Senza Censura n. 9 - 3/2002

[ ] Parola d'ordine: flessibilità

Ovvero il lavoro che vorrebbe l'Unione Europea

Nel numero 8 di Senza Censura si è fatto accenno a come le politiche economiche e di riforma del mercato del lavoro in Italia siano in stretta correlazione con le linee guida indicate dall'Unione Europea in vari trattati ed accordi. Nello specifico è con la "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea" (Carta di Nizza) del dicembre 2000 approvata dai tre organismi posti alla guida della futura Europa (il Parlamento Europeo, il Consiglio e la Commissione) che i paesi membri hanno voluto sintetizzare elementi fondamentali e costitutivi di una futura area comune.
I diritti affermati nella Carta hanno chiaramente la forma di "dichiarazioni solenni", affermando dei principi generici che poi trovano la loro concreta determinazione all'interno sia dei vari trattati europei che delle politiche economiche delle singole nazioni. E' infatti prevedibile che gli stati membri continueranno a costituire un elemento strutturale imprescindibile del sistema istituzionale dell'Unione Europea, con la conseguenza che l'architettura istituzionale dell'Unione Europea seguiterà ad essere costituita su base statale/nazionale e che tra il livello statale/nazionale e quello europeo seguiterà a operare una ripartizione di competenze.
La Carta pur non essendo vincolante verso gli stati membri diventa comunque punto di riferimento e determina le scelte dei singoli paesi, ne traccia il futuro assetto giuridico. Non a caso il "Libro bianco" del ministro Maroni fa in più punti esplicito riferimento alla Carta di Nizza.
Riportiamo ad esempio: "...la stessa "Agenda di Politica Sociale", concordata al Consiglio Europeo di Nizza, insiste sull'importanza di adattare la regolazione dei rapporti e dei mercati del lavoro al fine di creare un opportuno equilibrio tra flessibilità e sicurezza, invitando apertamente le parti sociali a continuare nel loro dialogo sull'organizzazione del lavoro ed in particolare sulle nuove forme di occupazione..."
E' comunque nei vari consigli europei che vengono imposte le linee di intervento che poi i singoli governi nazionali dovranno attuare. Nel vertice di Barcellona del marzo 2002 sono state affrontate le politiche legate al lavoro. L'obiettivo principale che i governi ostentano è quello di un aumento dell'occupazione (fino al 70% della popolazione europea entro il 2010) e far diventare l'Europa avanguardia della "knowledge economy".
Anche se l'obiettivo dell'occupazione è in realtà uno specchietto per le allodole, va ricordato infatti che l'Unione Europea sorge negli anni '50 su iniziativa delle lobby francesi e tedesche del carbone e dell'acciaio per favorire lo sviluppo economico delle imprese europee. Lo scopo è quello di creare un mercato interno sufficientemente vasto per corrispondere al loro potenziale. L'attuale situazione mondiale è poi caratterizzata da una forte competizione che spinge i capitali a unirsi in poli fra loro concorrenti, il polo USA, quello Giapponese ed appunto quello dell'UE.
Nell'obiettivo della trasformazione dell'attività economica in Europa si possono comprendere gli attuali processi di ristrutturazione in corso in settori del lavoro legato alla produzione (vedi casi FIAT e Renault) che vengono abbandonati per quei settori che permettono maggiori guadagni in minor tempo quali sono quello finanziario, quello dell'energia e delle telecomunicazioni. Questo è lo scenario con cui bisogna necessariamente fare i conti nell'intraprendere qualsiasi lotta dei lavoratori e forse le classiche rivendicazioni resistenziali ora più che mai risultano inadeguate.
Il Consiglio di Barcellona ha indicato agli stati membri i principi per modernizzare il mercato del lavoro, in breve la "Strategia europea per l'occupazione" consiste nell'eliminare gli ostacoli e i disincentivi a entrare o rimanere nel mondo del lavoro. In pratica una deregolamentazione del mercato del lavoro.
Viene evidenziata la necessità di un aumento della flessibilità invitando i vari governi a liberalizzare le normative sui contratti di lavoro. La flessibilità crea in parallelo l'esigenza di una formazione continua, funzionale alle necessità aziendali.
Si raccomanda di consentire "l'evoluzione dei salari in base agli sviluppi della produttività", quelle che comunemente vengono chiamate "gabbie salariali" cioè salari differenziati - in pratica più bassi - in alcune aree della stessa nazione. Questo vuole legittimare, e per i governi e i padroni diventa sostegno ideologico, l'introduzione ad esempio nel sud Italia, in alcune province spagnole o in regioni come la Scozia e il Galles, di normative differenziate. Bisogna evidenziare il fatto che anche alcune organizzazioni sindacali abbiano siglato accordi in tal senso.
