SENZA CENSURA N.17

LUGLIO 2005

 

Da Gaza a Monza...
Dal dibattito tra gli studenti di Milano e Monza e sei ragazzi della gioventù progressista palestinese

Il contributo che pubblichiamo è stato elaborato dalla ReCoS, Rete Collettivi e Studenti di Monza (www.recos.tk), in seguito ad un incontro con alcuni ragazzi palestinesi appartenenti al PPYU, Palestine Progressive Youth Union (www.ppyu.net), avvenuto ad Aprile nel parco accanto al Liceo Linguistico Carlo Porta.
Gli ostacoli che gli studenti della Rete Studentesca Auto-Organizzata Aut.Stud. di Milano Milano e della di ReCoS di Monza hanno dovuto affrontare e che hanno portato all’impossibilità di organizzare gli incontri in alcune scuole in cui questi erano previsti sono imputabili principalmente a due fattori: il potere dispotico dei presidi che si fa forza di una serie di direttive che rendono sempre più la scuola un carcere di cui questi si sentono i direttori e la volontà di impedire che si creino relazioni di solidarietà e un ponte comunicativo diretto tra giovani compagni del centro imperialista e della periferia integrata.

L’occasione che ha portato a questo scritto è un incontro con sei ragazzi della gioventù progressista palestinese invitati prima a Napoli, poi a Milano, con la collaborazione del Coordinamento di Lotta Per La Palestina di Milano. Si sono fermati in città cinque giorni, con l’intenzione di creare momenti di incontro e discussione, così com’era avvenuto a Napoli, dove, nelle assemblee all’università, col patrocinio della città, hanno partecipato migliaia di persone. Ma a Milano il muro l’ostilità nei confronti della causa palestinese, mascherata da un approccio di equidistanza tra l’aggressore (l’entità sionista) e l’aggredito (il popolo palestinese) a quanto pare è radicata, tanto da ritenere pericoloso che si crei un ponte comunicativo diretto tra coetanei palestinesi e italiani. Oltre alle difficoltà organizzative, qui erano invitati e ospitati da una piccola realtà indipendente, ci si è trovati di fronte all’indifferenza ed all’ostilità dei presidi nelle scuole in cui s’intendeva invitare i ragazzi, così che solo in una scuola si è potuto tenere l’incontro, mentre l’incontro con la rete studentesca auto-organizzata Aut.Stud. di Milano si è tenuta all’interno del C.S.O.A. Garibaldi.
Come ReCoS (rete collettivi e studenti di Monza), tramite dei contatti diretti con alcuni compagni del Coord. di Lotta per la Palestina abbiamo saputo dell’occasione, e ci siamo organizzati per costruire questo momento, che voleva essere aperto a tutta la città. Da un anno ci dibattiamo in questo dipartimento borghese e pacificato di Milano, Monza, nelle nostre scuole ed in iniziative pubbliche. Così abbiamo coinvolto il Porta, liceo linguistico, che, essendo un po’ dimesso dal centro della “città”, tendeva ad essere una scuola ancor più silenziosa ed inattiva delle altre. Stabilita la data per il 6 aprile, il preside del Porta ha tentato in tutti i modi di ostacolare l’iniziativa, portando motivazioni dal “io non posso far parlare solo una voce, devo garantire la pluralità, metti che questi dicono: abbattiamo Israele” alla paura di far brutta figura a livello cittadino, dando l’impressione di schierarsi da una parte. L’assemblea, fino ad una settimana prima della data, doveva aver luogo nell’aula magna, le nostre compagne del Porta avevano portato e garantito tutti i documenti richiesti. Il preside, E. Danili, è invece partito per una gita, dando ordine alla sua vice e ai professori che l’iniziativa non poteva aver luogo, perché lui non c’era, e che avremmo dovuto aspettare il suo ritorno. Naturalmente questo comportamento non solo non ci ha fermati, ma ci ha doppiamente infiammati. Così abbiamo fatto in modo che l’incontro avvenisse sul prato di fianco alla scuola, momento di protesta oltre che di discussione, recuperando tutto ciò che ci serviva. Sul muro, vicino alla mostra fotografica sulla Palestina, un grande striscione: “Danili grazie per l’apertura di mente”.
Tornato dalla gita il preside non ha mancato di inveire contro la compagna che maggiormente si era esposta nella preparazione dell’iniziativa, oltre che contro i professori che hanno partecipato all’incontro, giungendo addirittura ad intimare di appendere uno striscione con le proprie scuse ai compagni che avevano co-organizzato l’iniziativa.
L’incontro è stato partecipato e oltre alle domande specifiche sulla situazione palestinese, c’è stato uno scambio reale sulle rispettive attività a Monza e a Gaza.
Sappiamo tutti che parlare, scrivere di sofferenza, è sempre difficile, soprattutto quando questa sofferenza è tua, e del tuo popolo. Eppure sei ragazzi palestinesi, hanno deciso di venire in Italia, creando incontri a Napoli, Milano, Firenze, Bologna, per raccontare la loro esperienza, la vita del loro popolo, per creare e testimoniare quell’altra informazione che viene negata, per promuovere quella solidarietà internazionale di cui abbiamo, ed hanno, ora, un forte bisogno.
Perché abbiamo aderito a quest’iniziativa?
Si tratta di assunzione di responsabilità.
Ci ritroviamo di fronte ad una globalizzazione che ci collega veramente con l’umanità. Le informazioni ci arrivano da ogni angolo del mondo, ma attraverso il filtro interessato dei media.
A questo punto ci tocca ripensare il nostro rapporto con l’informazione che riceviamo, col cibo che mangiamo, con la politica che portiamo avanti. Ripensare questo rapporto non significa egemonizzare a proprio piacimento le lotte di cui non siamo diretti protagonisti, bensì significa un costante impegno nella diffusione e nella solidarietà delle lotte che magari, anche se lontane, chiedono a noi aiuto ed appoggio. Assunzione di responsabilità significa che nessuno di noi ha il diritto di negare questo sostegno.
Quello che noi abbiamo fatto è un primo passo nella risposta a questo richiamo, unita a tantissima voglia di sapere e di condividere.

