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Alla deriva...

Alcune note sulla forza e la debolezza logistica del sistema capitalista.

Noi non partiamo da un punto di vista di classe, qualsiasi esso sia, ma dalla lotta di classe come principio di tutta la storia e dalla guerra di classe come realtà, nella quale la politica proletaria si realizza e, come noi abbiamo sperimentato, soltanto nella guerra e attraverso la guerra.
il punto di vista della classe può servire solo il movimento della classe nella guerra di classe, il proletariato mondiale che combatte armato, in realtà, le sue avanguardie, i movimenti di liberazione.
O come dice Jackson: "connections, connections, connections" - dunque movimento, interazione, comunicazione, coordinazione, combattere insieme - strategia.

Ultima lettera di Ulrike Meinhof, 13/4/76


Nell'attuale periodo di guerra infinita, i processi di ristrutturazione in settori di vitale importanza per lo sviluppo capitalistico assumono sempre più i connotati di un attacco politico militare alla classe.
L'arsenale legislativo, il dispiegamento di forze, la campagna mediatica, il tentativo di isolare e di annientare la resistenza dei lavoratori coinvolti fa assumere al profilo dei conflitti di classe caratterizzazioni militari, almeno da parte padronale, proprio lì dove emerge la fragilità dell'organizzazione sociale, in specifico l'organizzazione produttiva e distributiva, e dove le possibilità di sabotare proficuamente la macchina-capitale - e le sue molteplici e tentacolari articolazioni - conferisce ai lavoratori interessati, e ai proletari in genere, una forza sociale dirompente e può costituire un efficacie esempio di attacco al sistema.
Ma non si tratta solo, per gli atti di forza che compie il capitale, di forme mutuate dalla scienza militare in cui lo scontro di classe si inscrive e si sviluppa, ma di interessi che se lesi, vanno ad indebolire profondamente e quindi a minare l'ossatura dell'attuale organizzazione della potenza bellica di uno stato imperialista o di un paese a capitalismo avanzato, parte di un polo imperialista in via di formazione.
Rivisiteremo, per così dire, due episodi importanti nel trasporto marittimo in Europa e uno negli USA, significativi in tal senso.
Si tratta, in un caso, del rifiuto dei lavoratori di una ditta operante nel porto di Livorno di compiere il lavoro di carico e scarico merci da una nave militare statunitense, scavalcati con una forzatura dalle autorità militari americane in accordo con quelle civili Italiane; nell'altro della lotta dei portuali di Anversa contro la ristrutturazione, che hanno avuto, seppur in situazioni differenti, sviluppi simili, sia per ciò che concerne la risposta del capitale, sia perché si inseriscono all'interno dello stesso processo di ristrutturazione mondiale e militarizzazione dei trasporti marittimi: il fatto stesso che siano avvenuti negli stessi giorni, quasi simultaneamente, costituisce una sincronia significativa su cui riflettere.
Allargheremo poi il campo di analisi agli spunti di interesse emersi dalla lotta dei lavoratori dei porti della Costa Ovest degli Stati Uniti nell'autunno del 2002, che secondo le parole di W.G. Bush, hanno minacciato "la sicurezza del nostro paese", il texano con il cappello e il cane si riferiva ovviamente agli States.

