SENZA CENSURA N.21

novembre 2006

 

Violenza settaria in Iraq

La violenza settaria in Iraq e la nuova guerra in Medio Oriente. Gli USA incrementano il numero di effettivi in Iraq e “rioccupano” Baghdad (di Carlos Varea)

 

Pubblichiamo anche su questo numero della Rivista alcuni contributi apparsi sul sito della campagna “contra l’ocupation y Por la Soberania de Iraq” (www.iraqsolidaridad.org) che danno un quadro aggiornato dell’evoluzione della situazione irachena, soprattutto rispetto agli sviluppi successivi all’insediamento del nuovo governo, e dopo l’apertura in Libano, con l’aggressione israeliana, del “terzo fronte” della “Guerra al terrorismo” iniziata nel 2001.
Il tentativo di divisione etnico-confessionale dell’Iraq, fomentata dagli occupanti e sostenuta da coloro che hanno con essi interessi parzialmente convergenti è da tempo al centro della riflessione di SC.
Così come è stato al centro della nostra ricerca e riflessione, sin dall’inizio dell’insorgenza irachena contro il dominio neo-coloniale, lo stato dell’arte della Resistenza che, è bene ricordarlo, nel solo mese di ottobre del 2006 ha liquidato circa 100 marines e che il 10 ottobre, tra l’altro, ha attaccato, distruggendola parzialmente, la Base Falcon, a sud di Baghdad, una delle basi più importanti per quanto riguarda la fornitura di munizioni per le truppe USA.
Entrambi i contributi sono di Carlos Varea, che è coordinatore della campagna sovracitata, di cui abbiamo già tradotto e pubblicato altri articoli sui numeri precedenti.
Pubblichiamo inoltre un comunicato del Fronte Patriottico Nazionalista e Islamico dell’Iraq sull’aggressione sionista contro il Libano: La resistenza irachena incrementa le sue azioni armate in solidarietà col Libano e la Palestina, e una scheda sul contratto recentemente stipulato tra il governo di centro-sinistra e il governo fantoccio iracheno, per la costruzione di quattro pattugliatori militari per la “nuova” Marina irachena, navi che verranno prodotte da FINMECCANICA nei cantieri liguri di FINCANTIERI.

 

La violenza settaria in Iraq è un fatto indiscutibile. Non lo è il fatto che sia l’espressione di uno scontro civile o religioso tra comunità che hanno convissuto o si sono mescolate nei secoli. Non è una guerra che affronta sunniti contro sciiti o arabi contro kurdi, ma piuttosto correnti settarie e arretrate incoraggiate dagli occupanti e interessate alla sparizione dell’Iraq.
In primo luogo, la violenza settaria in Iraq ha come obiettivo lo sradicamento del campo contrario all’occupazione, dei settori laici e secolari della società, l’eliminazione fisica dei suoi intellettuali e professionisti, la perdita dei diritti civili e delle donne, l’espulsione delle comunità minoritarie, in alcuni casi estranee alla spirale di violenza. La violenza settaria in Iraq ha come obiettivo finale lo smantellamento dello stato Iracheno e la frattura della sua società, anticipazione dello smembramento territoriale del paese e della gestione oligarchica delle sue risorse energetiche.
Questo è il suo aspetto strategico. La presunta “guerra civile” in Iraq esprime il conflitto tra il progetto di emancipazione della resistenza – la ricostruzione di uno stato pienamente sovrano, di gestione pubblica e sociale delle risorse, integratore e democratico- e il modello opposto di divisione settaria del paese in entità territoriali gestite da forze arretrate e sottomesse ad interessi stranieri.
La responsabilità di ciò che accade in Iraq è, in primo luogo, degli occupanti che hanno introdotto il germe delle confessioni nelle nuove istituzioni da essi istituite ed hanno aperto il paese alla rete di Al Qaida, come alle trame dei servizi segreti propri o di paesi terzi che si nascondono dietro a questo nome. In secondo luogo, la responsabilità di ciò che occorre in Iraq è delle forze che hanno aperto il paese a confessioni reazionarie e alla frattura settaria.
Certamente, la comparsa di Al Qaida in Iraq e dei suoi attacchi indiscriminati hanno favorito questa logica già esplicita di pulizia etnica e di omogeneizzazione confessionale o etnica, ma mai possono giustificarla. La maggioranza degli attentati attribuiti ad Al Qaida sono infatti opera di trame oscure – degli stessi occupanti, delle nuove autorità, o dei servizi segreti di paesi terzi- o di un piccolo contingente di militanti, per la maggior parte stranieri, sistematisi in Iraq grazie all’occupazione e che tengono conto dell’espresso rifiuto della popolazione, della sua resistenza armata.
Se alla fine la violenza settaria in Iraq assumerà la forma di una “guerra civile” (come massimi responsabili britannici e comandi militari statunitensi già prevedono che possa accadere) questa sarà stata il risultato, in primo luogo, della stessa logica imposta dagli occupanti e del sostegno dato da questi alla guerra sporca dei paramilitari; in secondo luogo, della dinamica interna allo stesso campo collaborazionista che, insieme agli interessi di paesi terzi (nel caso delle formazioni kurde per Israele e di quelle di confessione sciita per l’Iran), desidera creare una frattura in Iraq per poter gestire autonomamente le risorse petrolifere del nord e del sud del paese.
Questo, senza dubbio, non era il progetto iniziale degli occupanti, che speravano di poter controllare facilmente il paese per mezzo di un governo centrale liberale e formalmente democratico. La loro responsabilità non è per questo minore. E così è per i loro principali soci interni collaborazionisti: la nuova oligarchia kurda e la confessione politica sciita. Stati Uniti e Regno Unito provano ora a non perdere del tutto: adeguarsi a questa realtà – la divisione effettiva dell’Iraq in tre entità- o tentare di invertirla parzialmente. Da parte sua, la resistenza civile e militare irachena combatte già su entrambi i fronti: contro l’occupazione e contro il settarismo.
Senza dubbio la guerra che vede Israele impegnato contro Libano e Palestina avrà il suo impatto sull’evoluzione della situazione interna irachena, come vedremo alla fine.

