SENZA CENSURA N.18

NOVEMBRE 2005

 

Il sistema carcere in complesso

...e la musica non è delle migliori, niente affatto!

 

Scrivere di carcere pare, alle volte, registrare una storia già scritta, che si delinea di passaggio in passaggio, magari non in modo del tutto lineare, ma pur tuttavia funzionale ad un sistema in crisi spasmodica, che deve fare virtù di repressione e controllo. Abbiamo utilizzato sempre, nei vari articoli della Rivista inerenti la questione/carcere, del parallelismo tra la struttura/carcere in Italia ed Europa e quella negli Stati Uniti, tenendo quest’ultima come esempio “avanzato” per quanto concerne il controllo dietro le sbarre.
Abbiamo avuto modo di delineare, nei passati contributi, i punti cardine della riorganizzazione del sistema carcerario italiano: specializzazione e individualizzazione della detenzione, circuiti differenziati, 41bis, lavoro, pene cosiddette alternative, cpt, etc... spesso abbiamo utilizzato il termine di “complesso” ad indicare sia una situazione ed una azione articolata a livello della gestione del controllo, sia per individuare, in questo modo, una “figura” con precise caratteristiche ed obiettivi, inserita in un processo anch’esso sovrastrutturato, in continua rincorsa della crisi del capitale.
Se gli ultimi approfondimenti ci hanno visti lavorare sul piano interno, per questo breve contributo torneremo nuovamente negli Stati Uniti e, più precisamente, nello Stato della California, avanguardia assoluta nella messa in opera del controllo dietro le sbarre, ma anche e soprattutto per quanto riguarda il business penitenziario, ovvero il già più volte citato Industrial Prison Complex (Complesso Industriale Carcerario). Lo Stato della California ha la maggior percentuale di detenuti al mondo, 626 su 100.000 abitanti (contro, ad esempio, gli 80 in Germania, gli 84 in Francia, i 93 in Gran Bretagna, i 335 del Sud Africa e i 517 degli Stati Uniti, se si esclude la California).
Il corpo carcerario è composto prevalentemente da Neri (il 31,6% su una popolazione generale di 6,8%) e ispanici (33,9% su una popolazione generale di 25.1%). Anche i bianchi ci sono, ma a dati decisamente invertiti (29.6% su una popolazione generale di 55,6%). I reati principali riguardano il possesso / lo spaccio di sostanze stupefacenti e i furti. La rapina a mano armata ad esempio, è al sesto posto della lista. Mentre al decimo troviamo i furti d’auto. Da notare come i cosiddetti atti violenti (contro cose e/o persone), tranne per la rapina a mano armata (quindi ad esempio omicidi, stupri o rapimenti), non rientrino nelle prime dieci voci in elenco.
In generale, negli Stati Uniti, si registra ufficialmente un investimento complessivo per l’educazione pari a 19 miliardi di dollari mentre quello relativo al sistema penitenziario è di 3.4 miliardi di dollari. Tutto ciò è ingannevole. Stando ai conti del Budget Committee e agli articoli del New York Times, lo stato al momento spende 4.4 miliardi di dollari per il complesso carcerario (dato che comprende questo anche i minorili ma non le prigioni metropolitane) e 4.3 miliardi di dollari per l’educazione. Un dato dell’organizzazione indipendente PARC dice che l’investimento sul sistema delle prigioni in California arriva a toccare quota 5.6 miliardi di dollari. In questo dato non rientrano gli istituti psichiatrici e le carceri cittadine. Come si evince dalle cifre, lo Stato della California investe decisamente di più su sbarre e muri di cinta che per l’educazione della gente (1).
