SENZA CENSURA N.13

FEBBRAIO 2004

 

Considerazioni storiche sul quadro politico boliviano

 

Mentre la scena politica internazionale vede una naturale polarizzazione dell’attenzione nei confronti di quanto accade in Medio Oriente e in centro Asia, l’estensione della crisi e la tendenza all’omogeneizzazione della condizione proletaria a livello mondiale rendono necessario rivolgere lo sguardo anche verso altre zone del mondo; in particolar modo in quelle regioni del pianeta che dimostrano un elevato livello di mobilitazione e conflittualità di classe.
In linea con il solco tracciato dalla dottrina Monroe, gli USA non hanno mai perso il primato della loro influenza nel subcontinente. Vedremo che questo non vale in termini assoluti, in quanto il panamericanismo yankee non ha certamente impedito l’iniziativa economica di alcune potenze europee; per esempio per quanto riguarda la fornitura di materiale bellico (‘70/‘80), gli investimenti finanziari/produttivi nei paesi a maggior grado di sviluppo (fine anni ‘90) o, come vedremo nei successivi articoli, con lo sviluppo dei rapporti della comunità europea con i paesi dell’area andina. Nel momento stesso in cui ci sono contraddizioni che erodono dall’interno il sistema capitalistico (e, insieme col procedere della crisi, si costituiscono nuovi poli imperialisti sulla scena internazionale) la necessità degli Stati Uniti, è anche in questo caso, quella di continuare a dare il ritmo dell’iniziativa politico-economica (privatizzazioni, Alca…), soprattutto se si tratta di una porzione di mondo che è sempre stata considerata sotto la loro diretta influenza economica. Inoltre con il Plan Colombia, e le relative ricadute regionali, l’amministrazione Bush (in linea con le precedenti) dimostra, ancora una volta, la necessità di dover combinare l’aspetto politico/economico di valorizzazione dei propri immensi capitali con una rinnovata capacità di governare con adeguati strumenti controrivoluzionari le contraddizioni che ciò produce: i finanziamenti, le forniture belliche sofisticate e studiate per il territorio, la formazione, l’intelligence e la costruzione delle necessarie strutture logistiche militari, fanno parte della campagna imperialista di innalzamento del livello di scontro nel paese colombiano che si vorrebbe portare allo stadio di media intensità.
In diversi altri paesi la partecipazione oceanica e determinata alle mobilitazioni, il rifiuto di massa di ulteriori politiche liberiste mediate delle oligarchie locali per conto dei gringos, il permanere di zone sottratte al controllo militare (diretto/indiretto) americano in quanto in mano o alla guerriglia o a governi non amici dell’imperialismo yankee, compongono il panorama attuale latinoamericano e sono al centro di ogni piano controrivoluzionario della borghesia imperialista.
Ma questo scenario è piuttosto complesso, differenziato, articolato e non si presta a facili schematismi o a comodi (e del tutto momentanei) trionfalismi. Sicuramente la base di massa dell’opposizione alle politiche di stampo neoliberista ha determinato in diversi casi spinte molto più avanzate rispetto a quelle che sono le espressioni politiche che cercano di rappresentarla. Ciò vuol dire che ci sono ampi margini per lo sviluppo dell’incisività dell’iniziativa politica e per la crescita di un livello di coscienza di classe antimperialista/anticapitalista che ponga al centro del proprio ragionamento la presa del potere e non semplicemente il governo del paese nella pluralità, nello sviluppo sostenibile e nella sovranità nazionale. In diversi momenti storici le mobilitazioni di massa, gli scioperi, le sollevazioni popolari e la carica di rottura rivoluzionaria iniziale (quando non veniva immediatamente stroncata) è stata erosa e frammentata o congelata momentaneamente con il risultato di ampliare leggermente la composizione interna delle istituzioni (aprendosi timidamente per esempio agli indios in Bolivia, Ecuador..), piuttosto che permettere che avvenisse un ribaltamento radicale dei rapporti di produzione. Detto questo, vale la pena soffermarsi e analizzare con qualche dato storico la regione boliviana, le trasformazioni, gli attori principali dello scontro in rapporto a quanto avviene nel resto del continente latinoamericano, come strumento necessario per collocare i recenti fatti accaduti nella regione andina e seguirne successivamente le evoluzioni.
