SENZA CENSURA N.24

novembre 2007

 

La sinistra araba

Dal grembo sovietico al letto del neoliberismo

 

Offriamo ai lettori di Senza Censura la traduzione di due contributi sull’attuale panorama politico arabo, per ciò che concerne le varie correnti ed esperienze organizzative che si oppongono all’imperialismo.
Entrambi gli articoli sviluppano le proprie analisi partendo sia da riferimenti storici precisi e che avvenimenti recenti.
Riteniamo utile pubblicarli non perché il punto di vista dei due autori coincida specularmente con il nostro, ma per il fatto che i dati riportati e le riflessioni maturate permettono di decodificare meglio ciò che sta avvenendo in “Medio-Oriente”.
Spesso infatti i condizionamenti della macchina da guerra mediatica agiscono in profondità sul senso critico anche di molti compagni così che il dibattito non si sviluppa su basi di informazione dettagliata all’interno di un quadro storico definito.
A questo approccio deleterio contribuisce senz’altro la quasi totale «cooptazione» dell’inteligentia all’interno della propaganda della «guerra al terrorismo», e con differenti sfumature, alla condivisione del paradigma interpretativo dello “scontro di civiltà”, basato tra l’altro non solo sullo stravolgimento dell’attuale rapporto tra il centro imperialista e la periferia integrata, ma anche sulla rimozione volontaria della storia di una secolare dominazione coloniale, così come dei caratteri di storia originali dell’area del Maghreb e del Mashrek.
Non possiamo nasconderci che è sempre meno possibile una occasione di scambio e interlocuzione con personalità politiche e intellettuali arabe non al soldo dell’imperialismo sia nella sua versione reazionario-populista che in salsa post-socialdemocratica.
Questo anche perché il vuoto di iniziativa politica si auto-alimenta producendo sempre più disorientamento, utile solo a riprodurre l’empasse e a portare risorse all’opportunismo.
Siamo convinti che troppo spesso siano ignorate le conseguenze degli sviluppi del quadro politico arabo in loco su quelle parti di classe operaia immigrata che vivono nella metropoli imperialista. Questa porzione si forma una coscienza di ciò che sta avvenendo là non solo attraverso fonti dirette ma anche attraverso canali di comunicazione (televisioni satellitari, internet e telefonia) di cui noi spesso ignoriamo totalmente i contenuti.
Pensiamo quindi che la circolazione di informazioni sia il minimo indispensabile che può fare la sinistra antimperialista «bianca» di un Paese che fa la guerra ai popoli del tricontinente.
Mentre l’articolo di Nicolas Dot Pouillard ci è stato segnalato da un compagno di Adameer, organizzazione palestinese che si occupa dei prigionieri politici palestinesi di cui più volte abbiamo pubblicato materiali, il secondo articolo è stato scritto su nostra richiesta da Hisham Bustani, intellettuale e militante politico arabo i cui contributi sono già apparsi sulla rivista.
 

La sinistra araba: dal grembo sovietico al letto del neoliberismo
di Hisham Bustani*

La situazione della sinistra araba è simile al “fenomeno della trasformazione della sinistra” su scala globale e un riflesso di questa. La ragione è semplice: la sinistra araba, nel suo complesso salvo qualche eccezione, non è mai stata una “sinistra” in senso materialistico dialettico. E’ sempre stata un’entità riservata, conservatrice, “reazionaria” piuttosto che propositiva, che “importa” teoria piuttosto che produrla, fedele alla “lettera del testo” (specie del testo della politica sovietica!) piuttosto che essere pensatrice critica innovativa.
Più avanti, cercherò di analizzare le principali debolezze della sinistra araba, gli ostacoli che ha dovuto affrontare e vedrò di argomentare se effettivamente sia davvero esistita una sinistra araba. Questo è di speciale importanza giacché, provenendo io stesso da una posizione marxista, la critica aiuterà a sviluppare nuovamente una sinistra rivoluzionaria nella regione araba e nel mondo.
Sotto l’occupazione britannica e francese, la divisione di al-Mashreq al-Arabi (Medio Oriente arabo, diviso dai colonialisti negli Stati che oggi conosciamo come Siria, Libano, Palestina, Giordania e Iraq) è avvenuta per molte ragioni oggettive:

