SENZA CENSURA N.15

NOVEMBRE 2004

 

Immigrazione: fronte di guerra

L’evoluzione delle strategie imperialiste contro l’immigrazione nell’era della “guerra al terrorismo”

 

Nell’affrontare le connessioni tra fronte interno e fronte esterno, anche alla luce degli attuali sviluppi in materia, non è possibile non approfondire quanto ad oggi sta avvenendo nei confronti della immigrazione.
Se non bastavano le liste nere e le modifiche al Diritto di Asilo in chiave sempre più restrittiva, i rastrellamenti e le “espulsioni extragiudiziali” dei soggetti immigrati “indesiderati”, il dibattito sull’immigrazione nella sua dimensione europea, come già affermato nel numero precedente di Senza Censura, tende sempre più a collocarsi all’interno della strategia attuale di “guerra al terrorismo” o meglio nella gestione delle contraddizioni derivanti da questa.
Non è quindi da ritenersi casuale, al di là dei campi di intervento specifici dei ministri coinvolti negli incontri che precedono il vertice dei Consiglio Europeo del 5 Novembre, dove verrà definito il percorso da seguire, che il problema immigrazione si affronti parallelamente al problema “terrorismo”.
“Bisogna prosciugare la zona grigia, l’area di simpatizzanti che da terreno di coltura al terrorismo. La politica europea delle espulsioni deve servire a questo ....... L’espulsione per ragioni di sicurezza nazionale è l’unico strumento che fa convivere la necessità della repressione con il rispetto delle garanzie, perché consente di colpire l’area di contiguità...”
Queste sono le parole del PM Stefano Dambruoso, noto magistrato che ha al suo attivo le più grandi inchieste “bufale” che hanno portato all’arresto di numerosi immigrati e che su queste ha costruito il suo futuro di consulente all’Onu per le politiche antiterrorismo, senza contare le inchieste verso compagni/e e non ultimi verso alcuni componenti della nostra redazione.
Sarà quindi soddisfatto, almeno in parte, dagli esiti del G5 tenutosi a Firenze il 17 e 18 Ottobre. La decisione assunta dai 5 Ministri degli Interni di definire su scala europea una procedura comune per uniformare la legislazioni nazionali in tema di espulsioni amministrative di sospettati di appartenere a “organizzazioni terroristiche”, va certamente nella direzione prospettata.
All’interno di tale vertice, come riportato dalla totalità degli organi di informazione, sono state definite le linee sulle quali verrà ridefinita, o meglio affinata, la strategia repressiva nei confronti di immigrazione e “terrorismo”.
Seguendo la linea della definizione di una struttura repressiva a livello europeo, è stato dato il via libera alla creazione di un Comitato per la Sicurezza Interna che assumerà un ruolo centrale per la definizione delle strategie da attuare in chiave comunitaria, la condivisione e l’archiviazione delle informazioni a cui potranno accedere le singole strutture nazionali, con Europol come cervello operativo.
Se già in precedenza era stato reso operativo lo scambio di informazione tra Ue e Usa per quanto riguarda i dati relativi ai passeggeri aerei (PNR - Passenger Name Records), un ulteriore passaggio viene effettuato con l’inserimento dei dati biometrici nei passaporti.
Facendo riferimento agli attuali standard Usa, il Coordinatore Europeo Antiterrorismo Gijs De Vries ha affermato che i dati contenuti nei passaporti possono essere letti da oltre 20 metri senza che ci sia bisogno di presentare il documento in questione.
L’esigenza di inserimento dei dati biometrici all’interno dei documenti era già stato ampiamente spinto dal Commissario Europeo per la JHA (Justice and Home Affairs) Vittorino, per il quale sarebbe importante estendere tale decisione anche ai paesi nuovi entrati e ai futuri, invitando anche gli Usa a garantire lo stesso trattamento di libera circolazione a questi.
Sempre in tema dei nuovi sistemi di identificazione in un documento della Commissione Europea si afferma che, in funzione di un pieno utilizzo di tali sistemi di identificazione, dovrà essere reso pienamente operativo e utilizzato il Visa Information System (VIS - Sistema Informativo dei Visti) e il nuovo Schengen Information System (SISII).
Sempre nello stesso documento vengono affrontate le linee base sulle quali dovrà essere definita la strategia europea in tema di immigrazione e sicurezza dei confini.