Militarizzazione del sistema
dei trasporti
Prima di prendere in esame queste vertenze e i nodi che hanno fatto emergere, occorre fornire una griglia interpretativa per meglio collocare questi fenomeni, dando un quadro del sistema internazionale dei trasporti per ciò che concerne la sua progressiva militarizzazione.
Per quanto riguarda la logistica è interessante citare ampi stralci dall'introduzione ad un importante e quasi unico studio sul tema:
"Sembrava, dunque, interessante la possibilità di indagare, con uno studio apposito, sia le due funzioni cardine dei servizi commerciali - sostegno all'operabilità delle forze armate e servizio al trasferimento internazionale di armamenti - sia la funzione politico-militare che essi svolgevano proprio perché integrati nella normale attività economica internazionale, sia infine quali società, e di che tipo, fornivano tali servizi nei e ai paesi maggiormente impegnati nel commercio di armamenti e negli scenari internazionali.[...]
L'indagine mostrava che, nella realtà, tra le società che operavano nel mercato globale vi erano le maggiori compagnie di trasporto e logistica del mondo, cui facevano capo reti di servizi regionali e locali ad esse collegate direttamente o tramite altre compagnie specializzate in certi segmenti o in certe destinazioni particolari. Proprio questo tratto sottintendeva che, laddove l'elemento commerciale era coinvolto, logistica militare e commercio internazionale di armamenti venivano di fatto serviti entro reti che per la maggior parte non differivano da quelle che supportano settori di attività economica diversi, si trattasse di servizi per attività legali o coperte o meramente illegali.
L'indagine mostrava tuttavia anche che, piuttosto che diluirsi dentro i flussi del trasporto nazionale ed internazionale, il mercato aveva al contrario la funzione ordinante in tali flussi, di controllo delle rotte, così come delle relative correnti informative. In altre parole, il rapporto intrattenuto dalle società operanti nel mercato in questione con gli apparati politico-militari di ciascun paese - rapporto solitamente ben forgiato da anni di relazioni confidenziali - implicava anche che tali società fossero il primo e più diretto collegamento tra questi apparati e la rete materiale entro cui si muovono non solo le merci militari, ma le merci in generale."1
Occorre quindi fare un breve discorso a parte sugli intrecci tra sviluppo della logistica e l'arte della guerra, ripercorrendo per sommi capi la sua evoluzione.

Antoine Henri de Jomini
VS Karl von Clausewitz:
la concezione logistica della guerra
"La logistica influisce su tutte le battaglie e si rivela determinante per l'esito di molte di loro"

Generale Dwight David Eisenhower

In senso stretto la logistica ha una lontana origine proprio nel campo militare, ed è un insieme di tecniche in cui si combinano il trasporto, l'approvvigionamento e la sistemazione di uomini, mezzi e attrezzature. Comporta di conseguenza attività diverse, come la movimentazione fisica, l'immagazzinamento e l'utilizzazione di fattori materiali - innanzitutto i mezzi di trasporto e di sollevamento - indispensabili a sostenere l'operatività di un esercito o di un corpo di spedizione.
