SENZA CENSURA N.21

novembre 2006

 

Il ventre della bestia: effetti collaterali

 

Quelle che seguono sono tre lettere scritte da prigionieri politici afro-americani (tratte da “4strugglemag”, rivista redatta da prigionieri politici negli Stati Uniti), e si riferiscono alle conseguenze sui detenuti di carcerazioni lunghe e segregazioni in “unità di controllo” di massima sicurezza, in cui l’isolamento è totale.
Si tratta di contributi semplici, diretti, immediati. Sono importanti per questo e per il fatto che sono di pugno di militanti rivoluzionari che, nonostante si trovino dietro le sbarre da tantissimo tempo (Herman Bell, NY3, da ben 31 anni) continuano a mantenere salda la loro identità, continuano ad essere a tutti gli effetti attivisti politici.
Sbarre, quelle a stelle e strisce, che sono il punto più avanzato, a livello mondiale, nella complessa strutturazione che compone e determina l’istituzione/carcere. Certo punto di riferimento in Europa, dove Italia (con l’istituzione formale e l’utilizzo dispiegato del 41bis), lo stato spagnolo, la Francia, l’Inghilterra o la Germania si stanno adeguando ad una specializzazione carceraria sempre più imponente, sempre più radicale, sempre più votata alla individualizzazione del corpo detenuto, sempre più interna al ciclo produttivo.
Questa ultima affermazione potrebbe suonare come un paradosso. Ma è la realtà e in questa realtà vivono le lettere che seguono così come l’esportazione del “carcere di guerra” (in uno stato di guerra permanente sui fronti così come nei quartieri delle metropoli) ben al di fuori dei propri confini nazionali, modelli di controllo avanzati in terre di conquiste: Abu Ghraib e Guantanamo per citare i casi più eclatanti. Questo tipo di collegamento e le connessioni che ne conseguono sono ben chiare, non soltanto a noi ma a chi, in galera, continua a portare a vanti e a condurre una lotta di trasformazione radicale.

 

Alcuni effetti delle carceri per lunga detenzione.
di Sundiata Acoli

L’isolamento totale si compone, generalmente, attraverso due principali strutture: le “unità di controllo” e le carceri di massima sicurezza.
Una “unità di controllo” è una unità ad alta sicurezza per “particolari” prigionieri all’interno di un carcere che ha altre unità normali per gli altri detenuti. La maggior parte delle carceri ha due tipi di unità di controllo: una per le detenzioni a breve termine ed una per le detenzioni a lungo termine. “The hole” (“il buco”, anche se potrebbe suonare più verosimile “la buca”, N.d.T.) formalmente chiamata “unità di detenzione disciplinare”, è normalmente utilizzata per le incarcerazioni brevi, dai 30 ai 90 giorni all’incirca. Le UC invece, le unità di controllo, sono utilizzate invece nei casi di detenzioni che si contano in anni o decenni.
Un carcere di massima sicurezza è un carcere in cui ogni cella è una unità di controllo. Esso non prevede unità di segregazione semplici, e non ha al suo interno nessuno spazio in cui i prigionieri possano circolare liberamente. Tipici esempi di questo genere di carcere sono USP di Marion (Illinois), e ADX (Administrative Maximum), a Florence (Connecticut). Essi sono tutti penitenziari federali, di massima sicurezza per detenzioni lunghe.
La caratteristica principale di tali carceri e di tali “unità di controllo”, è che il prigioniero è rinchiuso nella propria cella per 23 ore o più al giorno. Questa situazione porta il prigioniero ad un inevitabile, diretto e costante contatto con le guardie dalle quali egli è totalmente dipendente per qualsiasi cosa – dal cibo ai vestiti al dentifricio e la carta igienica – e che hanno un controllo totale su qualsiasi cosa di cui il prigioniero possa avere necessità. Il contatto frequente fa si che le possibilità di scontri con le guardie siano molto alte, ed il loro assoluto controllo sul prigioniero rende questi scontri molto intensi e violenti. Con il risultato che le Long Term Units (LTLU) infliggono generalmente danni fisici e psicologici ai prigionieri ivi segregati.

