SENZA CENSURA N.18

NOVEMBRE 2005

 

Euskal Herria: l’illegalizzazione di un popolo

 

La situazione attuale nelle parole di due protagonisti della lotta per l'autodeterminazione e contro la repressione.

Pubblichiamo gli interventi fatti da due compagni baschi ad una delle iniziative del giro promosso nel mese di ottobre dal Comitato Promotore della Campagna contro l’art. 270 C.P. e i reati associativi, intitolato “Paese Basco: laboratorio europeo della repressione”, finalizzato ad approfondire la conoscenza di quanto sta accadendo in relazione alla guerra al “terrorismo internazionale” e alla ricerca di momenti di solidarietà e lotta che possano, a partire dalla comprensione dei legami e delle analogie che a livello repressivo si stanno delineando ormai da tempo a livello europeo ed internazionale, rompere il silenzio e l’isolamento che si genera intorno a questioni scomode per molti, soprattutto quando si tratta di ammettere che un governo sedicente progressista e democratico come quello di Zapatero non ha fatto altro che portare avanti la stessa politica di tortura e censura di Aznar nei confronti dei baschi, dentro e fuori le carceri.
Quello che, in misura diversa, sta accadendo anche in Italia con la grossa quantità di inchieste per reati associativi nei confronti di esponenti di varie aree politiche e sociali, con l’adeguamento del Codice Penale alle necessità di “contrasto al terrorismo” (vedi Legge Pisanu-Castelli), con il perpetuarsi dell’isolamento nei confronti dei prigionieri politici attraverso l’applicazione del 41bis dell’Ordinamento Penitenziario dentro e le costanti attenzioni ad amici, familiari e compagni fuori, e molto altro ancora.
Il compagno intervenuto è avvocato membro di Behatokia, osservatorio basco per i diritti umani la compagna invece è rappresentante di una delle organizzazioni giovanili (Jarrai, Haika, Segi) processate dal tribunale speciale antiterrorista.