La scalata della violenza settaria
Secondo dati ufficiali iracheni, più di 180.000 persone (30.000 famiglie) sono diventate rifugiati a partire dall’esplosione della cupola della moschea di Samara il 22 febbraio – un’azione di cui non si conosce ancora l’autore- una cifra senza dubbio minore di quella reale se solo includiamo le famiglie che si sono registrate come tali. Quasi 30.000 di questi rifugiati sono fuggiti dalle proprie case a Baghdad negli ultimi 5 mesi. La loro appartenenza comunitaria è ugualmente suddivisa tra sunniti e sciiti. Questa già chiamata da tutti “guerra civile” si nutre, per una parte, degli attentati indiscriminati con auto-bomba perpetrati da organizzazioni che si suppone essere legate alla rete di Al Qaida in Iraq (cioè correnti radicali sunnite Takfiriste) e per l’altra si nutre delle uccisioni di sunniti e di persone legate al campo contrario all’occupazione perpetrate da paramilitari sciiti interni agli apparati di sicurezza, in concreto le Brigate (ora Organizzazione) Badr, del Congresso Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq (CSRII), e la milizia del chierico as-Sader, l’esercito del Mahdi.
Il salto di qualità occorso nel mese passato (luglio) è la comparsa di grandi operazioni (assalti a quartieri, falsi controlli nelle strade, sequestri di massa) realizzate da gruppi di entrambe le correnti settarie, con il conseguente assassinio di decine di persone secondo la propria appartenenza comunitaria, spesso stabilita esclusivamente per il nome di battesimo sul loro documento di identità che, in Iraq, non include l’affiliazione etnica o religiosa. Molto significativamente queste operazioni si stanno svolgendo alla piena luce del giorno e con la partecipazione di grandi gruppi di uomini armati che si dispiegano su veicoli con armamenti pesanti, senza che le truppe di occupazione o dei nuovi corpi di sicurezza iracheni intervengano o perseguano successivamente gli aggressori; e si consideri che spesso le mattanze si svolgono vicino a distaccamenti che necessariamente devono sentire le detonazioni. Tali atti possono essere considerati di chiara pulizia etnica (confessionale, più precisamente) e comportano a Baghdad lo stabilirsi di aree confessionali pure che si legano con zone periferiche del centro o dell’ovest del paese di maggioranza sunnita o sciita, chiara anticipazione della frattura territoriale di fatto del paese. Conseguire l’egemonia settaria nella capitale (o in settori di essa) è essenziale nel futuro disegno delle entità territoriali di un Iraq diviso secondo criteri comunitari.
Ugualmente, a Bassora sono state praticamente espulse le comunità cristiana e sunnita e fisicamente eliminati i loro settori secolari (è stato sistematico l’assassinio di insegnanti, per esempio) e di sciiti moderati da parte dei paramilitari di distinte organizzazioni confessionali sciite, che a loro volta si scontrano esse stesse per il controllo delle esportazioni e del mercato nero del petrolio. Nelle ultime settimane, paramilitari sciiti si sono dispiegati nello stesso modo fino a Kirkuk, dove la violenza esercitata dai peshmerga kurdi (a loro volta integrati nelle nuove forze di sicurezza e militari) contro altre comunità già anticipa la battaglia per il controllo di una zona strategica dal punto di vista delle risorse energetiche.
E’ evidente che, sebbene le forze di sicurezza poliziesche e militari irachene siano cresciute dai 169.000 effettivi di un anno fa agli attuali 264.000, il deterioramento della situazione interna in materia di sicurezza va al galoppo. Di più: l’incremento della violenza e della compartimentazione settaria effettiva della capitale e di altre zone del paese è dovuta precisamente alla proliferazione di servizi e forze di sicurezza che, siano formalmente affiliate al nuovo governo o siano private, sono state formate secondo criteri settari o sono state infiltrate da milizie confessionali. Secondo un alto comando militare statunitense in Iraq, dei 26 battaglioni di polizia “cinque o sei hanno capi che li utilizzano in maniera criminale o settaria, quando non in entrambi i modi”. Come segnalano Cordesman e Sullivan, “dagli inizi del 2006 le milizie sono arrivate ad essere una minaccia praticamente in tutte le province, città ed aree dove la resistenza ha una presenza limitata”. Un’altra ipotesi di questa stessa affermazione è che gli occupanti hanno perso il controllo del territorio, in alcune zone a favore della resistenza, altrove a favore delle milizie settarie delle formazioni sciite che sono, insieme a quelle kurde di Talabani e Balzani, i loro principali alleati interni ed egemoni nelle nuove istituzioni.

