivamente la libertà o qualche cambiamento. Quando è cominciato lo sciopero della fame c’erano delle grandi tensioni sociali, era quindi chiaro che la polizia e l’esercito si preparavano a rispondere. Il PKK è entrato in sciopero della fame per circa 15 giorni, dopodiché lo hanno interrotto e il Ministro della Giustizia turco ha usato questa cosa dicendo :”ecco i veri prigionieri ragionevoli”.
Non hanno mai partecipato né allo sciopero della fame né ad azioni di resistenza fisica alle carceri facendo barricate, in particolare anche nel ’96 alcuni prigionieri islamici hanno solidarizzato con loro ed hanno partecipato a queste barricate contro l’assalto dei carcerieri ed hanno commemorato chi ne è rimasto vittima. Invece ci sono stati episodi in cui alcuni del PKK in prigione parlavano del cibo e di quello che avevano mangiato; questo per dire che ad un certo punto c’è stato un momento di desolidarizzazione fra le due parti in carcere.
Nel settembre ’99 nella prigione di Ankara c’è stata una tensione molto forte perché in alcune celle-dormitorio previste per 50/60 persone erano detenute oltre 120 persone, per cui i compagni del DHKC hanno deciso di rompere il muro della prigione e di occupare la casermona-dormitorio accanto, aprendo delle negoziazioni con le istituzioni carcerarie per poter usufruire anche dell’altro spazio e vivere meglio. Quando l’esercito stava per intervenire il portavoce del PKK si è rivolto al generale che stava per condurre l’assalto dicendo “noi non c’entriamo niente in questa azione”, per cui l’esercito ha fatto evacuare i militanti del PKK mentre le altre organizzazioni hanno subito la repressione e il massacro con l’uccisione di molti prigionieri. Ci sono immagini dell’ultimo assalto nel dicembre 2000 in cui alcuni detenuti del PKK in altre prigioni non coinvolte in questa azione solidarizzavano con alcuni della polizia e dell’esercito. Questa è una strada che hanno scelto per rendersi più graditi allo stato turco per aprire la possibilità di negoziare alcuni elementi per le proprie rivendicazioni (ad es. Ocalan). Non hanno mai solidarizzato con i prigionieri politici turchi, mentre invece questi stanno conducendo lo sciopero della fame senza alcuna distinzione sull’organizzazione di appartenenza, quindi anche nei confronti dei Kurdi.
C’è la frazione PKK-Combattenti per la linea Rivoluzionaria che non ha accettato questa condotta. Ci sono due di loro che durante l’assalto del dicembre 2000 hanno partecipato alla resistenza e sono morti. Il PKK non li riconosce come suoi membri.
Nel dicembre ’96 è stata firmata una dichiarazione congiunta fra PKK e DHKC che si proponeva una linea comune; questo però sembra contrastare con quanto detto finora.
Lo scopo era quello di unificare la lotta alla base. Il PKK ha accettato, ma quando è arrivato il momento di essere concreti, ha rifiutato qualsiasi tipo di proposta ed hanno fatto addirittura delle alleanze con dei sindacati riformisti per escludere alcuni loro compagni del sindacato; significava per il movimento giovanile, per i sindacati e per i gruppi guerriglieri di fare delle azioni comuni e di avere degli obiettivi comuni. Ad esempio c’era un accordo fra le due organizzazioni che riguardava le azioni sindacali per sostenere le candidature dell’una e dell’altra indistintamente, però c’è un esempio in cui ad un certo punto un loro sindacalista è stato fatto scomparire dal gruppo guerriglia. Alcuni sindacalisti hanno preso un camion di proprietà del sindacato per andare a cercarlo, e per questo motivo sono stati espulsi. Un membro degli squadroni della morte ha dichiarato che avevano rapito e ucciso questo compagno e lo avevano gettato in una discarica; dopo tutta una serie di episodi di questo tipo alla fine del ’97 il DHKC ha posto fine a questo protocollo comune che era solo formale ma non aveva nessuna conseguenza pratica.

In che forme avvengono i controlli sui membri della vostra organizzazione?

