SENZA CENSURA N.16

FEBBRAIO 2005

 

C’è bisogno di un meteorologo per sapere in che direzione soffia il vento?

 

Sono molti gli aspetti della guerra totale odierna che occorrerebbe scandagliare, ne segnaleremo alcuni su cui abbiamo ritenuto di dover lavorare.
La direzione della cooperazione civile-militare, per ciò che concerne le infrastrutture, è inserita nel quadro della frammentazione geo-politica forzata e la creazione di patrie-etniche funzionali all’occupante, un mix di “balcanizzazione” e “libanizzazione” che ricalca le linee di demarcazione fittizie della spartizione imperialista di un territorio, facendo apparire la finalità del processo di occupazione come lo stato naturale delle cose.
La creazione e l’addestramento da parte degli eserciti occupanti di forze dell’ordine e di eserciti autoctoni “sul campo” marcia in parallelo alla massiccia utilizzazione di mercenari fatti affluire da tutto il mondo. Quest’ultimo è un aspetto della simbiosi mortale tra la tendenza alla globalizzazione degli eserciti – che sfrutta le risorse di un war business internazionalizzato – e lo sfruttamento localizzato di risorse, entrambi co-agenti necessari agli eserciti occupanti veri e propri.
Infine, è importante notare come l’articolazione del controllo e dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, sia sul fronte interno sia in loco, rappresenti la fonte privilegiata di una rappresentazione mediatica omogenea ed una “informazione con l’elmetto”.
La serie di contributi elaborati per questo numero di SC si focalizzano su alcuni aspetti salienti dell’occupazione militare Italiana in Iraq: dai corpi che ingrossano le fila del contingente militare ai mezzi utilizzati, alla luce della sempre maggiore operatività interforze raggiunta dagli eserciti imperialisti e delle singole specializzazioni di alcuni contingenti nazionali.
Se da un lato viene implementato l’arsenale militare utilizzato per far fronte all’insorgenza irachena, dall’altro vengono affilate tutte le armi della guerra moderna che, almeno dal conflitto nei Balcani, hanno assunto un profilo rilevante nelle strategie di penetrazione e radicamento territoriale dell’imperialismo.
Alcuni aspetti saranno trattati in questo numero della rivista, mentre altri troveranno spazio sul prossimo numero insieme ad una panoramica della discussione delle alte sfere militari sulle strategie anti-insurrezionali più adatte per il quadro iracheno.

“Vi ricordate il vecchio detto ‘chiedi ciò che puoi fare per il tuo paese?’ Distruggerlo, mentalmente, moralmente, psicologicamente e fisicamente, distruggerlo”.
(Lettera aperta ai Weathermen in clandestinità dalle 21 Pantere di New York, 25/2/71)


Questa serie di contributi intendono offrire una maggiore comprensione circa la presenza militare Italiana in Iraq e la sua funzione nel quadro della propria riorganizzazione interna, facendo riferimento alle precedenti esperienze maturate dalle Forze Armate Italiane negli altri teatri operativi ed ai legami con lo sviluppo dell’apparato militare-industriale.
Questo sforzo vuole porsi nella direzione di una maggiore focalizzazione dei cambiamenti del braccio armato dell’imperialismo italiano nei teatri in cui si trova e si troverà ad operare, per definire più chiaramente la “via italiana al neo-colonialismo” e far emergere almeno in parte il war businness nostrano.
La sottovalutazione di questo aspetto, e in particolare le intime connessioni nell’operare sia sul ‘fronte esterno’ che su quello ‘interno’, porta ad una incapacità di lettura del profilo internazionale della borghesia imperialista italica, cioè della politica estera dell’Italia – dal punto di vista della tendenze strutturali e non delle variabili contingenti – ed ad una pericolosa impreparazione nella comprensione del livello di militarizzazione delle contraddizioni sociali, in particolar modo di quella riservata al conflitto di classe.
La sorpresa con cui è stata accolta la notizia riguardante la composizione dei militari italiani uccisi durante un’azione della resistenza a Nassirya nel novembre del 2003 è sintomatica di questo deficit.
Tra i soldati periti c’era uno dei fondatori dei Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri creato a fine anni Settanta su direttiva dell’allora Ministro dell’Interno Francesco Cossiga, gruppo concepito come punta di diamante operativa della contro-rivoluzione e che conobbe il proprio “battesimo del fuoco” nella feroce repressione nel dicembre del 1980 della rivolta nel carcere speciale di Trani.
C’erano inoltre alcuni membri della Seconda Brigata Mobile dei Carabinieri, che ora incorpora il GIS: il 1° Reggimento Paracadutisti Tuscania, creato nel 2001, un anno dopo l’elevazione dell’Arma a rango di Forza Armata e divenuta tristemente famosa per il suo impegno nelle cariche durante le manifestazioni contro il G8 a Genova.
Molti di questi, tra l’altro, erano “veterani” delle operazioni militari all’estero.
Lo stupore con cui viene accolta la militarizzazione dei flussi di immigrazione che passano per il mediterraneo è un risultato della incomprensione del ruolo primario che svolge la Marina Militare nel controllo del traffico del “Mare Nostrum”. Basti pensare che il cuore del sistema Mediterraneo di monitoraggio e sorveglianza del traffico marittimo e mercantile sorgerà presso il Quartier Generale della Marina di Roma “S. Rosa”.
Tra le priorità strategiche della MM c’è appunto quella della difesa marittima attiva, che consiste, per citare un esperto in materia, nella “sterilizzazione di basi e eventuali ‘santuari’ nemici, nell’interdizione delle aree di proprio interesse all’attività avversaria, e nella protezione diretta del proprio naviglio dagli attacchi”.