L’allargamento pone sicuramente, alla borghesia europea, ulteriori problemi per la gestione dei confini e la loro sicurezza. Verrà istituito su questa base un nuovo sistema di informazioni (SISII) nel quale saranno pienamente integrati i nuovi paesi. Nel breve e medio termine dovranno essere “abolite” le frontiere interne tra questi e la Ue, ma come previsto dai trattati di adesione dovrà essere individuata una strategia comune per la gestione dei confini esterni. In questo senso deve essere assicurata l’azione della External Border Agency e non viene scartata l’ipotesi di creare una European Border Corps che si occupi congiuntamente della sicurezza dei suddetti confini. Il documento continua affermando che il futuro risultato della gestione dei “flussi migratori” dipenderà dalla capacità di opporsi alla “immigrazione clandestina”. In tale senso il nuovo Trattato Costituzionale affronterà anche il tema del rimpatrio e delle riammissioni.
In chiave comunitaria il problema immigrazione, al di là della sua collocazione all’interno della “guerra al terrorismo”, è parte di quella che viene definita “European Neighbourd Policy” e nella sua evoluzione attuale della “European Neighbourhood and Partnership Instrument”.
Secondo alcuni documenti in merito, gli accordi bilaterali non sono visti omogeneamente tra i paesi europei come risoluzione o strumenti di riduzione dei flussi migratori. Secondo alcuni rapporti ufficiali non si è verificato quello spostamento prospettato della soluzione “clandestina” della volontà migratoria verso una dimensione legale, facendo ricorso alle vie legali gestite dagli uffici di rappresentanza degli Stati. Giudizio opposto nei confronti degli accordi stipulati con paesi terzi non direttamente appartenenti alla UE. Con questi paesi sono state fondamentali le operazioni di cooperazione poliziesca anche senza accordi per la “riammissione” degli elementi individuati, stipulati successivamente. I diversi “incentivi” verso i “collaboratori” sono rappresentati da supporto tecnico, cooperazione poliziesca, addestramento della polizia di frontiera, fornitura, ben più interessante, di materiale militare necessario per impedire i flussi illegali. Non con tutti i paesi terzi sono stati stipulati accordi per il rimpatrio, anche se l’ulteriore sviluppo nella dimensione euromediterranea della legislazione sulla immigrazione ha già dato i suoi frutti. Un ulteriore sviluppo verso un esito positivo potrebbe essere facilitato utilizzando incentivi, di tipo economico e finanziario, attraverso i progetti di finanziamento comunitari per i paesi terzi (Tacis, Meda, Eneas).
Alla metà di questo anno si è tenuta la riunione annuale del C4 (vedi scheda illustrativa) avente come tema le Conseguenze della Guerra in Iraq nel Mediterraneo, in particolare in relazione ai rischi dei flussi migratori da Sud verso Nord. La condizione con cui dovranno fare i conti è rappresentata dal fatto che “... L’Europa per anni vive la tensione politica causata da masse crescenti di persone che bussano alle sue porte o penetrano illegalmente sul suo suolo. La risposta europea è caratterizzata dal trattare l’immigrazione talvolta come un fardello ineludibile, più frequentemente come un problema di sicurezza interna e internazionale” e che “.. quale forma di attività criminale, inoltre, l’immigrazione clandestina non è più prerogativa nazionale, ma implica il coinvolgimento e cooperazione in ambito internazionale al fine di analizzare la natura complessa e poliedrica dei flussi clandestini, individuando misure idonee a prevenirli e contrastarli”. Lo studio non dimentica di sottolineare che “l’utilizzo di manodopera clandestina serve a sostenere imprese e sistemi economici, talvolta parzialmente affidabili e competitivi, grazie a costi ridotti se non irrisori. In alcuni paesi, ad esempio, i clandestini vengono utilizzati quali manodopera a basso costo nel settore agricolo, in quello di sostegno sociale-familiare e nello sfruttamento della prostituzione. L’immigrazione clandestina può quindi essere considerata, a ragione, la riserva ideale di manodopera estremamente flessibile e a minimo costo”.
Alla luce di tutto questo non è da sottovalutare, al di là della necessità di interrompere lo sviluppo delle contraddizioni nel Mediterraneo che generano una immagine sempre più negativa dell’Europa e dell’Occidente agli occhi dei popoli che maggiormente vengono investiti dalla necessità ad emigrare, la creazione dei “Campi di Detenzione” direttamente nei paesi di transito.
Al di là delle differenze che si sono manifestate al Vertice G5 a Firenze, come già visto precedentemente riguardo la riforma del Diritto d’Asilo (Senza Censura n. 14), è pensiero comune che “il richiedente” dovrà presentare la propria richiesta, subordinando la possibilità di entrata nel paese al fatto che questa venga accettata. E’ quindi presumibile che in modo o in un altro queste strutture verranno costruite.