Ciò che costituisce il fattore condizionante dello sviluppo industriale e sociale dell’America Latina è, naturalmente, il suo legame funzionale con il centro imperialista a partire dal pregresso rapporto con le potenze colonizzatrici. Prima dell’arrivo dei conquistatori d’oltre mare, per esempio, la disposizione, la contiguità, nonché naturalmente il tipo di struttura sociale interna dei centri nevralgici, amministrativi, culturali e “produttivi” latinoamericani era da attribuirsi principalmente al rapporto uomo/natura. Con la conquista, il posizionamento e lo sviluppo delle città e degli insediamenti urbani tende a prendere la forma utile al ruolo di sfruttamento riservato al subcontinente dalle potenze colonizzatrici. Tuttora i maggiori centri sono in prossimità dei porti di attracco delle rotte europee di 500 anni fa: Rio, San Paolo del Brasile, Valparaìso/Santiago del Cile, Lima, Buenos Aires, Cartagena... Qui si sono sviluppate gradualmente tutte quelle caratteristiche urbane funzionali alla tendenza iniziale (non ancora conclusa in alcune parti della regione) di concentrazione della terra attirando popolazione e generando le prime attività economiche manifatturiere, amministrative, del credito e del terziario. In prossimità di questi centri e soprattutto porti hanno trovato naturale convergenza parte delle principali linee stradali e ferroviarie. Con lo sviluppo successivo del mercato interno subcontinentale, si determina sempre più un quadro in cui la strutturazione della logistica strade/centri urbani e del controllo amministrativo, repressivo e doganale non risulta più modellato esclusivamente in base al carattere di furto delle risorse, ma si rivolge anche verso l’interno.
Per quanto riguarda il popolamento, in America Latina continua la tendenza a un divario larghissimo tra costa e interno, e tra città e campagna.
Per alcuni paesi importanti come Brasile e Argentina in prossimità delle coste si addensa una gran quantità di centri urbani molto popolati, mentre l’interno, se non a eccezione delle zone di sfruttamento della manodopera principalmente estrattiva, risulta praticamente vuoto. La fortissima tendenza all’urbanizzazione è un dato significativo tanto da far parlare di iperurbanizzazione. Un tasso complessivo che si avvicina al 70% (considerando il valore di soglia di 100.000 abitanti per definire un agglomerato urbano), mentre la cifra aumenta se si parla degli estesissimi complessi metropolitani che arrivano, come nel caso di Lima, ad assorbire quasi un terzo della popolazione totale del paese.
Per quanto riguarda la Bolivia, il paesaggio andino ricopre quasi la metà della superficie nazionale, concentra le attività produttive di più alto valore e le principali zone urbane di popolamento del paese. Più di 5 degli 8 milioni di boliviani abita in città di media grandezza. Nella zona andina nell’estremo ovest del paese troviamo La Paz (quasi due milioni di abitanti), la città più popolata e sede del governo, e in prossimità della direttrice continentale di scambio proveniente dal sud dell’Amazzonia brasiliana. Scendendo di poco a sud est c’è Cochabamba, una delle principali città industriali del paese nonché nodo in cui ha inizio la direttrice per Oruro (altra città industriale) verso il Cile; più a sud ancora, Sucre è la capitale amministrativa. La città di Santa Cruz, invece, si trova ai piedi della zona andina ed è punto di convergenza di 2 direttrici: quella continentale che proviene da San Paolo del Brasile e si dirige verso il Cile (sempre passando anche per Oruro), al porto di Iquique, e quella che proviene dall’Amazzonia meridionale brasiliana e che passa già per Trinidad. La rete stradale in Bolivia deriva da un ampliamento di un impianto antico di strade che si inerpicano per spazi desolati verso altezze che sono almeno di 2.000 metri nella zona andina. Per quanto riguarda questo aspetto, bisogna sottolineare come non esista una molteplicità di vie di comunicazione e collegamenti ma solo poche strade, anche molto trafficate, che collegano i centri principali: Santa Cruz - Cochabamba (su questa strada transitano migliaia di grossi camion ogni giorno), Santa Cruz - Oruro/La Paz; Oruro - Potosi; Potosi - Tarija.
