SENZA CENSURA N.16

FEBBRAIO 2005

 

Nato ed Europa

I grandi esportatori di democrazia nel Mediterraneo

 

La Nato esportatrice di democrazia. Questa affermazione ricorre frequentemente quando il dibattito ha per oggetto il mondo arabo e medio orientale, ed in particolare nel momento in cui alla borghesia imperialista Usa e Ue una legittimazione è necessaria per compiere i suoi processi di penetrazione ed appropriazione
Un processo di penetrazione che individua nella triplice Usa-Israele-Turchia, se dubbi attraversassero qualcuno, l’essenza stessa della strategia Usa in ambito Nato, indirizzata al controllo e alla leadership politico militare nei confronti dei paesi e delle risorse dell’area mediterranea e del cosiddetto medio oriente, paesi europei inclusi.
Nel mese di Novembre le forze armate israeliane e di alcuni paesi arabi hanno partecipato ad una serie di esercitazioni nel quadro del programma Dialogo Mediterraneo (MD) Nato, volto a rafforzare la cooperazione fra l’Alleanza Atlantica e i paesi che si affacciano sul “Mare Nostrum”. Per la prima volta Israele si trova ad essere militarmente alleato di sei nazioni arabe: Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Mauritania e Tunisia
Nel mese di Dicembre si sono svolte nel Mediterraneo esercitazioni congiunte, sia navali che aeree, tra Usa, Turchia ed Israele. Anche se inizialmente negato, i vertici Nato hanno dovuto ammettere che queste esercitazioni sono mirate a creare le condizioni per la nascita di un sistema di cooperazione ed intervento futuro in operazioni “search-and-rescue”. Queste rappresenteranno le prime esercitazioni navali e aeree che la Nato ed Israele svolgeranno nell’ambito dei possibili interventi antiterrorismo.
Un altro fattore di fondamentale importanza per gli interessi Usa è l’attuale politica egiziana nei confronti di Israele.
“Le relazioni tra Egitto e Israele sono entrate in una nuova era, grazie alla firma di un accordo di partenariato commerciale e industriale sotto l’egida degli Stati Uniti”, commentava il 14 dicembre scorso il Jerusalem Post. L’accordo, firmato al Cairo dal ministro egiziano dell’Industria e del Commercio Estero, Rashid Mohammed Rashid, dal suo omologo israeliano Ehud Olmert, e dal rappresentante americano per il Commercio, Robert Zoellick, stabilisce la creazione in Egitto di tre Zone Industriali Qualificate (Qualified Industrial Zones – Qiz) situate al Cairo, ad Alessandria e a Port Said. .. “In virtù di quest’accordo - prosegue il quotidiano - il primo del genere tra i due paesi, i prodotti fabbricati nelle Qiz potranno accedere al mercato americano senza tasse d’importazione o aggravi doganali di alcun genere, a condizione che almeno il 35% di tali prodotti sia di fabbricazione congiunta egitto-israeliana e che essi contengano almeno l’11,2% di materiali israeliani”.
A Washington l’accordo è considerato parte integrante del progetto per il Middle East Free Trade Area (MEFTA), che il presidente Bush vorrebbe operativo entro il 2013. “Se aiutiamo la gente a riconoscere i benefici di un lavoro di squadra e invitiamo le persone e considerarsi partners commerciali e non nemici giurati, questo costituirà un passo avanti (nel processo di pace)” ha dichiarato Zoellick durante la conferenza stampa che ha seguito la firma dell’accordo. (da GlobalReserch&Reportgroup).
Non è da sottovalutare inoltre il ruolo che potranno assumere tali accordi nella penetrazione nell'Africa sub-sahariana da parte degli Usa attraverso l’Egitto stesso. Questo paese infatti sta operando fortemente nel raggiungere accordi in ambito COMESA.