Danni fisici
I danni fisici causati dalle LTLU sono più evidenti in quanto è possibile vederli effettivamente, ad occhio nudo: cicatrici causate da tagli, bruciature, denti rotti o occhi neri, dita tagliate, gambe rotte, lacerazioni ed altre ferite causate da assalti da parte delle guardie, risse con atri prigionieri, alle volte ferite auto inflitte da parte di prigionieri disturbati mentalmente..
Altri danni visibili sono tic nervosi, alopecia a chiazza causata dai forti stress subiti, funghi ed eritemi della pelle causati da materassi contaminati o epatiti contratte a causa delle scarse condizioni igieniche sanitarie. I prigionieri usciti dalle LTLU sono riconoscibili a causa del loro colorito pallido causato dalla mancanza di luce solare e lozioni per la pelle, inoltre dalla forfora dovuta alla mancanza di shampoo e cura dei capelli.
Ferite meno visibili sono mal di schiena causati dagli assalti o dagli anni di reclusione nelle celle sprovviste di sedie o dall’aver dormito su letti di acciaio o fatti con pezzi di assi che curvano forzatamente la spina dorsale. Oppure la miopia causata dalla scarsa illuminazione, o astigmatismo dovuto agli anni di chiusura all’interno di minuscole celle con un campo visivo quindi molto ristretto. Abbassamenti di voce e raucedini croniche dovute al bisogno costante di urlare al di sopra del gran frastuono, o dal fumo, perdita della voce a causa del silenzio obbligato per lunghi periodi, perdita dell’udito a causa del baccano, piedi piatti a causa della costrizione ad utilizzare solo ciabatte da doccia, salute precaria a causa della mancanza di aria pulita, sole ed esercizio stando in un ambiente affollato, malsano e pieno di batteri contagiosi, sterilità causata dal dormire in coperte antincendio, ed altre malattie causate dal fatto che molte carceri sono costruite su terreni che erano un tempo infestati da rifiuti tossici.

Danni psicologici
I danni psicologici causati dalle LTLU sono spesso meno visibili dei danni fisici, perché la maggior parte di essi riguardano la mente e la psiche. Una eccezione è rappresentata da quei prigionieri costretti ad assumere droghe e psicofarmaci. I sintomi in questo caso sono molto più visibili, come ad esempio lo stato di trance, la disattenzione, l’impossibilità di focalizzare le distanze, l’andatura zoppicante, bava agli angoli della bocca, debolezza muscolare e tendenza allo stancarsi velocemente.
I danni psicologici sono più difficilmente individuabili. Spesso i prigionieri stessi non sono coscienti dei danni subiti; l’esperienza di detenzione porta danni simili a quelli subiti durante una rissa. La adrenalina che scorre spesso li tiene all’oscuro dei danni subiti fino alla fine della rissa. Solo a quel punto i dolori e la consapevolezza delle ferite sopraggiungono.
Nonostante, quindi, i danni psicologici siano più difficilmente individuabili a causa della mancanza di cicatrici visibili, alcuni indicatori del danno subito sono la difficoltà temporanea che il prigioniero ha ad abituarsi alla vita normale della prigione, una volta uscito dalla “unità di controllo”. Ad esempio essere in orario, ricordarsi di un appuntamento, parlare con sconosciuti, mantenere la voce sufficientemente alta da poter essere udita durante una normale conversazione, intrattenere conversazioni normali con persone del sesso opposto, affrontare situazioni di normale stress ed agitazione, liberarsi dall’insonnia. Frequentemente il prigioniero si trova ad avere un umore più basso della norma, il livello di paranoia è alto, l’odio verso le autorità è più forte e ciò lo porta spesso ad inutili eccessi.
Alcuni danni sono molto difficili da distinguere anche perché simili a quelli dovuti all’invecchiamento, come la difficoltà di ricordare nomi, persone, orari, posti e circostanze, quindi la diminuzione della memoria a breve e lungo termine. Alcuni danni sono lievi, altri più gravi, alcuni prigionieri sono totalmente distrutti dalle LTLU mentre altri sopravvivono, altri ancora addirittura vivono senza particolari o significative conseguenze. Coloro i quali sopravvivono o vivono bene sono di solito quelli che utilizzano l’isolamento delle LTLU, nonostante la confusione, per migliorare se stessi (e gli altri) leggendo, scrivendo, studiando e ricercando nuovi argomenti, o ancora approfondendo la conoscenza di argomenti già studiati: politica, storia, cultura, legge, arti marziali e militari, meditazione, spiritualità, religione.
In ogni caso, in qualsiasi modo se ne esca, più o meno forti, le LTLU infliggono gravi danni fisici e psicologici ai loro occupanti, e nessuno ne rimane esente.