Il sistema carcerario quindi come piano su cui investire che a sua volta dovrà dare profitti, enormi profitti, andando a determinare un circolo (vizioso) tra interventi chirurgici (sociali) e “bonifiche” dei territori (metropolitani e rurali). Quell’insieme di elementi, interventi e dinamiche che passano appunto sotto il nome di Complesso Industriale Carcerario. La manna dal cielo per migliaia di industriali e investitori e per le casse di città, governatori e stato federale. Piani regolatori aggiornati a go-go. In questo senso risultano assolutamente significativi i dati relativi alle aree rurali. Terre confiscate (come ai vecchi tempi), paesi (con prigioni) che si spopolano per fare posto alla città-galera, piccoli paesi limitrofi senza prigioni che si ripopolano, aumento dell’attività terziaria e amministrativa nei piccoli centri con prigioni e disoccupazione galoppante per gli altri settori (agricoltura, negli stati del sud, in primis). (2)
Istituzione tra le istituzioni nel tessuto socio-economico. Punto di arrivo di investimenti che piovono dall’alto (delle amministrazioni), sottrazione che ricade di conseguenza su altri settori, non ultimo, come abbiamo visto poc’anzi, quello dell’educazione.
La scelta, in California ma anche altrove, è tra costruire galere oppure costruire scuole. La tendenza dice: edificare, edificare e ancora edificare prigioni. Arredarle. Gestirle. Arricchirle di manodopera a costo zero. Il sogno che diventa realtà. È interessante osservare come la bilancia penda da una parte, a destra, se dovessimo figurarci una bilancia per davvero. Ci viene in soccorso, in questo senso, un articolo “progressista” scritto da Vincent Schiraldi e pubblicato dal San Francisco Chronicle. Era il 21 Gennaio 2003. E Arnold Schwarzenegger non era ancora governatore della California. Come si potrà notare, i dati, le cifre e le percentuali sono andati - se confrontati con quelli di quasi tre anni fa - via via peggiorando.
L’articolo stesso per altro ci offre anche la possibilità di aprire la contraddizione sviluppatasi in Italia nell’ultimo anno e mezzo (soprattutto nei settori riformisti), a proposito di indultini, pene alternative, controllo diversificato, attorno all’equazione: le galere sono sovraffollate, miglioriamo le condizioni dei detenuti, riduciamo la spesa in questo settore = circuitiamoli in strutture alternative, magari private o a partecipazione congiunta pubblico/privato, rimettiamo le persone nell’ordine del sistema produttivo (detto anche reinserimento sociale). Rimane il nodo centrale da sciogliere: amplificando la complessità della gestione del controllo, non si riduce il controllo, né la detenzione. Anzi. Ritorneremo poi su questo punto.