Un processo di espansione davanti al quale l’Europa non può fare da spettatore visto che da tempo ha investito sia in termini politici, sia economici, sia in ambito Nato, sia in ambito Euromed (Processo di Barcellona).
Per la Ue, oltre che rafforzare i processi di integrazione Euromed, si pone il problema di dovere fare i conti con i nuovi assetti dovuti all’allargamento verso est (CEEC– Central and Eastern European Countries), ed in particolare agli stati Baltici (Lituania, Lettonia e Estonia), i paesi di Visegrad (Ungheria, Polonia, la repubblica Ceca e Slovacca) e i membri del Sud Est Europa (per ora solo la Slovenia, ma in seguito anche Bulgaria, Romania e presumibilmente la Croazia). Secondo uno studio Euromesco, il rischio che si può presentare è quello di vedere dirottati verso i paesi CEEC (Central and Eastern European Countries) una parte dei finanziamenti relativi alla cooperazione per la sicurezza dei confini e della gestione dei flussi di immigrazione, precedentemente preventivati per il Mediterraneo.
Dal Vertice dei Ministri degli esteri Euromed di Hauge, svoltosi alla fine di Novembre, è emersa la volontà comune di rafforzare il processo di integrazione ed in particolare, secondo quanto riportato nella documentazione ufficiale, per quanto riguarda l’attuazione di riforme politiche, economiche e sociali da parte dei paesi dell’area mediterranea, riaffermando la centralità del processo di Barcellona all’interno della più complessiva European Neighbourhood Policy (la politica europea nei confronti dei paesi confinanti).
Il documento finale non può esimersi dal far notare che durante il 2004 sono state numerose le iniziative per quanto riguarda la necessità di riforme, dalla Dichiarazione di Tunisi della Lega Araba al G8 di Sea Island, tutte sotto l'egida americana.
Il vertice è stata l’occasione per fare il punto sui progressi rispetto a quanto deciso negli incontri precedenti. Nel mese di ottobre è stato firmato definitivamente l’Accordo di Cooperazione con la Siria, dopo che nel mese di giugno erano stati ratificati quelli con Libano e Algeria. Ulteriori implementazioni a tali accordi sono state avviate per quanto riguarda la Giordania, Marocco e lo stesso Libano.
Alla fine di ottobre è stato approvato il MEDA Neighbourhood Programme for the Mediterranean, e nell’ambito della sicurezza dei confini ulteriori consultazioni dovrebbero essere intraprese con Egitto e Libano. Dovrebbero trovare sviluppi pratici quelle già intraprese con Marocco, Giordania, Tunisia ed Israele.
Dopo Israele, nel mese di Dicembre il Marocco ha firmato un accordo per l’utilizzo del sistema di navigazione europeo Galileo. Questo consentirà l’allargamento della sua sfera di utilizzo in tutto il Mediterraneo occidentale e Nord Africa.
La Ue ed alcuni paesi in particolare Marocco, Algeria e Tunisia hanno intrapreso un dialogo e cooperazione sulle questioni dell’antiterrorismo, con l’obiettivo di espandere anche agli altri la visione di un approccio comune al problema, al fine di sviluppare attività concrete in tema di lotta al finanziamento delle organizzazioni e di intervento sui fattori che agevolano il reclutamento di militanti. L’Egitto si è reso disponibile ad ospitare una Conferenza Mediterranea sulla Sicurezza per affrontare le questioni pratiche e definire una maggiore attività coordinata, arrivando a stabilire un Codice di Condotta della lotta al “terrorismo” per la cui definizione ha dato disponibilità la Tunisia. Sicuramente una garanzia dopo i recenti sviluppi sulle inchieste per i rapimenti di militanti islamici, o presunti tali, dai servizi americani trasferiti per essere “interrogati” proprio in questi paesi.