La rioccupazione di Baghdad
Quest’estate il Pentagono ha deciso di rioccupare Baghdad mandando nella capitale fino a 5.000 soldati con carri armati e veicoli corazzati al fine di frenare – così si dice- la violenza settaria in città. I primi 3.700 effettivi cominciavano a pattugliare la capitale lo scorso sabato 4 agosto. Ad essi si aggiungeranno altri 4.000 soldati iracheni. Allo stesso modo, le truppe britanniche già da diverse settimane tentano di recuperare il controllo perso in ampie aree come Bassora e Amara, città del sud dell’Iraq.
Il Pentagono è dovuto ricorrere a truppe dispiegate nel nord del paese (due battaglioni di brigata 172 Stryker dell’Esercito e fino a cinque compagnie della polizia militare), sebbene arriverà anche a Baghdad un battaglione di artiglieria dal Kuwait. A questi primi effettivi inviati nella capitale è stato applicato il mezzo impopolare di prolungare di quattro mesi il periodo di servizio in Iraq, che è di un anno. Secondo il tenente generale dell’esercito Peter W. Chiarelli, comandante delle operazioni in Iraq, queste truppe aggiuntive avranno la funzione di “…forze di reazione rapida per rispondere a scontri settari”.
Con l’invio del contingente dal Kuwait e il prolungamento del servizio di altre unità, gli USA avranno di nuovo superato i 130.000 soldati in Iraq. Questo nuovo aumento di truppe statunitensi evidenzia due cose: in primo luogo, la dubbiosa consistenza del calendario di riduzione delle truppe durante il 2006 annunciato dal generale Casey, e in secondo luogo l’insolvenza e debolezza estreme del nuovo governo di al-Maliki. Di conseguenza, la sfida ancora tutta aperta per USA e Regno Unito di garantire un minimo controllo dell’Iraq.
Nell’anno delle elezioni l’amministrazione Bush fingeva di mostrare avanzamenti effettivi in Iraq, in particolare la riduzione dell’implicazione militare diretta statunitense; cioè, minore numero di truppe e minor numero di perdite. Così dall’autunno del 2005 il Pentagono sta cercando di ridurre le sue perdite in combattimento cedendo a forze irachene o perdendo il controllo territoriale, o ricorrendo abusivamente al suo potere aereo e navale nelle zone sotto egemonia della resistenza. Invece, nel 2006 si è mantenuto il numero ufficiale di sodati USA morti in combattimento in una media di due al giorno, qualcuno meno a luglio (30 perdite) però recuperata ad agosto. In più, senza un incremento sostanziale di effettivi totali statunitensi, il passaggio di truppe dalle aree sotto il controllo totale o parziale della resistenza a zone di violenza settaria (oltre che verso la capitale, verso altre quattro province almeno delle 18 in cui è diviso l’Iraq) sembra che debiliti la lotta controguerrigliera, quando non versa in circostanze di assumere più perdite proprie. Alti comandi militari in attivo o di riserva, oltre ad analisti, ripetono in questi giorni che l’attuale dispiego di truppe in Iraq è insufficiente per controllare il paese.
L’invio di un maggior numero di truppe USA a Baghdad presuppone inoltre il riconoscimento da parte dell’amministrazione Bush del fallimento del piano di sicurezza per la capitale messo in moto a giugno dal primo ministro al-Maliki, piano in cui le nuove forze di sicurezza irachene, e non le truppe USA, dovrebbero sostenere il ruolo principale. Il 31 maggio, il piano di sicurezza di Baghdad seguiva la dichiarazione di stato d’emergenza a Bassora, la seconda città del paese. Però nonostante i mezzi imposti nella capitale (coprifuoco, controlli e pattuglie) e le aspettative dopo l’uccisione di Al-zarkawi il 7 giugno in un attacco aereo statunitense, la spirale di violenza settaria che vive l’area metropolitana di Baghdad dall’inizio dell’anno non solo non è diminuita ma è aumentata in modo spettacolare.

