SENZA CENSURA N.17

LUGLIO 2005

 

Rebel against America…

Imperialismi e lotte di classe nel Mediterraneo

 

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, nonostante l’ampio dibattito all’interno della Nato riguardo il rafforzamento della sua dimensione politica globale, non si ferma il processo di espansione. Un processo che come in passato coinvolge in prima persona quei paesi mediterranei con al loro interno un forte sentimento antiamericano e antimperialista in generale.
Un processo che avanza in nome di “riforme democratiche ed economiche” che, al di là dei proclami di libertà e giustizia, comporta un ulteriore spogliamento delle ricchezze dei paesi coinvolti attraverso la loro appropriazione da parte delle fazioni in campo della borghesia imperialista Usa ed Europea, siano queste rappresentate dai progetti di “Grande Medio Oriente”, l’”Unione Euromediterranea” o la “Istambul Cooperation Initiative” sotto l’egidia della Nato.
Uno studio del Nato Defence College affronta i possibili scenari che potrebbero andare a determinarsi nel Magreb nei prossimi decenni. E’ innegabile che la competizione tra Usa e Ue vedrà sicuramente momenti di alto livello in particolare per il sovrapporsi di aree di interesse sia per Europa sia per la Nato stessa, ma la maggiore preoccupazione è rivolta su quanto all’interno dei paesi del Magreb potrebbe svilupparsi.
Il problema in esame è quanto sia possibile, per la presenza storica di gruppi come l’islamismo politico radicale, gestire le riforme economiche, politiche e sociali direttamente conseguenti dai processi di integrazione, con il timore che possa rappresentare la guida della protesta derivante dalle conseguenze dei processi di liberalizzazione economica e l’entrata massiccia di capitali stranieri che vorranno vedere realizzati i propri interessi. Per la borghesia imperialista si concretizza il bisogno di individuare quali possibili strumenti potranno essere adottati per garantire il pieno controllo del processo di riforma e di ristrutturazione. Le ipotesi oscillano tra una dimensione della sicurezza del Magreb attraverso l’adeguamento delle strutture di cooperazione già esistenti come l’Arab Magreb Union (Algeria, Libia Mauritania, Marocco e Tunisia) o l’Africa Union (che raggruppa i paesi africani oltre a Marocco Algeria, Tunisia e Mauritania). La seconda, quella di una alleanza che vada dall’Africa al Magreb, sembra rappresentare il desiderio comune, ritenendo che lo sviluppo del Marocco possa servire da stimolo per una stabilizzazione, in senso imperialista, dell’area africana oltre che rappresentare un opportunità di maggiore considerazione del suo ruolo di ponte politico-economico-militare tra i paesi occidentali e quelli africani.
La borghesia imperialista nell’affrontare questa fase di penetrazione nel mondo arabo cerca di individuare con chiarezza quali aspetti rappresentano i possibili punti deboli, le contraddizioni che possono svilupparsi e quali i soggetti possono rappresentare la nuova classe politica a cui affidare il ruolo di garanti dei suoi interessi nell’area.
All’interno di una relazione del Center for Strategic and International Studies (CSIS) sono affrontati i problemi relativi all’attuale percezione delle politiche imperialiste da parte dei leader arabi di vari settori economici e politici, oltre il dato che a noi, come militanti rivoluzionari e internazionalisti, interessa maggiormente: la percezione delle popolazioni arabe verso la politica imperialista nell’area.
I leader arabi hanno chiaramente avvertito gli Usa che solo una azione visibile nei confronti della soluzione del conflitto arabo-palestinese può fare in modo che il progetto di riforme nell’area non sembri solamente fumo negli occhi per mettere in secondo piano l’inerzia nei confronti della politica sionista contro il popolo palestinese.
Nonostante nel mese di marzo l’intervento diretto a Gaza da parte dell’alleanza sia stato definito prematuro dalla stessa Rice, potrebbe essere credibile che la Nato possa rappresentare lo strumento dove concertare, tra Usa e Ue, l’azione politica verso una soluzione imperialista del conflitto.
Se dobbiamo fare delle previsioni sul tipo di intervento e a pro di chi, bastano le dichiarazioni del ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom che ha affermato: <<Israele ha consegnato alla Nato una proposta di programma operativo nel campo diplomatico e militare. Non abbiamo dubbi che Israele trarrà un immenso profitto da legami più stretti con la Nato, e riteniamo anche che Israele ha molto da offrire in cambio>>.
La percezione generale, accentuata dalla campagna dei media americani, è che gli Usa stiano dando la visione allo stesso mondo arabo di una guerra contro di esso e contro l’islam, creando grande frustrazione nelle “Arab street”. Nel creare questa visione, hanno contribuito i cambiamenti avvenuti all’interno degli stessi Usa nei confronti dei numerosi giovani che studiano nel paese, preoccupati del clima ostile nei loro confronti, richiedendo ai governi dei propri paesi che avvenga un cambiamento per garantire maggiore consenso verso la politica americana.
Molti leader arabi definiscono le relazioni con gli Usa un monologo più che un dialogo, fatto di imposizioni in cui i governi locali vengono messi in secondo piano rispetto alle decisioni, creando i presupposti per una protesta contro l’imposizione del piano americano sull’area alla riunione dell’Unione Europea di Barcellona, facendo leva sulle contraddizioni esistenti tra le due borghesie.
Nella prospettiva sono tutti concordi che la preoccupazione maggiore è rivolta verso la presenza interna ai singoli paesi di gruppi armati che stanno nutrendo e trovando ulteriore sviluppo dalle stesse conseguenze delle politiche americane, pur ribadendo che in tal senso già sono molte le iniziative comuni prese con gli Usa.

