SENZA CENSURA N.22

marzo 2007

 

Le mille facce dell'imperialismo

Riflessioni sulle strategie di penetrazione e pacificazione in Medio Oriente

 

Intervista a Hisham Bustani, rappresentante del Comitato giordano Anti-Normalizzazione e dell'Alleanza Popolare Araba Resistente (panaraba). L'Alleanza Popolare Araba Resistente, fondata nel marzo 2006, che raggruppa numerose organizzazioni e individui della Nazione Araba, trova le sue basi nella lotta all'imperialismo e ai regimi arabi a esso asserviti, nella negazione di qualsiasi legittimità all'Entità Sionista, nel rifiuto di qualsiasi forma di colonizzazione da parte dell'occidente, nell'appoggio alle resistenze di Palestina, Iraq e Libano, nella costruzione di un'unità della lotta della Nazione Araba e di una strategia comune per difendere la causa araba, per la liberazione e la democrazia, e nell'alleanza con tutti i soggetti che concordano su questi punti basilari per lo sviluppo della lotta anti-imperialista e anti-sionista.
Proponiamo quest'intervista che illustra con precisione e semplicità il modus operandi dell'imperialismo nell'area, e propone un'idea precisa di come si può porre al riguardo chi voglia contribuire allo sviluppo della causa araba e antimperialista.

 

Cominciamo con la questione palestinese che e’ piuttosto complicata e le soluzioni proposte che sono molte e a volte contraddittorie. Come vedi la questione, e come vedi la sua soluzione?
La questione della Palestina non è del tutto complicata; quelli che rifiutano di vedere che un’entità occupante razzista e colonialista funzionalmente legata all’imperialismo è costruita sulla distruzione, sull’uccisione e sull’espulsione di un intero popolo sono coloro che vogliono far sembrare le cose molto complicate.
Solo perché la decisione di dividere la Palestina tra la sua popolazione araba e gli invasori sionisti ebbe luogo come risoluzione dell’ONU nel 1947 supportata da quelle che al tempo erano le due superpotenze non rende questa decisione giusta o legittima. E solo perché gli Europei si sentirono responsabili delle azioni naziste e fasciste contro gli Ebrei europei non significa che i colonialisti europei abbiano il diritto di risolvere la questione ebraica e pulire la propria coscienza a spese di una terza parte: gli arabi.
La lotta per la Palestina è stata soggetta ad una profonda distorsione, disinformazione e deformazione. Nell’occidente, molte persone pensano che il problema abbia avuto origine nel 1967 quando Israele ha occupato la West Bank e Gaza, dimenticando che Israele realmente non c’era 20 anni prima del 1967, e che le radici del progetto sionista nella regione araba risalgono alla formazione del movimento sionista nel tardo 19° secolo.
Inoltre, la gente in occidente pensa che la lotta per la Palestina sia un conflitto tra “palestinesi e israeliani”, mentre in realtà è una lotta araba per la liberazione dall’imperialismo e dal sionismo.
Prima della divisione coloniale dell’est arabo nel 1917 con gli accordi Sykes-Picot tra le potenze coloniali Gran Bretagna e Francia, non c’erano Palestina, Giordania, Libano e Siria, i paesi che conosciamo oggi. C’era uno spazio condiviso dove i popoli vivevano insieme. Questi stati sono tutti prodotti del colonialismo sotto la dottrina del “divide et impera”.
Le soluzioni che hanno un certo grado di popolarità sono la soluzione due popoli-due stati, o la soluzione dello stato democratico unificato. Entrambe sono molto incomplete, non obiettive e non etiche.
La soluzione dei due stati semplicemente significa che va bene occupare una terra ed uccidere o espellere il suo popolo, e quindi ridare poi porzioni di quella terra ai suoi abitanti originali per fare una sorta di stato con alcune autorità; ma è tutto completamente controllato e monitorato dall’occupante, il cui progetto originale di dominio della regione continua ad essere attivo e funzionante! Il risultato del processo di Oslo è molto chiaro, e un tale risultato significa un ulteriore rafforzamento della illegittima entità razzista e colonialista sionista.
Dall’altro lato, la soluzione dell’unico stato democratico non riesce a risolvere le contraddizioni dell’occupante che è automaticamente trasformato in “normale cittadino”. Inoltre, questa presentazione affronta la questione da un punto di vista dello “stato”, non specifica la base della lotta tra arabi e sionisti. Questa lotta non è geografica ma è per la liberazione dall’egemonia, è la lotta del progetto di liberazione arabo contro il progetto imperialista/sionista. Una tale lotta è impossibile da risolvere a livello di geografia, è risolta solo a livello di esistenza. Non può essere risolta da un punto di vista di “stato”, ma solo da una prospettiva di liberazione nazionale o da una lotta internazionalista per sconfiggere l’imperialismo.
Io penso che la soluzione emerga dai fatti, e i fatti sono semplici: Israele è un’entità illegittima che dovrebbe essere eliminata; il popolo espulso dovrebbe tornare al suo status precedente l’invasione sionista risalendo all’inizio del 20° secolo. Questo si può ottenere con una lotta di liberazione araba come era il caso prima del 1917, e tutte le contraddizioni si dissolverebbero con essa. Questo passo è necessario per raggiungere la sovranità del popolo sulla propria terra e sulle risorse, ottenendo giustizia sociale, e il socialismo.
E’ importante per la sinistra europea riaffrontare nello specifico la questione, ed uscire dalla tremenda distorsione e disinformazione, e dare impulso ad un approccio rivoluzionario alla questione palestinese che è il punto centrale della re-invenzione imperialista della coscienza compatibile con i suoi interessi. La sinistra europea dovrebbe capire la natura della lotta, e le contraddizioni che bisogna affrontare, e la centralità della Palestina per l’imperialismo oggi.
Uno non può essere anti-imperialista e morbido su Israele allo stesso tempo. Israele è la materializzazione del progetto imperialista/sionista nella regione araba; deve essere affrontato ed eliminato.
Sfortunatamente, a contribuire al problema sono gli stessi arabi (attivisti ed organizzazioni). Molti di loro frequentando conferenze in Europa e nel mondo sono ciascuno parte dello strato ufficiale o collegati o finanziati da ONG, e quelli (per ovvie ragioni) stanno dentro ai limiti dei regimi locali o dei programmi dei loro sponsor. Un altro tipo sono quelli che pensano che ci sia un modo particolare per l’approccio con gli europei, che il discorso che noi facciamo tra di noi non sia utile per gli stranieri, quindi finiscono per dire ciò che gli europei vogliono sentire! Questi atteggiamenti hanno distrutto completamente la vera natura della lotta araba nei forum internazionali.