  1. Per la dottrina del “Dividi e Impera”, che è un meccanismo ben conosciuto che priva il popolo del potere di cambiamento e sposta la sua energia politica verso canali interni (canali interni al sistema benigno costruito) facilitando così il lavoro dell’occupante; impedisce straordinariamente qualsiasi tensione verso l’unificazione delle masse arabe – unico meccanismo che possa condurre alla sconfitta dell’imperialismo; e trasforma la sua immagine e presumibile funzione da oppressore a cuscinetto fra le divisioni interne.

  2. Per preparare la strada per la fondazione di una base imperialista, un’entità funzionale che possa servire l’imperialismo e costituire una barriera materiale tra le due ali, orientale e occidentale, dello spazio arabo. Non dimentichiamo che i più grandi tentativi di progetto di liberazione araba sono nati con l’unificazione delle parti orientale e occidentale della patria araba – Siria ed Egitto. Fu il caso di Saladin (che unì Damasco ed Egitto nel 1174 preparando la fine del Regno di Gerusalemme dei crociati nel 1187); Mohammed Ali Pasha (1769-1848. Egli è noto per il suo piano di industrializzazione e modernizzazione allo scopo di fondare uno Stato forte nella regione araba, unificò Egitto e Siria e fu costretto ad abbandonare il suo progetto dall’attacco navale britannico ed austriaco); e Nasser (1918-1970. Nel suo tentativo di costituire uno Stato arabo sovrano veramente indipendente, Nasser tentò e riuscì ad unificare Egitto e Siria come spina dorsale dell’unità araba; per diverse ragioni, l’unità terminò solo nel 1958-1961).

  3. Per tenere questi “Stati” costruiti in una condizione di costante subordinazione all’imperialismo fino a rendere impossibile conquistare la liberazione a livello degli Stati (mancanza di risorse per fondare uno sviluppo indipendente, mancanza di spessore politico e popolare a sostegno di un progetto di liberazione, tra le altre ragioni oggettive).