Palestina libera...
Un paese allo stremo delle forze, un’occupazione militare disastrosa
La Palestina dal 1948 si trova a fare i conti con l’occupazione sionista, un occupazione che si è subito affermata in modo militare, espansionista e segregazionista.
Lo stato d’Israele può far forza oggi su uno degli eserciti meglio equipaggiati del mondo, grazie alle strettissime relazioni commerciali e politiche con gli Stati Uniti e l’Europa, tra cui l’Italia.
Quest’esercito viene utilizzato per una politica di annientamento e distruzione geografica, etnica, politica. Questa politica viene applicata con costanza ogni giorno, dalla distruzione con ruspe e carri-armati dei campi coltivati che erano la principale fonte di auto-sostentamento delle famiglie palestinesi, per arrivare alla costruzione relativamente recente del “Muro dell’Apartheid”, passando attraverso ad un’infinita serie di divieti e proibizioni imposte militarmente in un territorio non “loro”, e alla creazione di “oasi protette” per i coloni.
Cosa significa avere in casa un occupazione militare?
Significa parecchie cose...
Divieti e proibizioni soffocanti, dall’impossibilità di potere usufruire di una risorsa naturale come il mare per pescare, al soggiacere all’arbitrio degli israeliani, soprattutto l’esercito e i coloni, che hanno la possibilità di tenere armi e di sparare a vista ad ogni palestinese che infranga una qualsiasi delle miriadi di divieti o regole, oppure dovere sopportare la massiccia presenza di coloni israeliani a Gaza e nei Territori Occupati.
Coloni che non si limitano a costruire la propria casa, ma sequestrano territori, ergono fortini auto-difesi e costruiscono strade riservate solo alla propria circolazione.
E non solo: un palestinese può consumare al massimo 1 litro di acqua al giorno, bene, un colono ne consuma di media 100 litri, ed in un Paese già arido, in più espropriato di quasi tutte le risorse idriche a causa della guerra e dell’occupazione, e ora dalla costruzione del muro, non è cosa da poco.
Ma il clima di tensione, di divieto e di oppressione viene inflitto anche nella sfera della scuola, e del lavoro. Da bambino, fino all’università, ogni studente palestinese che abita nella striscia di Gaza deve sottoporsi a tre ore di check-points ogni mattino, con perquisizioni anche totali, ovvero rimanere nudi, umiliati, in mezzo alla strada, per raggiungere la scuola. E la stessa oppressione psicologica e fisica aumenta al raggiungimento dell’età adulta. Essendo stati rasi al suolo tutti i campi coltivati, auto-sostentamento delle famiglie lungo la striscia di Gaza, e vietato l’accesso al mare, in un paese dove la disoccupazione colpisce più del 60% della società, la massa degli uomini palestinesi cerca lavoro in Israele e sempre di meno lo trova. Uno dei più forti problemi sul territorio è quello delle case e dello spazio.
Il Muro, alto 8 metri - è doloroso solo immaginare cosa significhi vivere a contatto di un muro, un limite da prigione che trasforma lo spazio circostante rendendolo una prigione all’aperto - , per essere costruito ha implicato sequestri terreno nei territori circostanti, l’aumentare delle colonie, fortini militari di residenza, mentre aziende come la Caterpillar, con i loro contratti. garantiscono ad Israele Bulldozer D-9 e D-10 usati dall’esercito per radere al suolo case, sradicare ulivi, distruggere i campi coltivati.
Questi sono solo alcuni esempi della sistematica politica di espulsione di massa che Israele porta avanti ormai da cinquant’anni, politica che passa anche attraverso ostacoli ingiustificati per entrare o uscire dal territorio palestinese, i cavilli giudiziari tramite cui persone vengono trattenute al confine; proprio a proposito, 11 erano i membri dell’associazione invitati in Italia, ma cinque di loro, quattro donne e un uomo, non sono stati fatti partire. Le restrizioni che rendono a volte inaccessibile la Palestina per gli stranieri o gli stessi emigrati palestinesi, cui viene impedito di tornare nella loro terra dopo più di tre mesi di assenza. Una politica che attraverso l’indebolimento esistenziale della resistenza interna mira a fare piazza pulita di un popolo, che si trova ora ad avere il 70% della popolazione al di sotto della soglia di povertà, con una disoccupazione media del 60%.