I regimi ufficiali arabi furono sconfitti da israele mentre la resistenza no. Come lo spieghi?
In generale, i regimi ufficiali arabi attraverso la loro breve storia, sono la secrezione dell’era colonialista, e le classi dominanti arabe sono legate e subordinate all’imperialismo e persino dipendenti nella loro esistenza politica.
I regimi arabi non vogliono combattere con Israele, al contrario, vogliono sostenere l’esistenza di Israele e promuovere i progetti USA nella regione per molte ragioni:
- Il legame di interessi ed esistenza attraverso il meccanismo di “dominatore e dominato”
- L’esistenza di Israele è ragione funzionale per l’esistenza dei regimi arabi perché i regimi sono importanti nel diluire la contraddizione popolare con Israele, e sono una garanzia contro l’esplosione della gente.
- L’anormale e illegittima esistenza di Israele è un riflesso dell’anormalità e illegittimità degli stessi regimi arabi, dandogli quindi una sorta di “normalità” e “legittimità”.
- La funzione di Israele come barriera contro la realizzazione del progetto di liberazione arabo e l’unificazione delle masse arabe sfruttate è un riflesso della stessa funzione dei regimi arabi in quanto essi considerano gli attuali stati risultanti dalla divisione colonialista come un ultimo orizzonte politico.
- I regimi arabi non hanno un progetto arabo né hanno progetti a livello degli stati attuali, e sono parte del progetto USA/sionista nella regione.

I regimi sono partner di Israele, è per questo che non l’hanno mai sconfitta.
Le resistenze in Palestina e Libano hanno provato che la società israeliana che comprende un’ampia gamma di nazionalità, eticità e razze, è un fragile prodotto che può rompersi facilmente. Tutto ciò che ci vuole è una reale volontà di resistere, e la società israeliana collasserà sotto il bombardamento di missili di bassa portata e di martiri-bomba. In particolar modo Israele e i regimi arabi sono occupati in un processo di pace senza fine, perché il principale scopo di questo processo è proteggere Israele e lasciargli il tempo di rafforzarsi internamente ed esternamente.

