SENZA CENSURA N.26

luglio 2008

 

Libano: una nuova cocente sconfitta dell’imperialismo

 

Riportiamo due contributi apparsi sul quotidiano della sinistra indipendentista basca: Gara, sulla situazione libanese precedente all’elezione del nuovo presidente del Libano.
Entrambe gli articoli si riferiscono al fallimento dell’attuale esecutivo di ridimensionare la resistenza popolare di Hezbollah, che ha nuovamente dimostrato il suo radicamento e la capacità di azione organizzando una mobilitazione che ha fatto fare marcia indietro al governo filo-occidentale di Siniora.
La capacità di controllo del territorio e l’avere evitato scontri frontali con l’esercito libanese, che ha assunto un ruolo molto defilato all’interno di uno scontro provocato da una forzatura del governo, sono stati i punti di forza della formazione di Hassan Nasrallah che non poteva accettare lo smantellamento della propria rete di comunicazione e la rimozione del responsabile dell’aereo-porto di Beirut.
Anche questa volta l’informazione “con l’elmetto” ha rappresentato questo ennesimo episodio della “crisi libanese” agitando lo spettro della “guerra civile” intra-confessionale che sarebbe stata fomentata dal Partito di Dio, senza mettere in evidenza come i provvedimenti governativi, se fossero stati applicati, avrebbero messo in discussione la sicurezza della popolazione, rendendola più esposta alla macchina da guerra dell’entità sionista e degli USA.
Si è trattato dell’ennesimo disastroso tentativo di Washingtown e Tel Aviv, con il concorso delle forze collaborazioniste locali, di ridimensionare l’ “opposizione” libanese uscita vincitrice dalla guerra del luglio-agosto del 2006 contro l’aggressione sionista, ma che subisce tuttora l’ingerenza di un esercito di occupazione nel Sud del Paese.
La vittoria del “movimento sciita” è una vittoria di tutti coloro che lottano contro la tendenza alla guerra dell’attuale sistema economico, perché ridimensiona le aspirazioni di Usa e “Israele” nel contesto medio-orientale.

 

Nuova crisi in medio oriente
Di Txente Rekondo, del “Gabinete de Análisis Internacional”, Paese Basco
[19 maggio 2008 - da www.gara.net]

I recenti scontri armati che sono accaduti per le strade di Beirut, Tripoli e altre zone libanesi hanno riportato in prima pagina la complessa realtà libanese e il difficile equilibrio di questo paese.