Viene poi indicato come necessità l'aumento graduale di circa 5 anni dell'età pensionabile entro il 2010 e trovare forme di incentivi verso i lavoratori anziani per rimanere sul posto di lavoro, con formule di pensionamento flessibile e graduale.

L'Unione Europea preme perché si imbocchi con più decisione la strada della flessibilità nel mercato del lavoro. E' questa la principale risposta che i governi danno al problema della disoccupazione. Se per le statistiche questo significa maggiore occupazione, concretamente per i lavoratori vuol dire lavori a intermittenza, part time, in generale bassi salari e la formazione di una fascia di lavoratori poveri (working-poor) con meno forza contrattuale e più alta ricattabilità. Tutto questo è conseguenza di una nuova organizzazione del lavoro caratterizzata dalla tendenza alla transizione dal fordismo al post-fordismo: una fabbrica flessibile che necessita di una parte di manodopera altrettanto flessibile. Si cerca così anche di dare una soluzione ad una possibile conflittualità sociale legata al disagio di essere disoccupati per un lungo periodo.
All'interno del polo europeo imperialista sono presenti due linee che rappresentano due diverse concezioni del mercato del lavoro. Una è quella del liberismo economico, rappresentata principalmente da Gran Bretagna, Spagna, Italia e Danimarca, l'altra socialdemocratica costituita dalla Germania e dalla Francia. Il mercato del lavoro a cultura anglosassone è caratterizzato da poche leggi fondamentali, contrattazione soprattutto a livello aziendale e un alto uso di mobilità e flessibilità. Quello di tipo europeo continentale è caratterizzato da una maggiore densità legislativa e da rilevante contrattazione soprattutto a livello nazionale e di settore, con maggiori rigidità diffuse e uno stato sociale più pesante. Entrambe queste concezioni esprimono un punto di vista borghese e sono portatrici degli interessi del capitale. Quello che sarà il modello sociale europeo è il frutto del compromesso tra questi modelli, ma sarà determinato anche dai rapporti di forza che la lotta di classe sarà in grado di esprimere, ricordando che la prospettiva per il proletariato non sta fra queste due possibilità ma nel rivoluzionamento del modo di produzione, in una alternativa autonoma.
La tendenza che ne emerge è comunque quella di un mercato del lavoro flessibile e deregolato.
Il padronato considera nei periodi di forte ristrutturazione più efficienti i sistemi flessibili (su modello anglosassone) perché consentono alle imprese di liberarsi facilmente della manodopera in esubero nei periodi di crisi e di avere ampia disponibilità di manodopera alle condizioni desiderate nelle fasi di ripresa. Viene attribuita al mercato, attraverso la flessibilità salariale, la mobilità territoriale, la libertà di assumere e licenziare, la migliore garanzia di tutela del lavoro.
Ad insistere per la trasformazione del mercato del lavoro è la Gran Bretagna del labourista Tony Blair. Il New Labour Party, partito di centro-sinistra, con la sua politica chiamata di "Terza Via" persegue lo snellimento della presenza statale nell'economia, la modifica dei sistemi di protezione sociale e una strategia economica che faccia crescere l'occupazione nel settore privato rispetto a quello pubblico. Non dimentichiamo che le privatizzazioni hanno portato non solo a un peggioramento dei servizi, ma al taglio dei posti di lavoro e a un deciso abbassamento della qualità del lavoro e della sicurezza; le ferrovie inglesi ne sono un esempio.
Le posizioni del governo inglese trovano sostegno anche in altre nazioni. Il vertice Gran Bretagna-Italia del 15 febbraio 2002 ha prodotto un documento tecnico sul mercato del lavoro in vista del consiglio europeo di Barcellona che concorda posizioni comuni sulla flessibilità del lavoro, sull'apertura ai privati dei servizi per il collocamento, riforma della fiscalità e delle leggi sul lavoro, ecc.
Vogliamo riportare alcuni passi di questo documento che ci sembra diano bene il senso della situazione con cui dobbiamo scontrarci.
Il primo punto cita: "... Un'economia e una società in cui i governi, gli imprenditori e i lavoratori collaborano per creare l'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo rappresentano i presupposti per una crescita sostenuta, per posti di lavoro più numerosi e migliori, per una coesione sociale".
Al punto due viene ribadita chiaramente la determinazione ad imporre il passaggio dal posto fisso ad un lavoro precario, tramite queste dichiarazioni si vuole legittimare questi cambiamenti anche da un punto di vista ideologico: "2. Le economie europee hanno subito notevoli cambiamenti strutturali: la modernizzazione e la liberalizzazione dei mercati di prodotti e servizi, la globalizzazione e il rapido sviluppo dell'information technology e della communication technology. Il modello dell'occupazione a lungo termine presso un unico datore di lavoro sta scomparendo a poco a poco e viene sostituito da quello di una vita lavorativa fatta di lavori diversi, che richiedono capacità differenti. Queste nuove situazioni rappresentano una sfida per i decisori politici e per i cittadini."