Ulteriori passi avanti sono stati effettuati per quanto riguarda la Partnership Building Measures sotto direzione dell’Italia e della Giordania, che ha come fine quello di sviluppare una cooperazione in tema di “Civil Protection and Disaster Management”. Alla luce delle trasformazioni su scala europea in tema di intervento “civile”, sempre più complementare alla sfera militare, è chiaro l’obiettivo che si prospetta: un progetto euromediterraneo di Difesa Civile.
Sempre inerente all’intervento europeo nel mediterraneo si registra un aumento sostanziale della presenza della borghesia tedesca attraverso l’“Iniziativa per Nord-Africa e il Medio Oriente dell’economia tedesca” (NMI).
“L’economia della Repubblica Federale Tedesca è basata sulle esportazioni ed è bisognosa di mercati di vendita sicuri e in grado di assorbire i suoi prodotti, mentre i paesi arabi possono approfittare dei loro vasti giacimenti di materie prime e utilizzare i profitti realizzati per il finanziamento di merci tedesche,” dice uno studio dell’associazione tedesca per la politica estera. “Gli stati del Magreb sono da lungo tempo l’obiettivo di una offensiva tedesca riguardo gli scambi con l’estero che deve aumentare l’influenza nazionale nella regione intera , vale a dire il Vicino Medio Oriente e il Nord-Africa. Il 1 Giugno è entrato in vigore un accordo bilaterale sulla promozione e la tutela degli investimenti tra la Germania e l’Algeria. Un accordo che permette al governo tedesco di veder garantiti i propri investimenti in Algeria. Già nel 1997 fu fondato il foro economico libico-tedesco.
Questa offensiva tedesca avviene comunque all’interno delle sfere d’influenza tradizionali delle nazioni mediterranei Francia, Italia e Spagna e la ex-potenza coloniale Gran Bretagna. Questa iniziativa tedesca cerca quindi di riunire tutte le capacità economiche per rendere accessibile questi “nuovi mercati di vendita” nel Middle Est e nel Magreb, che finora sono stati trascurati. Il grosso calibro della direzione del NMI, Daimler Crysler, Siemens, MAN, Deutsche Bank, Commerzbank ..., ci fa comprendere che la conquista del mediterraneo è di una importanza enorme per il capitale tedesco.
Tra i gestori del NMI si ritrova anche il Nah-und Mittelost-Verein (NuMOV) -l’associazione per il Vicino e Medio Oriente, che è stato fondato sotto il nome “Orient-Verein” nel 1934 a Berlino. Dopo una breve interruzione durante la Seconda Guerra Mondiale, questa associazione ha ripreso il suo “lavoro” sotto l’industriale amburghese Alfred C. Töpfer, ex-specialista del servizio segreto nazista per la suddivisione dei paesi vicini alla Germania in regioni etniche.”
(dal documento di convocazione delle iniziative contro “Conferenza per i finanziamenti nel Nord-Africa e il Medio Oriente” di Monaco)
La Germania si è impegnata a finanziare con 50 milioni di euro due centrali energetiche in Marocco. Nel mese di Novembre è stato stipulato un accordo con l’Egitto che ha dato vita all’Egyptian-German Business Council con l’obiettivo di agevolare gli investimenti e il trasferimento di tecnologia. Una crescita di interesse che viene confermata dalla Conferenza sugli Interessi della Germania nel Mediterraneo che si è tenuta nel mese di febbraio parallelamente alla conferenza Nato sulla Sicurezza di Monaco.
Sempre l’Egitto ha firmato nel mese di ottobre un accordo con la Francia per la ricerca, lo sviluppo e la fornitura in tema di armamenti.
In ambito Nato forte è l’interesse a sviluppare ulteriormente la propria presenza e cooperazione nell’area mediterranea e del cosiddetto medio oriente, spinta sicuramente dalla volontà Usa di imporre la propria visione strategica sintetizzata nella Middle East Partnership Initiative” (MEPI). Di fatto, come preventivato precedentemente agli esiti del vertice di Istambul del mese di Giugno, la Nato, al di là delle divergenze sul ruolo della missione Nato in Iraq, ha assunto all’interno della ‘Istanbul Cooperation Initiative’ (ICI) la strategia Usa della MEPI e quanto emerso dal vertice dei paesi G8 a Sea Island.
Tutto ciò si è tradotto nella definizione di tre iniziative “soft-power” per accrescere la presenza Nato nel Mediterraneo e Medio Oriente. La prima tende a voler rafforzare il Dialogo Mediterraneo (MD), formalmente trasformandolo in una vera e propria Partnership allo scopo, almeno ufficialmente, di garantire e sostenere le riforme delle forze armate e del loro comando, maggiore trasparenza nella realizzazione dei piani sulla sicurezza e la difesa, maggior controllo sul budget della difesa per sostenere le riforme richieste.
La seconda è rappresentata proprio dalla ‘Istanbul Cooperation Initiative’ (ICI) che per la prima volta rappresenta una iniziativa volta ad abbracciare i paesi del Golfo, quella oramai definita dai vertici Nato la ‘Broader Middle East region’. Inizialmente questo riguarderà sei paesi: Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi , tutti membri del Gulf Cooperation Council (GCC).
