SENZA CENSURA N.13

FEBBRAIO 2004

 

Ginevra: siamo tutti d’accordo?

Pubblichiamo un estratto del documento del Forum Palestina in merito agli accordi di Ginevra.

 

Il cosiddetto “Accordo di Ginevra” sta suscitando nella sinistra italiana un curioso fenomeno: sono tutti d’accordo nel sostenerlo. La singolarità del fenomeno è costituita principalmente dal fatto che nessuno può dire di conoscere realmente i contenuti di quell’accordo, per il semplice fatto che non sono stati resi noti e - per quanto riguarda aspetti non secondari - addirittura non esistono.
L’entusiasmo dei sostenitori nostrani dell’Accordo di Ginevra appare dunque quantomeno prematuro, diventando persino sospetto quando proviene da forze e personalità che non hanno certo brillato per il loro sostegno alla lotta di liberazione del popolo palestinese, ponendosi piuttosto su un terreno di equidistanza che, nei fatti, ha prodotto una sostanziale complicità con la politica criminale dei governi Sharon - Peres prima e Sharon - Lapid ora. […]
In primo luogo, va sfatato il mito che a Ginevra abbiano trovato un felice momento di sintesi le società civili israeliana e palestinese e che quell’accordo sia in qualche modo il portato del senso comune diffuso nelle stesse. I promotori del documento di Ginevra sono, a tutti gli effetti, esponenti del ceto politico israeliano e palestinese, perdipiù esponenti privi di seguito nelle rispettive società civili; si tratta di ex Ministri come Rabbo e Beilin, da anni ai margini dell’iniziativa politica ed anche piuttosto screditati, come sa chiunque abbia un minimo di conoscenza della situazione israelo-palestinese.
Per quanto riguarda i Palestinesi, abbiamo visto tutti le scene della partenza dei “delegati” verso Ginevra, accompagnati dai calci e dagli sputi dei loro compatrioti, il che non depone a favore della loro popolarità. Quanto a Beilin, in Israele rappresenta poco più che sé stesso e non è stimato nemmeno dai movimenti pacifisti e contro l’occupazione. […]
Nel merito del documento, poi, le questioni che dovrebbero indurre alla prudenza sono molte; ne citiamo alcune. Nel preambolo, Israele viene definito come Stato del popolo ebreo, e questo è inquietante se solo si pensa alla consistente minoranza non ebraica, già oggi discriminata all’interno del proprio territorio. In altre parole, si aderisce al principio della legittimità di uno Stato fondato su basi etnico-religiose, che non è esattamente un principio laico e/o marxista, e nemmeno democratico in senso generale. In base a questo principio, si dovrebbe riconoscere la legittimità di uno Stato islamico o (perché no?) di uno Stato cattolico, fondati sulle rispettive credenze religiose.
A parte le considerazioni di principio, poi, non si può non chiedersi quale ruolo sia riservato al milione e mezzo di arabi e non ebrei attualmente cittadini (di serie B) dello Stato di Israele.
Per quanto riguarda le caratteristiche generali dello Stato di Palestina “non militarizzato” (cioè privo di un suo esercito nazionale) prefigurato dal documento, i punti critici non sono pochi: se appare quasi scontato l’impegno delle Parti a contrastare il terrorismo, appare meno scontato il motivo per cui debba essere costituito un Comitato Trilaterale di Sicurezza composto da israeliani, palestinesi e Stati Uniti.
Il coinvolgimento della comunità internazionale è presente in tutta la struttura del documento, ma l’aspetto che riguarda la “sicurezza” è inspiegabilmente sottratto alla concertazione con gli altri protagonisti individuati dal documento (ONU, Unione Europea, Russia, altri Stati della regione, oltre agli stessi USA) e affidato al partenariato dei soli Stati Uniti.
