SENZA CENSURA N.12

NOVEMBRE 2003  

 

Plan Colombia e Venezuela

Corrispondenza di un compagno sull’impatto del Plan Colombia a est della Colombia, nella zona di frontiera con il Venezuela.

 

La Colombia sprofonda nella guerra. La violenza e il terrorismo di Stato, che dal 1948 ad oggi hanno già costato la vita a più di 35.000 persone - per lo più sindacalisti, leader agrari e semplici contadini, studenti, attivisti comunitari e difensori dei diritti umani conosce oggi una fase che si potrebbe definire di vera e propria “guerra sporca”.

E l’elezione di Alvaro Uribe Velez alla presidenza della repubblica, il 4 agosto 2002, è stato un momento determinante in questa direzione.

Già governatore di Antioquia dal 1998 al 2002, si era distinto per la sua mano di ferro e soprattutto perchè ha difeso e sostenuto le nascenti forze paramilitari di estrema destra, confluite poi nelle Autodifese Unite di Colombia (AUC) di Carlos Castano. Nel 2000 e 2001 i “paracos”, come vengono chiamati là, con la scusa della lotta alla guerriglia hanno compiuto in questa regione decine di eccidi nei quali sono morte centinaia di persone, in maggioranza contadini. (Sintesis 2001) Nell’ultimo anno, le AUC si sono si sono potute organizzare a livello nazionale e si sono rafforzate beneficiando dell’appoggio dell’attuale governo e di una grande parte della maggioranza parlamentare.

Veri e propri mercenari assetati di sangue, i paracos prendono militarmente interi villaggi, minacciano gli abitanti, compiono processi sommari accusando i loro prigionieri di essere informatori o membri delle Farc o dell’ELN e li uccidono in seguito davanti a tutta la comunità. Le testimonianze sono terrificanti. i sopravvissuti parlano di torture, addirittura su donne incinta, e di massacri compiuti squartando le persone con la motosega. Comunità intere sono costrette a scappare dalle loro case e dalle loro terre abbandonando beni, coltivazioni e bestiame, per cercare rifugio nelle città o fuori dal paese.

Ma i paramilitari non fanno tutto questo solo per interesse personale, per impossessarsi di tutto quello che viene abbandonato dalle loro vittime, fanno questo perché formati e pagati per questo. Sono formati dai quadri militari statunitensi di stanza in Colombia (ufficialmente sono 600) che sono presenti per istruire in tattiche antiguerriglia i militari delle Forze Armate di Colombia (FAC) nel quadro del Plan Colombia, e da istruttori israeliani. Sono pagati dai vari settori reazionari a cui profitta questa guerra: i latifondisti e le famiglie appartenenti all’oligarchia per ammazzare i contadini e gli attivisti sociali che si battono per i diritti delle comunità campesine; i grandi imprenditori nazionali per intimidire i lavoratori e per eliminare i leaders sindacali; e le multinazionali attirate dal basso costo della manodopera e dalle immense ricchezze minerarie, dal petrolio e dal gas del paese, che ricorrono invece ai paramilitari per spostare le popolazioni che si trovano nelle zone dei loro attuali investimenti e soprattutto quelli futuri, come succede nella frontiera con il Venezuela ad esempio per il carbone.

La maggiore entrata delle AUC, tuttavia, rimane quella ricavata dai traffici illegali. Il traffico di armi, quello di benzina (sul quale torneremo più avanti), quello della prostituzione e soprattutto quello della droga, principalmente la cocaina, ricavata dalla lavorazione della foglia di coca e l’eroina ricavata dall’amapola.

Cosí, generalmente, questo esercito irregolare concentra la sua attenzione sulle zone dove viene prodotta la coca. A discapito di quanto molti pensano, sono i piccoli contadini che sono i principali coltivatori di questa pianta, spinti dal fatto che è l’unica produzione che permette loro di sopravvivere insieme alle loro famiglie in zone generalmente dimenticate dallo Stato, dove sanità, istruzione e sicurezza sono lasciate all’ingegno e alla autorganizzazione delle comunità.

Sono loro le principali vittime delle esazioni e delle violenze dei paracos.

Adesso poi iniziano ad essere confrontati da una situazione nuova.

Il 24 luglio Uribe dichiara alla stampa (La Verdad, vzl, 25 luglio 2003) che “è necessario intervenire nella regione del Catatumbo perche’ gli scontri fra guerriglia e paramilitari per il controllo del narcotraffico sta devastando la regione e ha costretto migliaia di persone a fuggire dalle loro terre”. Così, il 24 agosto scorso è iniziata in tutta la zona del Catatumbo e del Norte de Santander, alla frontiera con il Venezuela, una vasta campagna di fumigazioni e bombardamenti indiscriminati chiamata operazione Olocausto, portata avanti dall’esercito colombiano (FAC) congiuntamente alle AUC. Più di 56 comunità sono dovute scappare nella selva per sfuggire all’attacco.

