SENZA CENSURA N.22

marzo 2007

 

Pisa, inchiesta COR

Contributo sugli sviluppi della situazione repressiva

 

Pubblichiamo questo breve resoconto delle vicende giudiziare di alcuni compagni di Pisa, imputati e condannati in primo grado per l’inchiesta su le Cellule di Offensiva Rivoluzionaria e coinvolti nell’inchiesta “Gruppi d’affinità”, per contribuire sia alla contro-informazione su questa stretta repressiva, sia alla mobilitazione per la loro liberazione.
 

La situazione a Pisa
Da qualche anno a Pisa è presente una realtà anarchica che si è stretta intorno a tematiche legate alla difesa della terra.Una realtà che ha prodotto materiale, organizzato iniziative, ha redatto un giornale: “Terra Selvaggia” (uno dei punti di riferimento per le lotte di anticivilizzazione), ha solidarizzato con i ribelli imprigionati... Una realtà che non ha mai nascosto il proprio appoggio alla ribellione autoorganizzata o spontanea.
E quando ignoti, da anni, si mettono in gioco per gettare sabbia negli ingranaggi di questo mondo, attraverso i più svariati sabotaggi in Toscana come nel resto del paese, e quando gli investigatori dello stato non sanno che pesci prendere la soluzione è bella che pronta: accusare chi controinforma, accusare chi solidarizza,accusare chi chiama con nome e cognome i responsabili dei massacri, accusare chi sostiene le lotte e, ovviamente, imprigionarli.
Niente di nuovo essendo la repressione di Stato endemica e naturale, colonna portante della sua presunta integrità; non stiamo qua a piangerci addosso né a cercare altri colpevoli o altri innocenti. Vogliamo comunque spendere qualche parola sulle due inchieste che hanno cercato, senza riuscirci, di eliminare alla radice una realtà e il messaggio che ha da sempre proposto:la possibilità di vivere in un mondo diverso, la necessità di ribellarsi allo Stato. A qualunque costo.
Le due inchieste hanno la stessa identica cornice, l’art.270bis c.p. ”associazione sovversiva con finalità di eversione”, da sempre usato per colpire gli individui o le realtà che si ‘permettono’ di non chinare la testa e che non vogliono rimanere entro quegli stretti confini di ‘democrazia’ che lo Stato concede.

L’inchiesta COR
A Pisa tra giugno e luglio del 2004, in seguito alle indagini sulle Cellule di Offensiva Rivoluzionaria (un gruppo che dal 2003 ha firmato diversi attacchi incendiari a veicoli di fascisti, sindacati, agenzie di lavoro interinale e ad una costruenda caserma dei carabinieri) vengono eseguiti 9 arresti. Uno dei compagni messi agli arresti domiciliari evade dopo pochi giorni mentre due rimangono in carcere e gli altri, dopo quache mese, vengono liberati. Nel dicembre del 2004 l’accusa iniziale di associazione a delinquere viene strumentalmente trasformata in associazione sovversiva con finalità di eversione (art 270bis c.p.) appena prima della scadenza della carcerazione preventiva, cosicchè i due compagni ancora in carcere vi rimangono altri 6 mesi. A tre compagni degli undici indagati vengono anche contestati alcuni reati specifici.
Il processo in Corte d’Assise del tribunale di Pisa inizia nel marzo del 2006. Da subito si ha l’impressione della netta collusione tra la pubblica accusa (la PM Pietroiusti della procura di Firenze) e la giuria presieduta da Angelo Perrone. Le forze dell’ordine e i giornalisti fanno a gara per creare un clima di tensione: doppie perquisizioni, provocazioni e schedature per chiunque voglia entrare alle udienze; presenza massiccia di polizia, celere, carabinieri, ROS e digos; articoli giornalistici che rilanciano gli allarmi con in bella vista le foto degli imputati.
Il processo mostra evidentemente l’incapacità della pubblica accusa (ultima ruota del carro di una Procura, quella fiorentina, storicamente dedita alla repressione dell’attività rivoluzionaria) e la mancanza di basi concrete non solo per dimostrare il coinvolgimento dei compagni/e ma anche l’effettiva strutturazione di un’associazione.
A dispetto di tutto il 7 luglio del 2006 viene emessa la sentenza di colpevolezza per sei compagni/e con pene che vanno dai sei ai tre anni e sei mesi.
Ma non sono gli anni di galera a dover preoccupare piuttosto il fatto che, alla fine di una strenua battaglia nella quale Pisanu è stato potente condottiero, un tribunale sia riuscito a condannare degli anarchici per un reato di associazione sovversiva, dopo tanti anni in cui non accadeva. La mancanza assoluta di una base organizzativa, di una struttura, di ruoli definiti, la non conoscenza al momento del “reato” tra alcuni dei condannati sono solo alcuni degli elementi chiari che sebbene venuti alla luce durante il processo non sono stati presi in considerazione e dimostrano che la sentenza COR è una sentenza “politica”.