Sundiata Acoli (C. Squire) #39794-066
P.O. Box 3000
USP Allenwood
White Deer PA 17887 USA

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Gli effetti psicologici causati dalla detenzione senza fine
di Herman Bell

La solitudine è una componente molto presente nelle vite dei prigionieri detenuti a lungo termine. Essi si svegliano e si addormentano con essa. Può portare alla depressione, che è caratterizzata da tristezza, inattività, difficoltà di concentrazione, incremento e mancanza d’appetito e sonno, sentimento di disillusione e tendenze suicide. In questo stato la volontà è fragile, i capelli cadono, la mancanza d’igiene spesso causa problemi di relazione sociale. Un’altra caratteristica della vita all’interno delle prigioni è la tensione, così spessa da sembrare a volte una seconda pelle. La paura è un altro sentimento: un debito non saldato, uno sguardo, una parola sbagliata possono causare a volte scatti d’ira simili ad una eruzione vulcanica.
Questo mio scritto non ha il fine di criticare la pratica dell’incarcerazione di esseri umani, cosa che reputo essere inaccettabile come forma di punizione, ma di dare una testimonianza delle mie osservazioni ed esperienze in carcere. Anni fa lessi un articolo di scienze sociali il quale sosteneva che rinchiudere una persona per un periodo superiore ai cinque anni è potenzialmente dannoso per la salute mentale della persona stessa. Questo lo sapevo già. Considerando le lunghe pene inflitte ai poveri e alle persone di colore in America, cinque anni sono per loro come un giorno. Un ergastolo è più la norma che una anomalia. Quanto i giudici decidono la pena, essi non hanno nessun metodo discrezionale. Leggono da uno script di legislazione, ed in molti casi aumentano la pena prevista. Il grado di giustizia americana protende più verso interessi politici e corporativi che verso la giustizia sociale e riabilitativa.