In migliaia hanno deciso di cercare rifugio in Venezuela, a gruppi sparsi o da soli, camminando più di una settimana nelle montagne senza viveri né medicine.

Un gruppo di 500 persone è cosí riuscito ad arrivare a metà settembre in territorio venezuelano nella regione del Rio de Oro (un fiume che delimita naturalmente la frontiera, per più di 200 Km). Sono famiglie intere con bambini, anziani , feriti e malati… sono quasi tutti braccianti o piccoli contadini riusciti a sfuggire al bombardamento dei loro villaggi avvenuto il 24 e il 25 di agosto. Sono stati accolti e aiutati dai contadini venezuelani che abitano in quella zona.

Raccontano che verso le sei di sera sono arrivati i caccia (F-16) e hanno iniziato a sganciare bombe, non solo sui campi o sulla foresta ma anche sulle case.

Sono arrivati poi gli elicotteri (apache) - in tutto dodici velivoli - dai quali i militari sparavano raffiche di mitra sulla gente che scappava, mentre da terra i paramilitari tiravano colpi di mortaio e bloccavano le possibili vie di fuga. L’esercito ha continuato a cercare i fuggitivi per vari giorni. Tutte queste persone “spostate “ attaccano duramente il governo e il presidente Uribe. “E’ lui il vero terrorista” dicono, o ancora : “Ci hanno sempre ingannato. Ci avevano detto, già durante incontri con le istituzioni nel ’94 e nel ’96, che con i soldi del Plan Colombia ci avrebbero aiutato per la riconversione delle coltivazioni e per lo sviluppo agricolo della zona. Erano tutte bugie. Non hanno mai fatto nulla per noi. I soldi sono finiti nelle bombe e se li sono intascati i politici” , “le fumigazioni ci stanno intossicando, a noi e agli animali. Sono sempre più frequenti i casi di diarrea, di infezioni intestinali…e con l’acqua il glifosato si sedimenta nella terra, è una bomba ad orologeria . E per di più non serve a nulla visto che la pianta di coca ricresce in sei mesi, ma forse è proprio questo che vogliono, tutti sanno che oltre i paramilitari anche molti politici e militari hanno forti interessi nel narcotraffico”….

La zona dove si trovano i profughi, intanto, continua ad essere obiettivo militare dei paramilitari. Come avevano fatto il 18 e il 19 marzo -causando 9 morti e lo spostamento forzato di più di 1500 persone, e distruggendo una cooperativa di consumo, quattro scuole, un’infermeria e diverse case delle comunità “la cooperativa” e “la pista” - lo scorso 15 ottobre i paracos hanno sferrato un nuovo attacco in territorio venezuelano, sempre nella zona del Rio de Oro, uccidendo almeno tre cittadini venezuelani fra cui una bimba di 13 anni.

Questi sconfinamenti e aggressioni ad opera dei paramilitari sono sempre più frequenti, e ció è davvero preoccupante. Non solo perché in Venezuela ci sono circa 100.000 profughi colombiani ma soprattutto perché, piano piano, stanno penetrando il paese a livello militare e a livello economico. Sempre più ganaderos (allevatori) venezuelani ricorrono ai loro servigi, armandoli e ospitandoli nelle loro fattorie. Loro dicono che è per difendersi dalla guerriglia, per non essere sequestrati. In realtà, li usano anche per continuare a far regnare il terrore fra i lavoratori e la popolazione nelle campagne e per uccidere i leader sociali che danno fastidio(cosa per la quale prima pagavano occasionalmente “semplici” sicari), come i contadini che lottano per l’applicazione della Legge di Terra, i lavoratori che rivendicano i loro diritti, coloro che svolgono un lavoro di organizzazione sociale nei barrios (le favelas) o con le differenti comunità indigene. Negli ultimi due anni, e nella sola zona di frontiera (Apure, Tachira, Zulia), sono più di 170 le persone cadute in agguati, per mano di sicari, di paramilitari o a volte di ufficiali golpisti e corrotti dell’esercito. Il settore ganadero rappresentato da Fedenaga è uno di quelli più reazionari del paese.