Crisi nel settore dell’educazione in California (di Vincent Schiraldi, SF Chronicle, 21 Gennaio, 2003)
Nelle scelte dirette a far diminuire il deficit dello Stato della California, il governatore Gray Davisy ha proposto, tra i vari tagli, una riduzione del 10% della spesa per l’educazione arrivando quindi ad un investimento di 5 miliardi di dollari. Nella stessa manovra abbiamo avuto invece un incremento del budget per quanto riguarda il sistema penitenziario che ha raggiunto un valore di 5.3 miliardi di dollari.
Tutto ciò ha portato John Hein, rappresentante della Associazione Insegnanti della Californiani, a sentenziare: “Non so esattamente cosa sia successo al governatore visto che a suo tempo aveva affermato che l’educazione era al primo, al secondo e al terzo posto della sua politica amministrativa. A quanto pare ora le carceri sono la sua prima, seconda e terza priorità.”
Nel momento in cui si persegue una strada di riduzione della spesa pubblica, anche il sistema penitenziario dovrebbe rientrare nell’elenco in oggetto. Del resto le cifre là fuori dicono esattamente questo e in alcuni stati conservatori, effettivamente ciò sta avvenendo. Per esempio in Lousiana oppure nel Michigan, dove la legislatura controllata dai Repubblicani ha recentemente abolito le sentenze mandatarie per reati legati agli stupefacenti, o anche in Texas dove c’è stata una riduzione della incarcerazione a seguito dell’utilizzo di una pena alternativa come la libertà sulla parola e la libertà vigilata.
Al contrario, in California si registra la più alta percentuale di persone che fanno ritorno in carcere, più di 60.000, con un “investimento” annuale pari a 1 miliardo di dollari. Lo Stato della California, così come gli altri Stati che seguono le politiche del governatore Davisy, dovrebbero imparare dal seguente assunto: la migliore strada per ridurre la spesa relativa alla gestione del sistema carcerario è ridurre il numero delle persone in galera.
Il numero dei detenuti nelle prigioni californiane è in continua crescita dal 1980. Tra il 1980 e il 2000, circa 39.000 uomini afro-americani sono finiti dietro le sbarre, mentre - dall’altra parte – si sono registrati 3.800 maschi in meno nel sistema scolastico. I colleges si son visti togliere 1 miliardo di dollari dal 1985 mentre 3 miliardi di dollari si sono aggiunti nella spesa per il sistema carcerario.
Gli americani (e i californiani in particolare) hanno affermato a più riprese di essere pronti al cambiamento. Nel Dicembre 2001, in quattro occasioni i sondaggi popolari hanno raccolto pareri favorevoli ad un abbassamento della spesa diretta alle carceri e un altro sondaggio, condotto dall’Hart Research Associates, ha mostrato come la gente sia a sostegno di un utilizzo massiccio della libertà sulla parola. Allo stesso modo, un altro sondaggio condotto da Parade Magazine e ABC News, nei mesi di Febbraio e Marzo, ha registrato una volontà popolare all’utilizzo di pene alternative all’incarcerazione. Il dato più importante in questo senso lo si è avuto nel 2000, quando il 62% dei votanti sostenne la Proposition36, una iniziativa che ha portato fuori di galera oltre 30.000 detenuti, con una riduzione prevista di 1,5 miliardi di dollari nei 5 anni successivi.
Nel momento in cui la California sta affrontando una crisi fiscale enorme, verrebbe logico andare a tagliare anche lì dove potrebbe salvare, nelle casse dello stato, 114 milioni di dollari all’anno. Per altro il governatore dovrebbe prendere spunto dal caso della prigione di Delano, la quale costerà 595 milioni di dollari tra edificazione e interessi, più altri 100 milioni di dollari all’anno per la normale gestione. Una prigione del tutto inutile se si considera che le proiezioni davano 23.553 detenuti in meno quando il progetto per il carcere di Delano è stato approvato.
Ci sono reali proposti per ridurre le spese, assicurare la sicurezza pubblica e tornare ad un equilibrio del sistema penale californiano. Il Texas c’è riuscito. Anche la California potrebbe farlo.