Questi sono alcuni elementi fondamentali che compongono il quadro latinoamericano in cui si colloca la Bolivia per quanto riguarda urbanizzazione e popolamento, disposizione e ruolo nazionale/regionale dei vari agglomerati urbani. Ora è necessario fare qualche considerazione circa nascita e sviluppo del comparto industriale in America Latina in funzione delle esigenze del capitale occidentale.
Il regime di schiavitù iniziale delle colonie si è trasformato per rispondere alle esigenze dei primi grandi paesi capitalisti. Con un apporto di capitali e di tecnologia straniera vengono progressivamente costruite le imprese e gli elementi indispensabili come ferrovie, porti, elettricità… per adeguare diversi paesi latinoamericani al ruolo di fornitori a basso costo di prodotti di base come quelli agricoli e minerari. Si è andata poi via via definendo un’economia basata sullo scambio di prodotti importati ed esportati attorno alla quale si sono organizzate le manifatture che poi diverranno industrie della preparazione e del confezionamento dei prodotti specialmente alimentari.
La fase di (relativa) industrializzazione inizia quando, dopo gli anni ‘30, gli anni della grande depressione, la macchina economica occidentale fu impegnata nella seconda guerra mondiale. Diverse nazioni latinoamericane si trovano davanti alla necessità di iniziare a produrre sempre più merci precedentemente importate a partire dalla propria bassa disponibilità di capitali e dagli alti costi per i prodotti importati, dovuti alla congiuntura economica che si era determinata.
Con un fortissimo sostegno statale e con politiche protezioniste, compaiono inizialmente i settori di maggiore industrializzazione, quelli orientati alla produzione di beni non durevoli e a bassa valorizzazione di capitali, come i derivati dell’allevamento e dell’agricoltura. A partire dai laboratori di riparazione dei macchinari importati della prima fase si sviluppano i comparti della produzione di utensili, di strumenti e macchinari inizialmente molto semplici, poi nascono i settori dei semilavorati, della chimica di base fino ad arrivare all’industria pesante.
La siderurgia brasiliana, considerando che il Brasile è ricco di ferro, vede nei primi anni ‘40 la costruzione della prima industria del settore con la ovvia opposizione dell’imperialismo. I referenti locali (anche liberali), nonché i governi imperialisti, non volevano altro che continuare a sfruttare il paese strettamente per i suoi prodotti agricoli e minerari a basso costo. Ma gli Stati Uniti erano in guerra e alla fine venne accordato un prestito in cambio di alcune basi strategiche nell’estremo nord est brasiliano; quindi la produzione locale di acciaio, con il carico simbolico di indipendenza industriale nazionale (anche se tardiva) che rappresenta, inizia con la costruzione di un grande impianto siderurgico situato tra Rio e San Paolo e con una produzione di un milione di tonnellate. Questa è una tappa fondamentale perché la costruzione di questo impianto ha determinato un ulteriore passo tecnologico in avanti per la riproducibilità dello stesso, è stata la chiave per il successivo sviluppo dell’industria automobilistica ed è uno dei settori indispensabili per una politica di produzione di merci a più alto valore aggiunto rispetto ai settori agro-alimentari. Di seguito la produzione di acciaio brasiliano è cresciuta fino ad arrivare ai livelli della fine degli anni ‘80 in cui sfiorava le 25 tonnellate e che fa di questo paese uno dei grandi esportatori di acciaio e insieme uno dei primi produttori mondiali di ferro.