Uscire dal carcere è molto più difficile che entrarci... Dalle strade ai centri di detenzione, alle corti ed infine direttamente dietro le sbarre. I tuoi diritti, o quelli che pensavi come tali, vengono meno. Ora tutto è cambiato. Persino le famiglie, gli amici i figli, le mogli le fidanzati sono differenti. Le più nobili intenzioni possono averti portato a commettere il crimine, o potresti addirittura non averlo commesso affatto, o credi di non meritare comunque la sentenza a cui sei stato condannato. Ma sei qui ora, in galera, solo, e forse ci rimarrai per il resto della tua vita.
Quando penso agli effetti psicologici della carcerazione a lungo termine, riesco soltanto a pensare in termini della vita di ogni giorno. Alcuni giorni sono meglio di altri, nessuno è realmente bello. Veramente odio scrivere cose sul carcere. Odio leggere o vedere film sul carcere. Ma le persone hanno bisogno di sapere cosa accade là dentro. Molti prigionieri e molte persone non capiscono gli interessi economici e politici che si servono delle persone in carcere. Sfortunatamente, l’economia del carcere non sarà trattata in questo articolo. Mentre alcuni prigionieri vedono la prigione come uno stile di vita, la gente nelle strade lo vede come una cosa crudele ma necessaria.
Ad ogni modo, nella maggior parte dei casi, per quanto riguarda il carcere, l’educazione, la sanità in particolare, la cittadinanza americana è diventata sempre più pigra nel far fronte ai propri doveri civici. Per ciò che riguarda l’amministrazione, quella attuale si è imbarcata in una dottrina unilaterale strettamente legata ad una sciagurata politica estera che ha ingabbiato la nazione in una guerra ingiusta, che spreca preziose risorse economiche lasciando scoperti più urgenti bisogni interni.
Sono detenuto da 31 anni. La mia non è una sentenza a vita, ma comunque potrei stare qui per sempre. Mi è stata negata la libertà sulla parola alla mia prima richiesta. Ci riprovo nel 2006. Se me la rifiuteranno nuovamente ci riproverò ogni 2 anni fino a quando non sarò rilasciato o sulla parola o per morte. Come si fa ad affrontare una situazione del genere e restare ottimisti? È una ferita fisica e psicologica continua. Non posso pensare a questa cosa, non riesco a sentirla, riesco solo ad andare avanti.
Sono consapevole del tempo speso in questo modo, conscio di ogni passo fatto e di dover decidere che altro passo fare. Durante questi anni sono stato testimone di comportamenti che mi hanno ricordato la mia giovinezza: il bullismo, le gang – di compagni e di guardie – i più forti compiere soprusi sui più deboli. Ho conosciuto giorni di depressione, giorni in cui uomini si abbandonavano a violenze contro amici, giorni in cui la legge della giungla regnava sulle altre.
Mi sono trovato spesso a dover decidere tra ciò che credo essere giusto e ciò che è un espediente. La scelta presa definisce chi sono e cosa penso di me stesso. Dato che la prigionia ruba tutto ciò che abbiamo, l’unica cosa che ci rimane è la consapevolezza di noi stessi, il rispetto della nostra persona e della nostra parola. La vita in prigione è fatta di continue prese di posizione, alcune importanti, altre apparentemente irrilevanti. In questo intricato sistema di scelte, ogni decisione che prendiamo, ogni sentiero che scegliamo di seguire, lascia un segno indelebile su noi stessi, sulla nostra psiche. Ed ogni individuo è sempre obbligato a prendere posizione. Tenere il piede in due staffe non è una opzione.
Chiusi dietro alle sbarre, i contatti che abbiamo con il mondo fuori mantengono in vita la nostra sanità mentale. Le visite da parte di familiari ed occasionalmente amici, ci donano un po’ di sollievo dal tedio continuo. Noi viviamo in quei momenti, proprio perché gli incontri ci regalano dei flash di vita al di fuori del carcere, di vita reale. Le visite sono, cosi, per noi, come sogni, che quando finiscono ti fanno dubitare che siano mai accaduti. Ma la forza che ci rimane dentro afferma che le lacrime, i sorrisi, le strette di mano, i vestiti, ed i profumi che hai visto e sentito sono reali. È orribile vedere i tuoi familiari andarsene, e loro odiano doverlo fare, ma la porta di collegamento con la realtà rimane aperta solo per un breve periodo. Poi, all’improvviso, come un sasso che si scaglia nell’acqua, sparisce come se non fosse mai esistita.
