SENZA CENSURA N.13

FEBBRAIO 2004

 

Grecia: la stagione dei processi

Resoconto sulle ultime ondate repressive in Grecia.

 

Processo alla “17 Novembre”

Una nuova stagione si apre la sera del 29 giugno 2002.
Un membro della “17 Novembre” è stato gravemente ferito dalle deflagrazioni dell’ordigno che stava piazzando vicino alla biglietteria di un’azienda di trasporti marittimi, presso il porto del Pireo.
Questo incidente ha innescato una serie di eventi a catena nelle settimane successive, che hanno portato all’arresto di 19 persone con l’accusa di partecipazione all’organizzazione 17N. Al suo attivo il gruppo ha azioni contro militari americani e inglesi, industriali, proprietari di giornali. Alcune azioni hanno avuto un carattere spettacolare come l’occupazione di un distretto di polizia durante il ferragosto del 1987 e l’esproprio di armi e munizioni (razzi anticarro) da depositi dell’esercito.
Il 3 marzo dell’anno scorso, è partito un lungo processo contro queste persone che si è concluso il 17 dicembre dello stesso anno. Il processo, nel suo insieme, è stato una farsa di enormi dimensioni con imputati che denunciavano torture da parte della polizia, mentre i testimoni della difesa venivano insultati sistematicamente da parte della corte e della parte civile. Da sottolineare il fatto che a 3 degli imputati, anche se pubblicamente pentiti e collaboratori di giustizia, sono state inflitte condanne per oltre 25 anni di carcere per ciascuno. Il processo si è concluso con 15 condanne su un totale di 19 imputati. Le pene inflitte sono surreali: da 21 ergastoli più 25 anni (!?) fino ad arrivare alla pena più contenuta di 8 anni di reclusione. Questo dimostra come lo Stato greco non sia interessato, nemmeno formalmente, a nessun tipo di recupero “ideologico” nei confronti di chi ha collaborato. Infatti, una volta spremuti, i pentiti sono stati buttati nei lager e isolati, nelle stesse condizioni degli altri loro coimputati.
Dopo la fine del processo è previsto lo spostamento dei detenuti politici ad una nuova sezione del carcere di Larissa, che dista 400 Km da Atene. I motivi ufficiali di questo trasferimento riguardano il degrado profondo in cui versa la struttura dove si trovano ora gli imputati. In realtà, vengono deportati in un carcere lontano da Atene per rendere più difficile qualsiasi manifestazione di solidarietà e i contatti con familiari e avvocati.

Comunicato-appello dei prigionieri politici di Korydallos, carcere di Atene
Dopo la sentenza, Larissa; dopo la cassazione, Gyaros*?
Prima e durante il processo abbiamo avuto una aperta violazione e abolizione del quadro istituzionale della legalità borghese, abbiamo avuto un processo apertamente politico, un processo di avversari politici dove le prove legali erano assenti, un processo a porte chiuse per tenere al buio il popolo. Un processo-farsa dove il verdetto era già deciso e ripeteva gli infondati e falsi capi di accusa dell’ordinanza emessa dai PM. Un processo dove la decisione e le pesanti accuse sono state dettate dagli americani. I giudici hanno servito la menzogna, l’ingiustizia e la volontà dei loro padroni. La loro giustizia classista, inumana, barbarica. L’ordinanza ed il verdetto erano basati soprattutto sulla base di confessioni falsificate dall’antiterrorismo, parte integrante del sistema, noto centro di torture e di confessioni strappate con l’uso di moderni psicofarmaci, di nuove tecnologie, dove la resistenza viene azzerata, schiacciando e cancellando la personalità, come è accaduto sia in ospedale** che all’interno delle stanze dell’antiterrorismo, in altri due casi. Ciò che viene descritto negli interrogatori ha poco a che fare con la realtà.
Stanno provando a criminalizzare a priori gli arrestati per giustificare le loro condanne. In questo modo è stata ottenuta la condanna pesante di alcuni imputati completamente innocenti, ma anche di altri poco coinvolti nelle attività della 17N. L’uso esteso di farmaci, somministrati nell’ospedale, sulla pelle di un ferito grave, ha avuto come conseguenza i risultati tragici che a tutt’oggi vediamo. Dopo oltre un anno e mezzo, rimane la questione se Savas si riprenderà, visto il suo palese stato confusionale, che evidenzia il danno che ha subito.
Un ruolo importante nella sentenza lo ha avuto il condannabile, da ogni punto di vista, atteggiamento di quelli che hanno collaborato. Questi, confermando tutte le falsità che volevano le autorità contro alcuni degli accusati, hanno contribuito alla loro pesante condanna, ottenendo in cambio un trattamento migliore e pene più leggere rispetto agli altri (uno di questi è ora fuori). Hanno condannato innocenti in cambio della loro libertà. Il comportamento delle autorità e del tribunale è stato vendicativo ed è il risultato delle pressioni ricevute dall’estero. Questo si può ben vedere dalle pene inflitte, dall’appello del PM contro il proscioglimento di uno dei non condannati, un appello che contrastava anche una sua proposta precedente. Ciò si può vedere anche dalle condizioni inumane di detenzione nelle celle bianche-lager dei sotterranei e il disegno di spostarci al “Guantanamo” greco di detenzione speciale, a Larissa, che come obiettivo ha il nostro annientamento.
Questo trattamento speciale è uno scandalo contro il codice di detenzione, come lo è anche la distinzione in detenuti speciali da parte dello Stato. Inoltre, non c’è nessuna reazione da parte di forze democratiche e di sinistra a questa violazione scandalosa.
Noi condannati per il caso politico della 17N ci riteniamo detenuti politici, indipendentemente dall’atteggiamento che ognuno di noi ha tenuto durante il processo, sia stato di rivendicazione politica, di partecipazione successiva o di distacco, o di chi non ha avuto alcun tipo di rapporto.
Come detenuti politici ci rivolgiamo al popolo greco chiedendogli di esprimere la sua solidarietà politica in qualsiasi modo.

