SENZA CENSURA N.22

marzo 2007

Il Fronte Africano come parte della strategia di guerra globale

Nonostante una evidente difficoltà sia sul piano militare, sia sul piano politico, non si placa l’aggressività imperialista. Cercando di far dimenticare la precedente esperienza somala, quella che ha rappresentato una delle più sonore sconfitte della politica militare americana, la guerra al terrorismo apre un’altro fronte al di là delle tradizionali aree di aggressione. Con i bombardamenti in Somalia e dopo l’esperienza dell’intervento Nato in Darfur, che non può che trovare le sue ragioni all’interno della più generale strategia americana di dominio su quelle zone dove maggiori sono gli interessi in gioco sul piano della competizione globale, è oramai chiaro che l’Africa diventa il nuovo fronte dove propagandare la tanto «redditizia» guerra al terrorismo, nel pieno rispetto della famosa linea guida americana di «colpire i terroristi ovunque si trovino».
E’ superfluo sottolineare il caos che si è determinato come primo effetto, tanto che già si parla da molte parti di «collasso del secondo fronte», ma queste come ben sappiamo sono variabili, effetti collaterali subalterni alla necessità di dominio.
Un dominio che gli stessi diretti interessati, in quanto soggetti dominati, non riescono a non ritenere una chiara prosecuzione della strategia colonialista da cui con molti sacrifici si erano liberati, che si ripresenta oggi con la stessa aggressività e fame di distruzione.
Una espropriazione delle risorse che riesce a venire alla ribalta unicamente in occasione delle tragedie delle esplosioni di petroldotti, quando la popolazione tenta di riappropriarsi nei modi a loro disponibili di ciò che gli viene rubato, o quando qualcuno decide che è arrivato il momento di tenere nelle proprie mani coloro che operano per i loro deturpatori.
Secondo gli Usa il vasto potenziale dell’Africa rende la sua stabilità una necessità strategica. Il Golfo di Guinea, ad esempio, che secondo le ultime ricerche potrebbe fornire agli Usa il 25-35% di petrolio nel prossimo decennio, è mal governato e privo di qualsiasi sicurezza. Oltre che per la qualità e la quantità, queste riserve hanno la caratteristica di affacciarsi sulla parte occidentale dell’Africa rendendole così facilmente trasportabili verso il continente americano. In merito a questo aspetto specifico della sicurezza marittima, gli Usa hanno già garantito fin dal 2005 la presenza della forza navale americana in Europa a protezione degli interessi nel Golfo di Guinea.
Ma gli stessi affermano che non sono i soli ad interessarsi al continente africano, in una situazione economica mondiale in cui nascenti paesi in forte sviluppo industriale fanno aumentare la domanda di energia e conseguentemente si affacciano prepotentemente in queste aree.
Non è un caso che l’iniziativa americana trovi maggiore intensità quando da più parti si rileva una notevole aggressività economica di paesi come la Cina verso quelli africani.
Le aziende e lo stato cinese hanno investito nella ultima decade miliardi di dollari negli scambi commerciali con i paesi africani (Algeria, Angola, Gabon, Nigeria, Sudan, e Zimbawe), ed in particolare hanno messo a disposizione la propria tecnologia per il miglioramento delle infrastrutture relative all’estrazione, trasformazione e trasporto di olii combustibili e gas. Tra il 2004 e il 2006 la Cina ha acquisito, attraverso la China National Petroleum Corporation (CNPC), la maggioranza della compagnia che controlla la quasi totalità del petrolio sudanese, garantendosi oltre il 70% del petrolio angolano; si è assicurata il 45% del petrolio offshore nigeriano; ha investito ingenti risorse in Gabon per mezzo della China National Petrochemical Corporation (SINOPEC) che le permettono di garantirsi una parte significativa delle risorse energetiche di questo paese.
Secondo il governo americano la Cina può rivendicare una stretta cooperazione con i paesi africani. Durante l’embargo ha venduto allo Zimbawe numerosi equipaggiamenti militari, compresi veicoli terrestri e marini. Circa l’80% dei proventi ricavati dal Sudan dal commercio con la Cina servono a coprire il pagamento delle forniture di missili di fabbricazione cinese. Non mancano i rapporti con Liberia e Sierra Leone. I dati parlano di una crescita dell’ammontare del commercio tra Cina e Paesi africani dai 3 miliardi di dollari nel 1990 ai 55,5 miliardi dell’ultimo anno, tanto da essere definito «l’anno dell’Africa». All’origine del «successo» cinese va riconosciuta la formula vincente di un intervento morbido, o meglio il rispetto del principio di non interferenza negli affari interni dei singoli paesi, a differenza dell’«invasivo» intervento americano.