Da quando Hugo Chavez è stato eletto alla presidenza hanno sempre fatto di tutto per farlo cadere e chiudere il processo di riforme democratiche che ha iniziato. Hanno partecipato attivamente al colpo di stato dell’aprile 2002, facendo cercare e uccidere i loro avversari, hanno continuato poi a fare di tutto per boicottare l’applicazione della riforma agraria e per limitare la produzione agricola per danneggiare i piccoli produttori. In occasione della serrata di dicembre-gennaio scorrazzavano armati in giro per i paesi assieme ai loro uomini di mano, per obbligare i commercianti a chiudere e per allontanare i lavoratori che volevano lavorare dalle fabbriche e dalle fattorie. Hanno attaccato numerosi camion di merci e varie autobotti che trasportavano il latte, perforandole per evitare che il loro carico arrivasse nei mercati. In Zulia ci sono stati vari conflitti armati fra i contadini, da una parte, e la polizia regionale e scagnozzi dall’altra. Il conflitto di classe è di giorno in giorno più forte nei campi. A Machiques, lo scorso mese di marzo, una folla di contadini ha bruciato la fattoria e le bestie di un ganadero che aveva fatto uccidere uno di loro. E i contadini lanciano un avvertimento anche al governo e ai partiti come Movimento Quinta Repubblica (MVR) e i Patria Para Todos (PPT): “o fate qualcosa per proteggerci e per rendere effettive le riforme, o saremo costretti ad armarci e a continuare la lotta in un altro modo, cosí non può andare avanti!”, e molti guardano con sempre maggiore attenzione all’esperienza pluridecennale delle Farc e a quella più recente del Fronte Bolivariano di Liberazione (FBL), un gruppo clandestino venezuelano che porta avanti la lotta armata in difesa dei contadini sfruttati e oppressi dagli allevatori nelle regioni di Tachira e Apure e che è operativo da una decina di anni. Nell’ultimo anno hanno sequestrato vari allevatori e fatto una campagna di informazione sui problemi della frontiera.

Le sfide sono grandi, anche perché gli allevatori possono contare sull’appoggio e la collaborazione di polizia e Guardia Nacional, che sono altamente corrotte e che in alcune zone sono addirittura legate ai paramilitari.

Nelle ultime settimane AUC e governo colombiano stanno parlando molto di un eventuale trattativa “di pace” come la chiamano, con l’obiettivo del disarmo e dello scioglimento delle formazioni paramilitari di estrema destra. Visto quello che sta succedendo appare chiaramente come una ennesima farsa. Basta dire che Carlos Castano ha già dichiarato che avrebbero accettato (le AUC) un cessate il fuoco ma non un disarmo, e a quanto pare, starebbe chiedendo che il governo conceda loro la zona del Catatumbo come zona smilitarizzata “come garanzia per il buon andamento delle future trattative”, e questo sarebbe pericolosissimo perché essendo questa contigua alla regione del Sud del Lago di Maracaibo, dove gli allevatori stanno già ricorrendo liberamente ai mercenari, si verrebbe a creare una enclave paramilitare che sarebbe un evento decisivo di destabilizzazione del Venezuela e di allargamento della guerra nell’intera regione.

Lo stesso rischio di destabilizzazione viene anche dalla zona situata a nord della frontiera colombo-venezuelana: la Guajira. Di tipo diversa. I paramilitari sono infatti presenti a livello militare, hanno ricattato centinaia di contadini e compiuto numerosi sequestri e uccisioni, fanno costantemente posti di blocco sulla strada che collega Guarero (Vz) con Maicao(Col) per estorcere soldi ai viaggiatori- ma anche e soprattutto a livello economico. Controllando i principali traffici come quello di droga, armi e benzina stanno penetrando il Venezuela a livello economico. Il caso del “commercio” di benzina fra Venezuela e Colombia e’ forse quello più eclatante.

La zona della Guajira abitata da indigeni di etnia Wuayùu è desertica ed economicamente depressa. Oltre ad una notevole autonomia amministrativa il governo venezuelano e il governo colombiano hanno riconosciuto loro il diritto di commerciare la benzina prodotta in Venezuela verso la Colombia, al fine che si amministrassero direttamente le entrate derivanti da questo. Già qui uno potrebbe meravigliarsi e domandarsi perchè la vendita non avviene da Stato a Stato, invece di beneficiare solo alcune famiglie a discapito dell’intera comunità, e poi c’è il vero problema: i paramilitari hanno preso il controllo diretto dell’impianto di approvvigionamento di benzina di Maicao e controllano quindi l’intero traffico che avviene con le autorizzazione dei rispettivi ministeri di energia e mineraria.

Nella stessa regione poi sono previsti grandi investimenti comuni ai due paesi, legati ai progetti di sfruttamento minerario che stanno via via nascendo, come ad esempio quello importantissimo del carbone.

