La lunga mano sul Mediterraneo
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Avanzamento del processo di integrazione Euro-Mediterraneo.

Ci sembra utile ripartire da quanto affermato nell'articolo precedente sulla questione mediterranea: ... è arrivato il momento di una emancipazione strategica dell'Europa dagli Usa, per costruire una reale partnership e un equilibrio tra le due potenze, che potrebbe anche essere molto utile per creare pace e stabilità nel Mediterraneo (leggi mondo arabo e islamico).
Come più volte abbiamo affermato il Mediterraneo rappresenta, così come l'est Europa, il naturale terreno di espansione degli interessi della borghesia imperialista europea. Il processo di penetrazione nel Mediterraneo assume la caratteristica di elemento di scontro tra gli interessi delle borghesie europea ed americana. Gli ultimi eventi bellici hanno determinato una accelerazione di questo processo, anche per la gestione stessa delle contraddizioni che questi stessi eventi stanno sviluppando all'interno del proletariato dell'area.
Alcuni analisti europei, già alla fine dello scorso anno, hanno affrontato le problematiche relative a questo "scontro" affermando che: ".... La mancanza di un'efficace zona di libero scambio è una delle cause del riacutizzarsi dell'endemica competizione Euro-Americana nel Mediterraneo per il controllo e l'orientamento della cooperazione con questa area. Una nuova guerra del Golfo potrebbe permettere agli Usa di vincere definitivamente questa partita: l'attuale mancanza di strategia europea, a livello sia globale sia regionale, sembra infatti comportare una subordinazione di fatto alle iniziative politiche americane molto più ampia e sostanziale che in passato. Già dopo la prima guerra del Golfo il ruolo europeo in Medio Oriente è stato quello di "Ufficiale Pagatore" o di "Cleaning Lady". Nella fase attuale il Mediterraneo rischia di perdere molto del suo significato e valore come progetto politico europeo per aggregare e proteggere i propri confini meridionali, e i paesi mediterranei potrebbero essere aggregati dagli Usa in funzione delle politiche in Africa e in Medio Oriente, senza eccessiva considerazione per gli interessi europei nell'area".
La stessa rinata coscienza della necessità di un fronte comune nel proletariato arabo, riprendendo e riattualizzando l'ipotesi di Nazione Araba, tende a creare una preoccupazione, non tanto remota, di una strutturale destabilizzazione del panorama arabo-mediterraneo, con conseguenze non certo piacevoli per gli interessi della borghesia europea. Basti pensare alla progressiva crescita del tasso di rischio sugli investimenti nell'area mediterranea stimata nel 2002, dagli organismi europei che si occupano del progetto di investimento euro mediterraneo, attorno al 10%.
Ci troviamo davanti ad una doppia necessità per la borghesia imperialista europea: da una parte coordinare iniziative che tendano alla gestione delle contraddizioni interne ai paesi attraverso gli strumenti di consenso (rappresentati troppo spesso dalle ONG o dai vari Fori Sociali, e negli ultimi mesi dalla stessa iniziativa diretta delle Regioni italiane attraverso progetti di cooperazione), dall'altra accelerare e rafforzare il processo di integrazione politico-economico con i paesi dell'area all'interno del progetto già definito a Barcellona.
Non potendo ripercorrere, in questo articolo, i passaggi degli ultimi anni, consigliamo la rilettura di quanto analizzato nei numeri precedenti di Senza Censura sulle evoluzioni della integrazione euro mediterranea e le contraddizioni Usa-Nato/Ue nell'area (www.senzacensura.org).
Il 2002 si è chiuso con un elogio da parte degli organismi europei per quanto è stato fatto in tema di finanziamenti previsti dai programmi MEDA, i quali sono stati utilizzati per un ammontare di 685 milioni di euro a fronte di una previsione di 763 milioni, dato sicuramente rilevante. Oltre a questo sono stati avviati ulteriori progetti sia all'interno degli accordi di cooperazione bilaterale Ue, sia tra i singoli paesi con finanziamenti nazionali diretti.
Nel rapporto sulla riunione del Forum Mediterraneo curato dallo IAI (Istituto Affari Internazionali) su "Il Mediterraneo tra conflitto e cooperazione. Prospettive economiche e relazioni politiche" è riportata una interessante valutazione sull'anno 2002 per quanto riguarda il tema in questione: "... Nonostante la crisi internazionale (11 settembre, conflitto israelo-palestinese, rallentamento economico europeo) e le ricadute a livello nazionale, nel 2002 non vi è stata nessuna "Argentina nel Mediterraneo". La Turchia ha beneficiato di un sostegno massiccio da parte del Fondo Monetario Internazionale, diventandone il principale debitore. Il Libano, perennemente sull'orlo di una crisi finanziaria, è riuscito ad evitare la crisi grazie ad un sistema bancario solido ed all'aiuto di paesi donatori. Anche in Israele, nonostante l'impatto negativo d'improvvisi tentativi di rilancio dell'economia (abbassamento troppo rapido dei tassi d'interesse, conflitto tra Banca centrale e Tesoro, conseguente fuga di capitali e forte svalutazione dello sheqel), la crisi valutaria/finanziaria è stata evitata.