Gli incidenti degli ultimi giorni tra il governo filo-occidentale del Libano e Hezbollah hanno non solo mostrato la capacità politica e militare del movimento sciita, che n’è uscito vincitore, ma anche rafforzato la sua egemonia su buona parte della popolazione libanese.
Agli inizi di questa “penultima crisi”, dallo stesso paese assicuravano che la situazione era grave, ma che niente faceva presagire a un ritorno alla guerra civile del passato, visto che la congiuntura e il contesto attuale distavano molto da quella realtà. Di fronte agli stereotipi che abbondavano sulla stampa occidentale, gli esperti di quella situazione non si sbagliavano.
In questa occasione la causa scatenante della crisi è stata un errore di calcolo del governo filo-occidentale che, lasciatosi abbindolare dai consigli degli U.S.A. e dell’Arabia Saudita, ha sottovalutato la capacità di reazione di Hezbollah.
La tormenta politica che aleggiava nello scenario libanese minacciava di scatenarsi in qualsiasi momento. Le proteste degli ultimi tempi contro il governo, di cui è figura chiave Hariri, aumentarono qualche giorno fa con la convocazione allo sciopero da parte di alcuni sindacati che protestavano per l’aumento dei prezzi. Successivamente, e forse alla base degli scontri tra manifestanti ed Esercito libanese, Hariri e i suoi alleati speravano che questo abbandonasse la sua posizione neutrale e si decidesse a spalleggiare le politiche dell’Esecutivo contro Hezbollah.
Le scelte governative di chiudere la rete di comunicazione della resistenza libanese, chiave della sconfitta israeliana di qualche mese fa, e soprattutto la decisione di destituire il responsabile della sicurezza dell’aeroporto internazionale, significavano “varcare la linea rossa”.
Il leader sciita Hassan Nasrallah, denunciò questa manovra come una “dichiarazione di guerra”.
Era un tentativo di indebolire la capacità militare e politica di Hezbollah mentre si lasciava via libera allo sbarco nell’aeroporto di Beirut di agenti dei servizi segreti nord americani e israeliani e si convertiva il proprio aerodromo in una base della CIA o del Mossad. Non a caso, qualche tempo fa, le fonti sciite segnalavano i tentativi di infiltrare quegli agenti in Libano attraverso l’aeroporto.
I dirigenti del Governo e i suoi alleati non hanno tardato molto a rendersi conto del loro errore, per questo lo stesso Hariri ha provato a fare marcia indietro, segnalando che “è stato tutto dovuto ad una cattiva interpretazione delle sue azioni”.
È interessante anche il ruolo che gioca in questa crisi un camaleonte politico come il leader druso, Salid Jamblatt, che è passato dall’essere alleato di Hezbollah e Siria, a convertirsi in un duro critico di entrambi e un fedele appoggio per la politica statunitense. Il suo tono minaccioso è cambiato in poco tempo soprattutto dopo che le forze di Hezbollah avevano circondato la sua residenza a Beirut e cominciato ad estendere i combattimenti in zone druse.
Non bisogna scordare gli interessi che le varie componenti straniere hanno in questo paese e che condizionano in larga parte lo sviluppo degli eventi. Così Israele, USA e Arabia Saudita cercano di porre fine all’alternativa Hezbollah, mentre Iran e Siria muovono le proprie fiches in base ai loro calcoli.
In questa rete di movimenti e interessi può fare ingresso una nuova componente che gia in passato ha dato timide dimostrazioni di approfittare della situazione. Si tratta di organizzazioni dell’orbita ideologica di Al Qaeda sempre capace di approfittare di qualsiasi situazione di scontro per trarne propri benefici.