Le FAI hanno una tradizione di massacri coloniali e di attività anti-insurrezionali che non hanno niente da invidiare agli altri paesi imperialistici e che hanno contraddistinto la politica coloniale Italiana (1).
Chi abbia un minimo di familiarità con le imprese coloniali italiane conosce la realtà falsificante del mito del “bravo italiano”, le ragioni e l’entità dell’impunità di cui hanno goduto i più di mille criminali di guerra nostrani – la sola Repubblica Popolare di Jugoslavia reclamò l’estradizione dopo la seconda guerra mondiale di 750 criminali di guerra – gli ostacoli alla ricerca storica iniziata in Italia da qualche coraggioso studioso all’inizio degli anni Sessanta (Giorgio Rochat, Angelo Del Boca, Giacomo Scotti, per fare alcuni degli esempi più significativi), i passaggi della sua costante falsificazione che oggi ha raggiunto il suo apogeo proprio con l’istituzione il 10 febbraio della giornata nazionale dei “Martiri delle Foibe”, con relativa fiction televisiva e campagna mediatica al seguito.
Uso di gas sulla popolazione civile, bombardamenti sugli accampamenti della Croce Rossa Internazionale, demolizione di case di autoctoni sospettati di appoggiare la resistenza all’occupante, creazioni di campi di concentramento, esilio politico, veri e propri linciaggi per rappresaglia ai danni degli autoctoni, stupri etnici e omicidi mirati dell’intellighenzia della popolazioni colonizzate hanno caratterizzato la missione civilizzatrice dell’Italia in Libia, Etiopia, Istria, Dalmazia e Venezia Giulia, – popolazioni soggette ad esodi forzati e all’”italianizzazione” coatta – e l’elenco potrebbe continuare...
La rimozione di ciò sul piano storico è oggi funzionale alla copertura dei nuovi crimini perpetrati dal “nostro” esercito e permette di riprodurre quella zona grigia di consenso e di indifferenza necessaria alla perpetuazione di questa ed altre sporche guerre, mentre l’attuale silenzio sul reale operato dell’Esercito Italiano contribuisce alla legittimazione indiretta della politica guerrafondaia dei nostri governi: questo è un aspetto importante dell’attuale fascistizzazione.

Disintossicarsi dal senso di impotenza che ci iniettano, massicciamente, ogni giorno, i becchini del movimento contro la guerra, sempre più preoccupati del positivo completamento della loro “lunga marcia” verso le istituzioni e del consolidamento del proprio ruolo nella cogestione delle contraddizioni sociali a livello locale, significa, innanzi tutto, che l’ipotesi internazionalista può vivere anche nella metropoli imperialista.
La riproduzione dei rapporti sociali esistenti e l’azzeramento di un orizzonte di trasformazione radicale di questi stessi rapporti, passano anche attraverso il processo di desolidarizzazione nei confronti delle lotte degli sfruttati della periferia integrata, che sia la resistenza armata all’occupante o l’evasione da un CPT...
C’è da registrare in tal senso un interessante sviluppo di iniziative di propaganda, di approfondimento teorico e di mobilitazione circa lo sviluppo della presenza militare nei vari territori e le proiezioni Italiane nell’area del cosiddetto “Mediterraneo allargato”. Come pure c’é da registrare un certo interesse circa l’attività mercenaria – fino a poco tempo fa taciuta – negli scenari di guerra e, più in generale, sulla privatizzazione dei conflitti, un interesse sempre più orientato ad articolare una risposta al protagonismo bellico italiano e alla trasformazione in senso castrense della società in cui viviamo.
La costruzione delle condizioni soggettive che pongano le basi per fare i conti col nostro nemico interno, cioè per lo sviluppo di una sensibilità anti-imperialista e un suo sbocco politico retto da un saldo processo organizzativo, non può prescindere e non può svilupparsi senza l’apporto delle giovani generazioni protagoniste delle attuali lotte studentesche (anche se la definizione è piuttosto limitativa), degli immigrati provenienti da quei paesi che conoscono una costante pressione dell’imperialismo e che qui subiscono le delizie di una democratica società “concentrazionaria”, del precariato sociale che vede azzerata una qualsiasi prospettiva degna di questo nome.
La ri-definizione dell’orientamento teorico, dell’impulso organizzativo e dello sbocco pratico dell’azione per l’internazionalismo proletario è, in questa fase di forte accentuazione della tendenza alla guerra dell’imperialismo, uno dei nodi centrali per lo sviluppo di una ipotesi rivoluzionaria.
 

Note:


1 Recentemente è on line il sito www.criminidiguerra.it, con differenti percorsi di lettura dei crimini di guerra nostrani, schede e riproduzione di documenti storici ed una accurata bibliografia.



http://www.senzacensura.org/