Partendo dalla Trans-Sahara Counter Terrorism Initiative (TSCTI), di cui abbiamo già dato una breve descrizione nel numero 19 di Senza Censura, per quanto possibile vorremo tentare di approfondire e dare elementi ulteriori in merito al legame, tra le forme di resistenza nei paesi dominati e alcune lotte di resistenza nei nostri territori; un legame che si sviluppa “naturalmente” sul piano più generale delle attuali politiche imperialiste e che lo collocano su un piano più avanzato di quello che la stessa soggettività di classe e popolare riesce ad esprimere.
E’ importante soffermarsi brevemente su quanto affermato anche nei numeri precedenti, che ritroveremo anche in seguito, riguardo alla stretta connessione tra la stategia Usa nei confronti dei paesi del Magreb e il processo di penetrazione nell’Africa sub sahariana. Un esempio su tutti è il ruolo rivestito dalla cooperazione con uno dei paesi, l’Algeria, che si sta dimostrando un fido «alleato» dell’imperialismo americano sul secondo fronte della «guerra al terrorismo».
Già dal 2002 un pool dell’antiterrorismo americano visitò Ciad, Niger, Mali e Mauritania invitando questi paesi a far parte della PAN SAHEL INITIATIVE. Il programma di cooperazione prevedeva una stretta collaborazione per il controllo delle frontiere, la sicurezza dei trasporti e non ultima la «lotta al terrorismo».
Ma per il «debutto» ufficiale dobbiamo attendere il 2004, quando circa un migliaio di soldati americani sbarcò nella capitale della Mauritania. Le motivazioni ufficiali, dopo il rapimento di 32 turisti avvenuto nel 2003 nel Sahara algerino ad opera di «islamisti», la lotta ai gruppi terroristici presenti nell’area. E’ questa l’occasione che porta a definire da parte americana la regione «una palude infestata da terroristi che deve essere prosciugata». Già dal 2004 unità algerine e del Mali avevano operato, sotto la copertura delle truppe Usa, azioni contro gruppi definiti terroristi, dopo che, nel 2003, erano stati segnalati traning da parte americana ai servizi di Intelligence algerini, oltre a quelli di Marocco, Egitto e Tunisia.
Si deduce da molte parti che l’interesse degli Usa, che ha l’obiettivo di sopperire a parte del proprio bisogno energetico proprio dall’Africa, si lega con l’interesse repressivo sul fronte interno del governo algerino. Questa situazione ha fatto si che le remore nella fornitura di tecnologia da parte Usa alle forze armate algerine sparissero. Ma parallelamente ha riconosciuto il ruolo storico dell’Algeria nella guerra sporca alle organizzazioni islamiste, oltre che garantire una maggiore capacità di repressione, se ce ne fosse stato necessità, contro l’opposizione interna.
Con la partecipazione di Algeria, Marocco, Nigeria e Tunisia nel 2005 prende vita la Trans-Sahara Counter Terrorism Initiative.
«La Trans-Sahara Counter Terrorism Initiative (TSCTI) è il piano di interagenzia (a partecipazione nazionale) a lungo termine per combattere il terrorismo nell’Africa transahariana, attraverso un’ampia gamma di strumenti politici, economici e per la sicurezza. La necessità di un piano TSCTI ha origine dalle preoccupazioni circa l’espansione delle operazioni delle organizzazioni terroristiche islamiche nella regione del Sahel, una regione che ha dimensioni simili a quelle degli Stati Uniti. All’interno dell’EUCOM supportiamo la TSCTI attraverso il nostro coinvolgimento nell’Operazione Libertà Duratura – Trans Sahara (ENDURING FREEDOM-TRANS SAHARA, OEF-TS). L’OEF-TS rappresenta un approccio regionale e preventivo per combattere il terrorismo e migliorare la capacità di risposta e la sicurezza ai confini delle nazioni partner nell’Africa transahariana. L’operazione è stata studiata per assistere i governi che perseguono il miglior controllo del proprio territorio, e per impedire che zone molto vaste divengano rifugi sicuri per i gruppi terroristici. La TSCTI si basa sul successo della Pan Sahel Initiative (PSI) del 2002, che aiutò ad addestrare ed equipaggiare almeno una compagnia di intervento rapido in ognuno dei quattro Stati del Sahel: Mali, Mauritania, Niger e Chad. La TSCTI è un’iniziativa di proseguimento, più ambiziosa sia del punto di vista programmatico che da quello delle aree interessate».
«...L’approccio generale della TSCTI è molto semplice: costruire capacità indigene e facilitare la cooperazione tra i governi della regione. Le nazioni partecipanti (Algeria, Chad, Mali, Mauritania, Marocco, Niger, Senegal, Nigeria e Tunisia) si uniscono alla lotta contro l’estremismo islamico nella regione del Sahel. Questa cooperazione rafforza le capacità antiterroristiche regionali, migliora ed istituzionalizza la cooperazione tra le forze di sicurezza della regione, promuove la democrazia, incoraggia lo sviluppo e l’educazione, enfatizza il ruolo dell’esercito nel supporto degli ideali democratici e, per finire, rafforza le nostre relazioni bilaterali all’interno della regione. Inoltre, l’iniziativa aiuta le nazioni partecipanti a fermare il transito illegale di armi, merci e persone attraverso la regione, aiuta le nazioni a meglio proteggere i loro confini e contribuisce alla sicurezza comune.»
(GENERALE JAMES L. JONES, Comando Europeo dell’Esercito degli Stati Uniti).