Cosa hanno raggiunto gli Usa con la loro “guerra al terrorismo”, e quanto successo ha avuto il loro sforzo per “fare” un nuovo Medio Oriente?
La guerra al “terrorismo” non punta a combattere il “terrorismo” neanche nel senso americano del termine. La guerra al “terrorismo” ha molti altri obiettivi:

- Controllare le riserve strategiche di petrolio e gas collocate nella regione araba e in metà Asia; questo ostacolerà la crescita economica di altri paesi nel mondo (Europa, Cina e Giappone) e li renderà vulnerabili all’appropriazione da parte degli USA.
- Installare più basi militari USA nelle regioni che prima erano “proibite” come la penisola araba, l’est europeo e le ex repubbliche sovietiche, circondando quindi l’intero mondo con una cintura di basi militari con capacità di intervento militare in qualsiasi parte del mondo.
- Eliminare le ultime realtà di resistenza militare concentrate nella regione araba (Iraq, Libano e Palestina), nel Centro e Sud America (Messico, Colombia, Perù) e Sud est asiatico (Nepal, Filippine).

 

In breve, ciò che gli USA chiamano “guerra al terrorismo” è semplicemente uno sforzo per una risistemazione geopolitica del mondo sotto una singola potenza dominante dopo la precedente formula internazionale (il bilancio delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale) finita con la fine della guerra fredda.
Gli USA potrebbero riuscire a controllare le riserve energetiche e ad impiantare basi militari come risultato della loro “guerra al terrorismo”, ma ciò finirebbe sicuramente nel sopprimere ed “addomesticare” i popoli e sconfiggere i movimenti di resistenza. Questo priverà gli USA della loro sicurezza e incrementerà le sue spese soprattutto militari, così i vantaggi raccolti col controllo verranno persi con l’alto costo del mantenimento di tale controllo (guardiamo agli esempi del Vietnam ed ora dell’Iraq). “Caos creativo”, uno dei più prominenti compimenti della guerra USA al “terrorismo”, tornerà indietro a battere contro il muso degli USA, e forse a metterli KO.
Questo riguarda la seconda parte della domanda. Il successo americano nel creare un “Nuovo Medio Oriente” è parziale. Gli USA sono riusciti sotto molti importanti punti di vista: impiantando basi militari nell’Est arabo, controllando riserve di petrolio, neutralizzando i regimi “rossi” per eliminazione (Saddam Hussein) o isolamento (Bashar el-Asad), e rimandando indietro di centinaia di anni le formazioni sociali arabe promuovendo strutture sociali (settarie, religiose, etniche, di clan) pre-nazionali e pre-statali.
Il fallimento si manifesta in due problemi principali che faranno fallire l’intero progetto del Nuovo Medio Oriente:
- La completa incapacità di Israele di integrarsi nella regione e diventare il principale asse economico regionale a causa dello scontro del popolo con la sua integrazione.
- L’incapacità degli USA e dei loro alleati di strangolare le resistenze nella regione araba; oltretutto le resistenze irachena e libanese hanno sferrato enormi colpi agli USA e a Israele, e hanno avuto successo nell’ostacolare i loro progetti e nel trasformare l’Est arabo in un pantano in cui gli Americani non possono vincere, e che non possono lasciare.
Ora è il preciso momento di sferrare un colpo che tagli le gambe all’imperialismo qui nell’Est arabo. E’ un momento storico che non capita molto spesso. Le forze rivoluzionarie e progressiste nel mondo dovrebbero essere consapevoli di questo fatto e del loro ruolo storico nel materializzare il successo delle resistenze. Questo richiede un’alleanza globale di tutte le forze anti-imperialiste, e non è facile se prendiamo in considerazione le linee pacifiste prevalenti nella Sinistra in Europa e negli USA.