Il culmine dell’iniziativa colonialista per la divisione ed il mantenimento dello stato di subordinazione si è avuto con la costituzione e legittimazione dell’entità sionista (Israele): un’entità razzista di insediamenti coloniali organicamente e funzionalmente annessa alle potenze imperialiste. Non c’è alcuna ragione oggettiva che possa convincere una persona di sinistra a riconoscere ed accettare la costituzione di una siffatta entità, al contrario, la logica della teoria marxista e i suoi sviluppi si muovono concretamente contro tale riconoscimento. Una sola eccezione potrebbe condurci verso il sionismo: se questa persona di sinistra è totalmente meccanica-meccanicistica e sotto l’influenza di un centro che agisce come una super-potenza piuttosto che come un centro rivoluzionario.
L’Unione Sovietica ha accettato il Piano di Spartizione patrocinato dall’ONU nel 1947, accettando in tal modo la manifestazione materiale del progetto sionista/imperialista nella regione araba; conseguentemente, quasi tutti i partiti comunisti arabi hanno accettato quanto concordato dai sovietici senza alcuna obiezione critica! Oltre a ciò, si dice che il Partito Comunista Siriano, che stampò il suo giornale con titoli contrari al Piano di Spartizione proposto, dovette gettare tutta la tiratura nella spazzatura e stampare un’altra edizione con una posizione opposta dopo l’accordo sovietico al Piano!
Da quel momento in avanti, i Partiti Comunisti Arabi dovettero diventare gli “avvocati del diavolo”, difendendo l’esistenza di “Israele” e costruendo/promovendo ogni sorta di teoria sulla “unità della classe operaia araba ed ebrea” in Palestina, una barzelletta teorica che richiede l’unità degli oppressi e occupati con i loro oppressori e occupanti coloniali!! I comunisti palestinesi hanno formato partiti “uniti” di arabi e coloni sionisti auto-proclamatisi comunisti, mentre altri arabi comunisti hanno mantenuto coordinamento ed uno stretto rapporto con la “sinistra” sionista ed ancora lo mantengono.
Nel marzo del 2006, il Partito Comunista Giordano ha tenuto un incontro di coordinamento col Partito Comunista Israeliano in Amman, un esempio dei molti che potrebbero essere rimasti ignoti, ma di quell’incontro se n’è fatto vanto – non così stranamente – nel giornale del PCG! Sebbene sia abbastanza strano essere allo stesso tempo “comunista” ed “israeliano”, i due partiti ovviamente non hanno conflitti politici, poiché entrambi affermano che l’occupazione della terra araba (terra occupata nel 1948) e la fondazione di un’entità razzista di insediamenti di coloni funzionale su quella terra siano giusti e accettabili purché i sionisti restituiscano parte dei territori (che occuparono successivamente, nel 1967) ai palestinesi per costituire uno “Stato” diviso e del tutto subordinato. Questa è chiamata la “soluzione dei due Stati”, una ingiusta proposta metafisica per porre fine alla lotta arabo-sionista che serve al mantenimento dello status quo e spinge il mondo intero ad accettare l’ingiustizia (Israele) come una legittima, normale esistenza. Sia il PCG che il PCIsr concordano su questa soluzione come loro strategia, una coincidenza che li ricollega all’agenda politica dominante a livello globale. Anche i governi USA e “israeliano” sembrano agganciarsi alla soluzione dei “due Stati”, uno strano accordo con la strategia “comunista“!
Alcuni comunisti arabi furono pionieri nel coniare termini come “sensibilità politica” e “comprendere i rapporti di forza”. Quest’ultimo termine è diventato l’arsenale teorico per i disfattisti che si sono messi nel grembo sionista in un processo di “pace” infinito.
I comunisti, sotto l’influenza dei sovietici, sono stati anche i primi ad accettare la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che tra l’altro istituisce “Israele” come legittimo Stato ordinando agli arabi di scordarsi della terra occupata prima del 1967, e definendo la terra araba occupata dopo il 1967 solo come “territori occupati”.