Negli eserciti premoderni era affidata quasi del tutto a personale civile non inquadrato, ma è divenuta una attività pianificata e svolta da personale militare attorno alla metà del XIX secolo, nell'epoca in cui l'arte della guerra cominciava a guardare con attenzione ai metodi razionalisti impiegati nell'ambiente industriale.
Negli stessi anni che videro la formazione degli eserciti permanenti, nacque anche la logistica quale disciplina scientifica, materia di studio delle prime grandi accademie militari.
Molte delle tappe del progresso logistico odierno sono state anticipate tra il 1940 e il 1945: con la seconda guerra mondiale, infatti, l'organizzazione militare si è dovuta confrontare con una scala dimensionale mai raggiunta in precedenza, cioè il globo terraqueo.
Vale la pena ricordare le soluzioni logistiche di matrice americana più innovative sperimentate allora e applicate su larga scala in seguito, come la costruzione in poche ore di piattaforme di interscambio modale, le tecniche di traghettazione orizzontale utilizzate per lo sbarco in Normadia, la costruzione di porti artificiali sulle coste nordeuropee, la conversione in oleodotti degli acquedotti palestinesi, nonché l'utilizzazione massiccia del container, impiegato per facilitare l'approvvigionamento via mare delle forze armate impegnate in Europa.
La guerra di Corea (1952-54) consolidò l'utilizzo di questo mezzo e fu una scuola per la prima vera generazione di manager logistici passati dall'amministrazione militare a impieghi di responsabilità nelle società di trasporto e nell'industria americana, mentre la successiva guerra in Vietnam fu un gigantesco affare gestito dalle imprese private, innanzitutto dalla Sea-Land, uno dei leader storici del trasporto su container.2
Successivamente si è completato il travaso delle tecniche e dei sistemi collaudati in campo militare a tutte le attività economiche legate ai problemi dell'approvvigionamento e della distribuzione, fino ad attribuire alla logistica il compito di razionalizzare interi cicli produttivi e poi l'intera catena (supply chain) che va dalla fornitura di materie prime alla riorganizzazione della produzione di fabbrica e da questa al consumatore.
Parallelamente i sevizi logistici in ambito militare sono stati sempre più esternalizzati a operatori logistici, logistic service providers (LSP), che costano meno, sono più efficienti e rapidi di quanto non possa fare un dipartimento logistico della marina e dell'esercito e liberano uomini e risorse che divengono impiegabili in aree operative più direttamente connesse alle attività di difesa.
Gli LSP sono fondamentali per i rifornimento della flotta statunitense "preposizionata", cioè per quelle basi galleggianti (circa una quarantina) che hanno progressivamente sostituito gli insediamenti statunitensi in loco e che sono tenute in costante movimento, in grado di fornire supporto, equipaggiamento e carburante alle truppe di pronto intervento e all'aviazione in un qualsiasi teatro operativo.