BEHATOKIA: Sono membro dell’Osservatorio Basco per i diritti umani, avvocato di prigionieri politici; attualmente nello stato spagnolo, per questa mia attività, sono accusato di essere membro dell’ETA e per me sono stati chiesti dieci anni di carcere.
Voglio tentare di tracciare alcuni elementi di comparazione tra la situazione che si vive oggigiorno in Euskal Herria e la dinamica di illegalizzazione che si sta verificando in Italia, perché penso che confrontarsi sul tema della repressione significa aprire spazi di libertà.
La Costituzione spagnola riconosce l’esistenza di nazioni storiche ma nega la possibilità della loro autodeterminazione; la Costituzione francese riconosce il diritto all’autodeterminazione però nega l’esistenza di nazioni sul suo territorio. Sono due percorsi per arrivare al medesimo punto: e cioè la negazione dell’esistenza e del futuro del popolo Basco.
Questo punto, insieme ad altre ragioni di ordine sociale, economico, politico e strutturale generano un conflitto politico che ha inoltre dure espressioni di violenza.
Negli ultimi anni si è verificato un inasprimento dei mezzi repressivi utilizzando la retorica antiterrorista in tutto il mondo.
Negli otto anni di governo del Partito Popolare è stata creata una legislazione antiterrorismo. Voglio illustrare i tre stadi attraverso i quali si è sviluppata questa politica antiterrorista: il primo riguarda come il governo ha affrontato l’esistenza dell’ETA e le persone sospettate di farne parte.
La legislazione antiterrorista permette una detenzione per cinque giorni durante i quali il prigioniero non ha alcuna possibilità di comunicare col mondo esterno, ne’ con i suoi familiari ne’ con un avvocato o con un medico.
Gli organismi internazionali più importanti hanno riconosciuto che durante questo periodo di “incomunicación” vengono praticate brutali torture. Hanno chiesto che il governo riducesse questi cinque giorni e di contro il governo del PP ha introdotto una riforma per ampliarli a otto ulteriori giorni, e non nelle mani della polizia ma dentro il carcere. E’ stato dimostrato che in questi otto giorni di detenzione in carcere non vengono praticate torture, ma tuttavia servono per far sì che scompaiano quelle inflitte nei primi 5 giorni in commissariato.
Un’altra cosa introdotta dal PP era che i prigionieri baschi non fossero condannati ad un massimo di trenta anni, ma che potessero stare in prigione fino a quaranta anni, senza che vi fosse alcuna possibilità di ridurre la loro pena. Questo riguarda 688 prigionieri politici che sono dispersi in 88 diverse carceri tra il territorio spagnolo e quello francese.
La politica della dispersione consiste precisamente nel fare in modo che questi prigionieri siano allontanati dal territorio basco, dal proprio luogo di origine, e dispersi in tutte queste carceri isolandoli fra di loro anche attraverso diversi blocchi all’interno delle carceri. Ci sono solo 11 prigionieri baschi in prigioni basche: questo non può essere una casualità.
Oltre a perseguire la distruzione come persone e come militanti dei prigionieri, questa politica presuppone una forma di punizione brutale nei confronti delle loro famiglie: i familiari infatti devono percorrere centinaia e a volte migliaia di chilometri per una visita di quaranta minuti; negli ultimi dieci anni 16 familiari sono morti in incidenti stradali mentre si recavano a far visita ai propri cari prigionieri. Se teniamo in considerazione che il popolo basco ha tre milioni di abitanti, negli ultimi trent’anni sono stati detenuti per motivi politici quindicimila persone, di cui seimila hanno denunciato di essere stati torturati. Con le limitazioni a realizzare il proprio desiderio di studiare, di comunicare con la propria famiglia, il diritto alla salute, si crea una situazione insopportabile.
Oltre a questo primo blocco di detenuti, che sono quelli sospettati di far parte di ETA, la legge ha introdotto un secondo blocco, costituito dai giovani che partecipano ad esempio a forme di sabotaggio, a quella che viene definita guerriglia urbana. Il governo del PP, attraverso una campagna di propaganda, ha fatto sì che una azione di sabotaggio spontaneo sia equiparato al reato di appartenenza ad una organizzazione terrorista.
Per esempio bruciare un cassonetto dei rifiuti a Valencia, Siviglia o Madrid comporta una multa per atti di vandalismo; per lo stesso motivo nel Paese Basco si può essere condannati fino a 16 anni di carcere, con giovani che oggigiorno sono detenuti con l’accusa di appartenenza ad organizzazioni armate solo per essere stati in possesso di una molotov.