Nel mondo arabo il termine “resistere alla normalizzazione” con Israele ha uno speciale significato che al di fuori non è molto conosciuto. Cosa puoi dirci in proposito?
La normalizzazione è un termine diplomatico usato quando i rapporti tra due stati ostili tornano alla normalità ed inizia un processo di “reciproco riconoscimento”. Questo termine prese un significato di maggior peso politico nel periodo successivo alla firma di un trattato di “pace” tra Egitto e Israele alla fine degli anni ’70. Poi il termine fu usato per riferirsi alla “accettazione dello stato sionista” da parte del regime egiziano e ai rapporti economici, politici e culturali che si sarebbero dovuti stabilire. Opporsi alla normalizzazione e rifiutare i rapporti con i sionisti divenne la posizione dominante del popolo arabo, in Egitto e dappertutto. Questo si intensificò all’inizio degli anni ’90 dopo la firma degli accordi di “pace” tra Israele e le autorità in Giordania, da un lato, e l’OLP dall’altra, e il collasso dell’ufficiale boicottaggio arabo contro Israele.
Le masse arabe si sentirono tradite. Resistere al riconoscimento di Israele come “vicino” ed entità normale era un modo per mostrare il loro impegno verso la storica lotta per la liberazione. Emerse un movimento politico dal sentimento popolare, chiamato Movimento contro la Normalizzazione.
Il più grosso pericolo della normalizzazione risiede nelle sue dimensioni intellettuali e filosofiche. La normalizzazione significa accettare quanto è anormale, ingiusto e contraddittorio rispetto agli interessi del popolo come fatto con cui avere a che fare come accettabile status quo. La normalizzazione è promuovere una falsa edizione della storia che la gente è sollecitata a credere e recitare in accordo, e ciò si aggiunge ad altre enormi bugie (o meglio altre normalizzazioni) come la “legittimità internazionale” che attualmente rappresenta la volontà politica delle potenze imperialiste; o i “progetti democratici” degli USA nella regione che in realtà sono un progetto egemonico.
Lo scopo da principio fu quello di integrare l’entità sionista nella regione araba come stato normale, aprendo la via perché diventasse un asse di controllo politico ed economico sul suo vicinato debole e frammentario. Per mandare avanti Israele con le sue bugie e progetti, era necessario passare ancora più bugie preliminari in cima alle quali ci sono gli stati fatti dai colonialisti (gli stati arabi che conosciamo oggi) e le loro suddivisioni (sette, religioni, clan, etnie).
Accettare la divisione colonialista della regione araba e accettare ciò che ne risulta come fine della storia, significa la fine della lotta di liberazione araba e la sua morte definitiva. Questo trasformerà il popolo in strutture sociali isolate senza fondamenta, ognuna con i suoi interessi individuali da perseguire senza riguardo alcuno per gli interessi collettivi del popolo, riconoscendo di fatto l’entità sionista ed integrandosi organicamente nel suo progetto come unica alternativa per sopravvivere.
Devo fare riferimento ad un importante e spesso sottovalutato atto di normalizzazione che sta pian piano passando in tutto il mondo, ossia la normalizzazione del processo politico che sta avvenendo in Iraq sotto il pieno controllo degli occupanti USA. Questo processo con tutte le sue diramazioni (governo, parlamento, presidenza, elezioni…) è un processo illegittimo e anormale condotto sotto il pieno controllo e la supervisione dell’occupazione e serve i suoi interessi. Inoltre, rapportarsi con il prodotto e con i rappresentanti di questo processo è un franco atto di normalizzazione, un falso di comprensione e consapevolezza, e danneggia profondamente gli interessi degli iracheni e della lotta di liberazione araba in generale.
Questa accettazione degli ufficiali che rappresentano il processo politico in Iraq dovrebbe essere combattuta in quanto essi sono clienti dell’occupazione e rapportarsi con loro a livello ufficiale o popolare è un atto di sostegno all’occupazione e ai suoi fantocci.