Uno dei problemi maggiori che si pone, per i vertici Nato, è la necessità che vengano operate al più presto riforme adeguate per portare i paesi interessati ad uno standard non inferiore a quello dei paesi appartenenti al Partner for Peace, in particolare per quanto riguarda le forze armate. L’obiettivo dichiarato è l’intento di creare “stabilità e sicurezza” attraverso un nuovo impegno, offrendo la propria esperienza e professionalità per la creazione di programmi “personalizzati” riguardo le riforme della difesa, del budget militare, per la realizzazione di un sistema adeguato di relazioni e cooperazione tra il settore civile e militare, per promuovere cooperazione militare. Sul piano militare il fine è quello di sviluppare maggiore interoperabilità e azione comune nella lotta al terrorismo attraverso l’accrescimento di abilità, da parte delle forze militari dei paesi partner, in grado di permettere di collaborare alle operazioni Nato, ad esempio per quanto riguarda distruzione di Armi di Distruzione di Massa e l’intervento nel caso di minacce o attacchi a paesi amici o ai loro interessi.
La terza riguarda l’addestramento delle Forze Irachene, già affrontato nell’articolo precedente.
Ma al di là dei propositi, molto dipenderà dalla capacità Nato di essere presente come soggetto attivo nelle attuali situazioni di crisi.
In un intervista del mese di Dicembre, il Ministro degli Esteri algerino ha affermato che un ulteriore passaggio nelle relazioni tra Nato e Paesi partecipanti al Dialogo Mediterraneo (MD), potrà avvenire solo se il blocco occidentale parteciperà attivamente alla soluzione del conflitto sionista-palestinese e riuscirà ad intervenire per risolvere l’attuale situazione in Iraq.
I documenti ufficiali affrontano gli ostacoli di natura strutturale presenti in alcuni paesi Dialogo Mediterraneo (MD)/Istanbul Cooperation Initiative (ICI). Ne vengono individuati di tre tipi: il primo riguarda la stretta relazione che lega le strutture di comando militari a quelle decisionali politiche, con conseguente capacità di attingere a loro vantaggio dalle risorse disponibili rendendo incontrollabile l’effettivo utilizzo del budget per le riforme in generale; il secondo è la presa di coscienza di una sorta di incompatibilità tra l’Islam attuale e il liberismo, e la mancanza di una corrente politico e religiosa liberale/individualista.
Alcuni documenti riportano una realtà che vede una presenza minoritaria di settori liberali nella politica araba e lontani dalle preferenze popolari, prendendo atto, che in ogni modo, il liberismo non è una ideologia “populista”. I settori liberali sono tradizionalmente minoritari nell’area e rappresentanti di una élite distante dagli usi delle comunità locali, ed inoltre, quelli attuali, vengono definiti invecchiati e in diminuzione. Ma nello stesso tempo emerge la convinzione che esista attualmente un bacino di giovani liberali che, in molti settori, stanno cercando di sviluppare azioni volte ad attuare riforme in questo senso, e che non hanno obbligatoriamente deciso di agire all’opposizione, preferendo una presenza costante all’interno dei partiti politici e dei settori dominanti degli attuali regimi. Alla domanda di come la Nato e l’imperialismo occidentale possano intervenire a sostegno di questi settori vengono individuate due possibili risposte. Come prima azione quella di rendere chiaro agli interlocutori dei paesi coinvolti (governo e ONG) che le “donazioni” occidentali sono subordinate e indirizzate alla messa in opera di riforme, dando sostegno così alla spinta interna in senso liberale; parallelamente dovrà essere assicurato un contatto costante con gli attivisti liberali, dando loro sostegno politico e diplomatico, rinforzando le loro scelte strategiche locali. Secondo gli stessi documenti un ruolo importante potrebbe essere svolto da Yemen, Italia e Turchia con la creazione di un coordinamento istituzionale tra i donatori e le ONG occidentali da una parte, e gli attivisti “democratici” dei paesi coinvolti dall’altra.
Il terzo è l’esistenza di un apparente doppio standard rappresentato dalla considerazione non omogenea che porta a preferire, per alcuni paesi Nato, condizioni di stabilità senza “democrazia” a condizioni di instabilità, ma con “diritti democratici” salvaguardati.
Sulla base di queste valutazioni è ritenuto prematura la realizzazione di un Mediterranean Partnership Framework Agreement, che presupporrebbe un principio di non differenziazione, all’interno dell’Alleanza, dei livelli di partecipazione ed integrazione dei singoli paesi.
Dagli atti del Convengo organizzato a Roma nel mese di Ottobre dall’Istituto Affari Internazionali su “Transatlantic Perspectives on the Broader Middle East and North Africa (BMENA)”, emerge chiaramente la difficoltà che si prospetta nel rendere appetibile ai paesi interessati il processo di cooperazione con la Nato, dovendo tenere in considerazione che non potrà essere utilizzata la “politica della carota” come successo in passato per i paesi Partner for Peace, in quanto, in questo caso, è necessario un intervento che non venga considerato troppo intrusivo con il rischio di dare la sensazione di voler influenzare le dinamiche interne del paese .
Un’opera di propaganda mirata potrebbe risolvere, a medio termine, i problemi relativi al giudizio sulla Nato.