Ora il Brasile, rappresenta la punta avanzata dello sviluppo capitalistico attuale nel cono sud (8° PIL mondiale) e quindi ha una strutturazione sociale con una composizione più simile a quella dei paesi a capitalismo avanzato (proletari, ceti-medi e borghesia). Questo paese è ed è stato sicuramente determinante e influente per quanto riguarda sia la Bolivia, sia il quadro regionale andino e quello continentale. Ma, mentre il vicino gigante sviluppa i settori determinanti della rivoluzione industriale di tipo europeo, a distanza di quasi cento anni, la Bolivia vive un divario di sviluppo capitalistico ancora più forte.
Il territorio boliviano è stato in diversi casi oggetto di contesa con gli stati confinanti, tanto che in più di un secolo, fino al 1935 ha perso più del 50% della propria precedente estensione. Nella guerra del Pacifico con il Cile (e con l’appoggio del Perù poi), questo ultimo ebbe la meglio e sottrasse preziosi giacimenti di nitrati nonché il porto di Antofagasta, lasciando il paese senza uno sbocco al mare. Questo è un fattore fortemente condizionante se consideriamo che in molti altri stati latinoamericani, oltre che nel vicino colosso brasiliano, la progressiva industrializzazione è avvenuta a partire dallo sviluppo dell’attività produttiva in prossimità della costa.
Successivamente, negli anni ‘30, la guerra con il Paraguay si concluse con la perdita da parte della Bolivia di un’altra zona di territorio, quella del Chaco, per una contesa relativa ad alcuni giacimenti di petrolio.
Uno dei momenti molto significativi nella storia del paese andino è quello relativo agli anni ‘50. Un forte movimento di classe con milizie operaie guidate dai minatori dello stagno si confronta con il governo golpista in carica. Ma senza una direzione rivoluzionaria, dopo lunghi e sanguinosi scontri, prende il potere il Movimento Nazionalista Rivoluzionario (quello che sarà poi di Lozada), nel ‘52, interrompendo una serie di sei anni di governi militari. Victor Paz Estenssoro alla guida del Mnr, espressione della classe media boliviana, torna dall’esilio argentino e si instaura come presidente. La lettura ufficiale degli avvenimenti prevede che questa “rivoluzione” sia dovuta alla crisi di coscienza di ampi settori dello Stato come giovani ufficiali e intellettuali dopo la sconfitta con il Paraguay. Vengono nazionalizzate le miniere di stagno, settore strategico di produzione nazionale, dopo che si sono quasi praticamente esaurite quelle di argento che avevano creato quasi dal nulla la città di Potosì, per lungo tempo uno dei più popolosi agglomerati urbani dell’America Latina. Venne proclamata una riforma agraria (che tolse il velo formale della schiavitù contadina) ed esteso il suffragio alle donne e agli indios. Le parole di Max Toro, un anziano dirigente di fabbrica, ci ricordano che “non si sarebbe potuto conquistare la vittoria contro il regime militare nell’Aprile del ‘52 senza la mobilitazione determinata e unita dei minatori e degli operai”. Ma tradendo le milizie operaie e contadine, che avevano destituito il precedente governo della destra reazionaria e fascista, questo governo non andò oltre il nazionalismo riformista: “Questi sono soltanto dei riformisti, daranno il DDT agli indios per togliergli i pidocchi, ma non risolveranno il problema che è la causa dei pidocchi. Una rivoluzione che non arriva alle sue ultime conseguenze è perduta” (CHE – La Paz, 12 Luglio 1953). Comunque, in quella fase, fu forgiato il principale sindacato nazionale: “La Cob ha messo sulle sue spalle le speranze della nazione. Per questo motivo in essa si è concentrata la direzione di tutto il movimento popolare e non solo quella della classe operaia” afferma un altro operaio divenuto poi dirigente sindacale della Central Obrera Boliviana.
Con la presidenza di Estenssoro, soprattutto nell’ultima fase del suo secondo mandato, crebbe il malcontento popolare. Nel 1964 ci fu il colpo di stato di Barrientos, naturalmente appoggiato dagli USA, durante il quale vennero uccisi in massa molti minatori e che fu l’artefice della sconfitta della guerriglia (oltre che della morte del Che, che non riuscì, anche per tragiche sottovalutazioni politiche, a saldarsi con il proletariato, con le organizzazioni e con le masse popolari dei centri urbani del paese). Seguì un governo che nazionalizzò alcuni settori legati all’estrazione e all’esportazione degli idrocarburi e si aprì una nuova fase di protagonismo delle masse boliviane. Minatori e campesinos costituirono un’assemblea popolare in cui oltre il 50% era rappresentato da lavoratori mentre il 30% da contadini e in cui venne formulato un programma che nelle intenzioni avrebbe dovuto condurre a una transizione rivoluzionaria. Questo processo si scontrò con l’esercito di Hugo Banzer (aderente poi al Plan Condor, il piano repressivo anticomunista continentale), che, con una feroce e spietata campagna repressiva, cercò di annientare l’avanguardia del movimento di classe e contadino del paese.