Le strategie del pentagono guardano con interesse alla possibilità di effettuare operazioni antiterrorismo in maniera indiretta attraverso forme di cooperazione con paesi che garantiscono una certa sicurezza, come avvenuto all’interno dell’esperienza della Combined Joint Task Force-Horn of Africa (CJTF-HOA), anche in funzione della necessità di un minore impiego di forze americane già ampiamente dislocate sul fronte afghano e iracheno. Questo è stato il tema principale del Quadrennial Defense Review (QDR), stilato dai vertici civili e militari del dipartimento della Difesa americano.
La strategia prevede l’utilizzo di forze non convenzionali (forze per operazioni speciali) supportate da forze di intervento combinato aria, terra e mare. Secondo quanto riportato dalle dichiarazioni ufficiali, in aggiunta alle forze militari la CJTF-HOA, sono utilizzati i tristemente noti contractors.
La presenza di «Failed State», ritenuti tali per la mancanza di un approccio unitario sul tema della sicurezza come la Somalia, Liberia e Sierra Leone conseguente, a loro dire, alle implosioni di questi paesi e il caos che si è determinato con la frammentazione del controllo del territorio, rendono in questi casi estremamente gravoso, anche in termini economici, il costo da sopportare. Non ultimo quello politico, per la complicità che verrebbe a determinarsi nelle atrocità e violenze che certamente si perpetueranno.
L’iniziativa Global Peace Operations (GPOI) rappresenta il programma del Dipartimento di Stato americano in collaborazione con quello della Difesa volto all’addestramento e all’equipaggiamento di quelli che definiscono i «tutori della pace». Il programma è portato avanti dall’ African Contingency Operations, Training and Assistance (ACOTA) ed attualmente coinvolge 15 paesi. Il progetto è di continuare ad assistere i paesi dell’Unione Africana al fine di sviluppare le capacità militari necessarie per rispondere ai problemi regionali, proteggere le risorse strategiche, ridurre le tensioni interne destabilizzanti, sviluppare ulteriormente relazioni esterne cooperative e mutualmente utili. La priorità numero uno in Africa è di supportare la Politica di Difesa e Sicurezza Comune (Common African Defense and Security Policy, CADSP) dell’Unione Africana, così come altre, per loro, valide organizzazioni per la sicurezza regionale. E’ chiaro il fine di sviluppare una forza militare che rappresenti in pieno la subalterneità agli interessi politici ed economici dell’imperialismo Usa.
L’African Contingency Operations, Training and Assistance (ACOTA) è un’iniziativa di addestramento del Peace Support Operations (PSO) del Dipartimento di Stato, allo scopo di dotare l’Unione Africana della capacità necessaria a rispondere rapidamente e professionalmente alle crisi regionali a livello di battaglioni, stato maggiore, brigate e delle comunità economiche regionali ed internazionali.Gli obiettivi del programma ACOTA includono l’addestramento e la gestione di forze operative africane di peacekeeping, che entro il 2010 dovrebbero contare 40.000 individui; lo sviluppo di nuovi programmi di addestramento PSO, che saranno importanti per l’African Standby Force (ASF) e le Brigate Regionali; l’addestramento di unità speciali.
Al comando dell’ACOTA troviamo il colonnello Nestor Pino-Marina, cubano anticastrista che ha partecipato a fianco degli Usa alla Baia dei Porci, oltre che essere ritenuto istruttore di unità speciali utilizzate in Vietnam e Laos. In quanto anticomunista convinto e sempre a fianco nel condividere la repressione delle insurrezioni popolari, durante l’era Reagan ha inoltre preso parte ad operazioni antisandiniste.
I programmi di addestramento comprendono la formazione di una «Next Generation of African Military Leaders» all’interno dell’African Centre for Strategic Studies che si trova a Washington con vari «succursali» in paesi africani. Sembra imminente una sua prossima localizzazione in un paese dell’Africa stessa. Il Centro appare come una sorta di «School of the Africa» sulla linea della tristemente famosa «School of America», fondata a Panama nel 1946 e nella quale sono stati addestrati i protagonisti delle pagine buie della guerra a bassa intensità e le stragi in America Latina.
A fianco di questo la Unione Africana ha istituito il «African Centre for the Study and Research of Terrorism» con sede in Algeri. Il Centro, secondo il suo direttore, non ha il solo il compito di formare sulle tematiche antiterrorismo una nuova amministrazione giudiziaria, ma si assume il ruolo di addestrare il personale necessario per specifiche operazioni militari a sostegno dei paesi del continente. Operazioni militari che troveranno la loro legittimità avvalendosi di quanto condiviso nella Convenzione di Algeri contro il Terrorismo, un testo che lascia ben aperta la sua definizione in funzione di un possibile utilizzo contro qualsiasi fenomeno di opposizione, organizzazioni e suoi militanti da parte delle forze «antiterrorismo». Da più parte si da per sicuro l’utilizzo della base di Diego Garcia, un isola dalla quale la popolazion è stata deportata verso le Mauritius, come una seconda Guantanamo dove i prigionieri potranno essere «detenuti e interrogati».
In Africa le nuove basi Usa sono situate in Djibuti, Senegal, Etiopia, Sao tomè e Uganda.
Agli inizi di Febbraio il governo americano ha annunciato di aver creato un Comando Unificato delle forze Combattenti in Africa, l’AFRICOM, allo scopo di unificare i tre comandi che hanno la responsabilità delle tre aree africane, il Central Command’s (CENTCOM) per il Sud Ovest e l’Africa Centrale oltre che i setti paesi del Corno d’Africa (Djibouti, Egypt, Eritrea, Ethiopia, Kenya, Somalia, e Sudan), European Command’s (EUCOM) per 45 paesi africani e il Pacific Command’s (PACOM) per la parte est e le isole africane sul pacifico (Comoros, Madagascar, Mauritius, e Seychelles). L’Africom non potrà essere operativo prima del Settembre 2008 e avrà il suo quartier generale a «fianco» del comando europeo presso la base di Stoccarda, al fine di poter gestire al meglio la fase di passaggio di consegne.
Il Comandante del Comando Europeo dell’Esercito degli Stati Uniti (EUCOM) davanti alla COMMISSIONE PER I SERVIZI ARMATI DEL SENATO affronta approfonditamente la questione della strategia americana come linea guida della NATO, ed in particolare l’importanza di un riposizionamento che sviluppi maggiori capacità di proiezione e collaborazione nei e con i paesi africani. [...] «L’obiettivo principale dell’Eucom per la sicurezza è di raggiungere un posizionamento ed una capacità delle forze che garantiscano un maggiore effetto strategico, sia all’interno della nostra area di responsabilità, sia con altri comandi combattenti all’interno della Strategia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti e della Strategia per la Difesa Nazionale. Le forze avanzate e rotazionali salvaguarderanno il nostro ruolo di leadership all’interno della NATO ed offriranno un modello tangibile per la sua trasformazione. L’agilità delle nostre forze accresce la nostra capacità di condurre operazioni, e garantisce che l’Europa rimanga impegnata in uno sforzo collaborativo per affrontare i pericoli comuni in tema di sicurezza, sia attuali che futuri. Questa partnership transatlantica aiuterà in modo eccezionale il rafforzamento delle iniziative regionali e globali per la sicurezza.»
La modifica del teatro strategico e il riposizionamento delle forze di proiezione unisce in maniera indissolubile la strategia della politica imperialista americana al rafforzamento della logistica idonea alla sua realizzazione.
L’obiettivo per la trasformazione strategica del teatro (Strategic Theater Transformation, STT) è il posizionamento adeguato nello scenario di sicurezza emergente. L’obiettivo è potenziare l’effetto strategico e l’agilità operativa. «Il successo dipende dal mantenimento, all’interno del teatro, di sufficienti strumenti fondamentali e di sufficienti capacità, sia come comando combattente «supportato» che «di supporto»....... « Attraverso un modello di presenza avanzata ampiamente riformato il tentativo di creare un’infrastruttura più adattativa, con un maggiore impiego delle unità di rotazione per migliorare la portata operativa e la flessibilità tattica con un maggiore accesso alle infrastrutture delle nazioni ospitanti e la cooperazione con le nazioni amiche. La valutazione delle infrastrutture è basata sulle Basi Operative Principali (1) (Main Operating Bases, MOB), i Siti Operativi Avanzati (2) (Forward Operating Sites, FOS) e i Siti di Cooperazione per la Sicurezza (3) (Cooperative Security Locations, CSL).