Perché le ong occidentali si concentrano sul sostegno alle “istituzioni della società civile” nel mondo arabo, e cosa pensi del loro ruolo?
Il termine “istituzioni della società civile” è così vago. Non mi sento a mio agio con esso perché è usato per sostituire il concetto delle organizzazioni popolari che in modo militante sono coinvolte nell’atto del cambiamento. In più, la cosiddetta “società civile” non è un corpo unificato, e non rappresenta una contraddizione, un’alternativa, o persino un fenomeno parallelo ai regimi; è piuttosto un nome nebbioso che indica un certo numero di formazioni che si muovono con diversi, e molte volte contrastanti, interessi. Inoltre si muovono con differenti gradi di indipendenza da (o di dipendenza su) i governi territoriali o dalle potenze imperialiste che finanziano molte organizzazioni racchiuse in questo termine.
È importante riferirsi ad un determinato settore di istituzioni a funzionamento individuale che sono registrate come aziende senza scopo di lucro (che è una bugia perché fanno molti profitti!) che ora sono specializzati in ciò che è conosciuto come commercio ONG. Queste aziende hanno grandi nomi che si riferiscono ai diritti dell’uomo, alla democrazia, alla libertà di stampa, ai diritti delle donne, ai diritti dei bambini ed altri, e sono presentati nelle riunioni internazionali, sono rappresentanti “della società civile”, anche se sono proprietà di individui, non hanno assemblee generali o direzioni elette, e principalmente sono finanziati dalle ambasciate straniere!
Istituzioni che ricevono tali fondi monetari, si piegheranno alle richieste, ordini del giorno, e termini di quelli che pagano, e alla fine diventeranno i loro strumenti locali. Sapendo che i più grandi finanziatori nella regione araba sono USAID (un’agenzia governativa degli Stati Uniti), le ambasciate degli Stati Uniti e del Regno Unito, la Fondazione Ford (con i relativi collegamenti dimostrati con la CIA), Fondi tedeschi legati ai partiti politici tradizionali tedeschi (Friedrich-Naumann-Stiftung, Friedrich-Ebert-Stiftung, Fondazione Conrad Adenaur), possiamo concludere facilmente che i soldi pagati non sono le vostre usuali donazioni.
Tali istituzioni svolgono ruoli pericolosi: conducono la ricerca e le indagini che forniscono le informazioni importanti per l’intelligence, promuovono la terminologia che serve l’egemonia come “il Medio Oriente”, “legittimità internazionale”, “non-violenza”, “risoluzione di conflitto”, “soluzione dei due stati”, “coesistenza con Israele” e così via. Inoltre si occupano delle questioni spezzettate ed isolate dal contesto generale, per esempio: parlando di democrazia senza riferirsi all’occupazione, si distrugge il contesto generale stesso e lo si trasforma in pezzetti isolati. Per concludere, molte di tali organizzazioni aiutano e sostengono l’occupazione sotto la copertura del lavoro umanitario. Lasciatemi fare un ragionamento su questo punto: è ben noto che lo scopo di ogni resistenza è di elevare i costi dell’occupazione a un grado che eccede i relativi benefici. Inoltre si sa che la forza di occupazione è pienamente responsabile della terra e della gente che cade sotto la sua occupazione per quanto riguarda sicurezza, servizi, gestione ed altro. Le ONG e le cosiddette “organizzazioni della società civile” entrano insieme all’occupazione per implementare programmi su salute, acqua, fognature ed altro, sottraendo così un carico enorme e un costo enorme alla forza di occupazione, che infine condurrà all’allungamento del periodo di occupazione e comprende un aiuto enorme agli occupanti. Tali organizzazioni sono cresciute rapidamente in Palestina e Iraq con il consenso degli occupanti.