Da quanto emerge dai documenti relativi alla discussione avvenuta all’interno del G5 in realtà si tende a voler spostare il “carico politico e di immagine” dei campi di detenzione ai paesi di passaggio, in quanto dovrebbe essere principalmente loro interesse impedire di funzionare come luoghi di partenza, e morte, per l’immigrazione verso la Ue.
Secondo alcuni osservatori critici il problema della creazione dei campi nei paesi africani si lega con la politica dei “Safe State”, su cui si sono divisi i paesi Ue. Divisioni non tanto sulla sostanza quanto sulla volontà di mantenere la propria autonomia nazionale in tema di gestione del “fenomeno immigrazione”, o forse sarebbe meglio dire, in tema di gestione delle contraddizioni politiche nazionali, e quindi consenso, che potrebbero determinarsi a causa delle scelte politiche comunitarie in materia.
La definizione “Safe country of origin” tende a classificare alcuni paesi tra quelli di provenienza del richiedente per i quali la richiesta di asilo viene ritenuta “infondata”. La base sulla quale viene presa questa decisione presuppone il fatto che in tali paesi è considerato “salvaguardato” il godimento dei diritti civili e l’esercizio della libertà ideologica. Concetti molto flebili in una fase di guerra globale al “terrorismo”.
E’ invece chiaro il rovescio della medaglia rappresentato dall’immediato rimpatrio o allontanamento dai confini Ue del richiedente appartenente ad uno di questi paesi. E’ proprio questo aspetto che potrà rappresentare il trampolino di lancio per la creazione di campi in cui far affluire coloro che vengono rimpatriati. Non molto diverso da quanto abbiamo visto in queste settimane rispetto ai campi di detenzione già presenti in Libia.
Ma sarebbe riduttivo non affrontare tale aspetto all’interno dell’attuale contesto di scontro tra Bi/Pm e gli ulteriori sviluppi del processo controrivoluzionario. In particolare non considerando quanto tutto ciò risponda in pieno al concetto “che i terroristi non avranno un luogo dove nascondersi”.
La campagna internazionale di guerra ha garantito ampio spazio di autonomia nella repressione interna nei singoli paesi, ha legittimato l’inasprirsi della legislazione in tema, ha fatto sì che siano garantiti ampi spazi di attività “extragiudiziali” e territoriali della repressione delle esperienze e dei soggetti rivoluzionari, e non ultimo nei confronti di immigrati e sospetti “terroristi islamici”.
Una strategia che si basa su una profonda “ristrutturazione ideologica” su scala planetaria. Una trasformazione che già aveva trovato una sua prima applicazione pratica nella definizione della lista nera europea. All’interno di questo concetto si tende ad annullare completamente il concetto di “legittima resistenza” e nel quadro borghese “le prerogative giuridiche dei singoli paesi” se al di fuori di quelli che sono gli interessi della BI. L’immigrato, in quanto proveniente da zone dove è ancor maggiore l’oppressione della BI, diretta o indiretta tramite i suoi servi locali, è ovviamente portatore del suo vissuto, dello scontro stesso che si vive nel suo paese di provenienza, e con questo, talvolta, anche delle sue reti di relazioni sociali. E ‘ sufficiente questo, quello di cui si fa portatore, all’interno di un mondo proteso verso la loro pace, chi più chi meno, attraverso la guerra al terrorismo, per costituire un “pericolo” per la BI e un “problema” per l’opportunismo borghese.
La scelta si basa quindi su una domanda molto semplice: garantire quel poco di “garantista” che è rimasto al diritto internazionale borghese o far prevalere la necessità di garantire il mantenimento dell'attuale sistema politico sociale, impedendo qualsiasi focolaio di destabilizzazione non determinato volontariamente o di interesse particolare. Una domanda che non si pone sul piano rivoluzionario, ma è innegabile che assuma una importanza non secondaria all’interno della lotta alle strategie controrivoluzionarie.
Ma cosa determina tutto ciò? Che i paesi che collaborano al mantenimento del sistema politico sociale, assumono il diritto di rendere partecipi gli altri della loro lotta contro il loro nemico interno.
Che a sua volta legittima il fatto che coloro, immigrati, che rivendicano anche nel nuovo paese il diritto alla lotta, che sfuggono alla repressione, in questi paesi non godranno del diritto di veder riconosciuta la propria condizione, ma potranno invece vedersi incarcerati come “terroristi” o espulsi.
Ecco una bella versione del “Safe country of origin”.
Lo stesso trattamento non sarà riservato a coloro che “combattono contro i nemici del capitalismo e della democrazia”, accolti con tutti gli onori e finanziati per la loro “causa”. L’esempio cubano insegna in questo senso.