* Isola-carcere. Dagli anni ’50, luogo di esilio dei militanti di sinistra dopo la fine della guerra civile del 1944-1949. Operativo fino ai primi anni ’70.
** All’ospedale nel quale è stato portato, Savas Xiros è stato sottoposto ad una serie di torture “mediche” con l’obiettivo di strappargli informazioni vitali sulla composizione dell’organizzazione.

E.L.A.: seconda ondata di arresti
Nel gennaio del 2003 un’altra ondata di arresti ha portato in carcere altre 4 persone accusate di aver partecipato all’ELA. Questo gruppo ha avuto un carattere di massa, essendo stato composto da vari sottogruppi, arrivando a contare, secondo le autorità, alcune centinaia di militanti in diverse città. Con una frequenza quasi settimanale, il gruppo ha compiuto centinaia di attacchi dinamitardi dal 1975 al 1995, quando, in un suo comunicato, ha dichiarato la fine di quell’esperienza.
Le accuse altamente contradditorie le ha fornite l’ex moglie di uno degli imputati, trasformandosi così da imputata in testimone; tra l’altro al momento del suo arresto, questo imputato, era sindaco del comune di Kimolos, un’isola dell’Egeo. Queste accuse non vengono accompagnate da nessun tipo di prova materiale come nel caso del processo a carico della 17N.
All’inizio del febbraio 2004, è partito il processo contro ELA che vede come imputate 5 persone con accuse per vari attentati dinamitardi, omicidi attribuiti a tale organizzazione o anche ad altri gruppi (come ad esempio “1° Maggio”) che vengono comunque associati a ELA tramite la logica dei vasi comunicanti. Viene reintrodotto il concetto di responsabilità collettiva presa dall’arsenale legislativo nazista mentre tutto il resto del codice penale ha assunto carattere informale con interpretazioni flessibili secondo le esigenze dello Stato. Emblematico è stato il commento della presidente del tribunale che ha detto testualmente: “il legislatore comune può legiferare a volte anche oltre i limiti costituzionali”, riferendosi alle motivazioni del rigetto dell’obiezione mossa dal collegio della difesa per incostituzionalità del processo. I motivi dell’obiezione posta dalla difesa riguardavano la composizione della corte (per i reati politici è prevista una maggioranza di giuria popolare) e l’applicazione ex-post di leggi non in vigore quando sono stati commessi i reati che gravano sugli imputati.
Uno degli imputati è il fratello di un membro fondatore di ELA, morto durante uno scontro a fuoco con la polizia nel 1977. In passato è stato accusato di far parte del gruppo di attacco “1° Maggio”, che aveva tentato di colpire il presidente della confederazione dei sindacati, è stato in seguito scagionato, ancora prima di essere processato, per mancanza di indizi. Oggi gli vengono ricontestate le medesime accuse di allora, senza che ci sia stata nessuna nuova prova nel frattempo.
In questo momento, 3 dei 5 imputati si trovano in carcere e 2 in libertà condizionata per gravi motivi di salute.