L’inchiesta “Gruppi di Affinità”
Nel bel mezzo del processo COR, il 4 maggio scorso vengono emesse dal Tribunale di Firenze (su richiesta della solita PM Pietroiusti) 11 misure cautelari. Cinque compagn* finiscono in carcere, cinque agli arresti domiciliari e uno confinato nella sua città di origine. L’accusa è ancora una volta l’art.270 bis c.p. Vengono anche contestati ad alcuni degli 11 compagn* due reati specifici: il sabotaggio di un traliccio della linea elettrica ad alta tensione La Spezia-Acciaiolo e l’attacco ad una agenzia interinale.
Ancora una volta la manovra repressiva dello Stato si basa su una semplice quanto stupida equazione: ci sono azioni dirette contro gli impianti di morte, ci sono persone che da anni si battono e informano sulla nocività di certi impianti = quelle persone sono responsabili delle azioni. Semplice ed efficace, in questo modo si cerca ostinatamente di chiudere un’esperienza, dall’altra si manda un messaggio ben chiaro e cioè che chi si occupa di certi argomenti non rispettando i confini dettati dallo Stato è passibile della galera.
Le motivazioni delle misure cautelari del 4 maggio scorso delineano chiaramente un quadro nel quale l’attività sovversiva è l’impegno e l’esistenza stessa dei compagn* pisan*. Di fatti si basano quasi del tutto sulle iniziative organizzate, sulla solidarietà data (principalmente a Maria, la madre di Marcello Lonzi assassinato dai secondini nel carcere di Livorno, e a due compagni pisani finiti in carcere in Spagna per motivi diversi), sulla redazione del giornale Terra Selvaggia, sulla pubblicazione di opuscoli e volantini vari. Qua sta la sovversione. L’associazione è invece dedotta dagli investigatori sulla base dei contatti telefonici e diretti tra i vari compagn*. Come a dire che relazioni di amicizia, amore, lotta, quotidianità sono trasformati, nella logica razionale quanto misera del codice penale, in associazione sovversiva.
Dopo nove mesi di carcerazione preventiva solo un compagno ha ottenuto gli arresti domiciliari, quelli ancora in carcere sono nel circuito EIV(Elevato Indice di Vigilanza con tutte le ristrettezze che questo comporta), la loro corrispondenza è ancora sotto censura e sono dispersi per tutto il paese; quelli ai domiciliari(ad una compagna li hanno sostituiti con l’obbligo di dimora) hanno il divieto di incontri e di spedire o ricevere lettere.
Ma nessuna galera piegherà mai la loro e la nostra voglia di lottare. Scegliere di stare con loro implica già un’altra scelta: da che parte della barricata stare.
“Puntiamo sull’appoggio dei selvaggi e degli incivili che vorranno unirsi a noi per continuare una resistenza che dura da generazioni.”

Anarchici e anarchiche

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