Il ragionamento è stato questo: se è stato possibile estendere queste forme repressive dall’ETA alle organizzazioni giovanili, perché non estendere tale trattamento a tutti quei militanti che stanno lavorando in organizzazioni sociali, culturali o politiche.
A partire dal ’98 c’è stata una criminalizzazione di tutti questi movimenti; non perché ci sia stata una riforma legale, semplicemente c’è stata una reinterpretazione del Codice Penale per il quale il reato di appartenenza a banda armata si utilizza come se fosse chewing-gum, espandendolo come se al suo interno si possano avere anche attività che fino a quel momento erano state completamente pubbliche, legali e trasparenti.
Responsabile di questo cambiamento è stato in buona parte il giudice Garzón, magistrato dell’Audiencia Nacional, che è un tribunale antiterrorista a Madrid. Garzón afferma che qualsiasi organizzazione che abbia gli stessi obiettivi politici, la stessa ideologia di ETA, in realtà appartiene ad ETA. In questo modo il giudice Garzón in seguito illegalizzerà due periodici, una radio, una rivista, una organizzazione di solidarietà internazionale, due organizzazioni politiche, una organizzazione per la promozione del movimento sociale, una organizzazione giovanile e una di solidarietà con i prigionieri politici.
Le prove che portano contro tali organizzazioni sono nulle.
Hanno poi inventato un nuovo tipo di perito; il perito è un esperto che controlla una materia concreta: in questo caso il perito dovrebbe essere esperto dell’ETA, ma non è altro che un poliziotto; questo tipo di soggetto, che studia per anni ETA e analizza documenti di cui molti pubblici, arriva alla stessa conclusione del giudice Garzón, e cioè che tutto questo movimento sociale alternativo ampio appartiene ad ETA.
Un altro strumento che si sta utilizzando è la riforma della Legge dei Partiti politici. Nel 2002 si riforma la legge dei partiti e si introduce che qualsiasi partito che sia su posizioni contrastanti con i principi costituzionali stia fuori dall’ordinamento giuridico spagnolo. E cioè se un partito sta lottando contro la Costituzione perché essa non riconosce il diritto all’autodeterminazione del popolo Basco, esso può essere messo fuori legge.
Si è trovato un metodo giuridico per rendere illegale il partito politico di Batasuna e una volta consideratolo illegale si è applicato come se fosse un modello contro tutti quegli altri partiti che si sono presentati alle seguenti elezioni, perché sono stati considerati la continuazione di Batasuna, portatori degli stessi principi politici. Ciò ha avuto una implicazione evidente nell’ambito europeo: il PP ha portato all’UE quei partiti illegalizzati senza giudizio perché venissero inseriti nelle liste nere europee antiterroriste.
Ad esempio le organizzazioni di cui noi facciamo parte hanno subito la stessa sorte, senza che fosse celebrato alcun processo in cui aver la possibilità di difendersi. Noi, come piccole organizzazioni, abbiamo fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani per appellarsi al diritto di presunzione di innocenza. Quello che è vero è che questa struttura repressiva è stata costruita sotto il governo del PP. Il cambio di governo da due anni a questa parte, passato al PSOE (Partito Socialista dei Lavoratori Spagnolo) non ha mosso un dito per cambiare le cose. Alcune volte ha permesso alcune cose però solo in base ai propri calcoli elettorali. Questo è un po’ il pacchetto di misure su cui dobbiamo agire.
Oggi possiamo dire che nel Paese basco si sta praticando un laboratorio di metodi repressivi. Vi chiediamo di conoscere questa situazione non solo da un punto di vista di solidarietà ma perché credo che anche a voi, in una certa misura, vi riguardi.
Nel Paese Basco abbiamo proposto alternative e abbiamo sviluppato una politica di dissenso ed opposizione, ed è per questo che ci hanno attaccato con queste misure repressive. Nelle forme in cui anche voi mettete in campo una politica di dissenso ed opposizione, anche il governo italiano vi risponde con le forme più alte di repressione.
E così come noi poniamo attenzione a come si stanno sviluppando le cose in Italia così ci auguriamo che voi siate attenti a ciò che sta succedendo in Euskal Herria. Voglio terminare augurando il miglior proseguimento a questa Campagna contro l’articolo 270 e i reati associativi.