L'organizzazione mondiale
dei trasporti oggi
"Così abbiamo la vera ragione di questa disputa - è un tentativo di distruggere e sradicare dai porti qualsiasi estremo residuo di organizzazione collettiva e di solidarietà, in modo che le condizioni e i salari possano essere ulteriormente diminuiti per rendere il porto "competitivo". Questa pressione non finisce mai. Uno dei cambiamenti più insidiosi degli ultimi anni è stata la pressione al continuo miglioramento o al kaizen come lo chiamano i giapponesi. In passato quando una quota veniva concordata per un lavoro preciso, i lavoratori erano liberi di accettare. Oggi non è più così, il potere vuole continuamente di più per meno. Il vostro meglio non è mai buono abbastanza...La cosa ha a che fare con un'altra '-izzazione' [ la prima era la precarizzazione, n.d.r.] che è la GLOBALIZZAZIONE. Con lo svilupparsi di questa vertenza sentiremo molto di più intorno a questa parola e ciò che significa".

Lo sciopero dei dockers di Liverpool,
1995, D. Grahm3

La divisione internazionale del lavoro è profondamente mutata negli ultimi 30 anni, il globo è attraversato da filiere di produzione transnazionali e intercontinentali che fanno del tempo di percorrenza della materia prima, di un semilavorato o di una merce finita un fattore chiave per il profitto economico in una sistema mondo veramente integrato: si tratti di una pipe-line per il trasporto del greggio o del gas naturale, di una auto-strada informatica in fibra ottica che sposta continuamente informazioni da un capo all'altro del pianeta, di una rotta trans-continentale e inter-modale del percorso di un pezzo di ricambio di un lotto di componenti meccaniche.
Questo tempo di circolazione deve sempre più assottigliarsi ed essere contabilizzato nei minimi termini, in questo senso il termine logistica, che deriva dal greco logizein=calcolare, riprende nella modernità tutto il suo spessore semantico.
Scomodando i classici: "il tempo di circolazione" per Marx "si presenta dunque come tempo in cui la capacità del capitale di riprodurre se stesso, e quindi il plusvalore, è soppressa", la velocità di circolazione è il nodo centrale, per questo la sua dimensione è dilatata costantemente alla ricerca di un annullamento del tempo di circolazione, cioè "del tempo che non crea valore". Questo nella sfera di circolazione significa tendenziale annullamento di tempo di realizzazione del profitto, nella sfera direttamente produttiva significa totale profittabilità della giornata lavorativa nella sua estensione e nella sua intensificazione, per il capitale: "la giornata lavorativa è fatta di ventiquattro ore complete al giorno".
Tutti gli ostacoli che si frappongono a questo traguardo devono essere abbattuti, si tratti di barriere naturali, umane o limiti tecnologici.
Un qualsiasi lavoratore può verificare l'impatto di una organizzazione del lavoro tendenzialmente just in time, con le scorte di prodotto a monte e a valle della catena produttiva che si assottigliano sempre più, con i magazzini che si trasformano sempre più in luoghi di transito, secondo il principio dello zero stock, e i tempi di consegna che diventano sempre più stretti e dittatoriali, con una serie di strumenti tecnologici che monitorizzano in qualsiasi istante il flusso e la collocazione del prodotto e della forza-lavoro: si tratti della penna ottica per la lettura del codice a barre che permette, con un terminale, la gestione snella di un qualsisia magazzino, come di un reparto produttivo, o del Ground Position System, universalmente conosciuto come GPS, che rende possibile attraverso un sistema satellitare di controllare il posizionamento del vettore di trasporto di una merce, e quindi la merce stessa, così come del cellulare aziendale, o di altri sistemi wireless, che consentono uno scambio di informazioni costante e un controllo continuo dell'organico.
Il sistema di trasporto via mare è mutato profondamente con i containers e i pallets e relativi strumenti di movimentazione, la possibilità di caricare e scaricare il carico direttamente dal personale di bordo, la costruzione di nodi inter-modali e "porti secchi" lontani dai tradizionali approdi marittimi, l'informatizzazione delle procedure legate a cambio di vettore, verifica e stoccaggio della merce.
Il sistema di trasporto via terra con la progressiva costruzione di tratte europee ad alta velocità inter-connesse alle altre modalità di movimentazione, l'ampliamento delle arterie stradali per il trasporto su gomma, l'edificazione di piattaforme logistiche gestite da grandi gruppi o da colossi del settore, il rimodellamento e la valorizzazione del trasporto marittimo per brevi tratte, short-sea shipping, la costante concentrazione e la relativa concorrenza della logistica nelle mani di un numero sempre più limitato di operatori sta cambiando rapidamente lo scenario che ci troviamo di fronte.4