L’Unione Sovietica ha cercato di spingere tutti ad accettare la Risoluzione 242. Mjalli Nasrawin, Capo del Dipartimento delle Relazioni Internazionali del Partito Ba’ath nel novembre 1969 e successivamente suo Segretario Nazionale, riferisce che l’Ambasciatore sovietico in Siria in quel periodo, Nuradin Mukhitdinov, chiese al partito (che allora governava la Siria) di accettare la Risoluzione 242. Nasrawin ricorda che alcune settimane dopo, il partito ricevette una lettera firmata dalla troika della dirigenza sovietica: Brezhnev, Podgorny e Kosygin, in cui si sosteneva che i sovietici avrebbero considerato una minaccia alla pace globale il non accettare la Risoluzione 242 sulla Palestina e che, se la dirigenza del partito Ba’ath non avesse accettato questa risoluzione, i sovietici avrebbero smesso di offrire il proprio sostegno.
La dirigenza del Partito Ba’ath non dovette aspettare a lungo per sperimentare la fine dell’appoggio sovietico. Durante la 10^ Conferenza Nazionale Straordinaria del Partito nel 1970, Hafez al-Assad (allora Ministro della Difesa e a capo di una fazione a favore della 242 nel Partito Ba’ath) fu bocciato d’ufficio. Nasrawin ricorda che al-Assad lasciò immediatamente la conferenza ed inscenò un colpo militare. Nell’arco di poche ore, l’Ambasciatore sovietico si incontrò con il leader del partito Salah Jdeid e lo informò che se avesse accettato la Risoluzione 242 i sovietici avrebbero riportato al proprio posto la dirigenza del partito; altrimenti i sovietici non sarebbero intervenuti. Jdeid rifiutò e nel giro di poche ore Hafez al-Assad dichiarò il “movimento correttivo”, delicato appellativo per il suo colpo militare sulla leadership del proprio partito Ba’ath. I dirigenti del partito furono tutti arrestati e rimasero in galera per oltre 20 anni. Mjalli Nasrawin fu rilasciato dopo 23 anni di carcere. Altri non son stati così fortunati. Salah Jdeid e Noor ed-Din Atasi hanno lasciato il carcere dentro le loro bare.
E’ importante sottolineare che la dirigenza del Partito Ba’ath espulsa nel 1970 rappresentava l’elemento progressista democratico: rifiutando di eliminare militarmente al-Assad e la sua fazione malgrado la consapevolezza delle sue intenzioni; e promovendo la necessità di una teoria e prassi marxiste in contrapposizione al socialismo romantico caldeggiato dall’altra fazione.
Se queste furono le pressioni e le richieste dei sovietici sul partito Ba’ath, possiamo immaginare le loro pressioni e richieste sui partiti comunisti arabi riguardo la questione palestinese, la questione centrale della liberazione araba.
I partiti comunisti arabi non sono i soli da biasimare per la loro mancanza di analisi e di visione complessiva. Anche organizzazioni auto-proclamatesi marxiste si sono allontanate, nella loro strategia, dalla liberazione per approdare ai “due Stati”. Queste sono più precisamente: il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP) e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Il FDLP è stato un precursore nel proporre le “tappe” nella lotta di liberazione. Questo ha preparato la strada a concessioni strategiche dipinte come “tappe necessarie” della lotta. Il FPLP, avendo una posizione ben più progressista ed essendo stato, in un certo momento della storia della lotta, in prima linea nella resistenza militare, ci ha messo più tempo prima di ritirarsi anch’esso nella retorica delle “tappe” e dei “due Stati”, ora integrante la sua linea politica ufficiale.
Si è visto ora chiaramente (con qualche eccezione), che la sinistra araba organizzata: i partiti comunisti, il FPLP e il FDLP, hanno tutti ceduto alla “razionalità politica” e si sono allontanati da una teoria e lotta oggettiva irriducibile, preparando la strada alla nascita di organizzazioni islamiste che ancora insistono sulla “liberazione” e sul “rifiuto di riconoscere la legittimità dell’entità sionista” e allo stesso tempo praticano la resistenza armata.
Altro grande errore dei comunisti arabi è stata la loro mancanza di chiarezza sulla questione dell’unità araba. Unico caso nella storia, gli arabi sono passati direttamente dalla fase di un’oppressione ottomana di circa 600 anni, prima della 1^ Guerra Mondiale, alla fase dell’occupazione e spartizione colonialista, dopo la 1^ Guerra Mondiale. E’ importante dire che questa frammentazione è uno strumento di subordinazione, e questo è vero per la classe operaia (da ciò l’esortazione all’unità dei lavoratori) ma è altrettanto vero per il popolo diviso che non ha ancora acquisito la propria esistenza nazionale e dove una struttura sociale capitalista classica con la sua struttura di classe conseguente è lungi dall’essere una realtà oggettiva. E’ solo semplice buon senso affermare che dovrebbe essere una priorità per la sinistra araba esortare gli stanchi arabi divisi a unirsi nella lotta contro il sionismo e l’imperialismo e contro i regimi arabi subordinati che salvaguardano questa divisione, rompendo le linee di divisione tracciate dai colonialisti.