Quando la porta della mia cella si apre improvvisamente, e le guardie mi appaiono davanti con i guanti, ordinandomi di uscire per una perquisizione, è come se delle enormi onde, invece di incresparsi, si infrangessero contro di me. La perquisizione è una routine, mi dicono; ma non è mai routine per me, non importa quante volte possa succedere. Il mio spazio privato è violato ogni volta che vengo sottoposto a questa pratica. Mi trasformo in una non-persona, è come se fossi un oggetto, da spostare e mettere in disparte, durante la perquisizione, e la “separazione” sparisce magicamente quando sono autorizzato a tornare dentro.
Noi prigionieri siamo addestrati ad essere obbedienti alla autorità ed obbligati ad ubbidirle. “Addestrati”, termine che suggerisce “non importa quanto tempo impiegheremo per raggiungere lo stato mentale desiderato”, porta con sé una connotazione più sinistra di “obbligati”. Il processo di addestramento è fissato nella gestione delle dinamiche del carcere: “Mani sulla parete e non muoverti fino a quando non ti si ordina di farlo”, “ ti ordino di..” “per aver violato la regola numero.. ti infliggo la sentenza di segregazione.. con la perdita di telefonate e privilegi” Il processo di condizionamento si manifesta attraverso operazioni che avvengono nel carcere. Ad esempio, attraverso regole, rafforzamento di regole, il dare e togliere privilegi eccetera. L’autorità e l’obbedienza giocano un grosso ruolo in carcere. In assenza della libertà, l’obbedienza alla autorità è la prima causa di conflitto all’interno di una prigione.
A causa di questa natura violenta e coercitiva, l’autoritarismo, in carcere, è tollerato. Un prigioniero riconosce presto che un certo modo di guardare, un gesto della mano, una espressione facciale, un rumorio di chiavi e cose simili, sono un tipo di linguaggio non verbale, ma coercitivo che vale esattamente come un ordine. Il prigioniero impara anche lo sguardo “ti vengo a prendere più tardi”. In base alla scelta che un prigioniero prende di fronte alla autorità, può portare o meno alla “festa”. A questo punto un prigioniero afferma o guadagna il senso di ciò che egli rappresenta, di ciò che è veramente. Qualsiasi parte di se stesso desideri affermare, egli deve combattere per mantenerla viva
Per un prigioniero di colore, tale scelta è come una spada di Damocle sulla testa. La schiavitù dei Neri in America ed i maltrattamenti subiti dagli schiavisti bianchi è ben documentata, ma alcune cose non sono ancora state dette. Quando Lincoln liberò gli schiavi americani, le vestigia del sistema dello schiavismo rimasero al proprio posto. Nonostante con gli anni successivi si assistette ad una vittoria delle battaglie per i diritti civili dei Neri, si direbbe che più le cose cambiavano formalmente più sembravano rimanessero sempre le stesse. I Neri sono arrestati dalla polizia bianca, perseguitati da persecutori bianchi, condannati da giudici bianchi, e rinchiusi in carceri americani sorvegliati da guardie e amministratori bianchi. Questa situazione evoca un immaginario fatto di schiavi d’oltreoceano nelle piantagioni e tutte le frustrazioni psicologiche che esso comporta.
Alcune persone all’interno delle carceri americane hanno lottato a lungo e duramente contro le ingiustizie sociali ed economiche. Si tratta di prigionieri politici le cui radici si trovano in Harriet Tubman, Nat Turner, John Brown, e Malcolm X, per citarne alcuni. In alcuni quartieri essi sono chiamati Combattenti per la Libertà. Essi sono la prova della autonomia all’interno del carcere, che è un tabù laddove si coltiva dipendenza ed insicurezza. Per questo motivo verso questi prigionieri viene riservato un “trattamento speciale”. Essi non sono incarcerati per crimini sociali – furto, omicidio, estorsione, spaccio ecc – ma per aver combattuto il razzismo, le leggi ingiuste, e le politiche sociali ed economiche che non tengono in considerazione i bisogni dei più poveri e degli emarginati. Già sentenziati con il massimo della pena e severamente penalizzati per aver violato le norme del carcere, i prigionieri politici così come qualsiasi altro individuo devono fare i conti con gli effetti di una lunga detenzione dietro le sbarre. Più tempo essi trascorrono dentro, sottoposti ad anni ed anni di pene, tanto più profonde sono le cicatrici, e si spera, più dure le risposte.