Cronaca di un atto di forza:
Livorno, marzo 2003
I movimenti di armi e munizioni nei porti toscani sono cominciati a novembre. I container, montati su delle chiatte, hanno attraversato il canale dei Navicelli di notte o all'alba.
Il 10 dicembre, la nave americana Bob Hope, ancorata al largo di Talamone, ha caricato gli ultimi 150, o forse 200, carri armati, montati su delle chiatte a Camp Darby e discesi attraverso i Navicelli, con destinazione Golfo Persico.
Già nella guerra del `91 erano stati caricati al porto di Livorno venti traghetti con munizioni ed equipaggiamenti per la prima guerra contro l'Iraq. Come altre volte in cui si è trattato di trasportare non armi bensì mezzi e attrezzature logistiche, si è fatto ricorso a traghetti civili, all'uopo noleggiati. La Compagnia portuale, formalmente, non dovrebbe venire neppure interpellata, in quanto a caricare ci avrebbero dovuto pensare i dipendenti dell'impresa "Figli di Nado Neri", che ha un contratto triennale con gli americani e una regolare concessione di una banchina da parte dell'Autorità portuale.
L'azienda ha più volte dichiarato orgogliosamente che il sindacato non è mai riuscito ad entrare tra le fila del suo organico, a differenza degli altri lavoratori del porto in cui l'adesione alla Filt-CGIL sfiora l'95%.
Ma i portuali già da tempo hanno promesso battaglia, anche oltre lo sciopero.
Andando in là con gli anni viene alla mente un varo di una nave durante il periodo fascista che si tramutò in naufragio in spregio alle più alte cariche del regime riunite nella città portuale, oppure quando alcuni portuali livornesi, rifiutatisi di compiere le operazioni di scarico, issarono una bandiera vietnamita sul pennone di una nave americana, ammainando la bandiera a stelle e a strisce, decorati come eroici combattenti dai delegati di Hanoi che stavano trattando a Parigi la pace, ma perseguiti dalle autorità locali.
Già da alcuni giorni, circolava una lettera con un passaparola tra i lavoratori, nella quale si dichiarava "l'indisponibilità a prestare la propria opera per ogni tipo d'imbarco di materiale bellico e l'appoggio a tutte le manifestazioni pacifiche contro la militarizzazione", che aveva raccolto in un giorno e mezzo circa 250 adesioni.
L'11 marzo 2003 La Cgil ha proclamato uno sciopero di 24 ore dei dipendenti della ditta Scotto-Figli di Nado Neri, materialmente coinvolti nelle operazioni di carico, e due ore di astensione dal lavoro nei turni della mattina e del pomeriggio per gli altri lavoratori.
A testimonianza di come la partenza dei carichi militari fosse imminente, la decisione del prefetto di convocare, la mattina precedente, la Compagnia portuale, per chiedere l'utilizzo delle banchine pubbliche in concessione ad essa o a compagnie collegate. Più nello specifico, quelle dell'alto fondale e della Darsena Toscana. Ma i portuali hanno opposto un secco no alla richiesta, indisponendo non poco il prefetto, che ha minacciato la precettazione dei lavoratori e affermato che il rifiuto assomigliava a una dichiarazione di guerra. Ma alla fine ha dovuto cedere e ripiegare sulle banchine in concessione alla ditta Scotto. E nel pomeriggio precedente si erano notati nel porto movimenti di camionette e blindati della polizia.
Nella notte tra il 10 e l'11 marzo per diverse ore si è impedito non solo l'accesso alla banchina interessata al carico di armi, ma anche il libero accesso al porto degli altri lavoratori; si è bloccata la statale Aurelia.
A bordo, nel corso della nottata è stato caricato il materiale bellico trasferito dalla base statunitense di Camp Darby con due convogli di camion, e non attraverso il canale navigabile.
La chiusura di alcune strade di accesso a Livorno, da parte di polizia e carabinieri, ha impedito poi l'arrivo in città di altri manifestanti.
In nottata sono state caricate due navi, con materiale bellico proveniente sulla Darsena 1 dove erano attraccate le portacontainer "Thebeland" e "Rosa Delmas". Le due navi non sono state caricate dai portuali livornesi, e in particolare dai dipendenti della "Scotto", sulla banchina, invece, erano presenti molti militari statunitensi e, sembra, anche personale civile della base Usa.
La seconda nave ha lasciato le banchine alle 7 di mattina. I varchi di accesso al porto sono stati presidiati da ingenti schieramenti di forze dell'ordine. Decine di furgoni e camionette di polizia e carabinieri da cui sono scesi oltre cinquecento uomini che hanno fronteggiato, per alcune decine di minuti e fino a notte, gruppi di manifestanti che occupavano la strada. Nel primo caso, davanti all'ingresso del Varco Galvani, i manifestanti che avevano fatto un sit-in sono stati trascinati fuori dalla carreggiata. Nel secondo, la protesta si era spostata ancora più fuori dal porto, nella strada che conduce al varco, ed ha visto la partecipazione di un gruppo più folto.
Durante la mattina dello stesso giorno, il ministro degli interni Pisanu ha comunicato con soddisfazione che le due navi, al cui carico ha lavorato personale statunitense, ha precisato, sono salpate, e si è congratulato con prefetto e questore di Livorno.