I piani di intrecciano, come una maglia. Ma sono dinamiche di un medesimo ed unico piano. Non perdiamoci nei riflessi, please.
Succede spesso e volentieri che, nel momento in cui si procede all’analisi di una data questione ma anche sul piano della iniziativa e della pratica, si tenda a estrapolare ogni singolo elemento/dinamica dal contesto, per trattare la stessa in modo autonomo rispetto al resto, come se fosse possibile modificare segmento per segmento, senza al contempo agire sugli altri elementi e le altre dinamiche facenti parte dello stesso piano.
L’articolo è un campione in questo senso. Prodotto in un ambito progressista, propone nei fatti di ridurre la spesa pubblica diretta al sistema carcerario, che sottrae tra le varie cose investimenti nel sistema scolastico, puntando a ridurre il numero di detenuti dietro le sbarre, attuando una serie di misure alternative (e luoghi alternativi) e salvaguardando in ogni caso “sicurezza pubblica” e tornando “ad un equilibrio del sistema penale”...e ci mancherebbe... caspita. Ma niente di più falso e fuorviante, da qualsiasi verso parta il ragionamento.
Gli investimenti diretti al sistema carcerario sono investimenti calcolati, in tendenza. E che stanno già dando i loro frutti. Gli investimenti ridotti nel corso degli anni nel settore dell’educazione sono anch’essi calcolati. E anch’essi stanno dando i loro frutti. Nell’ottica della gestione del controllo all’interno di una crisi sempre più radicale, il controllo giudiziario/penale diventa cardine e sostegno e sì in questo caso sicurezza (per chi detiene il potere). Non di meno, diversificare un problema, non risolve il problema stesso. Lo parcellizza, punto. Ne moltiplica gli aspetti (e i riflessi), de-costruisce in modo erroneo e falsificato, una figura che è unica e non tante figure separate come si vorrebbe far credere.
Stiamo assistendo proprio in questi ultimi mesi, ad un dibattito simile a quello introdotto nell’articolo di cui sopra, anche in Italia. Anche nella cosiddetta sinistra. Tesa da anni a rincorrere la riforma corta. Tesa da anni nella riorganizzazione del sistema penitenziario e non a caso le politiche in atto, seppur attualmente condotte dal governo di centro-destra, sono frutto del lavoro condotti nei passati governi di centro-sinistra. L’idea di base sarebbe l’umanizzazione del carcere e della detenzione, attraverso l’utilizzo di luoghi e modalità di gestioni differenti rispetto a quelle che abbiamo, nel corso della storia, imparato a conoscere. Allora si aumentano i circuiti e si agisce sul corpo carcerario, individualizzando in maniera sempre più precisa e scientifica il controllo su proletari ed immigrati. Allora si pensa a strutture che non siano brutte e oppressive come la galera, ma, piuttosto, moderne, attrezzate al lavoro, attive, molto più vicine al tessuto sociale, più vicine a quello che loro definiscono come reinserimento sociale. Allora si pensa di costruire decine di nuove carceri. Ma mica come quelle di una volta, roba moderna. Altroché. Allora si pensa che facendo produrre il detenuto (per pochi euro al giorno) significhi renderlo libero. Si sa, il lavoro rende liberi. C’era scritto, da qualche parte. Allora si pensa che ridurre la spesa diretta a muri di cinta e sbarre di ferro per investire dall’altra parte su luoghi diversificati, equivalga a rendere il sistema/carcere a misura d’uomo. Sì certo, proprio a misura d’uomo. Una cella per una persona. Un lavoro per ogni persona. Ha! Questa persona è un detenuto. Allora quello che (loro) pensano poi mettono in pratica. E non a caso la gestione delle galere in Italia è nelle mani di una società per azioni legata al ministero di grazia e giustizia.
Questa sarebbe la riforma. Da parte loro, governano la crisi sviluppando riorganizzazione nei confronti di una istituzione che è unica, in dialettica con le altre istituzioni. Da parte nostra invece si punta a riformare il singolo segmento, evitando di utilizzare strumenti dialettici per arrivare a fare un discorso complessivo. Per cui se c’è sovraffollamento bisogna costruire nuove carceri. Ma che le nuove carceri siano adeguate ai tempi. Per cui se una buona percentuale di detenuti ha a che fare con spaccio/utilizzo di stupefacenti, bisogna puntare ad una depenalizzazione dei reati legati agli stupefacenti. Che poi un “tossico” non può stare in galera, necessita di un luogo detentivo a parte, specifico, che non chiameremo più prigione ma bensì con un altro nome. E lo faremo produrre questo rinnegato della società del dio capitale. Riflessi. Ed esempi.
La domanda a questo punto nasce da sé: stiamo rincorrendo cosa per riformare che? Una istituzione che non lo è più (riformabile) da decenni? Il sistema di controllo, lo dice il termine stesso “insieme di più elementi che costituiscono un unico complesso“, oltre ad essere ad un punto di non ritorno, ha assunto nel corso delle sue trasformazioni, l’obiettivo di rispondere alla richiesta di annichilimento dei conflitti prodotti all’interno dello scontro di classe, in modo radicale, scientifico, chirurgico. Poche storie. L’unica risposta reale e di classe deve essere almeno alla pari, radicale, scientifica, netta. Il carcere - in quanto complesso - si abbatte, non si riforma.

NOTE:
1) Per approfondimenti: http://www.cjcj.org/index.php (sito del Center on Juvenile and Criminal Justice)
2) “Rural Prisons: The Development of Last Resort” (National Resources on Prisons and Communities)



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