Il caso dei 7 di Salonicco
Un altro nodo cruciale di questa nuova fase è il modo con il quale lo Stato ha gestito i 7 con le accuse più gravi, tra gli arrestati, durante il vertice contro l’Unione Europea nel giugno scorso a Salonicco. Un trattamento “speciale” che, dal momento dell’arresto, ha cercato di attivare i nuovi livelli di repressione introdotti dall’apparato legislativo-repressivo nei confronti delle lotte di massa.
Capi d’accusa pesantissimi (costruzione, detenzione e uso di esplosivi, incendi dolosi, saccheggio e devastazione), ostruzione dei rapporti con gli avvocati, rifiuto dell’istanza di scarcerazione anche per il compagno inglese, Chapman, per il quale un video mandato in onda da un canale ufficiale aveva già palesemente mostrato la manomissione delle prove a suo carico da parte della polizia (il video ritraeva uno sbirro che sostituiva il suo zaino con un altro abbandonato sulla strada pieno di bottiglie incendarie).
Questi nuovi livelli repressivi sono diventati ancora più visibili a chiunque, anche per l’insistenza da parte delle autorità a tenerli in carcere quando le loro condizione fisiche erano diventate critiche a causa di uno sciopero della fame protratto per oltre 50 giorni*. I giudici sono arrivati addirittura a minacciare i dottori di omicidio preterintenzionale affinché si procedesse con l’alimentazione forzata dei detenuti in sciopero.
Il movimento di solidarietà che si è sviluppato in tutta l’Europa, con varie iniziative ed azioni, in combinazione con una mobilitazione portata avanti da un ampio fronte di solidarietà in Grecia, hanno spinto perché si creasse uno schieramento sociale compatto contro la repressione. Alcune migliaia di persone che facevano riferimento ad una vasta area politica che andava dagli anarchici, passando dagli extraparlamentari, fino alla sinistra parlamentare, chiedevano la scarcerazione immediata ed incondizionata di questi 7 arrestati.
Il 13 di febbraio, il Consiglio dei giudici competenti ha prosciolto dalle accuse 12 dei 26 imputati. Tra questi anche il compagno inglese che è rimasto in carcere per 5 mesi per poi essere assolto. Altri 6 vedono ridimensionate le loro accuse a reati minori, mentre per gli ultimi 8 continua l’inchiesta, nonostante le scarse e contraddittorie prove contro di essi, fatto riconosciuto dallo stesso Consiglio. Ovviamente nessun poliziotto è stato mai indagato per la fabbricazione dolosa delle prove a loro carico.
Tutta questa faccenda ha mostrato, in modo abbastanza chiaro, i limiti che in questa fase si pone il potere in Grecia. Il raggiungimento momentaneo di un “tetto” di repressione oltre il quale non si poteva andare per eccessivo “costo politico”. Almeno per il momento…

* 5 dei 7 arrestati hanno intrapreso uno sciopero della fame che si è protratto dai 50 ai 67 giorni. Gli altri 2, essendo rinchiusi in un carcere minorile, hanno fatto uno sciopero in solidarietà per 10 giorni.

 

Alexandros Giotopoulos 21 ergastoli più 25 anni
Dimitris Koufondinas 13 ergastoli più 25 anni
Xristodoulos Xiros 10 ergastoli più 25 anni
Savas Xiros 6 ergastoli più 25 anni
Vasilis Tzorjatos 4 ergastoli più 25 anni
Iraklis Kostaris 1 ergastolo più 25 anni
Kostas Karatsolis 25 anni
Vasilis Xiros 25 anni
Dimitris Georgiadis 9 anni
Thomas Serifis 17 anni
Pavlos Serifis 8 anni
Nikos Papanastasiou 8 anni
Kostas Telios* 25 anni
Patroklos Tselendis* 25 anni
Sotiris Kondilis* 25 anni

* imputati che hanno collaborato attivamente con la Giustizia, altrimenti detti infami.



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