Secondo Sheffer la visione della Nato nel mondo arabo non corrisponde alle aspettative, richiedendo un maggiore sostegno pubblico da parte delle “democrazie arabe”, attraverso una azione di propaganda mirata a dare una visione nuova del suo ruolo fondamentale per la “sicurezza e la stabilità”.
Se a risolvere il problema precedente, o almeno ad attenuarlo, possono contribuire vari fattori, la possibilità di sostenere finanziariamente l’adeguamento agli standard, dipende direttamente dalle capacità e dalla volontà dei paesi dell’Alleanza.
Singoli Stati Nato possono aver stipulato accordi bilaterali di cooperazione militare, di cooperazione nella fornitura e ricerca sul piano degli armamenti, e potrebbero giudicare così indebolito il proprio ruolo una volta trasferito il loro “patrimonio” all’interno del quadro dell’alleanza.
La speranza dei paesi Nato è che gli stati arabi adottino velocemente un processo di riforma e di “democratizzazione”. Per fare ciò attribuiscono un ruolo fondamentale all’intervento della cosiddetta “società civile” con la creazione dell’iniziativa “Forum for Future”.
Nei giorni 10 e 11 dicembre si è svolto a Rabat il primo “Forum for Future”, evento voluto dal presidente degli Stati Uniti, George W. Bush al fine di “esportare la democrazia” negli Stati islamici attraverso l’attuazione delle riforme nei paesi della Middle East Partnership Initiative” (MEPI), utilizzando un metodo più simile a quello “morbido e condiviso” adottato dall’Europa. Un prossimo incontro del Forum si terrà nel maggio 2005 al Cairo, come annunciato dall’alto rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune (PESC), Javier Solana.
All’iniziativa organizzata dal Cairo Institute for Human Rights Studies in cooperazione con il Moroccan Organization for Human Rights, the International Federation for Human Rights e il Euro-Mediterranean Human Rights Network hanno partecipato circa 60 ONG provenienti da 15 stati Arabi, e 4 ONG provenienti dall’Asia e l’Europa. L’incontro è stato preceduto da un summit preparatorio svoltosi nel mese di settembre a New York. Lo scopo è il famoso coinvolgimento della cosiddetta “società civile”.
Come in parte già descritto, il Forum si propone di rappresentare l’istituzione centrale per far avanzare i processi di riforma richiesti sia dall’interno, sia dall’esterno dei singoli paesi Dialogo Mediterraneo (MD)/Istanbul Cooperation Initiative (ICI) e dovrebbe rispondere a quel tentativo, mai riuscito, di poter indirizzare i paesi arabi verso la direzione voluta. Il Forum è costruito in modo da consentire incontri periodici tra ministri di paesi MD/ICI e parallelamente da industriali e dalla “società civile”, per discutere sugli argomenti oggetto delle riforme e monitorare i progressi dei processi di “democratizzazione” delle istituzioni. Il sistema adottato, garantire un canale di confronto sul tema dei diritti umani e sulle libertà politiche, offre come controparte il riconoscimento della sovranità territoriale e garantisce la non intrusione nella sfera politica del paese. Alcuni aspetti saranno da chiarire in particolare per la poca propensione, da parte di alcuni paesi, nel vedere eventualmente sottomessi a questi vincoli gli eventuali benefici politici della partecipazione al processo di cooperazione ed integrazione.
“Quanto al cittadino arabo, tenuto rigorosamente all’oscuro di questi dibattiti, è nelle strade che ha cercato di esprimere le sue riserve riguardo l’allestimento di questo Forum nella capitale marocchina”, sottolinea Al Quds al Arabi. Manifestazioni erano state organizzate per protestare contro il ruolo preponderante degli Stati Uniti nell’organizzazione del Forum, ma le forze dell’ordine ne hanno impedito lo svolgimento.