Una serie di questioni di primaria importanza sono poi rimandate al contenuto di un Allegato X che nessuno conosce e che, per quanto se ne sa, potrebbe anche non esistere: parliamo, ad esempio, dei tempi e dei modi concreti dell’evacuazione dei coloni degli insediamenti ebraici in quello che dovrà essere lo Stato palestinese, tutti rimandati a fasi, tempi e modalità fissate nel misterioso Allegato X; le stesse aree dello Stato di Palestina da cui dovranno ritirarsi gli Israeliani sono stabilite nell’allegato X. Anche il regime dei confini, naturalmente, verrà specificato nell’Allegato X. Sempre l’Allegato X stabilisce i particolari del mantenimento di una presenza militare israeliana nella Valle del Giordano e le modalità del controllo e della verifica del rispetto degli accordi da parte della Forza Multinazionale incaricata di operare in Palestina. Si rimanda ancora all’ormai celebre Allegato per quanto riguarda anche “due postazioni (israeliane, n.d.r.) di vigilanza a nord e in Cisgiordania nei luoghi stabiliti nell’Allegato X”. Insomma, la sola cosa chiara - in attesa di conoscere le precisazioni contenute nell’Allegato X - è che lo Stato di Palestina sarà smilitarizzato, ma Israele vi manterrà una sua presenza militare armata. L’Accordo stabilisce anche che “L’Aviazione Israeliana avrà il diritto di utilizzare lo spazio aereo Palestinese per scopi di addestramento, secondo quanto stabilito nell’Allegato X, che avrà ad oggetto le regole riguardanti l’uso dello spazio aereo israeliano per l’Aviazione Israeliana”.
La soluzione di un’altra questione di vitale importanza non è invece rimandata all’Allegato misterioso: si tratta della questione dell’acqua, che l’articolo 12 dell’Accordo di Ginevra affronta con queste parole: “Da definire”. E basta. Ora, nella regione la questione delle risorse idriche è, se non la più importante, una delle più importanti; la stessa costruzione del Muro dell’Apartheid risponde alla volontà israeliana di accaparrarsi tutte le risorse idriche disponibili, così come il mantenimento delle porzioni di territorio libanese e siriano per quanto riguarda le risorse di quei Paesi. Non affrontare il problema dell’acqua aggiunge all’iniziativa ginevrina un’ulteriore dose di pericolosa ambiguità.
Ma veniamo al punto che più di ogni altro suscita perplessità e indignazione: la rinuncia, da parte palestinese, al Diritto al Ritorno.
Sulla questione del Diritto al Ritorno la delegazione israeliana è stata intransigente: non doveva nemmeno essere menzionato. E così è stato: nel testo dell’Accordo si parla di diverse opzioni per la scelta della residenza permanente dei profughi, che potranno scegliere se insediarsi nel nuovo Stato di Palestina, essere accolti da “Paesi terzi” o ricongiungersi con i familiari residenti in Israele, ovviamente sulla base di quote accettate a discrezione di ogni singolo Paese, Israele compreso. L’Accordo dichiara ormai nulle e superate tutte le altre disposizioni in materia, compresa la Risoluzione ONU n. 194. Il punto - sottolineato da diversi esperti - è che Israele verrebbe a trovarsi in una situazione simile a quella dei “Paesi terzi”, cancellando in un solo colpo le proprie responsabilità storiche e giuridiche per la pulizia etnica operata a danno dei Palestinesi dal 1948 ad oggi. Si potrebbe giungere al paradosso che Israele arrivi ad accedere agli stanziamenti disposti dal costituendo Fondo Internazionale per l’accoglienza dei profughi palestinesi da parte degli Stati disposti a farsene carico; in altre parole, il persecutore verrebbe indennizzato dalla comunità internazionale per l’accoglienza che eventualmente decidesse di accordare ai perseguitati.
E’ uno dei tanti paradossi dell’Accordo di Ginevra che ha portato il commentatore Adam Keller a scrivere: “Secondo il documento, il processo di risoluzione della questione dei rifugiati prenderà cinque anni, periodo al termine del quale i rifugiati, anche quando rifiutassero di accettare una delle opzioni offerte dall’accordo, perderanno il loro status di rifugiati e l’UNRWA, che li ha presi in carico dal 1948, sarà smantellato e le sue funzioni saranno trasferite ai paesi di accoglienza. Tutto sommato, un approccio piuttosto duro che rischia di trasformare i rifugiati che si oppongono all’accordo e che rifiutano di abbandonare le loro rivendicazioni individuali in vagabondi senza Stato e senza alcuno status”.
Appare dunque comprensibile la levata di scudi contro l’Accordo di Ginevra verificatasi fra i Palestinesi della diaspora (circa 4 milioni), oltre che da parte delle organizzazioni della resistenza palestinese. […]



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