Questi casi dimostrano che, nonostante le debolezze, le economie mediterranee sono resistenti agli shock economico/finanziari anche perché vi è ancora volontà e capacità dei singoli governi e degli organismi multilaterali di intervenire a sostegno dei paesi colpiti. Se nel campo politico vi è chi promuove l'instabilità, questo non è vero in campo finanziario."
Lo stesso documento cerca di affrontare lo stato delle economie dell'area, dividendole secondo categorie interessanti anche se non sicuramente esaustive, ovvero economie dipendenti da fattori politici (Israele, Territori Palestinesi, Libano), economie petrolifere (Libia, Algeria, Siria), economie diversificate (Giordania, Marocco, Tunisia, Egitto e Turchia).
Israele subisce per il secondo anno consecutivo una forte recessione economica che ha portato ad una forte contrazione dei consumi e l'aumento della disoccupazione che si aggira attorno al 10%. Oltre a questo, dobbiamo aggiungere gli effetti della caduta della cosiddetta New Economy con la conseguente perdita di posti di lavoro, in particolare per le figure intellettuali.
All'interno dei Territori Palestinesi (ci piacerebbe capire dove sono...) il reddito pro capite si è ridotto del 50% dal 2000.
Il Libano risente ancora oggi di profondi elementi di destabilizzazione. Nell'incontro dei donatori del novembre 2002 sono stati impegnati 4,3 miliardi di dollari per investimenti a sostegno dell'economia libanese, ed in particolare per stimolare il settore privato (principali finanziatori: Arabia Saudita, Francia, fondi arabi, Bei, Kuwait, EAU, Malesia, Italia).
La Giordania ha visto nel 2002 crescere il prodotto interno del 6%, in particolare per le esportazioni verso gli Usa. Questo aspetto è definito da alcuni analisti come un paradosso per il progetto Euromediterraneo, confermando la forte presenza dell'interesse Usa nell'area nel tentativo di impedire in ogni modo l'egemonia europea. Certamente questo aumento del commercio con gli Usa è influenzato anche dalla scelta della guerra in Irak, in quanto quest'ultimo rappresenta il 18% degli scambi commerciali della Giordania. La Giordania pare debba essere beneficiaria di oltre 50 milioni di euro da parte della Ue per il sostegno all'economia, in particolare per quanto riguarda le ripercussioni economico finanziarie dell'attacco all'Irak.
L'Algeria ha concentrato per tutto il 2002 la sua attenzione sul miglioramento della situazione finanziaria fino a portare al superamento delle riserve valutarie rispetto al debito. La crescita economica si è attestata attorno al 4,5% e le previsioni per il 2003 confermano tale tendenza. Il quadro però non rende giustizia alla situazione di grande disparità che si è continuata a sviluppare sul piano sociale con una disoccupazione attorno al 30% e con un terzo della popolazione con un reddito di 1 dollaro al giorno. L'Algeria continua a ricercare un rapporto privilegiato con Washington e Madrid, con non poche difficoltà in particolare per la contrarietà espressa da alcuni paesi europei, soprattutto la Francia, che non vede di buon occhio ulteriori avanzamenti di questa scelta algerina in politica estera.
Anche la Libia ha concentrato il suo sforzo sul terreno finanziario. La Libia rappresenta per l'Europa un soggetto importante oltre che per le sue riserve energetiche, per il ruolo di collegamento con le repubbliche africane, non di secondario interesse per il futuro immediato. Inoltre, proprio negli ultimi giorni, la Libia ha annunciato una forte privatizzazione dei settori pubblici, che, nonostante il tentativo di riavvicinamento con gli Usa, attirerà l'interesse della borghesia europea e dei suoi capitali.
Il Marocco rimane tuttora ancora troppo legato al sistema agricolo. Sono state numerose le rimesse europee in previsione dell'entrata del Marocco nel sistema monetario dell'Euro. Tuttavia il Marocco registra un tasso di inflazione attorno all'1%, una anomalia rispetto alle altre economie dell'area.
La Tunisia ha fatto registrare nel 2002 un calo degli indici economici nell'agricoltura, da una crescita del 4,5% ad uno 0,4% nel 2002, una crescita economica generale da un 6% ad un 4% nel 2002, generando una tendenza all'aumento della disoccupazione che si attesta attorno al 16%.
L'Egitto, nonostante la sua capacità di attrazione dei capitali, conferma il trend negativo della sua crescita con una stagnazione dell'economia, condizione più simile ai paesi avanzati dell'Europa che a quelli di nuova colonizzazione indipendentemente dalle mani in cui finiscono i profitti realizzati. Da non sottovalutare che l'Egitto è il paese che maggiormente sta risentendo della instabilità economica e politica derivante dall'attacco all'Irak, situazione vista con particolare preoccupazione da parte dell'Europa che ha stanziato per il sostegno all'economia egiziana oltre 175 milioni di euro.