Ma la lotta riprese con lunghissimi scioperi generali e durissimi scontri con l’esercito. Ancora una volta un vasto movimento popolare boliviano guidato dai lavoratori delle miniere dello stagno fu determinante per la destituzione del dittatore.
Nell’84/85 tornò al potere il riformista Victor Paz Estenssoro, che procedette in senso inverso rispetto alle nazionalizzazioni del ‘52 e, ispirato da professoroni gringos di Harvard come Jeffrey Sachs, avviò una campagna di privatizzazioni dei settori più preziosi del paese. Subito il governo dispiegò una vastissima operazione preventiva che impegnava polizia ed esercito in uccisioni, arresti e incarcerazioni di dirigenti sindacali, operai, minatori e contadini: il bilancio fu di quasi 300 morti, più di 10.000 arresti, con centinaia di feriti. La svolta, in questo caso, fu che la campagna repressiva si andò a sovrapporsi a un piano di ristrutturazione di dimensioni enormi. Il comparto estrattivo dello stagno, che vedeva la più alta concentrazione di settori di classe combattivi, venne smembrato e le micidiali ricadute sociali determinarono un’enorme frantumazione del tessuto che aveva consentito trenta anni di storia di lotta e generato una delle più importanti esperienze di classe di tutto il continente e che più volte aveva dimostrato di essere in grado di risollevarsi, anche dopo le più feroci campagne repressive. Un processo di destrutturazione sociale ampio che ha inciso sul settore di classe più difficile da comprare con qualche riforma per l’inclusione sociale o una blanda legge sulla terra. Un piano di recupero di controllo imperialista per garantirsi in tutta tranquillità ulteriori prospettive di valorizzazione capitalistica nei settori principali del paese che costrinse 50.000 lavoratori del settore pubblico e oltre 20.000 minatori ad andare alla ricerca di forme alternative di sostentamento (cifre immense se si pensa ai numeri boliviani). Naturalmente l’enorme “esodo” prodotto andò a ingrossare le fila dell’esercito industriale di riserva, già presente nelle periferie delle principali città del paese, e quindi ad aumentare il grado di urbanizzazione, ma determinò anche un altro significativo fenomeno: la regione del Chapare, fino ad allora piuttosto inesplorata, vide una progressiva concentrazione di ex minatori che diventarono in larga parte contadini. La congiuntura economica, il basso e altalenante guadagno sui prodotti del comparto agro-alimentare (per la concorrenza dei giganti vicini e lontani) non davano molta scelta per quanto riguarda il tipo di produzione agraria da avviare. Le coltivazioni tradizionali del settore non fornivano le garanzie di guadagno costante che, invece, quelle della foglia di coca sembravano dare. Più che un ritorno alle origini indie e contadine attorno alla cultura della foglia di coca, è importante sottolineare come una parte significativa della coscienza di classe, delle esperienze di lotta e delle capacità organizzative dei lavoratori e dei minatori espulsi dal ciclo produttivo si sono riversati in tutti gli anni ‘90 nella realtà rurale e urbana preesistente in Bolivia. Questo ha portato alla costruzione di uno dei movimenti contadini sicuramente tra i più combattivi dell’ultimo decennio e che hanno generato il Mas (Movimento Al Socialismo) che raccoglie, oltre ai coltivatori della coca, anche lavoratori del settore della sanità e dell’educazione. A partire dal ‘97 il generale Banzer, di nuovo al potere, stila il programma “coca-zero” con un’operazione massiccia e con largo uso dell’esercito. Il Mas di Morales deve affrontare, in particolare dopo il 2001, un salto di qualità nella militarizzazione del territorio per l’eradicazione forzata della foglia di coca, in coincidenza con la campagna USA contro il “narcoterrorismo” in Colombia e nella regione andina. Il movimento contadino sembra in difficoltà, e si mostra sempre più propenso ad una trattativa per trovare una soluzione negoziata al problema; la disponibilità al dialogo istituzionale prevale nella linea del Mas non senza contrasti (accuse di tradimento dalla base verso Morales). Nel 2002, comunque, una manciata di voti hanno separato il leader dei cocaleros dalla carica di presidente.
