SENZA CENSURA N.14

GIUGNO 2004

 

Dalla teoria alla prassi

Sul possibile sviluppo della risposta di classe agli attacchi repressivi.

 

Quanto segue è il tentativo di tracciare un filo conduttore di comprensione, elaborazione e conseguente concretizzazione della risposta necessaria al susseguirsi, tutt’altro che lineare, degli attacchi repressivi e controrivoluzionari nei confronti dei militanti delle diverse aree politiche e di molteplici settori di classe; in particolar modo, il contributo al dibattito da parte di SC è, ed ha sempre cercato di essere , proteso alla ricerca dei nodi centrali da sviluppare internamente al rapporto direttamente proporzionale fra teoria e prassi. Cercando quindi i possibili input di superamento della effettiva stagnazione avutasi negli ultimi tre anni di fronte ad una quotidianità fatta di arresti, perquisizioni, denunce,ecc. Una stagnazione altalenante fra le posizioni garantiste di chi ancora non interpreta gli strumenti repressivi come armi in mano alla classe dominante, che con la violenza (più o meno evidente che sia) impone la propria dittatura; fra le posizioni di chi vede la repressione come atto discontinuo e casuale che, colpendo duramente solo che probabilmente sotto il volto di compagno è realmente un “terrorista”, va opportunisticamente schivata facendole il miglior servizio, ossia isolando e desolidarizzando; e, infine, le posizioni di coloro che hanno provato e provano ad intavolare discussioni propositive sulla questione, e che nonostante nel discutere ad esempio sui reati associativi si vedono paradossalmente indagare per 270 C.P. e seguenti, continuano con coerenza il proprio impegno sinceramente rivoluzionario.

Una mappatura “ragionata”
Ripercorrendo i fatti degli ultimi tre anni a partire dall’inchiesta su Iniziativa Comunista, balzano all’attenzione alcuni dati importanti.
Si è infatti via via evidenziato come prevalentemente la logica preventiva sottenda ai meccanismi di esecutivizzazione e burocratizzazione della repressione : sempre valido il vecchio “divide et impera” (concetto che nella storia ha sempre trovato acque in cui sguazzare), ma sempre più forte la tendenza alla prevenzione; la borghesia, fautrice dell’oscurantismo in seno al proletariato ma molto attenta alla propria memoria storica, si dota degli strumenti più raffinati (siano essi legislativi o tecnologici per tagliare le gambe a quel movimento di classe e rivoluzionario che pur con tutte le proprie contraddizioni ha necessariamente ripreso corpo a istanza di anni, controllandone tutte le espressioni dalla radice all’apice.
Spesso infatti si ricorre allo spauracchio dei bui “anni di piombo” per giustificare la mappatura-schedatura che viene fatta delle componenti e delle soggettività di classe, nessuno escluso.
Le numerosissime inchieste più o meno formalizzate degli ultimi tre anni ne sono l’esempio, colpendo le realtà di lotta più disparate, e fornendo le ipotesi più varie, arrivando addirittura a concepire improbabili fronti inarco-stalinisti.