Al Qaeda e i paramilitari sciiti
Il fallimento del piano di sicurezza di al-Maliki per Baghdad va attribuito a fazioni interne allo stesso governo iracheno, che stanno dietro l’escalation della pulizia etnica degli ultimi mesi contro la comunità sunnita, nella capitale e nel suo circondario metropolitano, La spirale di violenza settaria pone in evidenza lo scontro dentro allo stesso campo confessionale sciita collaborazionista e il definitivo sganciamento degli interessi USA e del regno Unito dalle correnti più apertamente filo-iraniane del governo iracheno.
Come bisognava prevedere con la morte di al-Zarkawi e così come segnalano documenti recenti della stessa organizzazione, la rete di Al Qaeda in Iraq ha radicalizzato la sua esplicita campagna di terrore contro la comunità sciita nella capitale e nella sua periferia meridionale, ricorrendo ad auto-bomba in quartieri di maggioranza sciita e più di recente ad assalti in aree miste, come quello compiuto a Mahmudiya, a sud della capitale, lo scorso 17 luglio.
Tuttavia, comandi militari statunitensi riconoscono che la violenza settaria sviluppata da paramilitari di affiliazione confessionale sciita sta causando più vittime degli attentati con auto-bomba attribuiti ad Al Qaeda o gruppi affini. Nei primi 5 mesi del 2006 i paramilitari hanno ucciso, sequestrandole, 6.000 persone solo nella capitale. A giugno, l’obitorio centrale di Baghdad ha ricevuto 1.595 corpi, una cifra ancora maggiore rispetto ai mesi precedenti. Questo istituto riceve da 35 a 50 cadaveri al giorno, la maggior parte dei quali riportano segni di tortura (la firma degli squadroni della morte sono i segni dell’uso di trapani e le orbite degli occhi vuote). Nel complesso, i dati ufficiali iracheni raggiungono una cifra di 14.338 iracheni uccisi tra gennaio e giungo 2006.
La violenza settaria perpetrata dalle formazioni paramilitari sciite sta avendo un impatto tanto brutale dovuto a due fattori. Il primo, per il quale ha contato – almeno fino alla designazione di al-Maliki, come ora vedremo- la tolleranza della diretta implicazione delle forze di occupazione, che hanno visto negli squadroni della morte la più efficace formula di annichilimento del campo civile secolare e contrario all’occupazione, e di sottomissione con il terrore della comunità sunnita, considerata il bacino principale della resistenza. E’ la cosiddetta “Opzione El Salvador” che senza dubbio ha dato benefici agli occupanti provocando prima l’esodo di migliaia di professionisti, professori, intellettuali, donne e attivisti, con la conseguente rovina della rete di organizzazioni politiche, sindacali e sociali create nei primi mesi di occupazione.
Il secondo fattore –chiaramente legato al primo- è dovuto al fatto che i paramilitari sciiti si sono avvalsi dei nuovi corpi di sicurezza iracheni, soprattutto della polizia e dei suoi corpi speciali, come anche della Guardia Nazionale e degli eserciti privati del cosiddetto Servizio di Sicurezza per i rifornimenti e le installazioni. Così, la formazione militare del Congresso Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq, la principale organizzazione della coalizione governativa sciita Alleanza Unita Irachena, diretta da Abdul Aziz al-Hakim, l’Organizzazione Badr, fondata in Iran nei primi anni ’80 come corpo della Guardia della Rivoluzione con 20.000 membri, si è avvalsa dei corpi speciali di sicurezza del Ministero degli Interni per dare copertura ai suoi squadroni della morte, come denunciano le Nazioni Unite e riconoscono gli stessi occupanti.
Da parte loro, gli squadroni della morte della milizia del chierico as-Sader, l’esercito del Mahdi, con 10.000 effettivi, operano uniformati come corpi privati di sicurezza dei ministeri che controllano (5 nel nuovo governo di al-Maliki), e ugualmente da dentro la Polizia, sebbene realizzino assalti contro quartieri di Baghdad (per esempio, quello di Adamiya) con le loro uniformi nere. Badr e l’Esercito del Mahdi si dividono così gli stimati 65.000 membri dei distinti corpi di sicurezza del Ministero degli Interni dispiegati a Baghdad. Inoltre, l’affiliazione settaria dei battaglioni della Guardia Nazionale ha determinato che gruppi paramilitari sciiti contino abitualmente sull’appoggio di soldati iracheni durante i loro attacchi, come è successo nei successivi tentativi di penetrazione nel quartiere di Adamiya da aprile, ai quali secondo testimoni oculari hanno preso parte truppe statunitensi.

 