La strategia si fonda sul mantenimento di una forte presenza in Europa occidentale, apportando le migliorie necessarie alle strutture d’addestramento esistenti, e allo stesso tempo spostando l’attenzione al miglioramento della capacità dei nuovi alleati e partner. Secondo i vertici EUCOM «[...] Attraverso investimenti relativamente ridotti ma costanti, le nostre iniziative in Africa avranno un trememdo impatto sulla moltitudine di problematiche strategiche, di sicurezza, economiche e politiche che dobbiamo affrontare. Mentre ci sforziamo nel cercare di arginare le condizioni deterioranti di questo sempre più importante continente, influiamo sulla possibilità che l’Africa diventi il prossimo fronte nella guerra al terrorismo».
Infatti «La capacità dell’EUCOM di trasformarsi e raggiungere gli obiettivi americani di sicurezza nazionale dipende direttamente dagli investimenti forniti in una serie di aree criticamente importanti, come l’edilizia militare, i programmi di cooperazione per la sicurezza e la struttura dell’intelligence all’interno del teatro» «[...] Questi investimenti produrranno importanti risultati, in quanto abbandoneremo le nostre tante basi non essenziali e consolideremo le nostre forze in comunità più efficienti, come Grafenwoehr/Vilseck, Ramstein e Spangdahlem in Germania, e Vicenza/Aviano in Italia. Continuiamo nei nostri sforzi per consolidare le unità geograficamente separate all’interno del teatro, riunendole all’interno di basi operative durature e di grande portata. Ciò fornirà maggiori capacità di risposta alle crisi, potenzierà le opportunità di addestramento congiunto e posizionerà le nostre risorse in modo più efficace nelle aree delle future missioni.
I recenti impegni a livello globale hanno nuovamente evidenziato il valore strategico e l’importanza delle nostre Basi Operative Principali in Europa. […]
».