Cronaca di una ristrutturazione:
porto di Anversa marzo 2003
La vertenza dei portuali d'Anversa e le azioni del movimento contro la guerra si sono svolte in uno scenario di militarizzazione del territorio a Bruxelles, che ha trasformato i quartieri dove sorgono i palazzi del potere della fortezza Europa, e non solo, in veri e propri teatri di guerra, sebbene il governo belga abbia proclamato le sue convinzioni pacifiste.
Ad Anversa sono giunti dalle basi americane in Germania una notevole quantità di mezzi militari, facendo del porto uno snodo centrale per l'organizzazione logistica in Europa delle operazioni militari in Iraq.
Il transito attraverso il Belgio era conosciuto ed è stato pubblicizzato il più possibile dagli attivisti che si sono mobilitati contro la guerra, tanto che l'ipocrisia del ministro Flahaut si è spinta al punto di affermare che: "I Belgi non si devono preoccupare questo week-end di vedere degli elicotteri Apache che li sorvolano".
Le truppe del V reggimento americano distaccate in Germania, hanno raggiunto il Golfo passando per i porti di Brema, Rotterdam e, più della metà, di Anversa.
A fine Gennaio 35 navi, 170 treni pieni di materiale militare e 10.000 soldati americani sono passati sul suolo Belga, utilizzando le arterie ferroviarie e le strutture portuali per i propri spostamenti, nonostante la mobilitazione contro il conflitto in Iraq abbia cercato con le sue forze di fermare i carichi della morte.
All'inizio di Marzo sono stati arrestati in un solo giorno ben 150 attivisti che manifestavano contro la guerra.
La vertenza dei portuali contro le leggi del parlamento Europeo in via di approvazione per rendere i porti più competitivi, tra cui la possibilità di fare caricare e scaricare i container direttamente dal personale di bordo, per ridurre ulteriormente la forza lavoro e ridimensionare le garanzie sociali conquistate da questo settore di classe, ridefinendo il patto sociale con le classi subalterne all'interno dell'aspirante polo imperialista europeo, si inserisce in questo cotesto di strisciante guerra a bassa intensità: la paventata possibilità di uno sciopero europeo contro la riorganizzazione dei porti da parte dei portuali è stata osteggiata con ogni mezzo e i portuali belgi hanno sperimentato con la continua repressione a cui sono stati soggetti la forza di convinzione del capitale.
Arresti arbitrari, uso massiccio di idranti, cariche di agenti anti-sommosssa e vere e proprie cacce all'uomo nei quartieri dove si svolgevano le manifestazioni sono state utilizzate dalle forze dell'ordine sia per intimidire i lavoratori, sia per impedirgli anche solo di avvicinarsi alla "zona rossa", luogo di incontro dei potenti europei, proibizione che è stata successivamente estesa fino a comprendere praticamente tutta la capitale.
Più di 2.000 operai portuali del porto d'Anversa, in Belgio, assieme a 600 operai dei porti di Gand, Zeebrugge, Ostenda e Bruxelles hanno manifestato per le strade. Nello stesso tempo tutte le attività nei porti belgi erano completamente bloccate. In tutti i porti, picchetti volanti sono entrati in azione.