Verso il federalismo settario
La violenza dei paramilitari sciiti si presenta abitualmente nei mezzi di comunicazione come difensiva, cioè come legittima risposta di questa comunità agli attacchi di massa di Al Qaeda, o davanti al tentativo della resistenza di invertire la situazione interna creata attraverso la caduta del regime di Saddam Hussein. Questa è la considerazione che permette di argomentare che ciò che accade in Iraq è l’anticipo di una guerra civile. Tuttavia, la crescita esponenziale della violenza da parte dei paramilitari sciiti nel 2006 risponde essenzialmente agli scontri interni allo stesso campo collaborazionista di confessione sciita, come già abbiamo sottolineato.
Gli USA hanno imposto l’elezione di Nuri al-Maliki, un uomo irrilevante e insignificante, come nuovo primo ministro del primo governo non ad interim dell’Iraq, opponendosi apertamente al precedente al-Yaafari, il candidato di Teheran, che Washington e Londra accusavano di dare copertura, dentro i nuovi apparati di sicurezza, a squadroni della morte alimentati dalle milizie di Badr e dell’esercito di Mahdi. La designazione di al-Maliki ha visto per mesi la ferrea opposizione dei protettori di al-Yaafari, le formazioni politiche di entrambe le milizie: il CSRII e la corrente as-Sader, rispettivamente. Con 30 dei 275 seggi del nuovo Parlamento, il nullaosta finale di as-Sader alla designazione di al-Maliki gli è valso 5 ministeri nel suo governo e mesi di tolleranza statunitense perché i suoi squadroni della morte operino con piena impunità contro la comunità sunnita e i settori laici.
L’amministrazione Bush vuole da al-Maliki che favorisca il mantenimento, dentro il denominato “processo politico”, di formazioni politiche sunnite (fondamentalmente, il Partito islamico) al fine di dare allo stesso l’apparenza di unitario (però, si noti, sempre in chiave confessionale) e con esso, se possibile, favorire la sospensione del fuoco di settori islamici sunniti moderati della resistenza. E’ la logica che soggiace al già dimenticato progetto di riconciliazione presentato da al-Maliki lo scorso 25 giugno.
Così, la pretesa degli USA di stabilizzare minimamente la situazione interna e lo stesso compromesso del governo di al-Maliki includono necessariamente il porre un limite alle azioni dei paramilitari sciiti e degli squadroni della morte. La logica è semplice, come spiega al-Abdul Ilah al-Bayati: “la cosa fondamentale è dare l’impressione che l’Iran e gli squadroni della morte, controllati direttamente o indirettamente da questo paese, costituiscano il vero pericolo sull’Iraq. E che, di conseguenza, la resistenza araba debba cooperare con gli USA e con il regime di occupazione, per respingere questo pericolo. Nessun patriota nel suo sano giudizio, né nessuna persona cosciente, può cadere in questa trappola, indipendentemente da che si trovi un compromesso o meno nella resistenza nazionale armata. Tutti sono coscienti che il “processo politico”, per quanto lo mascherino, può riassumersi così: il potere ai collaborazionisti e il petrolio agli USA. Il cambiamento di collaborazionisti non altera il progetto”.
In tale impegno, né gli USA né il Regno Unito né al-Maliki contano su un grande appoggio all’interno dello stesso governo. Molto significativamente, in chiara contrapposizione alle pretese di al-Maliki, il leader del CSRII e prima capo delle Brigate Badr, Abdul Aziz al-Hakim, approfittava del terzo anniversario della morte in un attentato di suo fratello Baqir (24 luglio) per avvertire a Nayaf gli occupanti che non interferiscano nello sforzo di sradicamento del “terrorismo”, identificato da lui nella resistenza baathista e in Al Qaeda.

Al-Hakim, che dimostra un chiaro appoggio ad alcuni corpi di sicurezza accusati insistentemente di promuovere la violenza settaria e di dare copertura agli squadroni della morte, ha affermato in riferimento agli USA che “il tema della sicurezza in Iraq deve ricadere sui corpi di sicurezza e nessuno dovrebbe interferire in ciò”. Al-Hakim ha fatto inoltre riferimento alla formazione di “comitati di difesa” nei quartieri, un invito a moltiplicare ancora di più le strutture paramilitari. Allo stesso modo, non è casuale che forze di occupazione statunitensi e britanniche a Baghdad, Diwaniyah, Bassora ed altre città meridionali abbiano attaccato sedi dell’Esercito del Mahdi di as-Sader (azioni che hanno comportato la morte di 15 paramilitari in uno scontro con truppe USA a sud della capitale), dalla fine di luglio e per tutto agosto, ricorrendo anche a bombardamenti aerei contro il quartiere di Baghdad di Medina as-Sader all’alba del 6 e del 7 agosto- attacchi, questi, che sono costati la vita a 30 persone e sono stati criticati dal primo ministro al-Maliki e dal presidente Talabani: non si tratta di un intervento contro un gruppo della resistenza, ma piuttosto contro un socio del governo collaborazionista che segue il suo proprio copione, quello di farsi una posizione dentro il campo confessionale sciita radicalizzando il suo discorso anti-occupazione e anti-israeliano, ora ancora di più sulla base dell’aggressione contro il Libano.
Non sono estranee a questa situazione le chiavi interne e regionali. Il parlamento iracheno dovrà affrontare nella restante parte dell’anno questioni trascendentali già incluse nel testo della Costituzione approvata nel 2005, in concreto, il federalismo e l’eliminazione di un marchio giuridico statale unico rispetto a diritti civili ed economici. Di nuovo, al-Hakim (e ugualmente il vicepresidente Abdel Abd al-Mahdi, anche alto responsabile del CSRII) ha segnalato recentemente la sua intenzione di istituire una regione autonoma sciita che includa nove delle 18 province irachene, da Babilonia (Babil) a Bassora, seguendo l’esempio di quella già dichiarata in Kurdistan.