Nel Febbraio 2003 il governo di Sanchez de Losada annuncia la volontà di istituire una serie di sgravi fiscali per le imprese (di oltre il 10%), una riduzione di qualche punto percentuale delle tasse sulle transazioni di capitale in Bolivia e una serie di tagli al costo del lavoro. I lavoratori dei settori della cosiddetta economia formale (quasi 200.000 in tutto il paese) avrebbero visto i loro salari investiti da un provvedimento che ne riduceva significativamente e bruscamente il potere di acquisto.
Lo “stato maggiore del popolo”, di recente formazione e in cui sono rappresentate tutte le forze sociali principali del paese, propone di governare la crisi attraverso una valorizzazione dei propri prodotti a danno delle imprese straniere, recuperando denaro dall’evasione e dalla corruzione. Soluzioni neanche prese in considerazione dal governo.
Di nuovo al centro di uno scontro durissimo sulla questione salariale, i lavoratori boliviani, con la solidarietà dei contadini della zona attorno a La Paz, si trovano uniti agli agenti della polizia municipale contro i militari, dimostrando invece di infischiarsene di ogni possibile livello di mediazione.
Successivamente il Mas, insieme allo “stato maggiore del popolo”, chiede le dimissioni del governo, ma la rabbia dei lavoratori, degli agenti della polizia municipale e dei proletari, principalmente della zona di La Paz, covava da anni e ne hanno fatto le spese le strutture dello stato al centro dell’attenzione in quei giorni: il Ministero del Lavoro, quello dello Sviluppo e altre sedi di partiti di governo e istituzionali. Questa volta il tentativo da parte del Mas di paralizzare completamente il paese andò a buon fine solo in parte, ma Sanchez de Losada fu costretto ad abbandonare il palazzo presidenziale e a ritirare il provvedimento, anche se rimase in carica.
Qualche mese dopo, nell’Agosto ‘03, viene varata nel paese la “Legge di sicurezza urbana”, che mira a colpire duramente l’indizione e la creazione di blocchi stradali con pene che vanno dai due agli otto anni di carcere. Anche “chi impedisce in qualche modo o perturba la regolarità o la sicurezza dei trasporti pubblici di terra, d’aria o acqua verrà sanzionato con una reclusione che va dai due ai quattro anni di carcere”. Inoltre sono previsti dai tre agli otto anni per chi provoca l’interruzione di pubblici servizi, come erogazione di acqua e gas.
L’innalzamento complessivo degli anni di pena per alcuni reati legati alle proteste non è l’unico risultato. In Bolivia il codice prevede che non si possa essere trattenuti se al reato di cui si è sospettati corrisponde una pena inferiore ai tre anni di carcere: con questa legge, in molti casi si passa direttamente dall’essere sospettati alla carcerazione.
In Bolivia, cresciuto e sviluppatosi nel tempo, il blocco stradale è diventato una forma molto efficace di lotta (con impatti anche regionali), tanto da essere al centro dell’attenzione dei piani controrivoluzionari dello Stato. La dinamite e la determinazione dei minatori, contadini e cocaleros sono stati elementi preziosi nello scontro con lo Stato e sono anche serviti a sviluppare la capacità di creare un collasso produttivo nel paese, accompagnando gli scioperi con il blocco delle arterie andine principali; nelle grandi città il protagonismo dei lavoratori e dei disoccupati, si rovesciava contro le strutture dello Stato e del governo, del capitale e delle sedi dei partiti dominanti.
A Settembre dello scorso anno, la Cob prende l’iniziativa di indire uno sciopero generale illimitato contro la politica del governo in materia di privatizzazioni e salario.
Uno dei decreti più osteggiati dai lavoratori, oltre alle questioni di salario, è quello che garantisce legalmente ulteriori possibilità di licenziamento immediato. Questo sembra influire sulla partecipazione allo sciopero, anche perché inizialmente rispondono alla chiamata solo minatori delle roccaforti operaie storiche. Ma la successiva e determinante adesione dei lavoratori del settore dei trasporti, seguita dagli insegnanti e dagli studenti, con i blocchi da parte dei coltivatori della zona dello yungas intorno alla città sede del governo, fanno decollare la mobilitazione. Nelle vicinanze di La Paz vengono mobilitate le guarnigioni dell’esercito per controllare El Alto, grosso agglomerato urbano di un milione di abitanti e considerato la roccaforte dei proletari e dei disoccupati.