Trasporti e lavoratori del settore
nell'era delle leggi anti-terrorismo
Prima di stendere una breve cronaca della vertenza e dei nodi che ha fatto emergere, occorre fare una breve sintesi dell'arsenale antisciopero negli USA, vera e propria cristallizzazione legislativa della controrivoluzione preventiva, incrementato recentemente prima dal famigerato Patriot Act e poi, per il settore portuale dal Maritime Security Act, nonché vedere come la politica di national securty ha militarizzato l'organizzazione mondiale dei trasporti marittimi su Dicktat degli Stati Uniti, imponendo con un ricatto commerciale una scelta obbligata di incontrastato monopolio del controllo sugli scambi tra gli altri paesi e gli USA.
Iniziamo da quest'ultimo.
Il concetto di sicurezza nella doppia declinazione che ha il termine in inglese, safety/security, è una nozione chiave nell'organizzazione del trasporto via mare.
Negli Stati Uniti gran parte della prevenzione e della sanzione in materia di sicurezza, è di competenza della US Coast Guard, un corpo militare autonomo dalla marina, dotato di mezzi d'avanguardia e di una propria capacità di dissuasione, considerato che contribuisce attivamente alla difesa nazionale e che ha visto e vedrà rimpinguato il suo organico in tre anni di ben 7000 unità, con un vasto rinnovo dei già ingenti mezzi a disposizione, per concentrarsi sulla sicurezza delle navi in arrivo e di 55 porti americani in collaborazione con il colosso dell'elettronica militare TRW.
Quest'ultime misure sono organiche alla creazione dopo l'11 settembre di una nuova amministrazione: la TSA, Transportation Security Administration.
Istituita il 19 novembre del 2002 all'interno delle leggi sulla sicurezza aerea e il trasporto, è diretta da John W. Magaw, esponente di primo piano dei servizi segreti, ex-responsabile di tutte le operazioni relative alla protezione del presidente Bush e della sua famiglia.
Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, un agenzia federale creata dal nulla assume direttamente la responsabilità della sicurezza di tutti gli aeroporti e i porti americani, e una supervisione su tutto il sistema nazionale dei trasporti. Gli agenti della nuova forza di sicurezza potranno usare la forza e disporre l'arresto senza mandato di chiunque ritengano in grado di commettere reati e mettere in pericolo la "sicurezza nazionale".
L'uso indiscriminato della forza per reprimere un picchetto di 500 manifestanti, tra cui alcuni lavoratori, che cercavano di bloccare il traffico marittimo militare in direzione del Golfo nel porto di Oakland questo 5 aprile, e ancor prima (ma lo vedremo in seguito) l'accusa, mossa ai portuali della costa del pacifico, di minacciare la sicurezza nazionale in caso di sciopero, rendono chiari chi siano i referenti di questa legge.
Infatti, mentre le condizioni di sicurezza, intese come safety, nei confronti dei lavoratori, della collettività e dell'ambiente sono state messe in secondo piano, soprattutto dopo l'11 settembre, sono stati invece implementati i dispositivi di controllo nel senso della security: la sicurezza nazionale diviene formalmente la priorità perseguita e formalizzata con ogni mezzo ritenuto necessario, salvo poi entrare in contraddizione con l'organizzazione del trasporto just in time.
La scelta attuata dall'amministrazione americana, per ovviare a questa contraddizione tra tempi di circolazione sempre più stretti e necessità di intensificare ed estendere il controllo, è stata quella di scaricare, per così dire, il controllo delle merci dirette negli USA sui porti stranieri di imbarco, imponendo una drastica selezione delle relazioni marittime internazionali: solo 20 megaports del mondo sono autorizzati a spedire merci verso i porti americani, porti da cui già proviene il 70% dell'import estradato via container marittimi.
Questa operazione di razionalizzazione della filiera dei fornitori comporta però una possibile veloce saturazione del traffico marittimo in caso di una qualche disfunzione, e sarà proprio lo sciopero e poi l'auto-riduzione del ritmo di lavoro attuata dai lavoratori portuali della Costa del Pacifico a mostrare la debolezza intrinseca di questa riorganizzazione gestionale, la possibilità poi che questa congestione fosse provocata dal movimento contro la guerra, qualunque fosse la natura dell'azione, era ed è negli incubi dell'amministrazione.
Sulle banchine di questi porti, conformemente alle politiche di polizia internazionale degli States, operano in completa autonomia squadre di ispettori del servizio doganale americano, forniti di propri database e del potere di accedere ai "manifesti di carico" delle navi, di sottoporre allo scanner i container sospetti e se è necessario di rompere i sigilli e di svuotarli.
Questo potere è simile all'impunità di cui godono i soldati americani in tutto il mondo, del tutto conforme al loro stile di esercito di occupazione permanente del globo.
Dopo alterne fortune, le dogane americane divengono perciò il modello a cui si ispira l'organizzazione doganale mondiale, che dopo il vertice del G8 tenutosi a fine giugno 2002 in Alberta (Canada) ha deciso di accelerare il processo di standardizzazione informatica e di scambio delle informazioni tra i vari servizi nazionali.