All’interno di questo progetto si colloca chiaramente il destino della futura base di Vicenza, con una richiesta di implemento dei finanziamenti, che dovranno essere ulteriormente rivisti al rialzo per l’anno 2008, per lo spiegamento ulteriore di uomini e mezzi della 173ma brigata,.
La chiarezza con cui le stesse fonti del Governo americano illustrano il loro progetto sembra sfuggire, in una logica indissolubile di complicità nell’offuscare la realtà all’interno di una chiara volontà di subalternità agli interessi imperialisti, a quella parte della sinistra che ancora forse non comprende la reale portata dello scontro in atto in particolare nei paesi dominati. Abbandonando una visione globale, vincolandosi alle dinamiche localistiche dei singoli paesi, allo scontro politico interno ed agli allineamenti imposti dal fronte di guerra interno, non si comprendono realmente le sinergie e la dialettica tra fenomeni che possono sembrare contraddittori e spesso lontani dalla nostra pratica, non riuscendo ad inserirli nel quadro generale delle contraddizioni, fino ad arrivare a legittimare la collocazione nel quadro del terrorismo qualsiasi azione di resistenza violenta o ritenuta tale nei confronti dell’aggressione imperialista.
Può essere interessante su questo, al di là di quanto può essere espresso in termini critici sul cosiddetto movimento contro la globalizzazione e il neoliberismo, una valutazione di Gustave Massiah, direttore del CRID [Centro di Ricerca ed Informazione per lo Sviluppo - www.crid.asso.fr] e membro del Comitato organizzatore del WSF, emersa ai margini del FSM di Nairobi che può dare alcuni spunti su quanto detto:

«[...] Questo movimento evolve in funzione delle situazioni. Proponiamo alcune ipotesi.
Prima ipotesi: viene completato il ciclo dei forum sociali mondiali, quello che è stato cominciato dopo Seattle, ed entriamo in un nuovo periodo. Si tratta di definire gli elementi del progetto che corrispondono a questo nuovo periodo. Cambiamenti politici importanti sono in gestazione. Il neoliberismo è in crisi e che la fase di mondializzazione è probabilmente in corso di completamento. Arriviamo ai limiti dell’egemonia del capitale finanziario. L’egemonia economica statunitense è finita. L’aumento in potenza economica della Cina, dell’India ed anche del Brasile modifica le gerarchie. La guerra permanente genera nuove contraddizioni e le elezioni negli Stati Uniti introducono incertezze sulla scelta della guerre... Il movimento politico in America latina ridefinisce, nella diversità delle situazioni, nuove relazioni tra movimenti e governi.
Seconda ipotesi: il movimento contro la mondializzazione ha concretizzato un’alternativa. Sulla base della contestazione del neoliberismo, il movimento ha affermato il rifiuto del destino ed è passato dalla resistenza alla controffensiva ed alla capacità di definire alternative. L’orientamento strategico che si è imposto attraverso i forum è il seguente: all’organizzazione delle società e del mondo mediante l’adeguamento al mercato mondiale e la subordinazione ai mercati finanziari mondiali opponiamo l’organizzazione delle società e del mondo attorno al principio dell’accesso ai diritti per tutti. Questo principio ha già cambiato la natura dei movimentie; ogni movimento è evoluto interiorizzando nella sua strategia la priorità data all’accesso ai diritti per tutti.
Terza ipotesi: il movimento contro la mondializzazione deve opporsi alla nuova offensiva ideologica. Il neo-conservatorismo costruisce la supremazia del militare e della guerra permanente e preventiva. La strutturazione dell’economia si sviluppa sulle discriminazioni ed il razzismo. Si assiste all’aumento dell’ideologia della sicurezza, dei ritorni identitari, del fondamentalismo, della tolleranza zero, della criminalizzazione dei movimenti.
Quarta ipotesi: le modalità del movimento contro la globalizzazione si sono arricchite. Combinano le lotte e le resistenze, le campagne e le mobilitazioni, le pratiche sociali innovative, l’elaborazione, le alternative, le proposte di negoziato. Determina la costruzione di una nuova cultura politica che progredisce nei forum. Il tessuto locale contesta il monopolio delle decisioni e del pensiero unico; concretizza il passaggio da “TINA” (There Is no alternative), caro alla signora Tatcher, alla capacità di pensare un altro mondo possibile.
Quinta ipotesi: Il movimento contro la mondializzazione è un movimento storico che si iscrive nella durata. Prolunga e rinnova i tre movimenti storici precedenti. Il movimento storico della liberazione; e da questo punto di vista le lotte contro la globalizzazione hanno modificato a fondo le rappresentazioni nord-sud verso la possibilità di un progetto comune. Il movimento storico delle lotte operaie; e da questo punto di vista il cambiamento verso un movimento sociale e cittadino mondiale. Il movimento delle lotte per la democrazia a partire dagli anni 1960-70; e da questo punto di vista il rinnovo dell’imperativo democratico dopo l’implosione dell’Unione Sovietica nel 1989
».