Rifome, Ong e nuova classe dirigente
In particolare per aver messo al centro quella “società civile” che noi ben conosciamo e all’ordine del giorno le “riforme democratiche”, molta importanza è data alla “Agenda delle Riforme”, sottoscritta nel mese di dicembre da numerosi governi arabi e Ong all’interno del “Forum for Future”, voluto e finanziato dalla amministrazione americana,.
Veder abbracciare il desiderio di riforme da parte dell’amministrazione Bush ha suscitato forti preoccupazioni da parte delle attuali leadership, che temono il rafforzamento dell’opposizione interna e che possano svilupparsi condizioni di pericolo pilotate dagli stessi agenti Usa o da loro finanziate; che l’eccessiva accelerazione di questi processi possa dare forza al radicalismo interno impedendo un cambiamento in senso liberale.
A sostegno di questo processo è ritenuto fondamentale un massiccio investimento nel creare una nuova generazione araba che rappresenti in pieno la nuova classe dirigente che non sia, come quella precedente, legata ad una “vecchia” visione dei rapporti con gli Usa. In tal senso la creazione di una classe politica americana che abbia credibilità nel mondo arabo, fortemente supportata da mass media che rafforzino la sua immagine indipendente e di esportatrice di un’opportunità di miglioramento, rappresenta un passaggio obbligato. E’ vista con preoccupazione la diminuzione delle presenze di studenti arabi nelle università americane per il possibile effetto negativo nelle relazioni con i governi arabi futuri, dato che tra i leader politici che hanno dato sostegno alla campagna aniterrorismo americana, oltre 50 di loro avevano svolto i loro studi negli Usa.
Sia la possibilità di trovarsi realmente un nemico all’interno del paese, sia di vedersi negato l’accesso ai mercati arabi dalla futura leadership politica, rappresentano i rischi che potranno essere evitati solo con un aumento sostanziale di giovani arabi negli Usa, non soltanto quelli appartenenti alle elitè familiari ma anche a settori popolari. A tale scopo viene ipotizzata l’idea di istituire un’apposita commissione che individui le linee guida per creare un sistema di protezione dai rischi di “infiltrazioni terroristiche”, ma nello stesso tempo incrementi gli scambi nell’“educazione”. Tale commissione dovrà essere composta da membri accademici, esperti di affari, di legislazione e sicurezza, da politici in grado di valutare gli effetti a breve e lungo termine della “educazione americana” nei paesi che ne verranno interessati. E’ fondamentale che le giovani generazioni assimilino la cultura, l’ideologia e le aspirazioni che gli Usa promuovono. La proposta che il Center for Strategic and International Studies mette sul tavolo al governo americano è la creazione dell’Arab Partnership Fondation, allo scopo di sostenere le nuove generazioni di leader arabi, correnti ideologiche e organizzazioni liberali, per consentire loro di uscire vittoriose. Dovrà avere a disposizione uffici nei paesi arabi e svolgere inizialmente il suo compito con estrema cautela, perchè il programma possa rendersi esecutivo anche dove la diffidenza attuale è presente.
La Arab Partnership Fondation dovrebbe supportare l’attività a vasto raggio di ONG che promuovano riforme nel campo sociale, economico e politico, senza escludere ONG locali che non promuovono direttamente gli interessi americani, ma che potrebbero rappresentare un buon investimento politico nel lungo termine.