In questo senso, conviene fare attenzione ai tentativi dell’Arabia Saudita appoggiata dagli Stati Uniti, di creare milizie sunnite contrarie a Hezbollah, alcune delle quali hanno dovuto essere addestrate nella vicina Giordania.
Per il momento questi tentativi di formare un’alternativa armata al movimento sciita sono falliti, ma di questi errori potrebbero approfittare altre organizzazioni che, avendo ricevuto appoggio logistico ed economico, hanno sviluppato una loro agenda. Azioni del passato più recente in altri luoghi, e alcuni attentati degli ultimi mesi in Libano potrebbero portare la firma di questi gruppi.
Alcuni analisti e politici hanno voluto presentare questa crisi come un golpe di Hezbollah, mentre come ha ben precisato il dirigente dell’organizzazione Nasrallah “se avessimo voluto fare un colpo di Stato, i dirigenti di Governo ora sarebbero in prigione o sarebbero stati gettati in mare”.
Ciò di cui nessuno dubita è che tutto questo ha supposto una vittoria politica e militare di Hezbollah e inoltre c’è chi gli attribuisce un trionfo morale “per aver evitato una guerra civile”. In questo senso è stato fondamentale l’atteggiamento della milizia sciita di lasciare il controllo delle zone che avevano controllato all’esercito libanese, evitando di affondare maggiormente negli scontri sporadici che avrebbero potuto riprodursi.
Il movimento Hezbollah deve essere interpretato con una duplice lettura.
Da un lato davanti alla popolazione libanese, alla quale torna a mostrare la sua capacità e decisione nel difendere il paese, e dall’altro lato manda un segnale a quelle forze locali e straniere che vogliono sconfiggere il partito sciita e controllare il Libano secondo i propri interessi.
In questo complesso puzzle libanese sono molte le forze e gli interessi, e a quelli menzionati finora bisognerebbe aggiungere lo stesso Esercito libanese, che se fino ad ora ha saputo mantenere una stretta neutralità, potrebbe venir riportato da un qualsiasi tentativo per renderlo partecipe a questa lotta per il potere ai difficili momenti del passato, quando soffrì una rottura dalla quale costò molto riprendersi.
La situazione tra Teheràn e Riad, le minacce israeliane, le manovre di Washington, i movimenti di Damasco e la lotta tra l’attuale Governo e Hezbollah e i suoi alleati sono fattori da tenere in conto nel momento in cui si affronta il futuro libanese.
In questa penultima crisi il chiaro vincitore, ancora una volta, è stato Hezbollah, essendo stato capace di evitare che gli sforzi per indebolire la sua capacità politica e militare, e perfino la sua egemonia, ma soprattutto per minare la sua credibilità davanti a buona parte del popolo libanese, avessero successo. Ogni volta sono di più in Libano coloro che vedono il movimento sciita come l’unica possibilità per costruire un paese indipendente e sovrano, alieno alle manovre degli stati stranieri e dei suoi alleati locali.
L’epilogo a questa crisi è prossimo, le informazioni che scommettono su una marcia indietro dell’Esecutivo con le misure annunciate qualche giorno fa, e l’inizio delle negoziazioni sembrano suggerirlo. Tuttavia non è avventato affermare che la prossima crisi libanese è annunciata nonostante non si sia ancora prodotta e malgrado la penultima sia solo sul punto di chiudersi.