Anche nel punto seguente assistiamo ad un'opera di manipolazione ideologica in cui viene fatta passare una crisi strutturale insita proprio nell'organizzazione produttiva capitalistica come un deficit di crescita legato quasi esclusivamente alla troppa rigidità del lavoro ed individuando la soluzione nella flessibilità: "3. I mercati del lavoro europei sono caratterizzati da problemi strutturali. Pertanto, riforme radicali sono necessarie per affrontare le sfide che ci aspettano, aumentare il tasso di occupazione e garantire il pieno sviluppo del potenziale economico. Alcune riforme sono state fatte, tra cui la progressiva introduzione di una maggiore flessibilità nelle norme che ostacolano l'accesso all'occupazione e l'attuazione di politiche attive del lavoro. Tali riforme hanno contribuito a rendere l'Europa più competitiva e a creare nuovi posti di lavoro."
Nel punto dieci si fa esplicito riferimento alle iniziative da intraprendere: "10. Gli Stati membri dell'UE dovrebbero quindi, ove necessario, rivedere la regolamentazione esistente e introdurre nuove norme e incentivi per ridurre gli ostacoli all'occupazione, facilitare l'introduzione di un'organizzazione del lavoro più moderna e aiutare il mercato del lavoro ad adattarsi al cambiamento strutturale. Le parti sociali dovrebbero accordarsi sulle iniziative da intraprendere in settori quali lo sviluppo di un orario di lavoro più flessibile, la riduzione degli straordinari, l'aumento del lavoro part-time, l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e le interruzioni della carriera. Il lavoro part-time può facilitare il passaggio dalla disoccupazione al mercato del lavoro e dall'occupazione, tempo pieno alla pensione, e la partecipazione delle donne e dei lavoratori più anziani alla vita attiva."
La dichiarazione congiunta di Blair e Berlusconi dimostra ancora una volta la comunanza di intenti che esiste fra i governi europei, siano essi di destra o di sinistra. A tal proposito è d'obbligo ricordare come lo stesso Blair nel summit di Lisbona del marzo 2000 presentò insieme a Massimo D'Alema, allora Presidente del Consiglio italiano ed ora presidente dei DS, un simile documento in cui si propugnava una maggiore flessibilità, la riforma dei sistemi di welfare e politiche attive del lavoro. O come tali documenti non fanno che richiamarsi alla Strategia europea dell'occupazione, lanciata nel 1998 anche dal Governo italiano di Prodi. Sono queste le linee guida sull'occupazione che costituiscono il patrimonio cultural-politico e tecnico-scientifico di tutti i governi.
Nel quadro delle alleanze il primo ministro britannico ha pubblicato con il premier svedese Goran Perssons, un intervento in cui si sostiene tra l'altro che "il mercato del lavoro ha bisogno di maggiore flessibilità. L'economia è minacciata da una regolamentazione inutile. I mercati europei non sono ancora competitivi".
E' proprio la questione della competitività quella che sta più a cuore agli imprenditori UE. I vertici dell'Unice (Unione degli imprenditori europei) in un recente incontro con il presidente della Convenzione europea per le riforme istituzionali invitano a promuovere un'economia non solo "solidale e sostenibile, ma anche liberale e competitiva" e che questo sia uno dei principi di base.
Si chiede in pratica di portare a compimento il mercato unico e di promuovere la competitività del sistema europeo. Dicono gli imprenditori che se l'obiettivo è di fare dell'Europa l'area più dinamica e competitiva del mondo nel 2010, si è in ritardo nella modernizzazione dei mercati del lavoro; nella liberalizzazione del mercato dell'energia; nella creazione di un mercato finanziario europeo; nella liberalizzazione dei trasporti e nella creazione delle infrastrutture necessarie, nello sviluppo di sistemi educativi moderni.
E vengono presi ad esempio alcuni Paesi dove il processo di flessibilizzazione del lavoro è più avanzato quali la Gran Bretagna, la Spagna e l'Olanda. In questi paesi è alto il ricorso al lavoro part-time che è una delle forme maggiormente indicate dall'Unione Europea.
Solo nei Paesi Bassi i contratti di lavoro flessibili sono circa il 55%, in Francia e Spagna più del 30%. In Gran Bretagna non esistono causali per l'assunzione a termine, neppure limitazioni quantitative circa il numero dei contratti flessibili stipulabili.
Un lavoratore inglese a termine può essere remunerato meno di un suo collega assunto stabilmente pur svolgendo la stessa mansione. In Spagna viene applicata la "clausula de inaplicatiòn del règimen salarial" cioè si può concordare un salario più basso di quello deciso dai contratti collettivi di settore quando particolari esigenze del mercato lo richiedono o come dicono i padroni quando "la stabilità economica dell'impresa possa essere messa in pericolo".