Non riuscendo a superare la visione localista la sinistra riformista dimostra la totale incapacità di comprendere il legame indissolubile che lega la lotta contro l’installazione di una base militare alle forme di resistenza che maturano nei paesi che si troveranno aggrediti, da quelle armate a quelle di resistenza passiva.
Questa rappresenta sicuramente uno degli aspetti che ci portano o meno a sentirsi parte di uno scontro di grande portata che in molti paesi sta, dopo che sembrava che una sconfitta storica avesse minato alle fondamenta la prospettiva di trasformazione dell’attuale sistema di relazioni, determinando profondi cambiamenti e infliggendo sonore sconfitte all’imperialismo e ai suoi lacchè. Ma rappresenta anche una scelta di campo nel quadro della controrivoluzione, scegliendo o meno di partecipare, secondo le linee guida del nemico, come soldati della repressione sul fronte interno. Attori nella determinazione di un quadro di analisi arretrata e compatibile o ancor meglio complice, nel tentativo di impedire lo sviluppo di una piena autonomia dalle compatibilità riformiste delle istanze che maturano sui nostri stessi territori, spesso su aspetti particolari e con forme che vanno rispettate in quanto frutto stesso della loro autonomia, ma con una forte valenza sul piano generale.

Terminologia:

1) Base Operativa Principale (Main Operating Base, MOB) - Una MOB è una base in territorio straniero, ben protetta, con personale stazionato in modo permanente e con ottimo accesso via mare e/o per via aerea, utilizzata per supportare le forze impiegate in modo permanente.

2) Sito Operativo Avanzato (Forward Operating Site, FOS) - Un FOS è una struttura “calda” e scalabile, in grado di supportare le operazioni a lungo termine, con un piccolo contingente permanente di personale di supporto o a termine. Un FOS ospiterà occasionalmente forze di rotazione e, in molti casi, disporrà di attrezzature pronte all’uso.

3) Sito di Cooperazione per la Sicurezza (Cooperative Security Location, CSL) - Un CSL è una struttura della nazione ospitante, con una presenza di personale americano ridotta o nulla, che può contenere attrezzature pronte all’uso e/o piani logistici. Un CSL serve sia alle attività di cooperazione per la sicurezza che agli accessi di emergenza.

 

Eldorado africano per Finmeccanica
Aermacchi e AgustaWestland (gruppo Finmeccanica) effettuano operazioni con Libia, Nigeria e Malesia, violando la legge 185/90.

AgustaWestland e la Lybian Company for Aviation Industry realizzano una joint-venture, che beneficerà dei diritti commerciali per la vendita di elicotteri in Africa.
Inoltre, l’AgustaWestland ha ottenuto dalla Libia la commessa per 10 elicotteri A109EPower, per un contratto di 80 milioni di €, predisposti per il pattugliamento costiero (17/1/06).
Aermacchi sigla due contratti: da 84 milioni di dollari USA con la Nigeria per ammodernamento di 12 MB339A (12/7/06) e da 88 milioni di euro per 8 velivoli MB339CM alla Malesia (22/11/06).
Da segnalare altre operazioni nel 2006: Aermacchi ed Hellenic Aerospace Industry firmano accordo di cooperazione per l’addestratore militare M346. AgustaWestland si aggiudica due commesse per le forze armate britanniche: da 658 milioni di euro per il supporto degli elicotteri EH101 e da 1,4 miliardi di euro per la realizzazione di 70 nuovi elicotteri Future Lynx.