SEGI: La sinistra indipendentista basca è composta da una serie di gruppi, piattaforme ed organizzazioni il cui referente politico è Batasuna. Però queste organizzazioni sono indipendenti e funzionalmente autonome una dall’altra. Hanno uno stesso obiettivo, che è quello di raggiungere l’indipendenza e il socialismo in Euskal Herria. Quindi Segi è un’organizzazione indipendente.
Il movimento giovanile ha subito due attacchi negli ultimi sei anni: nel 2001 l’organizzazione da cui deriva Segi, Haika (che significa “alzati!”) è stata illegalizzata e i suoi sostenitori incarcerati. Dopo questa esperienza abbiamo deciso di fondare Segi, che è la continuazione del movimento precedente, ma è successa la stessa cosa, dopo un anno l’hanno chiusa e incarcerato i suoi membri. Il loro obiettivo era quello di fermare questo movimento giovanile da anni in lotta in Euskal Herria. Questo movimento quest’anno compirà 25 anni. Le ragioni per cui ci hanno illegalizzato sono chiare, in quanto noi giovani siamo rivoluzionari ed anticonformisti, e in questi anni abbiamo lavorato in modo autonomo all’interno della compagine politica, mettendo in difficoltà sia il governo del PSOE che la borghesia basca. Ciò è stato messo in atto attraverso leggi speciali dirette contro i giovani tese a criminalizzare il movimento e a bloccarne le speranze. Ci dicevamo che eravamo troppo giovani per far politica ma abbastanza vecchi per andare in carcere ed essere torturati. L’effetto sortito è stato il contrario perché abbiamo deciso di non cambiare il nome e andare avanti con la solita organizzazione, che è cresciuta e si è rafforzata. Per questo abbiamo raggruppato altri giovani e sosteniamo che i giovani debbano avere voce e diritto alla lotta. Per questo seguiamo due cammini distinti: il primo è rendere pubblico e dialogare con i responsabili politici della situazione del popolo Basco e dei suoi giovani. Dall’altra parte, cerchiamo di rispondere non solo ai problemi dei giovani baschi ma di quelli che in tutto il mondo vivono sotto regimi capitalistici. Quello che primariamente intendiamo fare è creare una coscienza critica per far fronte a questo tipo di problemi perché pensiamo di dover creare persone indipendenti e soprattutto persone indipendenti che vivono in un popolo indipendente.
Per questo stiamo cercando di agire in ambiti diversi dove pensiamo che i giovani abbiano diritto di intervenire. Quindi dal punto di vista del sistema educativo cerchiamo di far fronte a una educazione che è unica ed imposta, cercando di creare la possibilità di avere una cultura propriamente basca.
Cerchiamo di interpellare i responsabili e di far fronte a queste situazioni e lavoriamo inoltre col sindacato della sinistra indipendentista per trovare una soluzione. Reagendo a un sistema consumista vogliamo creare spazi sociali autogestiti fatti dai giovani per i giovani.
Quello che abbiamo fatto finora è questo ed è la ragione per cui ci hanno messo al bando.
Ciò che cercheremo di fare è avvicinare ancora più giovani alla lotta, pur sapendo che esistono diversi livelli di compromesso. Quindi sperimentiamo diversi modi di lottare, e vogliamo costruire uno spazio per tutti i giovani che hanno voglia di lottare, per piattaforme e movimenti alternativi, per costruire un movimento giovanile ampio e determinato. Ciò che possiamo dire è che al momento stiamo facendo queste cose in una situazione di “normalità” politica più o meno accessibile, più o meno migliore di quanto è successo finora. In questo momento non stiamo lavorando in una vera e propria legalità ma stiamo facendo passi per conseguirla e superare questo momento.
Come abbiamo ricordato prima, recentemente c’è stato un giudizio contro questi movimenti giovanili, durante il quale è stato riconosciuto che il lavoro di queste associazioni è stato veramente di natura politica e sociale e che non avevano niente a che vedere con una associazione terroristica; ma se da un lato la società ha quindi potuto vedere il nostro reale modo di lavorare, dall’altro la condanna per terrorismo e l’illegalità restano valide.
Quello che sta succedendo a tutta la sinistra indipendentista è una situazione di passaggio tra la illegalizzazione e la normalizzazione. Per questa ragione sia a livello interno sia internazionale si sta parlando di una risoluzione del conflitto in Euskal Herria, ma ci sono molta intossicazione mediatica e speculazioni in proposito. Ciò su cui hanno interesse è chiarire una questione: da un lato è vero che c’è una situazione più distesa, però ci sono sia una verità che una menzogna su questa situazione: lo Stato spagnolo va avanti con la sua struttura repressiva e dall’altro lato l’ETA continua nella sua attività armata; è vero anche che la strategia di annichilimento della sinistra indipendentista è fallito, e dall’altro lato c’è stato un cambio di governo per il quale si supponeva un cambio di atteggiamento, ed ETA ha rilasciato delle dichiarazioni in cui sostiene che è arrivata una possibilità di risoluzione del conflitto politico e Batasuna mette sul tavolo una proposta di risoluzione del conflitto politico, secondo la quale tutti i partiti sono chiamati a fare proposte per la risoluzione del conflitto.
L’ultima verità è che oggi si parla di autodeterminazione, di territorialità e che si tiene conto delle sette province che fanno parte del Paese Basco. Questa è una conseguenza di lotte decennali: molti autonomisti e regionalisti arrivano a questo concetto di autodeterminazione mentre fino a qualche anno fa criticavano la sinistra indipendentista per questo tipo di rivendicazioni.
Al momento pare che ci siano delle opportunità politiche reali ma quello che bisogna testare è se ci sia una volontà politica reale, in modo che si possa comprendere se stiamo realmente arrivando a una fase finale del conflitto politico o se saremo obbligati a continuare in questa situazione.
Tutti noi giovani viviamo una stessa condizione e possiamo tutti aiutarci reciprocamente nelle nostre lotte.



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