Da notare che dietro le manifestazioni di opposizione si ritrovano gruppi dalle matrici differenti: Associazione Marocchina per i Diritti dell’Uomo (AMDH), Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (islamista, terza forza parlamentare del reame) e la molto influente associazione islamica Al Adl Wal Ihsane (associazione giustizia e carità). Nell’insieme, le diverse bandiere e gli slogan denunciavano l’organizzazione a Rabat del Forum, poiché vedevano in esso “una vergogna e un’umiliazione del popolo marocchino” ed esprimevano la solidarietà dei manifestanti con “i fratelli della Palestina e dell’Iraq”. Solidarietà che i dirigenti arabi non hanno mancato di sottolineare nei loro interventi, arrivando a collegare il processo di democratizzazione nei loro paesi alla soluzione del conflitto arabo-israeliano. (da GlobalReserch&Reportgroup).
Sul ruolo della Nato e del valore della iniziativa MD/ICI è tornato il senatore Usa Mc Cain, durante la Conferenza Nato sulla Sicurezza, affermando che, nel momento in cui la sicurezza di Madrid o New York dipendono da Ryad o Bagdad o il Cairo e dalle condizioni politiche che si determinano in questi luoghi, la Nato ha il dovere di intervenire per affrontare i necessari cambiamenti politico-sociali, per eliminare, o ridurre fortemente i rischi. Alcuni paesi, come Marocco, Bahrein e Giordania, hanno avuto la capacità di intraprendere riforme coraggiose, a differenza di paesi tradizionalmente ben disposti verso le politiche Nato e Usa, come l’Egitto e l’Arabia Saudita, che, nonostante dispongano delle capacità per assumere la guida dei paesi dell’area verso una “nuova era”, agitano lo spauracchio del coas sociale per una eccessiva intrusione esterna, quando è necessario mettere in pratica le riforme richieste.
Così non la pensa solo il senatore Usa. La stessa opinione, ma da un punto di vista diametralmente opposto, la troviamo nelle pagine di alcuni articoli della stampa araba.
“Questi paesi vanno docilmente a partecipare alle riunioni organizzate dagli Americani per poi indignarsi contro l’ingerenza a stelle e strisce. Perché vanno allora? Se sono là, è solo per ottenere gli aiuti promessi in cambio delle riforme. Inoltre – prosegue Al Hayat – l’incontro di Rabat riconosce il diritto degli Stati Uniti a organizzare regolarmente delle riunioni che servono a ricordare a ciascuno il ruolo che gli è preposto, e a distribuire un codice di condotta. La parola chiave è “lotta al terrorismo”. I paesi che applicano le direttive americane in questo campo sono spesso perdonati della lentezza con cui percorrono il cammino verso la democrazia”.
Dal canto loro alcuni paesi del Magreb e del vicino Medio Oriente stanno contribuendo, maggiormente di altri, a questo processo di “integrazione”, sia in termini di riforme economiche, sia dal punto di vista militare. Un contributo che consente ai singoli governi di avere mano libera sul fronte interno nella repressione di quei settori di opposizione politico, sociale, religiosa , che, oltre rappresentare alternative politiche alla attuale sudditanza imperialista, sono alla base della crescita di una coscienza della subalterneità agli interessi imperialisti delle attuali dirigenze politiche locali.
Durante il Vertice di Ministri degli esteri Dialogo Mediterraneo (MD) di dicembre a Brussels, il ministro egiziano ha dimostrato una certa cautela nelle reazioni a fronte delle accelerazioni, dettate dagli Usa, dell’integrazione del paese nella Nato. Secondo quanto riportato dal ben informato settimanale egiziano AL-AHRAM Weekly, il governo continua a ritenersi preoccupato dall’impatto che tali passaggi possono avere nei confronti di altri paesi con cui l’Egitto mantiene stretti rapporti diplomatici. In particolare non può, in nessun modo, permettersi di vedere fallire quanto messo in campo per Palestina, Iraq e Sudan, dato il costo politico che l’attuale leadership egiziana dovrà assumersi.