Herman Bell #79C0262
P.O. Box 338
Eastern Correctional Facility
Napanoch NY 12458-0338 USA

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Distruggi le unità di controllo ovunque esse siano!
di Gary Watson

Quando si parla delle tristemente famose unità di segregazione di Delaware, meglio conosciute come Security Housing Unit (SHU), ci vengono alla mente immediatamente le immagini di Abu Ghraib, Guantanamo Bay e Attica, cosi come quando parliamo di qualsiasi prigione che abbia al suo interno una SHU o una unità di controllo in ogni angolo di questa Amerikkka fascista. Ogni giorno, i prigionieri nelle unità di controllo sono oggetto di maltrattamenti, sofferenze, pestaggi brutali, lacrimogeni, terrorismo psicologico e detenzione continuata in celle di isolamento fino a 23/24 ore al giorno. Vengono cibati con pasti freddi e poco nutrienti, subiscono abusi psicologici, minacce di morte, oppressione, repressione, depressione. Queste condizioni di vita portano ad esaurimenti nervosi, autolesionismi e tentativi di suicidio (che alle volte si trasformano in suicidi riusciti) .
Per questo motivo, la mia speranza è che – le persone, le masse – non si limitino soltanto ad informarsi correttamente su tali strumenti di tortura, ma che si indignino e si arrabbino al punto tale da unirsi agli altri che agiscono concretamente utilizzando qualsiasi mezzo disponibile per far chiudere queste camere di violenza istituite unicamente per annientare e distruggere.
All’interno delle SHU di Delaware, per esempio, non ci sono programmi di rieducazione, non c’è la possibilità di lavorare, nessun servizio religioso. Non c’è la possibilità di accedere a macchine da scrivere, computer, biblioteche (tranne eccezionalmente previa richiesta scritta). Le cure mediche sono scarse o del tutto assenti. Le attrezzature ricreative all’interno e all’esterno sono inadeguate. L’area designata consiste in cinque piccole e vuote gabbie che assomigliano a quelle dei cani. Ai prigionieri è severamente proibito qualsiasi tipo di socializzazione. Non c’è contatto umano, fatta eccezione per le guardie. Sono consentite solo un paio di telefonate da dieci minuti ogni mese, ed un paio di visite da quarantacinque minuti. Tutte le visite si svolgono attraverso un vetro di plexiglas. I prigionieri non possono usufruire di scope, stracci e secchi per pulire le loro celle. Ogni volta che il prigioniero è prelevato dalla cella, è obbligato a sottoporsi al rituale che consiste nell’essere legato, ammanettato e incatenato. Tale umiliazione è inflitta durante le visite con i parenti e gli amici, nonostante essi siano protetti dal vetro in plexiglas.
Queste caratteristiche delle SHU di Delaware appartengono, seppur con qualche variazione, a tutte le unità di controllo del mondo. Denunciare semplicemente questa situazione non è sufficiente se il nostro obiettivo è quello di eliminarle. Dobbiamo fare di più, dobbiamo comunicare e coordinarci, lavorare diligentemente e intensamente per assicurarci che la nostra lotta sia efficace e seria. La denuncia verbale da sola farà al massimo tremare qualche nervo o ottenere al massimo qualche cambiamento di facciata. Nella peggiore delle ipotesi ci renderà ignorati e derisi. A meno che la nostra protesta non sia supportata dall’azione, le possibilità di fermare questa politica disumana di rinchiudere le persone e gettare la chiave saranno meno di zero.
Tutto questo riguarda un sistema che è formulato in modo inetto, amministrato in modo inefficiente ed ora fuori controllo. Oltre a brutalizzare i prigionieri, tale sistema svilisce l’umanità delle persone che operano in esso e dei cittadini che lo tollerano.
Il sistema porta inoltre disonestà. Per esempio, il Dipartimento di Correzione di Delaware in generale, e l’amministrazione in particolare, sono diventati ben conosciuti per la loro astutezza e disonestà nel falsificare, coprire e raggirare i media e la società sulle condizioni e le pratiche della SHU.
Essi dipingono un falso scenario sul quale si basa il supporto per mantenere l’operazione SHU nel quale lo Stato ha già investito milioni e per il quale le autorità carcerarie avranno altri milioni. Denaro sperperato.
La società dovrebbe essere concentrata nell’eliminazione delle “unità di controllo” piuttosto che, così come fa attualmente, nel cercare di mantenerle in vita. Ciò è ancora più vero se si considera il Patrioct Act, la “guerra al terrorismo” e il sempre più potente stato di polizia americano. Il potere che la polizia ha assunto è un chiaro indicatore dell’erosione e dell’abbattimento delle basi costituzionali, civili e dei diritti umani. Molti dei comportamenti che lasciano che la polizia minacci la società controllandola ad ogni costo come fosse un nemico possono essere ritrovati nel trattamento del crimine e dei prigionieri. Sempre meno diritti e sempre più repressione significano che ciascuno è sempre più vicino ad una “unità di controllo” di quanto possa pensare
Il problema della SHU e delle “unità di controllo” rappresentano non solo un problema tra bianchi e neri, non solo tra latini ed asiatici, non riguarda uno scontro tra religioni o tra politici. Esso è piuttosto un problema dell’umanità e che cerca nella società stessa un modo per cambiare il corso della storia, per dividere e “mettere al sicuro” una cultura che renderà possibile alle future generazioni di vivere in vera pace, democrazia e libertà.
All power to the people!

Gary Watson #098990
Unit SHU17
Delarare Correctional Center
1181 Paddock Road
Smyrna DE 19977 USA

Nota


La lettera di Gary Watson è antecedente la firma di Bush, in data 18/10/2006, che sancisce, all’interno della “campagna antiterrorismo e per la sicurezza nazionale” una radicale chiusura (di quel poco che ancora poteva essere considerato come margine di agibilità) dei possibili percorsi di difesa giudiziaria da parte dei detenuti, con la cancellazione ad esempio dell’habeas corpus.



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