Ad esempio in Germania è molto facile essere controllati e pedinati perché siamo fuorilegge, in base all’articolo 129/A (ispirato al codice fascista Rocco) che riguarda direttamente anche la nostra organizzazione; è in progetto anche il 129/B per rendere ancora più rigida questa legge repressiva.
Il rafforzamento di questo genere di leggi è in atto anche altrove, specialmente dopo il clima che hanno montato dopo l’11 settembre. infatti i sistemi di controllo sono raddoppiati, ad esempio una nostra compagna detenuta in Belgio in quanto clandestina, è accusata senza prove di aver fatto parte del commando che aveva attaccato uno dei magnati della Turchia. E’ stata minacciata di essere estradata in Turchia dove è prevista la pena di morte, cosa che non è possibile fare per un paese europeo.
Dopo lo sciopero della fame in prigione, ha ottenuto gli arresti domiciliari, però pare che il 13 settembre il Belgio abbia espresso l’opinione di poterla giudicare per reati commessi in Turchia; è stato quindi applicato l’articolo 5 della Nato e lei verrà giudicata in Belgio.
E’ un fatto surreale perché non ha precedenti e, oltretutto, sembra che la magistratura belga voglia acquisire come elemento di prova della presunta colpevolezza il dossier che gli è fornito dallo stato turco, per cui derivato da un paese fascista e con degli interrogatori estorti sotto tortura, con degli elementi completamente falsi e non provati.
In effetti questo prima dell’11 settembre non era pensabile. Su questo terreno anche la diplomazia turca si sta muovendo ai massimi livelli. Ad esempio recentemente c’è stata una riunione in Belgio dei ministri della giustizia europei (Eurojust) a cui ha partecipato anche il ministro turco, pur non facendo parte dell’Unione Europea; il tema dell’incontro era il traffico di organi ma al di là di questo il ministro ha portato un dossier per chiedere la chiusura dell’ufficio informazioni di Bruxelles del DHKC perché. secondo lui, da questo ufficio parte la direzione dello sciopero della fame e vengono lanciate le rivendicazioni delle azioni armate e di alcune azioni kamikaze contro alcuni commissariati.
L’ultimo esempio è quando recentemente siamo andati con la nostra delegazione di compagni in Belgio per portare solidarietà al processo partito il 1 ottobre ; all’aereoporto di Bruxelles siamo stati tutti fermati e trattenuti dalla polizia per diverse ore, è stato contattato il gruppo di Interforze Antiterrorismo e la sede della Digos in Italia e al nostro arrivo siamo stati nuovamente fermati a Pisa per tutta la notte all’interno del commissariato.
Questa è un’azione internazionale di criminalizzazione perché i nostri uffici europei non svolgono nessun’altra azione che quella della sensibilizzazione e pensiamo che le azioni rivoluzionarie vadano svolte nel nostro paese, quindi negli altri paesi ci sforziamo di rimanere legali. Il DHKC non è nella nuova lista di organizzazioni da mettere fuorilegge.

Il ruolo della Turchia nell’attuale quadro internazionale


La Turchia ha un ruolo fondamentale all’interno del controllo delle contraddizioni nel medio oriente. L’Italia ha elargito molti fondi alla Turchia , che è in una crisi economica spaventosa da qualche tempo; inoltre sono stati concessi 10 miliardi di dollari dopo l’11 settembre perché la Turchia si è impegnata ad avere un ruolo attivo nella guerra in Afghanistan. Certo non potranno arrestare la crisi, che è talmente profonda a causa di una svalutazione della moneta a livelli altissimi, quindi non è qualche investimento straniero che può rovesciare la situazione.
Il ruolo della Turchia è sempre stato forte nei conflitti nella regione del Caucaso con l’impegno diretto del suo esercito; la Turchia è stata inoltre la base di partenza per gli aerei che hanno bombardato l’Irak nella guerra del ’91; e il grande ruolo, infine, che ha per la diplomazia internazionale, per mediare con i paesi dell’Asia Centrale rivali dell’imperialismo.
Il 29 ottobre, anniversario della Repubblica della Turchia, George Bush ha riconosciuto questo ruolo dicendo: “Non abbiamo mai avuto tanto aiuto dalla Turchia come in questi momenti difficili”.
Gli USA si ispirano a quello che essi stessi hanno spinto per creare in Turchia, cioè i tribunali speciali militari in effetti attivi da tempo.
Il ruolo di orpello della Turchia si è evidenziato anche quando Bush ha fatto una gaffe parlando di lancio di una nuova crociata ed è stato difeso a livello internazionale.
Un altro esempio è che il ministro dell’economia turco è il numero 2 della Banca Mondiale.