Una affermazione, a nostro avviso e visti i recenti sviluppi nel rapporto stesso con Israele, più mirata ad un maggiore potere di contrattazione con l’amico americano che ad un rallentamento dell’attuale processo di integrazione e cooperazione. Secondo AL-AHRAM l’attuale strategia dell’Egitto è basata su un programma dettagliato inerente ai passaggi per la sua trasformazione da paese amico a paese partner Nato.
Appena due settimane prima del Vertice di Brussels, il governo algerino ha rinnovato la richiesta al SG Nato di poter partecipare attivamente alle operazioni di peacekeeping dell’alleanza,
Durante la visita in Giordania, il SG Sheffer ha affrontato i passaggi che si sono sviluppati in termini di cooperazione tra questo paese e la Nato. La Giordania è considerata tra gli attori principali del Dialogo Mediterraneo (MD) ed è ritenuta partner fondamentale anche per la sua capacità di aver intrapreso numerose iniziative di collaborazione con la Ue e l’OCSE. Secondo Sheffer, la Giordania ha saputo raggiungere quel livello che rende effettivamente possibile quella cooperazione ed integrazione militare che dovrà essere d’esempio a tutti gli altri paesi Dialogo Mediterraneo (MD)/Istanbul Cooperation Initiative (ICI).
L’evoluzione dell’alleanza potrà essere agevolata, continua il Segretario Generale, attraverso l’individuazione di specifici interventi per i singoli paesi, rafforzando gli attuali accordi di cooperazione bilaterale o multilaterali tra i paesi dell’area e la Nato, come la collaborazione nei settori della sicurezza, nell’adeguamento dei sistemi di comando militari e operativi. Questo supporto esterno potrebbe rappresentare un rafforzamento soft delle attuale politiche di integrazione.
Nel giungere al termine di questa breve, e forse non esaustiva, panoramica sul ruolo della Nato e dell’Europa nel Mediterraneo e nel vicino Medio Oriente, si nota la mancanza della presenza determinante dell’antagonista storico della borghesia imperialista e delle sue politiche di sfruttamento e usurpazione: quel proletariato metropolitano che stenta a trovare una propria identità e dimensione di intervento.
Si sente la mancanza di una analisi più approfondita delle contraddizioni che si sviluppano nell’area interessata all’avanzare delle politiche imperialiste e quali ricadute nel corpo proletario queste determinano, quali sono i soggetti antagonisti che si sviluppano, quali le loro caratteristiche e le loro tendenze, in prospettiva, anticapitaliste e antimperialiste.
Quel tentativo che sull’onda delle campagne di boicottaggio dell’economia sionista, del sostegno alla Intifada, e agli albori dell’attacco all’Iraq, aveva visto valorizzare l’azione delle organizzazioni sindacali del mondo arabo, il contatto e la collaborazione con settori proletari immigrati di vari paesi europei, sembra essere stata risucchiata all’interno di un meccanismo di riadeguamento generalizzato alle compatibilità borghesi del pensiero antagonista. Non marginale è il ruolo rivestito da quei luoghi e scadenze, come i vari forum o fori sociali, oramai completamente spogliati di qualsiasi spontaneità positiva che può averli attraversarti al loro inizio, nel collocare le rivendicazioni proletarie su un piano di negoziazione con un imperialismo sempre più vorace, a relegare le organizzazioni politiche e sociali a strumenti di consultazione per “tastare il polso” del livello delle contraddizioni ed intervenire in chiave controrivoluzionaria. L’oramai smascherata “società civile” completa il quadro con la sua identità interclassista di soggetto di cambiamento, tentando di imporre lentamente un virtuale superamento della realtà di una società divisa in classi con interessi antagonisti tra loro, e del suo sempre più indispensabile sovvertimento generale.

