SENZA CENSURA N.19

marzo 2006

 

Regional cooperation, Peace enforcement and the role of the treaties in the Balkans
 

In concomitanza con il convegno sui Balcani (di cui sotto riportiamo un ampio resoconto) il 21 gennaio è stata organizzata a Forlì una giornata di mobilitazione contro la Nato e le sue politiche guerrafondaie. Numerose le strutture locali che hanno promosso in mattinata un presidio nel centro città e nel pomeriggio un controconvegno. Per ulteriori informazioni: red-ghost@libero.it
 

La conferenza internazionale tenutasi a Forlì il 20-21 gennaio è organizzata da soggetti di emanazione universitaria (Università degli studi di Bologna che a Forlì vede decentrata tra le altre, il corso di studi in Scienze politiche internazionali e l’americana Johns Hopkins University che ha una sua sede a Bologna), sostenuta dalle istituzioni locali e supportata dalla divisione “Public Diplomacy” della NATO, dal Ministero degli Affari Esteri italiano, dalla Regione Emilia Romagna.
Scopo dichiarato della conferenza era quello di analizzare la situazione attuale nei Balcani e proporre raccomandazioni alle istituzioni politiche al fine di permettere una più stabile gestione degli aspetti istituzionali, economici e politici nell’area in oggetto.


La conferenza viene organizza nel primo giorno con 4 tavole rotonde relative a 4 temi:
1) la dimensione politica - l’integrazione Europea ad un bivio: congelare l’allargamento o rafforzare la strategia “tessalonica”
2) la dimensione costituzionale - costituzione e buon governo: quali le sfide delle relazioni Centro-periferia
3) la dimensione economica - quali sono le opportunità per la cooperazione economica nella regione e nell’area adriatica
4) la dimensione sicurezza - cosa significa sicurezza nell’area sud-est europea? Quale il ruolo della NATO e della forza di interposizione europea nella regione
Il secondo giorno, in riunione plenaria, vengono esposte le considerazioni raggiunte durante le tavole rotonde.
Quanto emerge dalla riunione plenaria è un’oggettiva difficoltà a gestire una situazione che non è stabilizzata pressoché in nessun punto preso in considerazione.
La strategia di allargamento dell’Unione Europea verso l’area balcanica nel suo complesso, non viene messa in discussione ma ritengono necessario considerare tempi più lunghi di quanto previsto in virtù di una scarsa fidelizzazione delle élite politiche, soprattutto locali, e della popolazione nel suo complesso. Il suggerimento che la conferenza ritiene di proporre è quella di un’azione mirata a gruppi target da identificare soprattutto nelle istituzioni universitarie e nelle amministrazioni locali, al fine di sensibilizzarle e fidelizzarle all’idea di Unione Europe. Il compito di questi gruppi target è poi quella, di portare la popolazione, tramite le funzioni che sono loro proprie e quindi l’insegnamento e l’eventuale disponibilità di danaro, a considerare l’Unione Europea cosa desiderabile.
In sostanza il tentativo è quello di creare una testa d’ariete che nel medio-lungo periodo, sia in grado di trasmettere alle nuove generazioni le idee, i metodi e il pensiero dell’”Europa che sta di qua”, e di incassare il consenso delle élite politiche locali e della popolazione in generale, tramite operazioni che vedono fondi elargiti dai paesi membri UE investiti in opere molto probabilmente utili ma donati con smaccato intento propagandistico.
La seconda tavola rotonda ha dovuto affrontare aspetti sicuramente più complessi e per i quali non sono riusciti ad essere propositivi. L’aspetto istituzionale/costituzionale è più difficilmente controllabile ma non è sicuramente impossibile “fornire suggerimenti” per creare un assetto di stabilità “amica”. Se non fosse che la costituzione multietnica dell’intera area del sud est europeo, mette l’UE di fronte a questioni che pare non avere i mezzi culturali per risolvere. Il ricco crogiuolo di etnie aveva sepolto le asce di guerra della seconda guerra mondiale grazie all’azione di Tito e alla lunga mano dell’URSS, ma è tornata, con la morte del primo e la dissoluzione della seconda, a dissotterrare quelle stesse asce in occasione degli ultimi eventi bellici e pare non volerle mettere da parte.
In questo contesto l’idea della conferenza è quella di tentare di creare quella che hanno definito una “coscienza civile e costituzionale” senza però essere in grado di sviluppare il concetto. Le categorie che hanno in mente appartengono probabilmente all’Europa degli Stati nazionali con minoranze esigue, a volte riconosciute e tutelate, perché non pericolose per l’integrità dello Stato, a volte perseguitate, quando l’integrità dello Stato viene messa in discussione. Si rendono pertanto conto che l’operazione non può essere di pura ingegneria costituzionale ma anche culturale. Ma qui alzano impotenti le mani.
Dove non alzano le mani è su tutti gli aspetti economici che riguardano l’area. Il rapporto dettagliato della situazione mostra a chiare lettere un mercato semivergine che pur presentando oggettive difficoltà offre a chi fosse lungimirante, opportunità difficilmente reperibili così vicine a casa.
I bassi salari a fronte di una forza lavoro altamente specializzata, la futura privatizzazione di tantissime ex aziende e servizi di stato, la futura liberalizzazione dei mercati nella regione, la creazione di zone di libero scambio oltre alla massiccia presenza italiana all’interno degli istituti di credito balcani, vale sicuramente le difficoltà di investire in un mercato ancora poco sviluppato, in un economia con un deficit per ora altissimo ed in un contesto istituzionale instabile.
Cosa serve quindi a un quadro così dipinto? Fiducia.
Gli investitori “occidentali” stentano ancora a fidarsi della situazione perché ritenuta appunto instabile dal punto di vista istituzionale e della sicurezza. Viene quindi chiamata in causa la quarta tavola rotonda: quale il ruolo militare nell’area: fornire sicurezza o meglio senso di sicurezza in modo diretto, e quindi con la loro presenza in aree economicamente strategiche, e in modo indiretto attraverso l’addestramento delle forze dell’ordine locali. Resta comunque necessaria la forza di interposizione, almeno fino a quando non saranno riusciti a sotterrare le asce del conflitto interetnico di cui sopra.
Sanno, lo hanno detto, che avere appoggiato le élite nazionaliste è stato molto utile in tempo di guerra sia dal punto di vista delle strategie militari ma soprattutto per quelle mediatiche, e sanno altresì che ora forse è meglio cambiare cavallo e cercare/creare una classe dirigente più moderata, che smetta di dar fuoco alle polveri del nazionalismo e che accetti “le opportunità che l’Unione Europea offre loro”.
Si tratta quindi di nascondere un po’ ma non troppo le armi, quelle che sparano, per cominciare una guerra silenziosa che nessun media riporta, e che quindi non esiste, ma che forse è più distruttiva di quella fatta con le bombe. Si tratta di distruggere un’identità, una cultura forse anche una storia per sostituirla con un’altra, decisa dai paesi che quella terra sono andati a prendersela con le armi.


 



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