Palestine Progressive Youth Union
Questo il nome dell’associazione di cui erano membri i ragazzi che ce ne hanno parlato.
La loro attività ha una sguardo molto più generale, a livello di campi d’intervento, rispetto alle associazioni del nostro antagonismo. La loro lotta si divide in due fronti, entrambi portati avanti contemporaneamente con le stesse grandi difficoltà: la lotta contro l’occupazione israeliana, lotta in cui convergono con gli altri movimenti, e la costruzione dell’alternativa allo stato palestinese così come è nato in seguito agli “accordi di pace”. L’impegno nell’educazione, nella liberazione femminile, nella laicità dello stato, nell’esercizio alla tolleranza, per i diritti dei lavoratori sono tra gli aspetti principali di questa lotta. Queste battaglie si concretizzano in diversi modi, tra cui presidi e manifestazioni di piazza, che, per esempio, dopo anni di mobilitazioni davanti al parlamento per una maggiore presenza femminile nello stesso, sono riusciti a strappare il 30% dei seggi per le donne, ben più che in Italia!
Promuovono campagne di supporto psicologico per i bambini (vittime e spettatori quotidiani di violenze e soprusi purtroppo non virtuali) portate avanti insieme ai Comitati delle Donne, con la creazione di consultori, asili nido, progetti di sostegno per garantire una istruzione e attività ricreative adeguate…
Un programma educativo fondato sulla laicità dell’insegnamento, sull’importanza della crescita cultura e del pluralismo religioso, sulla parità dei sessi.
Questi ragazzi hanno detto chiaramente: «siamo contro l’occupazione militare sionista, non contro l’ebraismo, religione che invece rispettiamo come tutte le altre»...
Questa stessa associazione organizza anche ogni estate un campo internazionale, sempre a Gaza, dove si raccolgono le esperienze e gli aiuti di giovani da tutti i paesi, un modo in più per cercare di promuovere lo scambio e la promozione della causa palestinese.
Riconosciuta legalmente dal 1996 (ma attiva dalla fine degli anni ’70) quest’associazione vive tra non poche difficoltà. Innanzitutto le sedi, precarie già come luogo fisico, ed in più a corto di materiale, perché troppo costoso. La loro volontà è quella di uno società aperta che non scende a patti con nessuna occupazione militare. Uno spazio di libertà.
E il loro viaggio qui in Italia l’abbiamo letto come l’apertura di una breccia nel clima di disinformazione o informazione traviata diffuso nel nostro occidente. Una breccia per iniziare ad interessarci collettivamente della loro causa, e a portarla avanti anche nelle nostre azioni, anche contro lo stato Italiano, che oltre ad essere complice di più e più crimini, ha rapporti di stretta collaborazione con Israele.
Palestina libera.

Contributo della ReCoS.
Giugno 2005



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