All’interno del carcere esiste un rapporto di solidarietà tra detenuti comuni e detenuti politici?

Ce n’era molta, ma dal momento in cui hanno istituito le celle di tipo F questo viene impedito fisicamente: è lo scopo di quelle celle.
Nel ’96 durante la rivolta contro la prima prigione con celle di tipo F, molti detenuti comuni si sono uniti allo sciopero della fame, che è una cosa eccezionale per questo tipo di lotta; addirittura cinque sono morti durante questa azione assassinati dalla mafia, che è quella che controllava quelle carceri provvisorie istituite prima delle F-type.
In Turchia a causa dell’estrema crisi, c’è un incremento enorme della criminalità, in particolare della microcriminalità.
Ci sono circa 60.000 prigionieri comuni in questo momento, perché molti devono trovare modi diversi per mangiare. Non è niente in confronto alla criminalità delle banche che hanno chiuso i battenti e sono andate all’estero lasciando sul lastrico migliaia di persone, però questo è un aspetto che c’è e su cui loro hanno sempre giocato.
Essendo il sistema carcerario gonfio di queste contraddizioni sociali i reazionari, i fascisti in particolare organizzano, dove non c’è la presenza di organizzazioni rivoluzionarie, una gerarchizzazione dei rapporti, una istituzione di caporali che gestiscono la vita nelle prigioni, la tortura per estorcere denaro ai prigionieri, per cui in questo senso per loro è un forte elemento di intervento.
Ci sono ragazzini che hanno preso 7 anni per aver rubato alcuni pasticcini tipici turchi.
Dentro la gente c’è molta rabbia contro le istituzioni.
Alcuni giovani che si erano politicizzati in carcere sono stati rimessi dentro dalla polizia.

In Italia che tipo di solidarietà vi aspettate, di massa o di militanti?

La prima cosa che vogliamo fare è rompere il silenzio, vogliamo che le autorità turche vi sentano e che anche ai prigionieri arrivi la vostra voce. E quindi sta a voi la scelta di cosa fare. Per esempio il 19 dicembre sarà un anno dal massacro dopo l’inizio dello sciopero della fame, e se ci fossero delle mobilitazioni questo sarebbe un elemento importante di generalizzazione di questa lotta, e arriverebbero anche ai prigionieri nelle F-type; anche se la maggior parte dei prigionieri è stata trasferita nelle F-type (circa 6000 persone), i comunisti intelligentemente trovano comunque la maniera di comunicare all’interno di queste prigioni; una che si può dire è ad esempio l’alfabeto Morse attraverso i muri.
Negli altri paesi ci sono state diverse forme di solidarietà, come i murales a Belfast con l’immagine di una compagna turca della vecchia guardia che era già stata in galera dieci anni, prima dello sciopero della fame.
Ci sono state poi azioni di solidarietà da parte dei Baschi e dei militanti spagnoli del GRAPO che hanno da poco cominciato lo sciopero della fame. Lo stesso hanno fatto molti anarchici in Grecia. Ma la più grande solidarietà è venuta dall’Irlanda, da cui alcune delegazioni sono andate a rendere visita ai prigionieri in sciopero della fame.

Il fronte è anche il partito? Qual è la differenza?

Il fronte è diviso in due branche di cui una completamente clandestina che pratica la lotta armata, e un’altra che riunisce le organizzazioni di massa (dei giovani, degli avvocati, culturali...) e alcuni livelli di strutture semi-clandestine all’interno dei sindacati.
Il partito invece è quello che dirige tutto.
Ci sono differenti gruppi con settori di lavoro diversificati, come ad esempio l’organizzazione che lavora nell’immigrazione europea o sulla condizione dei detenuti, per cui si chiama Fronte di classe e delle nazionalità; di classe perché raggruppa tutti gli elementi del lavoro, del settore di classe in Turchia, ma anche delle nazionalità, perché ci sono alcuni settori specifici, essendo la Turchia multietnica (Turchi, Kurdi, Arabi, Caucasici, ecc.).




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