 

La percezione popolare delle riforme imperialiste tra la controrivoluzione non governativa e la lotta
La percezione nel mondo arabo di quanto si nasconde dietro le parole “democrazia e riforme” emerge chiaramente dal tono delle proteste che hanno contraddistinto le giornate del Forum for Future di Rabat (vedi anche Senza Censura 16) organizzate dalla Cellula Marocchina Contro il Forum per il Futuro, composta da organizzazioni islamiche, di sinistra, nazionaliste. Proteste che non solo sono state indirizzate verso gli Usa, ma anche contro i governi arabi compiacenti verso la sua politica nella regione. Il sentimento da parte della popolazione araba e marocchina in particolare verso quest’incontro e dell’onda di rinnovamento che dovrebbe rappresentare, è di profondo sospetto e visto come un’imposizione occidentale alla loro società. Da alcuni giornali indipendenti è stato definito “La Terza Via alla Colonizzazione”. Dello stesso tono il comunicato dalla Tunisia di Alternatives Citoyennes che, commentando il tema delle riforme discusso all’interno della riunione della Lega Araba sulla politica americana, denuncia l’attività incessante da parte di organizzazioni americane come l’Institut Républicain Américain (IRI), la NED (National Endowment for Democracy), CEIP (Carnegie Endowment for International Peace) fino ad arrivare alla Fondazione Soros, nella formazione di una scuola culturale formata da intellettuali, giornalisti e uomini politici fortemente vicina al pensiero liberale americano.
Ma i progetti di espansione, con la conseguente ristrutturazione del sistema economico e sociale del paese interessato, le conseguenze che queste hanno portato nel livello di vita e garanzie ai settori popolari nei paesi del Magreb, la privazione sistematica delle libertà politiche e sindacali, trovano in ogni paese l’opposizione più o meno sviluppata di ampi settori proletari e non solo.
L’Egitto registra un profondo processo di privatizzazione all’interno del settore tessile, uno dei centrali del paese. Le proteste hanno visto dalla metà di febbraio ai primi di maggio lo sciopero dei lavoratori del settore indirizzate contro la stessa General Federation of Trade Unions (GFTU), organizzazione sindacale pro-governativa che ha accettato la svendita della Esco ai capitali privati, azienda di stato il cui numero di lavoratori impiegati è passato dai 24.000 del 1980, ai poco più di 3.500 attuali, a cui si devono aggiungere i 650.000 prepensionamenti adottati all’interno della privatizzazione degli altri settori pubblici. In un articolo pubblicato sul periodico Al-Ahram Weekly del 18 marzo è stato affermato che, in questi ultimi mesi, è stata data una decisa accelerata al programma di riforme economiche egiziane. “Il ministro degli Investimenti Mahmoud Mohieddin – scrive ancora Abdel-Razek – ha recentemente confermato che le compagnie statali privatizzate negli ultimi sei mesi sono 18, per un totale di un miliardo di lire egiziane. Un risultato eccezionale, se confrontato con le 15 privatizzazioni attuate dal 2002 al 2003”.
L’opposizione egiziana sia islamica, sia di sinistra, critica fortemente l’attacco americano verso l’economia del paese in particolare facendo riferimento al continuo trasferimento da parte Usa di capitali e sostegno verso compagnie che operano nel paese come ONG. Le critiche si sono inasprite ulteriormente dopo la decisione da parte dell’ambasciata americana del Cairo di finanziare 6 ONG con un milione di dollari per il monitoraggio delle elezioni, definendo inaccettabile che il popolo egiziano accetti aiuti da chi è responsabile di crimini in tutta la regione. Attraverso un accordo tra Egitto e l’United States Agency for International Development (USAID) del 1998, gli Usa hanno destinato dai 38 ai 42 milioni di dollari al supporto per le attività della “società civile” e ONG.
La situazione sopra descritta ha fatto sì, che nell’ultimo anno, prendesse vita in Egitto un movimento d’opposizione che si è dato il nome Kefiya (Basta). Kefiya riunisce al suo interno dall’organizzazione fuorilegge dei Fratelli Mussulmani, a quelle della sinistra radicale egiziana. Il suo scopo dichiarato è di mettere in crisi il potere di Mubarak e intraprendere un percorso di cambiamento autonomo dalle influenze esterne. L’alleanza tra forze islamiche, della sinistra e nasseriane è ritenuto fondamentale ma, nello stesso tempo, è evidenziato un disaccordo sulle questioni strategiche.