Come abbiamo visto il sostegno alle politiche di contrasto all’immigrazione ha il suo rovescio della medaglia in tema di benefici verso quei paesi, vedi quanto avvenuto negli ultimi tempi per la Libia, che contribuiranno allo sviluppo di queste.
Nel dibattito all’interno del C4 viene infatti preso in considerazione tale aspetto affermando che “..... una prima ricompensa potrebbe essere costituita dall’elevazione delle quote privilegiate riservate agli emigranti legali: l’ Italia è, di fatto paese promotore e precursore di tale iniziativa elevando, nel 2004, di 20.500 unità la propria quota privilegiata di emigranti legali (nel cui ambito è previsto un incremento pari a 3.000 tunisini e 2.500 marocchini).
In seconda battuta, vanno attentamente considerate iniziative mirate, quali: accordi specifici di cooperazione, addestramento congiunto della polizia dei paesi mediterranei, permessi per lavoratori stagionali etc”.
Gli esempi in tal senso non mancano. Il governo italiano ha firmato nel mese di agosto un accordo con il governo libico per quanto riguarda il controllo dell’immigrazione clandestina, peraltro accordi con la Libia erano già stati prospettati nei documenti dell’unione oltre che al suo definitivo “sdoganamento” in funzione del Processo di Barcellona (Partnership Euromediterranea). L’accordo prevede l’addestramento e la cooperazione poliziesca e non si esclude la fornitura di mezzi e equipaggiamenti.
Altri paesi europei hanno firmato accordi con il Marocco, sia per la riammissione che per la cooperazione nella gestione delle frontiere. La Ue ha istituito in tal senso un gruppo di lavoro all’interno della Partnership Euromediterranea con lo scopo di definire migliori strumenti di cooperazione poliziesca e di omogeneità giudiziaria, sistemi di identificazione elettronica.
Operazioni congiunte tra polizia italiana e tunisina sono già in atto per contrastare l’immigrazione
Da quanto già intrapreso nell’integrazione dell’area mediterranea, è chiaro quanto le politiche di repressione dell’immigrazione, gli accordi stipulati e il suo sviluppo attuale siano funzionali ad una sempre maggiore cooperazione poliziesca e militare sul piano generale.
Oltre ai progetti di finanziamenti già esistenti per l’integrazione euromediterranea, programmi specifici sono stati istituiti.
Il programma MEDA JHA II si pone l’obiettivo di mettere a disposizione le risorse per implementare la cooperazione per affrontare i problemi connessi all’immigrazione e alle organizzazioni “criminali”. Gli obiettivi che si pone sono infatti il controllo congiunto delle frontiere e controllo dei flussi, la lotta contro le organizzazioni “criminali e terroristiche” attraverso anche la possibilità di interrompere il flusso di finanziamento e riciclo di denaro, l’armonizzazione del sistema giuridico e la cooperazione giudiziaria contro le organizzazioni transnazionali.
Nelle prossime settimane saranno molti gli appuntamenti delle istituzioni europee che si porranno il problema di trovare una intesa comune nei confronti dell’immigrazione. Dal Summit del Consiglio Europeo ai primi di Novembre, ai vertici informali tra i ministri della Giustizia e degli Interni.
Poco ci sembra riesca invece ad essere colto da chi a queste politiche ha il compito di opporsi.
E’ necessario fare un passo in avanti, come più volte abbiamo affermato, nell’assunzione della necessità di comprendere l’esistenza di un proletariato con caratteristiche internazionali che deve trovare una sua identità, ricomposizione. Un processo che ha sì un suo sviluppo naturale all’interno delle contraddizioni stesse che si determinano, ma che necessita di trovare terreni reali di ricomposizione e unità di scontro che possano impedire o almeno limitare le spinte controrivoluzionarie interne ed esterne.
Pensiamo sia importante in questo momento valorizzare al massimo l’intervento di sostegno e la difesa di coloro, immigrati, che all’interno della guerra globale al terrorismo e ai processi che abbiamo precedentemente descritto, subiscono il peso della repressione. Così come sviluppare al massimo l’individuazione in quello strato di proletariato metropolitano costretto a “migrare” sulla base delle politiche di rapina imperialiste come referente privilegiato nella opposizione alla guerra. Sarà, probabilmente, la pratica attraverso la quale saremo in grado di misurarci sul campo che potrà far fare un altro piccolo passo in avanti a quella ricomposizione di un proletariato metropolitano, all’interno del quale gli immigrati rappresentano sicuramente una parte fondamentale.