 

L’esercitazione Piramidi 2004 della Garibaldi
[da Pagine di Difesa, 27 ottobre 2004]


La brigata bersaglieri Garibaldi, con il proprio posto comando e con i reggimenti dipendenti (18° bersaglieri, 8° artiglieria, 21° genio, 131°carri, cavalleggeri Guide e il reparto comando e supporti tattici ha condotto con le Forze armate egiziane una esercitazione congiunta nel poligono di El Hammam denominata Piramidi 2004. Alla esercitazione hanno partecipato circa 1500 militari italiani, con oltre 600 mezzi, di cui 90 da combattimento e 2 elicotteri. Il contigente si è reso totalmente autonomo dal punto di vista logistico. Lo scenario utilizzato nello sviluppo della Piramidi 2004 prevedeva un ipotetico conflitto asimettrico ad alta intensità, combattuto in una zona desertica. L’attività è stata altamente significativa per la crescita della capacità di cooperazione tra l’esercito egiziano e quello italiano e ha evidenziato funzioni di comando, controllo e comunicazioni attraverso l’integrazone, nello staff di brigata, di ufficiali egiziani.
 
Basi Usa in Ex Jugoslavia

KOSOVO
Camp Able Sentry, Camp Bondsteel, Camp Monteith

BOSNIA
Camp Angela, Camp Alicia, Camp Bedrock, Camp Caisson, Camp Colt, Camp Comanche, Camp Connor , Camp Demi, Camp Diane , Camp Dobol, Camp Gentry, Camp Hampton, Camp Kime , Camp Linda, Camp Lisa , Camp McGovern, Camp Molly, Camp Morgan, Camp Sarafovo

BG
Camp Stevens, Camp Walker, Coyote Station, Eagle Base [Tuzla], Guardian Base, Hilltop 722, Hilltop 1326, Lukavac Base, Slavonski Brod, Taszar AB


Paesi Euromed: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Autorità Palestinese, Siria, Tunisia, Turchia

Paesi Mediterranean Dialogue (MD): Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Mauritania e Tunisia.

 
Da Arabic News- Dicembre 2004


Una manifestazione si è svolta a Rabat davanti al parlamento contro il Free Trade Agreement tra Marocco e Usa nellos corso Giugno. Tale accordo prevede l’abolizione delle barriere doganali per i prodotti dei due paesi. Le proteste sono avvenute nonostante la coscienza da parte dell’opposizione della grande campagna informativa che il governo marocchino ha messo in campo per difendere l’accordo raggiunto dopo 7 cicli di consultazioni bilaterali.
Nei giorni precedenti in Giordania numerose organizzazioni sindacali hanno protestato contro l’accordo firmato in dicembre tra Giordania ed Israele che aprirà inoltre ampi spazi per una entrata dei prodotti di questi apesi all’interno del mercato europeo.



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