Negli ultimi mesi abbiamo osservato una sempre maggiore attenzione verso l'area mediterranea. Numerosi sono gli incontri che si stanno succedendo anche a livello nazionale su questo tema.
Ovviamente, data l'importanza dell'argomento e l'estrema praticità dell'iniziativa borghese, l'attenzione si trasforma immediatamente in pratica. Ne è un esempio l'accelerazione nella sottoscrizione degli Accordi di Associazione tra Ue e paesi mediterranei ancora da formalizzare.
Le linee guida degli interventi futuri sono chiaramente espresse all'interno del documento preparatorio dell'incontro tra i Ministri degli Esteri dei paesi euro mediterranei che si è tenuto a Creta alla fine di maggio di questo anno.
Il contenuto di questo documento sarà inoltre tema di discussione della Riunione dei Ministri degli Esteri Euromed che si riuniranno a Luglio a Napoli.
Il documento adotta come premessa la necessità di affrontare le conseguenze che possono determinarsi nel rapporto con i paesi mediterranei a fronte della guerra in Irak e del tentativo del processo di pace in medioriente (leggi Palestina).
Il documento conferma una situazione macroeconomia per i paesi dell'area sufficientemente positiva, sottolineando che questa non si traduce nella espansione dei posti di lavoro o nell'inversione di tendenza del trend di impoverimento del proletariato dell'area.
Questo quadro economico stimola la Ue a procedere in direzione di una maggiore integrazione di questi paesi all'interno delle relazioni privilegiate previste per il mercato interno europeo. Rendere operative le Facility for Euro-Mediterranean Investment and Partnership (FEMIP), lanciate nel 2002 a Barcellona, viene ritenuta una priorità per una corretta gestione del reperimento delle risorse finanziarie in particolare rivolte allo sviluppo del settore privato. Nelle previsioni emerge la volontà di voler istituire un Tavolo di Industriali allo scopo di stimolare l'attenzione per gli investimenti nei settori che offrono opportunità di profitto nei paesi dell'area.
Come da tradizione non viene sottovalutata la necessità di gestione delle contraddizioni che si sviluppano all'interno di un area in cui il proletariato è sempre più cosciente della politica di rapina di cui il processo di integrazione euromediterranea è parte integrante, già definito da altri "la seconda colonizzazione" (Arabe - www.nodo50.org/csca)
Il problema viene affrontato nei due aspetti fondamentali ovvero l'azione preventiva e quella militare. Per quanto riguarda quest'ultima le attese dipendono molto dall'integrazione del sistema di difesa europeo e dal suo sviluppo. Nonostante ciò viene fatto riferimento ad una maggiore cooperazione e integrazione del sistema informativo e di cooperazione giudiziaria.
L'attività preventiva si traduce in una maggiore attività volta all'"incontro delle culture". Al di là del sentimento positivo che può generare la definizione "incontro delle culture", questo risponde alla necessità di dover rompere quel pericoloso sentimento antimperialista che vive all'interno del proletariato arabomediterraneo, che lo porta a vedere, giustamente, in alcune politiche di penetrazione elementi di dominio già conosciuti in passato. Il tentativo da parte europea di spacciarsi come una sorta di "imperialismo buono", come controaltare dell'arroganza imperialista americana, è certamente un elemento che non deve essere sottovalutato e che va smascherato.
Sullo stesso terreno si colloca la spinta a rafforzare il Foro Civile Mediterraneo e il rapporto con la "società civile", utilizzandola come ponte verso la gestione delle contraddizioni nei paesi oggetto della penetrazione economica attraverso la connessione con la società civile interna. "Società civile" che, in realtà, rappresenta lo strumento per garantire una parvenza di democrazia all'interno del processo imperialista e lo sviluppo dell'inciviltà capitalista. Stesso ruolo tende ad assumere all'interno dell'Europa dove diventa strumento per spacciare questi processi come un positivo processo di integrazione tra popoli, all'interno di una dialettica che vede le "istituzioni attente alle volontà dei cittadini e alla loro partecipazione alle decisioni".
Si apre anche sul processo mediterraneo la necessità di smascherare quali sono i veri obiettivi della strategia della borghesia imperialista europea sia all'interno delle metropoli europee che sulle spalle del proletariato arabo mediterraneo, nostro referente principale nella costruzione di un fronte che offra una sponda credibile per una prospettiva di trasformazione radicale delle attuali relazioni economico sociali nell'area.
Diventa così necessario individuare le forme e i momenti per far crescere questa coscienza, e sviluppare una pratica che sappia opporsi e dare prospettive nuove al proletariato mediterraneo.



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