In più, i giganti europei del petrolio spagnoli e inglesi, con la “Legge degli Idrocarburi” appena varata, si garantirebbero condizioni di eccezionale favore per l’estrazione ed esportazione di gas verso gli Stati Uniti: questo infiamma ulteriormente l’orgoglio popolare antimperialista e la protesta assume dimensioni di massa mai viste. Il paese è paralizzato: a La Paz, ma soprattutto a El Alto, si combatte senza quartiere. Il presidente Sanchez de Lozada scappa dalla città sede del governo e, su suggerimento dei rappresentanti USA, vaga in cerca di appoggio tra i settori (praticamente inesistenti nel panorama boliviano) di ceti medio alti per sostenere un golpe militare. Alla fine è costretto a fuggire dal paese.
La linea che viene intrapresa dai rappresentanti della protesta sembra essere inizialmente quella del deputato Evo Morales che appoggia Carlos Mesa (ora in carica), riscopertosi critico nei confronti del vecchio governo di cui ricopriva la carica di vicepresidente. L’orientamento del Mas, che ha svolto un ruolo sicuramente secondario nella rivolta di Ottobre, anche per la contestata tardiva adesione allo sciopero, si concentra sulla convocazione di un’assemblea costituzionale. Vengono richieste nuove elezioni, dichiarando il precedente programma di governo nullo e confidando in una transizione con Mesa che consentisse una vittoria elettorale del Mas, un governo sovrano e lo sviluppo del paese: “il Mas tiene alla democrazia più che a ogni altra cosa”, e che adesso “si apre la possibilità della trasformazione pacifica della Bolivia”(Evo Morales, Ottobre 2003). Ma la continuità dimostrata anche da questo governo con le politiche del precedente, ha indotto le principali organizzazioni del paese a rompere la tregua con Mesa. Alla fine di Gennaio 2004 la situazione vede la Cob rinnovare l’invito a tutte le organizzazioni sindacali e popolari per un altro grande sciopero generale. Decine di organizzazioni sindacali riunite si impegnano a “…preparare lo sciopero generalizzato illimitato, e dichiarare uno stato d’emergenza in tutto il paese, preparare il blocco delle vie di comunicazione e organizzarsi per fare pressione sul governo e costruire un fronte politico di lotta”. Il coordinamento con i campesinos indios, rappresentati da Felipe Quisque, dovrebbe garantire il blocco delle principali vie di collegamento nazionale.
Oltre a chiedere recuperi salariali, i sindacati e i lavoratori esigono la nazionalizzazione del settore dell’estrazione degli idrocarburi ma non solo, dicono la loro sul rapporto con la democrazia: “È il popolo che richiede la chiusura del Parlamento e la Cob non può che appoggiare questa posizione”.
Il Mas, oramai da più parti considerato un partito dal programma politico riformista, fa sapere che su questa questione la sua posizione è distinta da quella dei campesinos di Quisque e della Cob. Morales, dichiarando che “…sia necessario proseguire nel percorso di governo di Mesa, preservando il Congresso (costituente) e la via elettorale”, in qualche caso viene accolto da contestazioni, ma ignorandole prosegue dicendo che “chi parla di chiusura del Parlamento non accetta i principi democratici, ricerca solo un colpo di Stato, una dittatura, ed è pronto a fare un favore all’ambasciata Usa e a Sanchez de Lozada”. Proprio sulla questione del rapporto tra movimenti sindacali e politici nei confronti della democrazia formale vanno fatte alcune considerazioni conclusive. Le organizzazioni sindacali, nonostante le mobilitazioni di massa, la combattività e la determinazione nel tenere uno sciopero continuato nei settori strategici della produzione, non hanno da sole la forza necessaria per attuare i propri programmi, per abbattere il capitalismo e per mandare in fuga l’oligarchia. In Bolivia non esistono più formazioni guerrigliere (ma casomai strutture di autodifesa armata) e per lungo tempo la partecipazione al voto è sempre stata bassissima (fino alla comparsa “dal nulla” del Mas in parlamento) per la crescente sfiducia nella democrazia borghese. In generale, lo sviluppo di avanguardie armate (per la risoluzione dello scontro politico con la presa del potere) cresce in modo inversamente proporzionale alla tendenza della partecipazione elettorale nella storia del continente e del paese. Tenendo questo ben presente, gli sviluppi politici in Bolivia e nella regione andina vanno seguiti anche perché, in questa situazione di fermento generale, chi parla di riforme ed elezioni, come ora il Mas, va a colmare i vuoti di rappresentanza sociale nella democrazia borghese, e vede come sbocco necessario l’insediamento al governo e dentro a quei palazzi del potere che invece vasti settori di proletariato e sottoproletariato urbano hanno dimostrato più di una volta di volere distruggere definitivamente.