Secondo alcuni membri della sinistra egiziana è bastato il lancio del movimento per vedere rinascere nelle strade un attivismo che non si rilevava da più di 25 anni, mettendo le basi per un indebolimento progressivo del governo Mubarak e di conseguenza la possibilità di vedere realizzate le politiche americane nel paese. Non si parla solo degli scioperi nelle fabbriche, ma delle lotte dei contadini per l’assegnazione della terra, della creazione di nuove organizzazioni della sinistra radicale che permettano di uscire dalla clandestinità ideologica imposta da molti anni. La situazione della sinistra radicale egiziana pone il problema che per i prossimi due anni sarà molto improbabile che questa, in assenza di un partito comunista capace di rappresentare la risposta alla domanda di emancipazione da parte delle classi sfruttate, possa rappresentare la guida di questo movimento, anche se questa fase può rappresentare il momento ideale per superare i conflitti al suo interno e rilanciare una prospettiva per il popolo egiziano e non solo.
Secondo quanto riportato da una intervista durante la III Conferencia de El Cairo Contra la Globalización, el Imperialismo y el Sionismo a due membri della sinistra egizia, Seif al-Dawla femminista membro del movimento 20 de Marzo e a Kamal Jalil portavoce dei Socialistas Revolucionarios egiziano e direttore del Centro de Estudios Socialistas, la volontà di cambiamento si scontra con una repressione che investe sia la sfera organizzativa, sia quella della mobilitazione. Il Movimento 20 Marzo prende il nome dalla data d’inizio dell’aggressione contro l’Iraq, occupandosi di denunciare gli oltre 2000 casi di tortura contro i 20.000 prigionieri politici detenuti nelle carceri egiziane.
Il potere in Egitto ritiene legali solo quelle organizzazioni che si accordano precedentemente con lui. Gli intervistati, come appartenenti alla sinistra, sono convinti che sia necessario continuare ad organizzarsi clandestinamente senza dover scendere a nessun compromesso con il governo Mubarak. I lavoratori dei nuovi distretti industriali, quelli frutto degli accordi sulle Qualificated Industrial Zone (QIZ), non hanno possibilità di organizzarsi al di fuori di quelle organizzazioni sindacali controllate dal governo che i due intervistati definiscono i “comisarías de trabajadores”. Affrontando il progetto del movimento Kefiya, ritengono pericoloso limitarsi alle richieste di cambiamento democratico, in quanto nel progetto devono trovare risposta il tema del lavoro per 6 milioni di disoccupati, l’unione delle rivendicazioni di cambiamento politico con quelle di giustizia sociale, il percorso di unione delle forze della sinistra, pur continuando a partecipare attivamente insieme agli altri gruppi per un cambiamento politico nel paese.
La pesante repressione del governo Mubarak ha colpito in maniera sistematica, in particolare in questa fase, i membri dell’organizzazione dei Fratelli Mussulmani. A seguito degli attacchi contro i turisti al Cairo si è scatenata una caccia all’uomo che ha portato a vere e proprie deportazioni ed al rilancio, da parte governativa, dell’attualità della legislazione d’emergenza promulgata nel 1981.
Alla fine di marzo le manifestazioni popolari organizzate da Kifaya erano state bandite. Anzi, proprio gli arresti compiuti in occasione delle precedenti manifestazioni (dove si sono registrati diversi scontri), hanno rafforzato la propaganda a favore della legge di emergenza nazionale.
Il Marocco sta tentando di risolvere, attraverso la creazione di una commissione che “risarcisca” le sue vittime e i loro familiari, una difficile fase rappresentata dal tentativo di recuperare la frattura provocata da anni di forte repressione dei movimenti politici e sociali. Tale passaggio si inserisce in un progetto più generale, della monarchia del paese, per darsi un volto nuovo verso la popolazione. Una popolazione che vede disoccupato un terzo degli abitanti delle grandi città. Il moltiplicarsi di media e giornali è in realtà un’abile manovra per dare voce a coloro che rappresentano gli interessi della monarchia, gli unici che hanno realmente libertà di parola, dimostrato dal continuo arresto di militanti islamici e dei diritti umani. La mancata attuazione delle riforme, e la pressoché