Mentre i comunisti arabi, guidati da un metafisico piano arabo-sionista di “unità dei lavoratori” erano ben lontani dalla lotta principale, restando neutrali e silenti sulla questione dell’unità araba, organizzazioni pan-arabe cominciarono ad evolvere verso il marxismo, dimostrando oggettivamente che l’unità araba deve avere una natura di classe, deve adottare il socialismo per portare a compimento la liberazione e deve essere uno sforzo anti-sciovinista secolare che raggruppi tutti i popoli oppressi della regine araba. In questo senso, l’influente Movimento Nazionalista Arabo negli anni ’50 diede vita al FPLP marxista e il Partito Ba’ath fece crescere una dirigenza progressista di sinistra cacciata dal colpo militare del 1970.
La “giusta” posizione dei comunisti arabi sulla Palestina e sull’unità araba, prodotti della subordinazione meccanicistica al centro sovietico e della mancanza di analisi e teoria critiche, sono le consistenti prove che non è mai nata una “sinistra” nei partiti comunisti classici, infatti questi partiti hanno ostacolato e a volte combattuto i pensatori critici che provenivano dalla classe dirigente.
Questa lunga storia ha preparato la strada ad una transizione verso le ONG (Organizzazioni Non Governative) di molti comunisti e partiti comunisti nella regione araba seguendo “l’ondata liberale” nella sinistra globale dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica, padrino politico dei partiti comunisti arabi.
Inoltre, seguire questa linea storica eliminerà anche lo stupore che potrebbe nascere dalla collaborazione del Partito Comunista Iracheno con gli occupanti USA e la sua integrazione nel processo politico dominato dagli occupanti, mentre è sostenuto da altri partiti comunisti arabi come il PCG.
E’ logico che la sinistra araba sia ora in un momento di estrema debolezza, divisa tra due campi principali:
- un campo comunista classico che prosegue sulle linee politiche dei predecessori con aggiunte “liberal”: propugnare una soluzione dei “due Stati” in Palestina, avendo una profonda fiducia nei “processi democratici” imposti dagli imperialisti come quello nell’Iraq del post occupazione, confluendo nelle agende delle ONG ed accettando i loro finanziamenti e combattendo per l’esistenza politica piuttosto che per un’ideologia/programma politico. Questa linea è profondamente radicata nelle organizzazioni storiche (partiti comunisti e strutture simili);
- e invece un campo critico neo-marxista, benché presente ed attivo, disorganizzato e diviso, principalmente perché costituito da individui che hanno lasciato le strutture ufficiali classiche senza trovarne di alternative o costruirne una. Il campo critico neo-marxista (spesso riferito alla “Sinistra Nazionalista” in contrapposizione alla “Sinistra Democratica”, essendo quest’ultima un malformato equivalente dei social-democratici europei) ha punti di vista chiari su: Palestina (centro della lotta di liberazione araba e non un mero conflitto palestinese/israeliano; una lotta irriducibile per l’esistenza tra il progetto di liberazione araba e il progetto sionista/imperialista non può essere risolto con un “processo politico”, non può essere risolto mantenendo un’entità sionista in molte parti del territorio arabo); Iraq (non riconoscere l’occupazione USA e tutti i processi politici conseguenti); Resistenza (sostegno incondizionato verso tutte le forme di resistenza, inclusa la resistenza armata); Unità della lotta araba (l’impossibilità di liberazione a livello dello Stato arabo attuale, debole, subordinato, costruito dal colonialismo).

Attraverso una polarizzazione tra questi due campi – uno sforzo che dovrebbe estendersi globalmente sulla base della chiarezza politica – può nascere una nuova sinistra radicale, militante, chiara e rivoluzionaria, e divenire nuovamente un giocatore chiave nel processo di liberazione.

—————————
* Il Dr. Hisham Bustani è uno scrittore di sinistra e attivista giordano. Membro fondatore dell’Alleanza dei Popoli Arabi Resistenti, membro dell’Alto Comitato Esecutivo Giordano per Resistere alla Normalizzazione con Israele, e membro del Comitato Esecutivo del Forum del Pensiero Socialista giordano.



http://www.senzacensura.org/