Varie miniere sono già state aperte nella regione di frontiera con i capitali delle principali majors del settore come l’australiana Transcoal, la sudafrica Anglo-American, la statunitense Drummond, la giapponese Tomen . Ed è una societa’ italiana, la Coeclerici s.p.a di Genova, appartenente alla famiglia Clerici, che fornisce il servizio di caricamento delle navi grazie ad una immensa piattaforma nella foce del lago di Maracaibo. E sono previsti numerosi altri interventi. Fra questi, la costruzione di una rete di ferrovie (inesistente in Venezuela) che collegherà le miniere situate in Colombia a quello che diventerà il porto più importante del caribe: Puerto America, situato a nord di Maracaibo . I lavori per questo porto commerciale per navi di grande stazza dovrebbero iniziare nel corso dell’anno e saranno svolti da societa’ italiane (non sono stati pubblicati i nomi).

Il pericolo e’ che in caso di scontro più duro, sia esso diplomatico o militare fra Colombia e Venezuela, o di secessione dello Stato Zulia (che detiene le maggiori riserve di petrolio) dal Venezuela il primo potrebbe chiedere l’intervento dell’Organizzazione degli Stati d’America (OSA) ed eventualmente anche un intervento militare internazionale per avere i propri investimenti garantiti.

Le minacce che planano sul Venezuela sono reali. Il governo di Hugo Chavez continua a dover fronteggiare una situazione di crisi fortissima. Sia per gli attacchi esterni che per la congiuntura economica.

L’economia, messa in ginocchio dalla serrata di dicembre, stenta a decollare e sebbene la produzione petrolifera stia tornando ai livelli anteriori continuano i sabotaggi e le aggressioni ai lavoratori di PDVSA da parte di elementi golpisti e fascisti, ciò che causa spesso ritardi e problemi. Tuttavia l’ondata di choc negativa della serrata viene subita anche dalla Coordinadora Democratica e dalle altre forze di opposizione. Il conflitto è stato talmente forte l’anno scorso che una buona parte di quella borghesia che era scesa in piazza per mesi non ha più voglia di rivivere situazioni di una tale violenza. Ma la debolezza a livello di mobilitazione di strada non deve far pensare che l’oligarchia e le altre forze reazionarie del paese siano allo sbando.

Continuano a tramare nell’ombra, cercando di corrompere politici e i funzionari, e facendo una forte propaganda nei confronti dei militari sperando che una parte di ufficiali entri nuovamente in disobbedienza. Il confronto elettorale di giugno (quando ci saranno le elezioni amministrative e per l’elezione dei governatori dei differenti Stati) e il possibile referendum revocatorio contro Chavez dell’anno prossimo, sono due momenti chiave sui quali gli antichavisti concentreranno tutti gli sforzi.

In questo sono sostenuti dagli Stati Uniti… basti pensare alle continue intromissioni dell’ambasciatore Charles Shapiro nelle questioni di politica interna del Venezuela, o alla dichiarazione del sottosegretario USA agli assunti dell’Emisfero Occidentale Robert Noriega che ha dichiarato (Ultimas noticias, 9 settembre 2003) che “gli Stati Uniti non sono uno spettatore disinteressato nella crisi venezuelana”. Il governo di Chavez rimane un problema fondamentale per l’amministrazione Bush. Perché Chavez dopo avere rilanciato il ruolo dell’Opep negli ultimi anni, lancia ora una proposta che vorrebbe essere l’alternativa agli accordi di libero commercio voluti dagli USA: l’ALBA. Propone una forma di integrazione fra i paesi di America Latina che vada nel senso del favorire il proprio sviluppo e il benessere delle classi più povere, a discapito degli interessi stranieri e delle multinazionali. Mentre nel campo del petrolio propone, al Brasile principalmente, una forma di integrazione per la produzione e la raffinazione: PetroAmericàs. L’amministrazione Bush non vede l’ora per buttarlo giù. In modo definitivo questa volta. E più passa il tempo e più diventerà anche un problema strategico: il petrolio venezuelano si trova a cinque giorni di nave, mentre quello dell’Arabia Saudita sta a cinque settimane.

Per tutti questi elementi si può dunque affermare che il Plan Colombia é entrato in una nuova fase e influisce direttamente sulla situazione interna al Venezuela. I prossimi mesi saranno sicuramente molto delicati e saranno segnati molto probabilmente da numerose altre provocazioni e da altri massacri nella zona di frontiera. Quello che è sicuro è che in Colombia di fronte alle violenze del governo e dei sui cani da guardia, sempre più persone appoggiano la guerriglia e anche in Venezuela i contadini pensano sempre di più a forme di organizzazione armata e popolare perché hanno ben chiaro che il vero conflitto non è quello elettorale o referendario ma quello reale che sta sconvolgendo le campagne e le zone di frontiera.



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