Concludiamo con la questione della globalizzazione. Che cosa rappresenta la globalizzazione secondo te e che cosa sono i relativi effetti sul mondo arabo?
Per iniziare dobbiamo dare una definizione precisa al termine “Globalizzazione” che è diventato così di moda nel mondo arabo che tutti ne parlano riflettendovi le loro definizioni e visioni personali del termine, spostandolo così dalla sua natura obiettiva, e giungere ad un allineamento di opinioni soggettive: la proliferazione opprimente della tecnologia (in particolar modo le tecnologie della comunicazione e dei media come i telefoni cellulari, Internet e le stazioni della TV satellite), o la natura globale dei pensieri e delle idee, o la trasformazione del mondo “in un villaggio globale” dove i suoi abitanti possano interagire facilmente, conoscersi e comunicare. Dare alle Globalizzazioni i significati precedenti (come esempio alle opinioni soggettive che sono introdotte su quella questione) viene utilizzato per provare a dimostrare che resistere alla Globalizzazione è inutile, e per descrivere coloro che dicono di opporvi resistenza come ritardati e contrari al progresso e allo sviluppo.
I significati soggettivi qui sopra non hanno rapporto con la realtà oggettiva della Globalizzazione che è una delle fasi evolutive del Capitalismo, dove il Capitale tenta di rimuovere tutte le leggi, regole, ed ostacoli che ostacolano il suo movimento da un posto ad un altro per la speculazione nei mercati dei capitali e finanziari, ed elevando i profitti con “l’investimento” nei paesi che forniscono il lavoro a basso costo, che hanno sindacati deboli, non hanno protezione legale dell’uomo e della natura, e dove le infrastrutture, l’acqua, l’elettricità e la terra sono fornite “a prezzi convenienti” “per attrarre” il Capitale.
La globalizzazione non ha raggiunto uno sviluppo “naturale”. È stata rafforzata dai paesi potenti con organizzazioni dette “internazionali” che in realtà rappresentano gli interessi di questi paesi potenti quali la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) ed altre. Questo rafforzamento si è avuto attraverso condizioni politiche create da queste organizzazioni sui programmi di prestito ai paesi poveri attraverso il seguente piano d’azione: il nord ha colonizzato ed occupato il sud, sottraendone la ricchezza e le risorse (e continua ancora a farlo). Di conseguenza, il sud è diventato povero, e quando i suoi paesi hanno voluto mettere in atto i piani di sviluppo, hanno avuto bisogno di prestiti enormi, così gli ex-colonizzatori hanno prestato loro i soldi e l’imbroglio continua (hanno prestato loro il denaro di loro stessi!).
Poiché i regimi che hanno ereditato il potere dai colonizzatori nei paesi del sud erano corrotti e in molti casi, marionette degli ex-colonizzatori, le parti più grandi di questi prestiti sono andate a finire nelle tasche di questi regimi dominanti e delle classi legate ad essi, cosa che ha significato ancora più prestiti e così via, fino a che i paesi del sud (ora denominati terzo mondo!) si sono indebitati fino al collo al punto che non sono neanche in grado di pagare gli interessi su questi prestiti.
Attraverso questa porta aperta, i paesi potenti del nord sono rientrati con la scusa “di aiutare i paesi poveri ad appianare i loro debiti enormi” con “la ristrutturazione economica”, che è il bel nome per un progetto pienamente egemonico. “Ristrutturare” significa tre cose principali:
- Il ritiro dello stato dalle sue responsabilità nel settore sociale come la salute, la formazione ed altre, a favore del settore privato che non si preoccupa se non del profitto.
- Privatizzazione delle industrie, dei servizi ed altri settori dello stato che in origine erano stati costruiti coi soldi della gente (attraverso le tasse ed altre forme di contributo e di finanziamento) per finanziare la restituzione di alcuni degli interessi del prestito, che è stato in origine il risultato della corruzione e il fallimento dei piani di sviluppo.