L’Iraq e la nuova aggressione israeliana contro il Libano
La violenza settaria giustifica e favorisce la pulizia etnica e permette di omogeneizzare territori per mezzo del terrore. Come accade nel Kurdistan, nel centro e nel sud del paese (dove non opera in assoluto Al Qaeda) la violenza dei paramilitari di Badr e di as-Sader è destinata a eliminare i concorrenti nella gestione del mercato nero del petrolio, a espellere le comunità minoritarie sunnite o cristiane, a sradicare settori laici e a impedire l’espansione dell’attività resistente contro l’occupazione. Cioè, a impiantare un regime autoritario islamico che proceda a gestire in modo diretto gli idrocarburi del sud del paese. L’esperienza di questi anni di occupazione e le dichiarazioni esplicite delle forze collaborazioniste permettono di immaginare che tale gestione si realizzerà con alti livelli di corruzione e adottando criteri capitalisti. E ciò, più che in sintonia con gli interessi strategici di USA e Regno Unito, con quelli dell’Iran, nello stesso modo in cui in Kurdistan lo sono con quelli di Israele.
In questa congiuntura, critica per il futuro dell’Iraq e per l’insieme della sua popolazione, la guerra di aggressione di Israele contro il Libano e la Palestina ha almeno tre punti di connessione con l’evoluzione della situazione interna irachena.
In primo luogo, Israele ha agito in modo autonomo rispetto agli USA, approfittando della estrema debolezza che il conflitto in Iraq impone a livello internazionale e regionale nell’amministrazione Bush. Il governo USA si è visto obbligato perciò ad appoggiare l’avventura militare di Israele in Libano, includendola nel segno della sua “guerra globale contro il terrorismo”, ma dovendosi dimenticare per molto tempo di qualsiasi progetto di stabilizzazione politica ed integrazione economica della zona mediorientale, piani (il “nuovo grande Medio Oriente”) recuperati con l’invasione e l’occupazione dell’Iraq nel 2003.
In secondo luogo, come risultato della nuova guerra regionale l’amministrazione Bush ha potuto sviare l’attenzione internazionale e interna dall’atroce situazione che vive l’Iraq, la cui popolazione si trova in miseria, nel caos e nella violenza, e abbandona a decine di migliaia un paese sul cui futuro nessuno scommette. E inoltre sviare l’attenzione dal pasticcio in cui si trova, tra mesi di scandali (gli ultimi, la violenza e l’uccisione di una adolescente irachena da parte di truppe statunitensi a Mahmudiya il 12 marzo, la condanna a una unità di marines per la mattanza di Hadiza e l’accertamento di appropriazioni indebite nei conti gestiti dagli occupanti) e in un momento in cui aumenta e non diminuisce –al contrario di quanto annunciato- la sua implicazione militare diretta, come conferma la rioccupazione di Baghdad. All’amministrazione Bush tocca solo presentare al popolo statunitense che il prolungamento della sua presenza in Iraq ha come nobile obiettivo salvare il popolo iracheno da se stesso, dalla “guerra civile”, come già raccontano i giornalisti dei grandi media del paese.
Ma – questo è il terzo legame- oltre a questo sollievo limitato, la guerra di devastazione che Israele sta sviluppando contro il Libano e la Palestina dall’11 luglio debiliterà l’intenzione degli USA e del Regno Unito di usare il primo ministro al-Maliki per recuperare qualcosa del controllo perso in Iraq. La capacità militare e politica di Hezbollah e dell’Iran di rafforzarsi come referenti anti-imperialisti e anti-sionisti nella zona sfruttando questa nuova guerra regionale incoraggerà- o già lo sta facendo- le correnti di confessione politica sciita in Iraq più vicine all’Iran a scuotersi di dosso definitivamente la tutela degli occupanti, grazie ai quali hanno potuto rafforzarsi nel paese, dai quali però nel paese si può già prescindere.
L’aggressione di Israele contro il Libano è stata condannata da tutti i membri del governo collaborazionista iracheno, incluso lo stesso al-Maliki, che ha avuto la sfortuna di doverlo fare durante la sua visita a Londra e Washington. Ugualmente, il massimo leader spirituale sciita iracheno, il grande ayatollah Ali as-Sistani, condannava alla fine di luglio l’aggressione israeliana contro il Libano e –senza menzionare gli Stati Uniti- chiedeva al mondo islamico di non dimenticare quali paesi stanno bloccando il coprifuoco in favore di Israele. Alla fine, as-Sader convocava lo scorso venerdì 4 agosto, nel quartiere di Baghdad che porta il nome di suo padre, una marcia nazionale in appoggio ad Hezbollah, che ha contato sull’appoggio manifesto di vari ministri del governo di al-Maliki (tra essi, quello della Difesa) appartenenti ad altre organizzazioni di confessione sciita. Una prova del potere di fatto acquisito da as-Sader dalle sue rivolte del 2004 è che, come abbiamo indicato, il primo ministro al-Maliki abbia condannato gli attacchi delle truppe USA contro questo stesso quartiere 48 ore dopo il concentramento di varie decine di migliaia di suoi seguaci. Gli USA non possono scagliarsi apertamente contro i paramilitari di as-Sader senza indebolire la stessa posizione di al-Maliki.
Come ha segnalato in questi giorni un ufficiale militare statunitense, per eludere l’imbroglio: “noi dobbiamo avere molta cura nel non demonizzare tutto il movimento di as-Sader”. Con un Kurdistan già di fatto indipendente, preso tra l’attività della resistenza in buona parte del paese e la minaccia di una rivolta sciita filo-iraniana nel resto del paese, gli occupanti hanno una situazione veramente molto complicata in Iraq.
Mentre lo sforzo resistente di Hezbollah – una forza politica democratica integrata nelle istituzioni libanesi- davanti all’aggressione di Israele ha raccolto l’appoggio indiscutibile della società libanese, le organizzazioni settarie sciite irachene approfittano della nuova guerra in Medio Oriente per avanzare nel loro progetto di frammentazione dell’Iraq in entità confessionali, il modello opposto a quello che sperimenta il Libano e che Israele vuole una volta o l’altra distruggere. Insieme alle vittime civili dei bombardamenti di Israele sul Libano e sulla Palestina, lo sforzo di emancipazione del popolo iracheno contro l’occupazione e il settarismo potrebbe finire per essere così un altro “danno collaterale” della nuova guerra in Medio Oriente.