Guerra psicologica e gabbione associativo
Ma l’aspetto preventivo è chiaro anche nelle pratiche di guerra psicologica attuate in primo luogo attraverso il crescente controllo sociale, sia esso compreso o meno dalle masse. Si va dal “banale” aumento degli sbirri di quartiere (da Maggio ne sono stati aggiunti 700, nel 2006 arriveranno a 5900), all’intensificazione delle zone video- sorvegliate, alla vita scandita dalle carte magnetiche, ai mass- media agitano lo spauracchio del terrorismo (in particolar modo riguardo alle organizzazioni combattenti e alle inchieste sugli islamici).
Così come sono sempre state e continuano ad essere le cariche nelle piazze e contro gli operai nel loro significato oltre che repressivo in senso stretto anche di deterrente.
Nei confronti dei militanti registriamo poi il sempre più frequente ritrovamento di microfoni e antenne satellitari nelle proprie auto, così come i fruscii di sottofondo al cellulare, i pedinamenti, i “normali controlli” da parte della Digos. Tutte pressioni tese a demoralizzare ed intimorire.
Ma ritornando alle inchieste, accanto ai metodi “avanguardistici” delle Procure di Bologna e Milano (l’indagato perché a conoscenza dei fatti può essere interrogato nel momento stesso in cui viene perquisito non potendosi avvalere della facoltà di non rispondere), lo strumento principe di cui si sta facendo un uso dispiegato è costituito dai reati associativi; a partire dal 270 C.P. di matrice fascista (punente l’associazione sovversiva), passando attraverso il 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo – approvato nel 1979 col Decreto Cossiga), arrivando al neonato 270 ter (ass. sovv. con finalità di terrorismo internazionale – ottobre 2001).
Il 270 rappresenta in particolar modo il calderone utilizzato in quasi tutte le inchieste a prescindere da eventuali altri articoli a cui viene affiancato; questo perché la controrivoluzione preventiva ha bisogno di avere uno strumento sufficientemente elastico per tenere l’ indagine aperta da 6 fino a 24 mesi , al di là di effettivi indizi sui fatti contestati ed aprendosi la possibilità di costruire disegni finalizzati a scoraggiare l’attività di determinate aree politiche o soggettività. Esempio emblematico di applicazione del 270 sono le perquisizioni avvenute il 30 aprile scorso a carico di 14 compagni del centro sociale S.A.R.S. di Viareggio, dove nessuno dei reati contestati pare “giustificarlo”, e per cui lo strumento elastico è evidentemente il mezzo per cercare di fare terra bruciata intorno a una realtà di lotta giovanile.
Il 270 bis, con l’aggravante della finalità di terrorismo, persegue lo stesso scopo ma con la differenza di voler creare attorno a chi ne viene indagato un alone di sospetta appartenenza o sostegno alle organizzazioni combattenti. L’immediata conseguenza, in alcuni casi verificatisi negli ultimi due anni, è l’ isolamento dei sospetti da parte di certe aree di movimento. La controrivoluzione ringrazia.
Infine il 270 ter, la cui prima esemplare applicazione si è avuta il 1° aprile scorso con l’arresto di 41 compagni in Italia, Olanda, Belgio, Germania, Grecia e Turchia, accusati di appoggiare il DHKP-C, organizzazione inserita nella lista nera europea “antiterrorismo”.
Lo scopo di colpire chi pratica la solidarietà internazionale è più che evidente, osservando anche che i materiali sequestrati più interessanti sono (come poi in quasi tutte le perquisizioni per reati associativi) documenti, volantini, numeri di telefono. E osservando inoltre che si mette in discussione la solidarietà espressa alla resistenza irachena e ai prigionieri turchi in sciopero della fame fino alla morte contro l’isolamento carcerario.
Reati associativi in Italia e liste nere camminano infattisu binari paralleli nel tentativo da parte della borghesia imperialista di soffocare la lotta di classe sul fronte interno come su quello esterno, intimorendone o arrestandone i promotori e chiudendone i canali i comunicazione e controinformazione (si veda quanto sta accadendo ai compagni baschi e a molti altri).
La crescente restrizione dei margini di lotta impone a tutti di concretizzare quel dibattito teorico che già da tempo alcune aree di compagni affrontano.
Questo significa contrastare il progetto controrivoluzionario, unendo ciò che tentano di dividere. Ma questo è realizzabile soltanto attraverso un serio e continuo lavoro di propaganda all’esterno, e con il superamento dello stallo in seno ai militanti. Trovare quindi quel denominatore comune che dall’analisi concreta della situazione concreta porti allo sviluppo pratico di un ragionamento teso a rafforzare la lotta di classe proprio laddove fino ad oggi è stata carente.



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