- Emendamento di tutte le leggi economiche come qualsiasi regolazione, ostruzione e protezione contro il capitale estero; e introduzione di nuove leggi quali “le leggi di incoraggiamento all’investimento” che di fatto danno al Capitale grosse esenzioni fiscali e prezzi convenienti sui servizi dell’infrastruttura, così la gente finanzia i progetti dell’infrastruttura a favore del progetto del capitalista che non paga tasse, abusa dell’ambiente, e sfrutta la gente stessa che ha finanziato l’infrastruttura di questi progetti.
Come ci si può aspettare, con tali impostazioni le industrie locali non possono competere con le società trans-nazionali che hanno budget enormi e possibilità ed esperienze incredibili, sostenuti da eserciti potenti e da volontà politiche che considerano soltanto che cosa porta a compimento i propri interessi senza riguardo dell’etica o dei diritti. In questo senso, le società trans-nazionali prevarranno sulla scena economica dei paesi poveri senza colonialismo diretto, nella maggior parte dei casi. Il seguente meccanismo è osservato spesso: le trans-nazionali assumeranno la direzione delle industrie di esplorazione e di estrazione, oltre che dei settori dei servizi ad alto profitto (come le comunicazioni). Ciò rende un grande risparmio usando lavoro poco costoso e non tutelato del terzo mondo, e quindi esportando e riesportando, venderanno gli stessi prodotti in questi stessi paesi a prezzi molto elevati dopo che i concorrenti locali sono stati eliminati affossandoli, riducendo i prezzi sotto costo per un tempo limitato, prendendo il controllo dei concorrenti con altri meccanismi.
In questo modo, una società sopranazionale di sport che produce i suoi palloni da calcio nel Pakistan pagando il lavoro di un bambino circa un dollaro al giorno, riesporterà questi stessi palloni nel Pakistan e nel resto del mondo da vendere ad ottanta dollari ciascuno, per essere comprato dallo stesso bambino che è stato sfruttato per la sua manifattura!
Ciò che è così ironico è che questi paesi potenti che predicano deregolamentazione, rimozione delle protezioni sulle industrie locali, e promuovono l’eliminazione del sostegno dello stato all’agricoltura, all’industria e altre attività economiche sotto gli slogan “di apertura”, “crescente concorrenza” e “sostegno del libero commercio”, praticano essi stessi il protezionismo economico e le politiche di sostegno!! Gli esempi ben noti sono i problemi fra Europa e gli USA. Sull’ultima protezione alla propria industria siderurgica che rende l’acciaio dell’UE non competitivo; la richiesta del nord che i paesi del sud aboliscano tutte le forme di sostegno all’agricoltura (che è l’attività economica principale nel sud) per superarla con i prodotti d’agricoltura del nord che sono completamente sostenuti dallo stato (i governi dell’UE per esempio spendono due euro al giorno per ogni mucca UE!).
Altri esempi. In Francia, il governo è intervenuto “con tutto il suo peso” per impedire all’azienda italiana Enel di assumere il controllo dell’azienda francese dell’acqua e di elettricità Suez, ed ha dato istruzioni per una fusione fra Suez e la Gaz de France di proprietà dello stato. Il Primo Ministro francese Dominique de Villepin ha dichiarato che questo passo è importante a causa “dell’importanza strategica dell’energia per la Francia”, sebbene l’Italia abbia considerato questa azione estrema come un “atto di guerra”, mentre il CEO Fulvio Conti dell’Enel ha considerato questa azione come un atto “di nazionalizzazione” di Suez. Un altro fatto in Spagna, dove il governo sta provando ad ostruire un’assunzione del controllo di un’azienda locale di energia (Endesa) da parte della tedesca E.ON Energie. In più, il governo spagnolo ha dichiarato che dispiegherà le sue autorità per impedire alle società straniere di possedere le aziende spagnole di energia. In un altro esempio, il governo degli Stati Uniti ha contrastato l’ingresso di una società di Dubai in un accordo di gestione dei porti.