Rif. Bibliografici e internet:

Storia dell America Latina:
- M. Carmagnani, G. Casetta, AMERICA LATINA: LA GRANDE TRASFORMAZIONE 1945-1985, Giulio Einaudi editore, 1989 Torino.

- Alain Rouquié, L'AMERICA LATINA, Bruno Mondadori editore, 2000 Milano.

Siti interessanti sull'argomento Bolivia:
- www.selvas.org
- www.bolpress.com
- www.rebelion.org
- www.laprensa-bolivia.net
- www.econoticiasbolivia.com

 

Movimento giovani di Ottobre
“La rivoluzione sarà opera del giovane che si dedichi anima e cuore alle future battaglie, senza perdere i suoi principi rivoluzionari, fino alla morte”.


Il movimento “Giovani di Ottobre” è un’organizzazione di giovani rivoluzionari che lottano per abbattere il sistema capitalista e il modello neoliberalista corrotto, che impoverisce le maggioranze nazionali e la società nel suo insieme, e per costruire un paese che sia ugualitario, solidale e dignitoso.
Non è un partito politico, giacchè tutti sappiamo che le elezioni sono uno strumento dei neoliberisti, ragion per cui rigettiamo questa opzione.
Dunque, i deputati, senatori e consiglieri (anche i futuri - Ndr) devono rinunciare.
Questa organizzazione giovanile nasce come conseguenza del fatto che alcuni opportunisti, neoliberisti e mercanti del sangue degli umili morti nel febbraio e nell’ottobre del 2003, pretendono di camuffarsi da rivoluzionari per poi mantenersi al potere ingannando il popolo.
Quest’organizzazione comunica:
A tutti i compagni e fratelli giovani aymara, quechua, giovani esclusi, soggiogati, discriminati del paese ed ai fratelli giovani residenti in altri paesi: ribelliamoci e diciamo ¡REVOLUCION CARAJO¡. Per conquistare i nostri diritti, la sovranità e la libertà del nostro paese, oggi calpestati dagli yankees.
Mettetevi in contatto con l’organizzazione per coordinare le iniziative a livello nazionale ed internazionale.
Abbiamo organizzato una rete del Movimento dei Giovani di Ottobre, a livello nazionale, in modo che se in qualche dipartimento non dovessero esistere cellule, ogni fratello rivoluzionario possa dare vita a un gruppo e mettersi in contatto con noi via posta per coordinarci meglio.

INIZIATIVE
1 - Conferenza stampa per la presentazione ufficiale della rete del Movimento Giovani d’Ottobre (nella città di El Alto), il 12 Marzo 2004.
2 - Primo incontro nazionale della rete del Movimento Giovani d’Ottobre, da svolgersi in Aprile.

PER LA RETE del MOVIMENTO
GIOVANI D’OTTOBRE

El Alto, La Paz, Bolivia, Febbraio 2004.
[movimientojo@hotmail.com]



http://www.senzacensura.org/