L'arsenale legislativo anti-operaio
made in USA
Il più agguerrito impianto giuridico anti-proletario tuttora esistente, modello a cui si ispirano sempre più i vari corpi legislativi nei paesi a capitalismo maturo riguardanti il "diritto di sciopero", è costituito da quel corpo di provvedimenti che sono stati promulgati, e più volte applicati nel corso di un secolo negli Stati Uniti, e a cui si ispira il modus operandi degli yankees quando devono affrontare le resistenze dei lavoratori anche fuori dagli states, soprattutto in ambito militare, come dimostrano, in Italia, gli ultimi episodi del porto di Livorno, nonché la lunga vertenza di qualche anno fa dei lavoratori della base militare americana di Sigonella in Sicilia, ribattezzata efficacemente dagli stessi lavoratori, saigonella.
Sebbene la regolamentazione delle condizioni di lavoro sia molto scheletrica, tanto che un lavoratore può essere licenziato in tronco senza che il padrone debba apportare a tale atto un qualsiasi motivo, vi è una gamma di provvedimenti legislativi che danno al governo la possibilità di intervenire direttamente per stroncare i conflitti di lavoro quando lo ritiene opportuno.
Tralasciando le leggi anti-trust che sono servite agli albori del movimento operaio, non a impedire la formazione di monopoli, ma a rendere illegale l'organizzazione dei lavoratori, vecchio vizio del diritto borghese almeno dalla rivoluzione francese, e le leggi contro il criminal syndacalism che hanno decapitato la direzione della prima vera organizzazione di classe multinazionale e rivoluzionaria negli States, gli Internationational workers of the world, costringendo i suoi dirigenti alla prigione o all'esilio, affrontiamo il quadro della legislazione ancora operante rispetto all'azione dei lavoratori.
Bisogna comunque ricordare che, anche nel caso dei lavoratori della Costa Ovest, Bush, su pressione della lobby delle compagnie che gestiscono i porti del Pacifico, avrebbe potuto ritenere, in quanto monopolio, illegale la contrattazione unica per tutti i 29 porti del Pacifico in questione e costringere i lavoratori ad una contrattazione articolata porto per porto, ma ha preferito usare contro questi lavoratori, passando dalle minacce ai fatti, un'altra legge, la Taft-Harley.
Ma andiamo con ordine.
Il Railway labor act, approvato nel 1926 e utlizzata da allora più di un centinaio di volte, conferisce al presidente degli Stati Uniti il potere di decidere la fine di uno sciopero nel settore del trasporto ferroviario, poi esteso al trasporto aereo, nel caso in cui giudichi che "l'interesse" del paese venga gravemente minacciato. Inoltre lo stesso presidente ha la possibilità di invocare la Taft-Harley del 1947 che permette di mitigare la lotta in corso, con una procedura obbligatoria di raffreddamento e di conciliazione tra le parti che dura quasi 3 mesi, e di imporre immediatamente una ripresa dell'attività produttiva.
Reagan si rese tristemente celebre inaugurando il suo primo mandato presidenziale ricorrendo a questa disposizione contro i controllori d'aerei del sindacato professionale PATCO: nel 1981 tutti i controllori in sciopero vennero licenziati e sostituiti definitivamente da personale militare.
Un altro provvedimento particolarmente efficacie, di cui si parla proprio sopra, è la decisione della corte suprema del 1938, tuttora in vigore, che permette alle aziende di assumere "lavoratori sostitutivi", cioè crumiri, che possono considerarsi lavoratori a tempo indeterminato qualora nessun accordo tra le parti venga concluso e prendere stabilmente il posto dei scioperanti sostituiti.
Proprio i portuali americani hanno subito la minaccia di essere sostituiti da crumiri, dalla Guardia Nazionale, dai berretti verdi o da personale della marina militare americana, così come è poi accaduto a Livorno concretamente questo marzo, o come poteva accadere ai macchinisti sostituibili dal genio ferrovieri dell'esercito, e questo la dice lunga sul concetto di "sovranità" che ha una potenza imperialista come gli USA e come questa eserciti il diritto della forza dovunque lo ritenga necessario, considerandolo prassi quotidiana da esportare oltreoceano.
Un discorso a parte sarebbe da fare per le numerose aziende specializzate nella prevenzione e nell'intervento in caso di sciopero, di cui l'agenzia Pinkerton è la storica capostipite, nonché sulla gestione mediatica dei conflitti di lavoro nel plurisecolare stile di processo a mezzo stampa e istigazione al linciaggio nei confronti delle lotte dei lavoratori, e non solo.5

Fronte del porto:
"L'arresto del lavoro minaccia i camionisti, i ferrovieri... Le fattorie, gli allevatori, gli industriali, i commercianti e i consumatori... Ma anche la sicurezza del nostro paese"
G.W.Bush

La vertenza dei portuali della costa ovest ha alcuni tratti caratteristici, oltre a quelli già accennati, che impongono una riflessione approfondita su questo episodio della lotta di classe negli




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