assenza dei miglioramenti promessi, ha generato nelle masse un senso di frustrazione che, secondo alcuni membri della sinistra socialista marocchina, non potrà che portare ad un ulteriore scontro sociale per effettivi cambiamenti dato che “le mancate riforme generano obbligatoriamente controriforme”. Al momento del rilascio un sindacalista precedentemente arrestato ha dichiarato: “il nuovo potere in Marocco ha ereditato in pieno le contraddizioni del vecchio; il perpetuarsi di una politica dittatoriale impedisce di prendere la strada di riforme sociali e politiche. Negli ultimi dieci anni le iniziative sono andate fortemente in due direzioni: da una parte utilizzando le riforme come strumento per dare un volto democratico al regime, dall’altra rafforzando il dispotismo e il nostro arresto né è la prova”.
La scelta della sinistra marocchina, che presuppone una separazione tra la lotta contro la monarchia da quella rivoluzione per una trasformazione radicale delle relazioni sociali nel paese, trova alcune critiche all’interno della stessa sinistra radicale.
Sul fronte dei lavoratori si registra un forte controllo del potere sui tre sindacati principali rappresentati da UGTM, CDT e dalla CTM, che hanno, lo scorso anno, firmato un patto sociale che garantisce sulla carta il pieno riconoscimento del loro ruolo in cambio di una relativa pace sociale. Una delle esperienze più interessanti è rappresentata dalla lotta dei giovani disoccupati e della loro organizzazione l’Association Nationale Des Chômeurs Diplomés (ANDCM). Il nuovo codice del lavoro del febbraio di quest’anno ha ulteriormente rafforzato la flessibilità del lavoro, del salario e la precarizzazione, aumentando le possibilità di licenziamento individuale, abbassando i salari e previsto l’inserimento di agenzie di lavoro in affitto.
Dove non arriva il controllo dei sindacati di regime si fa largo la repressione. In particolare risalta alla cronaca il processo contro i minatori di Imini, protagonisti di una dura battaglia contro l’istituzione del lavoro parziale nella loro miniera. Durante uno sciopero con blocco dei camion, la direzione della miniera assoldava 130 esterni per consentire di togliere i blocchi presenti. Durante gli scontri che ne seguirono perse la vita una donna la cui responsabilità fu attribuita agli operai. In primo grado 6 operai sono stati condannati a 10 anni di prigione, ma una vasta campagna di sostegno si è sviluppata a livello internazionale ricevendo comunicati di solidarietà dalla Francia, Spagna, Germania, Olanda, Belgio, Tunisia, e Palestina, con la creazione di comitati locali di sostegno in alcune città di questi paesi. In un comunicato di Voie Democratice (un fronte di alcune forze della sinistra marxista marocchina) è attribuito al processo il significato di come “la giustizia nel paese ritenga che non debbano essere tutelati i diritti sindacali e sociali dei lavoratori, garantendo piena copertura alle strategie repressive padronali”.
Dobbiamo salutare con piacere, davanti a questa lettura sebbene parziale di quanto si sta verificando sia sul fronte imperialista, sia su quello di classe nel nostro sempre più vicino Magreb, quanto sta avvenendo nel nostro paese nei confronti della solidarietà che è andata svilupparsi attorno ai presunti militanti di organizzazioni islamiche e della resistenza antimperialista oggetto di attacchi repressivi da parte della magistratura italiana. Ma ancor più importante è quello che si è generato nella lotta contro i lager per immigrati che sta assumendo un’importanza strategica nella formazione dei presupposti per una più completa integrazione nel quadro politico antagonista dei soggetti protagonisti di questo ciclo di lotta che, per quanto descrivono i compagni e le compagne che più direttamente vi hanno partecipato, hanno dimostrato una maggiore chiarezza e capacità organizzativa di quanto chi da fuori dava solidarietà avesse pensato. Una condizione che ci pone quindi sullo stesso piano nel percorso di costruzione di un fronte interno ai paesi imperialisti che, dal punto di vista potenziale, rappresenta la sintesi delle contraddizioni sviluppate dalle politiche imperialiste sia sul fronte interno sia su quello esterno.
Che il fuoco che cova sotto le ceneri abbia cominciato ad ardere e sia arrivato il momento di gettare le basi solide per un progetto più ambizioso?