In conclusione, la globalizzazione è un meccanismo per facilitare l’egemonia delle società capitalistiche trans-nazionali, e per aumentare i loro profitti derubando il mondo e sfruttando la gente trasformandola in schiavi. La globalizzazione non è il nemico da affrontare, semplicemente perché è un meccanismo, un mezzo, ed è inutile combattere contro un mezzo, si deve combattere l’uno, cioè il capitalismo imperialista, attraverso il mezzo. Di conseguenza, penso che gli slogan “anti-globalizzazione” o “di scontro con la globalizzazione” siano illusori, perché come ho detto, la globalizzazione è un mezzo dell’imperialismo, quindi la cosa da fare è affrontare l’imperialismo in se e non i suoi mezzi.
Un’altra confusione di concetti è fatta da coloro che dividono la Globalizzazione in molte “globalizzazioni”: globalizzazione economica, globalizzazione culturale, globalizzazione militare e così via. Questa è una divisione illusoria per mostrare che “non tutti gli aspetti della globalizzazione sono nocivi, solo alcuni”. La globalizzazione è un fenomeno economico come ho chiarito sopra, ma per sostenerlo si ha bisogno di strumenti ulteriori, ad esempio culturali, militari e altro.
Per esempio: per l’industria cosmetica, per vendere miliardi di dollari di prodotti, si deve introdurre una determinata tendenza nel vestiario, un determinato standard di valori della bellezza, che cosa è accettabile e che cosa non è accettabile, e per quello si mobilitano eserciti enormi di modelli, cantanti, attori, riviste, video clip, stazioni satellite, generando la propria “cultura”, che in realtà non è una cultura ma una propaganda consumistica che spinge la gente a spendere soldi a favore dei fornitori e dei promotori di questa propaganda che dal nulla fanno profitti ! Lo stesso per le tendenze alimentari (McDonalds, Burger King, Coca-cola, Pepsi…ecc tutti generano e promuovono determinati stili di vita ed abitudini per elevare le proprie vendite, e così i loro profitti), i telefonini, ed altri prodotti che si sono trasformati in articoli di importanza vitale.
L’intervento militare viene per insediare delle cose laddove l’intervento politico e economico ha fallito. L’esempio dell’Irak è molto illuminante, dove le società come Bechtel e Halliburton hanno seguito i soldati nei progetti dei pozzi e dell’infrastruttura del petrolio.
Ora tratterò un altro aspetto del problema: l’effetto della globalizzazione sul mondo arabo.
I regimi dominanti nella patria araba sono simili a quelli prevalenti nel terzo mondo: sono una continuazione dell’era colonialista, e integrati negli interessi delle potenze imperialiste. A causa della loro subordinazione politica ed economica all’imperialismo, questi regimi non rappresentano gli interessi della loro gente, ma piuttosto gli interessi degli stati potenti e delle società trans-nazionali. Questi interessi si sviluppano e cambiano, il che significa che questi regimi sono discutibili e cambiabili quando mantenere gli interessi imperialistici abbia bisogno di metodi differenti. Ciò rende questi regimi soggetti a una continua appropriazione dall’esterno e ad una continua paura dall’interno. E provoca una subordinazione completa all’esterno ed un pugno di ferro per la sicurezza all’interno. Questo è il primo effetto della globalizzazione (=imperialismo) sulla patria araba.
Il secondo effetto è lo scarto completo e finale dei programmi di sviluppo locali indipendenti, l’apertura dei mercati locali, la rimozione della protezione sulle industrie e sui servizi locali, oltre alla vendita delle imprese pubbliche. Ciò ha condotto automaticamente alla perdita del controllo dello stato sull’economia con conseguente aumento enorme dei prezzi, inflazione accompagnata dalla stabilità o persino dalla diminuzione degli stipendi, col licenziamento di tantissimi lavoratori, e l’assenza delle possibilità di lavoro reali con conseguente propaganda condotta dallo stato “di superare la cultura della vergogna” che invita i laureati a trasformarsi in schiavi per 100$ al mese per le industrie sioniste e trans-nazionali nelle zone industriali qualificate della Giordania (QIZs).
Il terzo effetto è che lo stato ha scoperto che non ha fonti di reddito dopo la privatizzazione e la vendita del settore pubblico (una delle maggiori fonti di reddito per lo stato), la cancellazione delle tasse e le barriere doganali dovuta all’impegno in accordi di libero scambio (un’altra fonte di reddito), la rimozione delle tasse sul capitale straniero per “attrarre” l’investimento (una terza fonte di reddito). L’unica fonte di reddito lasciata sono le tasse raccolte dalla gente, e le multe! Così i regimi hanno smesso di sovvenzionare i prodotti essenziali, hanno introdotto “un’imposta sulle entrate” e l’hanno aumentata molte volte (ora in Giordania è del 16% su ogni articolo comprato), sono diventati molto rigorosi sull’imposta sul reddito, e l’intero settore pubblico si è trasformato in una struttura per l’accumulazione di denaro che non fornisce servizi.
Così con la globalizzazione, lo stato:
- si è trasformato in un mezzo di facilitazione per il capitalismo e per lo sfruttamento dei lavoratori e delle risorse cambiando il quadro giuridico e rimuovendo le protezioni e i controlli mentre prende le commissioni indietro sotto forma di sussidio o benefici o altro.
- Non fornisce servizi poiché ha lasciato i suoi compiti sociali al settore privato.
- Raccoglie i soldi dalla gente per realizzare i punti sopra elencati!!
È il lavoro più astuto di inganno della storia: la gente che finanzia la loro propria distruzione, lo sfruttamento e la trasformazione in schiavi del consumismo!!
La gente araba e la gente del mondo generalmente non ha interesse per un tale sistema. E’ necessario non seguire l’imperialismo e la globalizzazione, ma piuttosto cercare uno sviluppo indipendente e distaccarsi dalla dipendenza. Chiunque dica che questo è impossibile dovrebbe fare riferimento alle esperienze di Venezuela, Bolivia e Cuba che ancora tengono di fronte all’embargo degli Stati Uniti che forse è il più lungo nella storia.

Ciò che è impossibile nella regione araba è che tale sviluppo indipendente sia compiuto a livello individuale, ecco perché i regimi arabi lavorano duramente per promuovere gli attuali stati arabi come ultimo orizzonte e condizione finale, che in realtà significa rendere eterni dipendenza e subordinazione e, di conseguenza, mantenere gli interessi delle classi dominanti. Ciò di cui abbiamo bisogno è gettare “l’orizzonte degli stati arabi” nel bidone dei rifiuti e tornare ad un nuovo approccio pan-Arabo. Il mio parere come marxista è che per affrontare l’imperialismo, il sionismo ed i loro strumenti nella regione araba (i regimi arabi), la gente sfruttata dovrebbe unirsi per essere propulsori della rivoluzione.



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