 

Cosa è il C4


I Centri di studio responsabili dell’alta formazione militare di Spagna (Centro Superior de Estudios de la Defensa Nacional - CESEDEN), Francia (Centre des Hautes Etudes Militaires - CHEM), Portogallo (Instituto da Defesa Nacional - IDN) e Italia (Istituto Alti Studi per la Difesa - IASD) si riuniscono annualmente per discutere e approfondire tematiche riferite alla sicurezza e stabilità del Mediterraneo occidentale.
L’attuale assetto dei Colloqui Quadrilaterali – denominati C4 – è stato raggiunto nel 1997. Inizialmente, infatti, gli incontri coinvolgevano il CASD e il CHEM; dal 1990 fu poi allargata la partecipazione all’Istituto spagnolo e, per ultimo, a quello portoghese.

Da qualche anno sono invitati a partecipare, in veste di osservatori, rappresentanti dell’Algeria, del Marocco e della Tunisia.

 

Di seguito sono elencate le principali iniziative mediterranee, dal 1999 ad oggi, aventi quale tema d’indagine l’immigrazione clandestina:

- Consiglio Europeo a Tampere (ottobre 1999);
- Consiglio Europeo a Laeken (dicembre 2001);
- Consiglio Europeo a Siviglia (giugno 2002);
- Consiglio Europeo a Salonicco (giugno 2003);
- Riunione dei Ministri degli Interni del Med. Occ. a Malta (settembre 2003);
- Conferenza dei Ministri degli Esteri dell’EMP a Napoli (dicembre 2003);
- Summit “5+5” di Tunisi (dicembre 2003).


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