 

III Conferencia del Cairo “Contro l’imperialismo, la globalizzazione e il sionismo”
Il Cairo, 23-27 marzo 2005
[www.nodo50.org/csca]

Linee Guida per l’Azione
1) L’imperialismo promuove i diritti umani alla società occidentale come questioni importanti da affrontare. Ma si dimentica che sotto l’ombrello delle politiche di esportazione dei diritti umani si nascondono ni genocidi, le guerre, l’assassinio di leader politici e sindacali. Dentro questa politica iraginevole lo si dimenticano diritti fondamentali alla salute, allo sviluppo, all’educazione. Noi denunciamo la complicità delle Nazioni Uniti con l’imperialismo e i “due pesi e due misure” del suo segretario Kofi Annan.
2) Difendiamo la legittimità della lotta armata contro l’occupante, e i social forum e le organizzazioni internazionali progressiste non possono spaventarsi davanti al diritto ad aprire le strade per una vittoria da parte della Resistenza Irachena e Palestinese. La loro lotta armata è legale e legittima e la loro vittoria può rappresentare un passo avanti per quel “ un altro mondo è possibile”, per il quale affermano di lottare.
3) Denunciamo l’infiltrazione di organizzazioni capitaliste e sioniste all’interno dei social forum.
4) Denunciamo la farsa del processo di pace in Palestina.
5) Aiutiamo la Resistenza Irachena a formare un fronte politico, supportiamo la sua azione e propagandiamo il suo punto di vista.
6) Attuiamo un’azione più incisiva per impedire l’espansione del capitale europeo nell’area.
7) Dobbiamo costruire un ponte che unisca la lotta nel mondo arabo a quella che si sta sviluppando in America latina. E’ fondamentale sviluppare le condizioni per la creazione di un fronte antimperialista mondiale, che sia in grado di agire non solo nei luoghi dove i fucili fanno fuoco e la morte incombe.