 

Si moltiplicano per quattro gli attacchi contro gli occupanti
L’incremento della resistenza obbliga gli Stati Uniti ad aumentare nuovamente le proprie truppe in Iraq
di Carlos Varea, tratto da www.iraqsolidaridad.org

5 ottobre 2006
Settembre è stato un altro mese funesto per l’amministrazione Bush, che vede come continua ad aumentare il numero di soldati morti in attacchi della resistenza e come le sue aspettative di riduzione delle truppe, alla faccia delle elezioni legislative di novembre, sfumano.
A settembre sono morti per attacchi della resistenza irachena 64 soldati USA (altri 10 sono morti per “cause non ostili”). Nel mese precedente erano morti per attacchi della resistenza 58 militari USA. Con una media superiore a due perdite al giorno, settembre sostituisce così agosto. Inoltre sono morti questo mese a Bassora per cariche esplosive al passaggio di convogli militari un soldato britannico (il giorno 4) ed un altro danese (il giorno 23).
I primi giorni di ottobre sono ancora più mortiferi per gli USA: 5 soldati morti il primo giorno del mese, 8 il giorno 2 (tutti nell’area di Baghdad), oltre ad un altro soldato britannico a Bassora, sempre secondo dati ufficiali degli occupanti.
Settembre è stato inoltre il mese in cui l’amministrazione Bush ha dovuto riconoscere attraverso i suoi più alti comandi militari in Iraq che non vi potranno essere riduzioni sostanziali delle truppe quantomeno fino alla primavera del 2007, se non aumenteranno addirittura, contrariamente a ciò che era stato precedentemente annunciato dal Pentagono. Al momento ci sono in Iraq 147.000 effettivi, 20.000 in più rispetto all’inizio dell’estate. Questo presuppone la doppia accettazione del fatto che la resistenza continua ad essere imbattibile e che il nuovo esercito iracheno (la Guardia Nazionale) non può sostituire gradualmente le forze di occupazione, una realtà che trasforma in patetica la cerimonia dello scorso 7 settembre, per il trasferimento del comando delle forze aeree e navali irachene – inesistenti- e della prima Divisione dell’esercito iracheno al primo ministro Al-Maliki.
Sebbene si sia completata la formazione ed integrazione dei previsti 300.000 effettivi militari e di polizia iracheni, i comandi militari statunitensi in Iraq tengono in considerazione che sono più o meno inefficaci ed insufficienti per sostituire le truppe straniere nella lotta contro la resistenza, quando addirittura non sono egemonizzati dalle correnti settarie sciite all’interno.

Incremento degli attacchi
Certamente, il Pentagono ha dovuto riconoscere ugualmente che l’attività armata della resistenza continua ad aumentare, non a diminuire. Così, 1.200 “bombe artigianali” (le IED, dalla loro sigla in Inglese) sono state fatte esplodere dalla resistenza al passaggio di convogli e pattuglie degli occupanti, una cifra che è quattro volte superiore a quella registrata a gennaio di quest’anno: la metà di questa cifra è stata disattivata dagli occupanti. Appena poche settimane prima il Pentagono aveva detto che gli attacchi con le IED erano duplicati nei mesi già trascorsi del 2006.
Oltre all’aumento degli attacchi, il nuovo incremento nel numero di detenuti (fino a 37.500) e nuove operazioni militari statunitensi contro Ramadi e Falluja (nelle quali si sta ricorrendo di nuovo ai bombardamenti aerei) e l’accerchiamento della capitale confermano il mantenimento dell’attività resistente.
Secondo un’inchiesta realizzata dai britannici, indipendentemente dall’affiliazione religiosa, il 67% degli iracheni approva gli attacchi contro le truppe di occupazione (rispetto al 47% di gennaio), e un 87% esige un calendario per l’uscita immediata degli occupanti (70% a gennaio, il doppio di due anni fa), ai quali si attribuisce inoltre per la maggior parte la spirale di violenza settaria che affligge l’Iraq.