Sempre nel paese iberico è ormai prassi comune fare ricorso al lavoro a chiamata (contrato fijo discontinuo) o quello di "sostituzione" in cui un giovane a part-time lavora con uno più anziano che lascerà il lavoro ed a questo viene ridotto l'orario di lavoro con forti vantaggi contributivi per le aziende.
Questi sono solo alcuni esempi delle numerose forme contrattuali che si stanno imponendo e come si può vedere le condizioni a cui si è costretti a lavorare sono comuni in tutti i paesi dell'UE, Italia compresa.
E' comunque il contesto internazionale di crisi, che investe anche l'Europa, ad imporre ed accelerare processi che tendono ad una completa deregulation del mercato del lavoro, ad un graduale smantellamento dello Stato sociale, ad una crescente privatizzazione dell'economia con una progressiva scomparsa di un ruolo attivo e diretto dello Stato come imprenditore. Processi che necessitano di pesanti piani di ristrutturazione che travolgono la condizione operaia e rendono sempre più palese la volontà di indebolire il fronte dei lavoratori. I lavoratori in questi processi assumono con chiarezza per il capitale l'aspetto di merce.
Se prendiamo come esempio la Francia vediamo concretamente come la crisi stia coinvolgendo interi e diversi settori. Sono in corso progetti di privatizzazione di aziende pubbliche quali l'Electricitè de France (Edf)e Gaz de France (Gdf) con cambio di statuto societario che porterà i lavoratori da occupati pubblici a privati, con la perdita di numerose conquiste sia sotto l'aspetto economico, che normativo ed in particolar modo pensionistico. Stessi problemi di privatizzazione stanno riguardando sia i lavoratori di Air France che delle Poste. Mentre per i dipendenti di France Télécom viene proposto un piano di rilancio aziendale per far fronte ad un forte indebitamento che comporta una riduzione dell'organico. Piani di ristrutturazione caratterizzati da pesanti tagli dei posti di lavoro stanno interessando aziende come l'Alcatel, Hp, Aventis, Bayer Cropscience e si valuta che i posti a rischio siano di decine di migliai di lavoratori. Il Governo cerca poi di rivedere alcune leggi come quella che rende i licenziamenti più difficili ed onerosi od i dispositivi legati alla riduzione dell'orario a 35 ore. I lavoratori si stanno mobilitando contro queste manovre in un paese dove è ancora vivo il ricordo degli imponenti scioperi del 1995 che paralizzarono per diverse settimane la nazione ed in particolar modo Parigi.
Và rilevato come questi processi di ristrutturazione assumono sempre più una dimensione sovrannazionale che genera anche conflitti, con nuove forme di conflittualità, che a loro volta hanno sempre più una dimensione sovrannazionale. Recenti casi passati sono stati quelli della Renault o della Danone. Il 3 ottobre 2002 in tutta Europa hanno scioperato i lavoratori del colosso francese delle telecomunicazioni Alcatel che nei giorni precedenti aveva annunciato 19mila tagli di posti di lavoro nel 2003. La giornata di mobilitazione contro la riduzione dell'organico è stata indetta dal Coordinamento Aziendale Europeo ed ha visto la partecipazione dei lavoratori delle fabbriche di Concorezzo e Vimercate (Milano). Esperienze simili di "Giornate di lotta europea dei lavoratori" organizzate dal CAE (i Comitati aziendali europei sono una forma di rappresentanza dei lavoratori che viene istituita nelle imprese multinazionali situate nell'UE) sono state fatte dai lavoratori Unilever contro le scelte aziendali di continue riduzioni dell'occupazione che ha portato negli ultimi 6 anni alla perdita di più di 20.000 posti di lavoro, all'aumento della precarietà del lavoro e delle condizioni lavorative. Mobilitazioni collettive in tutte le nazioni europee, nello stesso periodo, con assemblee, volantinaggi, conferenze stampa, iniziative di mobilitazione.Ed occorre altresì evidenziare come l'Europa non sia ancora del tutto attrezzata a governare possibili nuove forme di conflittualità.

Questa breve analisi vuole essere la fase iniziale di un lavoro di ricerca e di approfondimento sulla contraddizione capitale/lavoro nella fortezza Europa, per comprendere quali sono oggi le risposte che il movimento dei lavoratori esprime, le sue forme e i suoi contenuti, e per capire quale dovrà essere il contributo delle soggettività rivoluzionarie nello scontro di classe in atto. Manca così in tutto questo la parte ed il punto di vista del proletariato metropolitano europeo, le sue lotte, le sue aspirazioni ed i suoi bisogni. E' nell'ottica di riempire questa lacuna che abbiamo intenzione di continuare e per questo sono necessarie anche critiche, spunti e proposte da chi vive e lotta qui in Europa.




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