 

Spese militari e F35 Joint Strike Fighter
F 35 «fulmine», ecco il nome del nuovo aereo da guerra dai costi esorbitanti e dall’elevata potenza di fuoco. Il nome completo è F35 Joint Strike Fighter (JSF) o Lightning II. Il progetto è della statunitense Lockheed Martin e prevede l’assemblaggio in Italia a cura di Alenia (gruppo Finmeccanica), presso l’aeroporto militare di Cameri (NO).

Il progetto risale al 1998 (23/12), con la stesura di un memorandum di accordo sulla partecipazione al programma JSF tra il governo nordamericano e italiano.
Nell’ottobre 2001 la Lockheed vince la gara per lo sviluppo e la produzione del JSF.
A maggio del 2002 il Senato italiano dà il via libera alla partecipazione italiana.
Ma la tappa decisiva è lo scorso giugno a Washinghton quando il generale Leonardo Tricarico, capo di Stato Maggiore dell’aeronautica militare italiana, sottoscrive il programma JSF, nel quale l’Italia ha finora investito 793,6 milioni di € (139,2 milioni di € le spese stanziate per lo sviluppo del progetto nella finanziaria 2007).
La costruzione del cacciabombardiere avverrà negli USA (in Texas) per le forze armate nordamericane e inglesi e in Italia per gli altri sei partner internazionali del progetto: Olanda, Danimarca, Norvegia, Turchia, Canada e Australia.
Dell’assemblaggio se ne occuperà interamente Alenia. Va ricordato che comunque Alenia è già impegnata da due anni nel fornire all’Aeronautica italiana 121 cacciabombardieri Eurofighter, il cui impegno di spesa complessiva, disposta in Finanziaria 2005, è di 18.100 milioni di € (termine nel 2015). Ma, diversamente dall’Eurofighter, il JSF è in grado di trasportare anche testate nucleari.
L’Italia prevede l’acquisto di 131 esemplari di F35. Tuttavia Alenia ne produrrà 570 anche per gli altri sei Paesi che hanno sottoscritto l’accordo. Se pensiamo che USA e Regno Unito hanno nel loro piano di acquisti 2.581 F35 e che Lockheed si prefigge di venderlo anche ad altri clienti internazionali (già certi Singapore e Israele), ciò potrebbe portare, secondo Lockheed, il numero di velivoli totali a circa 4.500.
Costeranno ai cittadini italiani da 150 a 250 milioni di € l’uno, in funzione delle configurazioni (convenzionale, predisposto per il decollo verticale e a decollo corto per portaerei), degli armamenti connessi e della necessità incessante di aggiornare l’avionica; la spesa complessiva oscillerà tra i 20 e i 30 mld di €.
Questa è la più imponente operazione di Alenia, che nel suo export fa già affari d’oro nel fornire i Paesi ex-satelliti dell’Unione Sovietica e recentemente entrati a far parte della NATO di biturboelica da trasporto tattico militare C27J.
Lo stabilimento previsto per la costruzione del JSF è a Cameri, paese rurale a pochi km dall’aeroporto di Malpensa e da Novara, dove è presente un aeroporto militare per la manutenzione dei Tornado e di altri caccia in dotazione all’aeronautica italiana che verrebbe trasformato ad hoc per l’assemblaggio degli F35 (le cui parti arriveranno da Stati Uniti, Inghilterra e Olanda).
E i risvolti occupazionali? Si conferma la regola che vede l’occupazione per la costruzione di sistemi d’arma in campo aeronautico crescere di ben poco rispetto ad analoghi sviluppi e commesse nel civile. La differenza di base? Sta nell’enorme fatturato che garantisce il militare rispetto al civile. Infatti, sono duemila le persone, più l’indotto, che già campano a Cameri sull’industria dei caccia. Potrebbero diventare 2.200, cui si aggiungerebbero 800 dipendenti dell’indotto, con la partenza del progetto.



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