Ritirata italiana
Dall’altra parte, il governo italiano ha informato che prima della fine dell’anno avrà ritirato dall’Iraq il suo attuale contingente di 1.600 effettivi, dispiegato nella provincia di Dhi Qar (la cui capitale è Nassiria), che passerebbe ad essere la seconda (di un totale di 18 che ha l’Iraq) formalmente controllata da forze militari e di sicurezza irachene.


I pattugliatori della Marina Irachena verranno costruiti in Italia da Fincantieri

Saranno costruiti nel Cantiere di Muggiano di Fincantieri (e con parti staccate, probabilmente le prue come in passato, a Riva Trigoso nell’alto cantiere militare del Gruppo) i quattro pattugliatori che stanno per essere ordinati dalla nuova Marina dell’Iraq ai cantieri italiani. La commessa, non ancora firmata nel momento in cui scriviamo (come ha chiarito Fincantieri), anche se le trattative sono a buon punto, dovrebbe avere un ammontare totale, secondo quanto ha annunciato il Sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, di 78 milioni di euro. Si tratta di unità da pattugliamento simili alla SAETTIA, una motovedetta missilistica d’attacco progettata e costruita al muggiano “private venture” nel 1985-86, poi modificata in unità di pattugliamento e fornita alla Guardia Costiera, seguita tra il 2002 e il 2004 da cinque unità migliorate tipo DICCIOTTI/SAETTIA 2 e nel 2005 da una settima unità, la P-61 (SAETTIA 2 modificato) costruita al Muggiano per il Maretime Squadron di Malta dopo un accordo economico tra il governo italiano e quello maltese, in modo che fosse utilizzata per il contrasto all’immigrazione clandestina.
Mentre le SAETTIA 2, lunghe quasi 53 metri e con un dislocamento a pieno carico di circa 430 tonnellate, si differenziano da SAETTIA 1 per la poppa più alta con ponte di coperta a un solo livello, diversa motorizzazione (quattro motori Isotta Fraschini) e un equipaggio di 30 persone, P-61 ha subito un’ampia modifica alla sovrastruttura, che comporta a poppa un ponte di volo realizzato secondo le normative NATO, in modo da permettere l’appontaggio di un elicottero, sistema che la rende la più piccola unità al mondo dotata di una piattaforma di volo. […] Un’altra delle caratteristiche peculiari della P-61 è quella di disporre di un mezzo veloce per incursori lungo 7 metri, messo in mare da uno scivolo poppiero attraverso un portellone, in grado di trasportare 14 uomini alla velocità massima di 32 nodi, utilizzato per abbordaggi in mare aperto. […]

Tratto da: “Nuovi pattugliatori per l’Iraq” di Pierangelo Caiti, in «Rivista Italiana di Difesa», ottobre 2006

“L’ordine che si e’ aggiudicato Fincantieri, superando le ultime difficoltà, segna un passo di grande importanza per la nostra cantieristica, quella ligure in particolare. L’intesa raggiunta ribadisce l’importanza dei positivi rapporti che intercorrono tra il nostro paese e l’Iraq”. Lo ha detto il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri. Il contratto, che prevede la costruzione di quattro pattugliatori destinati alla Marina Militare dell’Iraq ha un valore complessivo di oltre 80 milioni di euro. Le unità avranno compiti riconducibili a quelli svolti dalla nostra Guardia Costiera. Le navi saranno consegnate entro la prima metà del 2009.
Tratto da: “Fincantieri: Forcieri, importante intesa su pattugliatori Iraq”, 15/7/2006 sul sito www.adnkronos.com

Fincantieri si e’ aggiudicata un ordine del valore di oltre 80 milioni di euro per la costruzione di quattro pattugliatori destinati alla Marina militare dell’Iraq. Le navi - spiega un comunicato della società - saranno consegnate entro la prima metà del 2009, con un intervallo di tre mesi tra l’una e l’altra. Il contratto, che prevede la fornitura del relativo supporto logistico e dell’addestramento, è stato concluso anche “grazie alla proficua collaborazione dei Ministeri italiani della difesa e degli affari esteri, attraverso l’ambasciata a Baghdad”. Le unità, che costituiranno il nucleo centrale della flotta di pattugliamento della Marina irachena, avranno compiti assimilabili a quelli della nostra Guardia Costiera. Saranno destinate a compiere missioni di sorveglianza della Zona Economica Esclusiva, condurre operazioni di ricerca e salvataggio, controllo del traffico marittimo, che prevede anche ispezioni a bordo delle navi in transito, e operazioni antincendio.
Tratto da: “Fincantieri: Ordine Da 80 Mln Per 4 Pattugliatori Marina Irachena”, 15/7/2006 sul sito www.asca.it



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