I Processi ai Comunisti Egiziani 1951-1958, 1973-1989

- Yousif Dirwish and others. Case No. 2021, 1951 Misr al-Gadima. Democratic Movement for National Liberation (HADITU, al-Haraka al-Dimuqratiyya li-l-Taharrur al-Watani). 1951.
- Mohamed Farid Sidahmed and others. Case No. 202 Supreme Military Court, Misr al-Qadima, HADITO. 1952.
- Abdulrahim Osman and other. Case No. 952 Supreme Military Court, al-Sayyidah. (al-Raya Communist Group). 1952.
- Ibrahim Arafa and others. Case No. 184 Misr al-Gadima. The Nucleus of the Egyptian Communist Party (Nawat al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). Part 1. 1952.
- Saad Abdulqawi Zahran. Case No. 287 Supreme Military Court, Shubra. Egyptian communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1953.
- Mustafa Kamal Sidgi and others. Case No. 264 Supreme Military Court, al-Darb al-Ahmar. Democratic Movement for National Liberation (HADITU, al-Haraka al-Dimuqratiyya li-l-Taharrur al-Watani). 1954.
- Shawqi Mujahid and others. Case No. 1091 Supreme Military Court, Shubra. Workers’ Vanguard (Tali‘at al-Ummal). 1954.
- Ibrahim Baker Sutouhi and others. Case No. 209 Supreme Military Court, al-Minya. Workers’ Vanguard (Tali‘at al-Ummal). 1954.
- Ibrahm Al-Khodari. Case No. 444 Supreme Military Court, Masr al-Qadima. ( al-Raya Communist Group). 1954.
- Saad Abdulwahab and others. Case No. 329 Supreme Military Court, Rod al-Farag. (al-Raya Communist Group). 1954.
- Yasin Mustafa Saeed. Case No. 792 Supreme Military Court, Azbakiya. (HADITU, al-Haraka al-Dimuqratiyya li-l-Taharrur al-Watani). 1954.
- Mustaf Abdulla and others. Case No. 3117. Misr al-Qadima. (HADITU, al-Haraka al-Dimuqratiyya li-l-Taharrur al-Watani). 1955.
- Shukri Abdulmasih and others. Case No. 564 Supreme Military Court, Abu Girgas. Egyptian Communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1955.
- Islami Sabri Abdulla and others. Case No. 150 Supreme Military Court. (Al-Raya Communist Group). 1956.
- Salah Ibrahim Ali and others. Case No. 153 Military Court, al-Darb al-Ahmar. Egyptian Communist Party Organizations (Munazzamat al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1957.
- Shohdi Attiya al-Shafei and others. Case No. 163 Supreme Court, Abdin. HADITU, al-Haraka al-Dimuqratiyya li-l-Taharrur al-Watani). 1958.
- Khalil Kelfat and others. Case No. 501 State Security Court. Alexandria. Workers Communist Party. (Hizb al-‘Ummal al-Shuyu‘i al-Misri). 1973.
- Ali Kelfat and others. Case No. 65, State Security Court. Alexandria. Workers Communist Party. (Hizb al-‘Ummal al-Shuyu‘i al-Misri). 1974.
- Ali al-Saeed Zahran and others. Case No. 9 Supreme Military/State Security Court. Egyptian Communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1977.
- Mohamed Ali al-Makhazanji and others. Case No. 37 State Security Court. al-Mansoura. Riots of 18, 19 January 1977.
- Mustafa Fathi Wahba. Case No. 56 State Security Court. al-Mansoura. Riots of 18, 19 January 1977. 1977.
- Tawif Girgis and others, No case number. Report of State Security Intelligence. 1978.
- Ahmed Nabil al-Hilali and others. Case No. 632 Supreme Military Court, Abdin, Egyptian Communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1979.
- Abdulfatah Mohamed al-Muwafi and others. Case No. 2668 Supreme Military Court, Abdin, Egyptian Communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1980.
- Ahmed Nabil al-Hilali and others. Case No. 207 Supreme Military Court, Abdin, Egyptian Communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1982.
- Ahmed Siaf al-Islam Abdulfatah and others. Case No. 129 Supreme Military Court. Egyptian communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1983.
- Abdulmajid Ahmed Abdulmajid and others. Industrial disputes and riots of Kafr al-Dawar Textile Company. 1984.
- Nasr abdulMunim Halaga and others. Case No, State Security Court. Daqahliyya Egyptian Communist Party (al-Hizb al-Shuyu‘i al-Misri). 1984.
- Mohamed Abdulwahab Hassenain and others. Case No. 663 Supreme Military Court. 1986.
- Kamal Khalil and other. State security investigations. Egyptian Workers Communist Party. (Hizb al-‘Ummal al-Shuyu‘i al-Misri). 1989.


Solidarietà ai sindacalisti arrestati
Vi invitiamo a prendere posizione, a moltiplicare i vostri attestati di solidarietà ed inviarli alle autorità marocchine e far pervenire una copia al comitato nazionale di sostegno ai sindacalisti incarcerati di Rabat :

- Gouverneur de Ouarzazate: 00 212 44 88 25 68
- Ministre de la justice: 00 212 37 72 37 10
- Ministre de l’Intérieur: 00 212 37 76 74 04
- Ministre de l’énergie et des mines: 00 212 37 77 95 25
- Ministre du travail: 00 212 37 76 92 60
- Premier Ministre: 00 212 37 76 86 56
- Secrétariat du palais Royal: 00212 37 76 01 93

Comité national de soutien : 
- Abderrazak Drissi: Tél 0021263686797; abderrazzakdrissi@yahoo.fr
- Khouya Mhamed: GSM 0021268963390; khouya_mhamed@yahoo.fr


http://www.senzacensura.org/