SENZA CENSURA N.26
luglio 2008
editoriale
Ecco la
seconda repubblica!
Della pesante sconfitta elettorale della sinistra arcobaleno si è scritto
e detto di tutto.
Poco ci importa andare ad analizzare quando e perché è iniziata la sua fine.
E se il quadro dirigente di questa sinistra non è stato in grado di
capitalizzare il ruolo che ha lucidamente deciso di assumere in questa fase,
rimanendo schiacciato a sua volta in malo modo nel passaggio storico al sistema
bipolare, la cosa ci interessa ancora di meno.
Ci interessa innanzitutto non rischiare di cadere nella drammatizzazione di una
sconfitta che, per quanto ci riguarda, evidenzia ancor di più in questa fase una
crisi generale dell’ipotesi riformista: nell’impossibilità oggettiva di
determinare chissà quale cambiamento e nella totale mancanza di ipotesi chiare e
coerenti contribuisce ad alimentare tendenze reazionarie.
Anche perché, senza cadere in facili ottimismi, guardando lontano (ma non
troppo) da noi la classe in giro per il mondo continua a sviluppare in maniera
autonoma e al di fuori del senso di sconfitta che anima i settori riformisti del
nostro paese forti momenti di reazione a fronte di fenomeni come l’aumento dei
beni di prima necessità, dei carburanti, delle condizioni di vita e del lavoro
nei nuovi distretti industriali, dall’Egitto all’India, alle Filippine.
Ci sembra piuttosto necessario inquadrare il fenomeno italiano in un generale
salto di qualità che il sistema politico economico, in linea con il quadro di
comando imperialista a livello internazionale, ha saputo darsi anche sul piano
“formale”.
Probabilmente non è scorretto affermare che con quest’ultima tornata elettorale
e con il definitivo consolidamento del sistema cosiddetto bipolare si è
completato il passaggio, durato quasi vent’anni, dalla prima alla seconda
repubblica.
Abbiamo di fronte un quadro di comando forte, consapevole della situazione di
crisi strutturale con cui deve fare i conti, e che in questi anni si è preparato
ad affrontare non solo con manovre economiche sempre più dure e penalizzanti, ma
anche rosicchiando progressivamente ogni spazio di agibilità politica con lo
sviluppo di un sistema giudiziario e legislativo imponente e nel contempo
tentando di smantellare scientificamente, con la pesante complicità dell’intero
quadro politico e sindacale riformista, ogni forma identitaria della classe.
Questo è il ruolo assegnato alla “sinistra” in tutta questa fase di transizione
e che oggi è possibile riconoscere con precisione e senza bisogno di “forzature”
ideologiche.
Un ruolo che ha richiesto un suo costante impegno all’interno della classe, un
impegno teso a disinnescare sia dal punto di vista materiale che dal punto di
vista politico ed organizzativo le contraddizioni che lo sviluppo della crisi
economica ha prodotto in questi anni e che continua a tutt’oggi a produrre, uno
scontro di classe che si è fatto pesantissimo e che lascia ormai ogni giorno sul
campo morti di lavoro, morti di disperazione, morti di miseria.
Il quadro di comando, al di là delle differenze, ha dimostrato di avere le idee
chiare ed è assolutamente omogeneo sulla necessità di gestire con fermezza
questo scontro di classe, sia sul piano nazionale che su quello internazionale.
Come Senza Censura abbiamo cercato di seguire costantemente con approfondimenti
e spunti di analisi le trasformazioni profonde che hanno caratterizzato in
questi anni le strategie e la strutturazione stessa del sistema di dominio
imperialista.
Una cosa però ci sembra importante sottolineare: questo nuovo scenario non può
essere interpretato unicamente sottolineando le pesanti responsabilità di un
quadro riformista da tempo lontano da ogni prospettiva di classe.
Questo salto “epocale” deve essere invece un’occasione per avviare un onesto e
profondo bilancio politico che riguarda tutto il quadro militante che si colloca
ancora nell’ambito della sinistra di classe, nessuno escluso.
Ci sembra invece che a tutt’oggi sia ancora troppo forte la tentazione di
lavorare al solo scopo di occupare lo spazio politico lasciato drammaticamente
vuoto dalla sconfitta, elettorale e non solo, della sinistra istituzionale.
Sforzi che rischiano di far perdere di vista ancora una volta la necessità di
rimettere al centro una riflessione sulle reali priorità del lavoro politico
all’interno della classe, continuando a ragionare unicamente sull’obbiettivo di
come capitalizzare per se questa congiuntura.
Probabilmente questo è un “male incurabile” di un’intera generazione politica
uscita dal ciclo di lotte degli anni settanta e che negli ultimi trent’anni ha
dovuto fare i conti con un attacco politico, repressivo e culturale senza
precedenti, una generazione politica che però volente o nolente continua ancora
oggi a determinare le forme e le pratiche dell’aggregazione politica all’interno
del tessuto di classe.
Oggi diventa indispensabile, secondo noi, tentare di spostare la riflessione dal
piano della forma al piano della sostanza. Non possiamo pensare, in una fase in
cui nessuna soggettività politica riesce realmente a misurarsi sul piano della
prospettiva, di poter continuare a bleffare riproponendo logiche politiche che a
questo punto possono veramente definirsi superate storicamente.
A nostro modo di vedere, è ormai tempo di archiviare definitivamente una logica,
una cultura politica resistenziale, strategicamente minoritaria e tatticista che
in questi ultimi anni ha caratterizzato l’agire politico di gran parte delle
aggregazioni politiche dell’antagonismo.
Non è attorno alla temporanea (quanto discutibile) capacità soggettiva di
qualcuno che si potranno ricostruire le condizioni per avviare dei reali
processi di organizzazione politica e sociale nel territorio. E questo, volenti
o no, è il dato da cui secondo noi bisogna ripartire per non continuare a girare
a vuoto.
Quello che ci aspetta non è certo un periodo semplice.
Lo sforzo più grosso rimane forse quello di contrastare, sia pur nella mancanza
di prospettive chiare e definite, quel senso di rassegnazione che non solo può
portare ad uno sterile disfattismo, ma che spinge ognuno di noi a ragionare al
ribasso quando invece sarebbe necessario ritrovare la capacità di guardare
oltre, fuori dalla spirale, fuori dalle quattro mura del nostro giardino.
Come Redazione già da alcuni numeri abbiamo cercato, per quanto ci consentono le
nostre forze, di scandagliare con un lavoro di indagine e con interviste alcune
delle tante espressioni di autonomia che la classe, pur fra evidenti limiti e
difficoltà, si sta dando nel suo quotidiano e feroce scontro con l’opprimente
logica del capitale. A questo cerchiamo di affiancare, quando possibile,
informazioni su come questa fase viene affrontata in altre parti d’Europa e del
mondo; situazioni molto diverse tra loro, sia dal punto di vista sociale che da
quello politico-organizzativo ma senz’altro accomunate dal tentativo di
contrastare a proprio modo gli attacchi dell’imperialismo.
Non siamo in grado di dare risposte, e questo lo abbiamo scritto più volte. Il
contributo che possiamo dare, e che troverete anche in questo numero, sono
spunti di riflessione ed approfondimenti che ci auguriamo possano servire a chi,
come noi, si sforza anche di questi tempi di restare proiettati in una
prospettiva di trasformazione.