 

 

PENULTIMA CRISI LIBANESE
Di Dabid Lazkanoiturburu
[25 maggio 2008 - da www.gara.net]

Hezbollah vince una battaglia, ma in Libano si sviluppa un’intera guerra.
Per mano dei loro alleati a Beirut e nel mondo arabo, gli Stati Uniti e Israele cercheranno di trasformare la vittoria di Hezbollah con l’ultima battaglia in Libano nell’inizio della sua sconfitta nella guerra che si sviluppa già da decenni nello scenario libanese. Non avranno scrupoli a questo scopo nel cercare di intensificare artificiosamente la divisione fra le comunità sciita e sunnita del cosiddetto paese dei cedri.

L’organizzazione sciita Hezbollah è riuscita non solo a mantenere intatta la propria capacità militare ma anche a forzare il Governo filo-occidentale ad accettare un ritorno dell’opposizione alle istituzioni.
Però le spade continuano a essere sguainate. E gli Stati Uniti e Israele preparano nuove manovre.
Il Libano ha scongiurato, all’ultimo minuto e per un pelo, una crisi politico-militare che aveva richiamato i fantasmi di una nuova guerra civile in questo tormentato paese.
Dopo vari giorni di confronto armato che si risolsero con 65 morti, la mediazione del Qatar strappò un compromesso, gli accordi di Doha, che presuppongono un’incontestabile -e incontestata, a parte che per il destituito governo libanese- vittoria per l’organizzazione sciita Hezbollah, e, per estensione, per l’opposizione.
Questa, che raggruppa Hezbollah, gli anch’essi sciiti di Amal e l’FPM [Libero Movimento Patriottico, NdT] del generale cristiano Michel Aoun, tornerà alle istituzioni -che abbandonò alla fine del 2006- con 11 ministri e il potere di veto che gli Accordi di Taif del 1991, che portarono alla guerra civile, elevarono a uno status legale per garantire la governabilità del puzzle comunitario libanese.
Gli Accordi di Doha certificano che termina una volta per tutte il lungo vuoto presidenziale -si prevede che il generale cristiano Michel Suleimane sia eletto oggi in Parlamento-.
Succede molte volte che in un accordo è più importante ciò che non si dice.
Quello della capitale del Qatar non fa nessun riferimento al disarmo della milizia di Hezbollah.
L’organizzazione sciita aveva fatto scendere per le strade i suoi miliziani dopo che l’Esecutivo filo-occidentale di Fuad Siniora aveva approvato per decreto l’illegalizzazione della rete di comunicazione interna di Hezbollah e la destituzione del direttore generale della sicurezza dell’aeroporto di Beirut.
Entrambe le misure costituivano un brutto colpo nell’equilibrio di questa organizzazione della resistenza. Tanto che il suo leader, Hassan Nasrallah, decise di comparire pubblicamente per la prima volta dall’ultima aggressione israeliana contro il Libano, nell’estate del 2006. Lo sceicco ricordò che la rete interna via cavo è vitale. “Questa conferenza la dobbiamo alla nostra rete, se non fosse per questa, Israele ci avrebbe già individuato e bombardato”, insistette quello che attualmente è l’uomo più ricercato dal regime sionista. Nasrallah bollò come “dichiarazione di guerra” l’insieme di leggi contro questa rete e la destituzione del direttore dell’aeroporto, “un attacco all’esercito col quale cercano di trasformare l’aeroporto in una base della CIA, dell’FBI e del Mossad”.
Dopo che Hezbollah ebbe ottenuto in 48 ore il controllo di tutta la Beirut musulmana (inclusa quella sunnita), il Governo dovette far marcia indietro.
Ingenuità? Aveva calcolato male la reazione? Queste sono le domande che si fanno ora gli analisti. La risposta univoca non è mai facile in uno scenario tanto complesso. Ciò su cui ci sono pochi dubbi è che il Governo di Sinora -sostenuto da una coalizione sunnita, drusa e falangista cristiana intorno al cosiddetto Movimento del 14 marzo- aveva agito sotto pressione degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali e arabi, senza dimenticare Israele.
La crisi esplose alla vigilia dell’arrivo del presidente Bush nella regione e quando la coppia Stati Uniti-Israele aumentava le sue ostilità contro l’Iran.
Un’aggressione a questo paese, già di per sé temeraria, risulterebbe irrealizzabile con una retroguardia sciita come quella che rappresenta Hezbollah nella frontiera israeliana.
Disarmare Hezbollah sarebbe, inoltre, una vendetta per Israele, vincitore in tutte le guerre contro gli arabi se facciamo eccezione per due: la sua vergognosa ritirata dal Libano nel 2000 dopo una campagna sostenuta dalla resistenza di Hezbollah, e la sconfitta della sua operazione nel 2006 di fronte alla stessa milizia sciita.
Grazie al suo principale protettore -l’Arabia Saudita-, il leader del Movimento 14 marzo, il sunnita Saad Hariri, e i suoi alleati drusi e falangisti, starebbero così tentando di far progredire l’agenda statunitense-israeliana contro il mondo arabo.
Non bisogna dimenticare in questo scenario il ruolo della vecchia metropoli, lo Stato francese, con i suoi quasi 2000 soldati in Libano (sotto l’ombrello dell’ONU) e che ha virato nel suo tradizionale appoggio alla minoranza cristiana verso la dirigenza sunnita.
Washington e Parigi sono, quindi, gli sconfitti nell’ultima mossa di scacchi registrata in terra libanese. Ma non hanno rinunciato ai propri progetti.
L’opposizione non ha soddisfatto tutte le sue aspirazioni a Doha. Esigeva un sistema elettorale secondo il principio di una persona, un voto -in Libano non si sono realizzati censimenti dal 1932- e di estendere il diritto di voto ai maggiori di 18 anni. La spinosa questione è stata messa da parte e il Movimento 14 marzo ha ottenuto, al contrario, con l’adozione della legge elettorale del 1960, di preservare la sua base elettorale nell’ovest sunnita di Beirut.
Le elezioni legislative del prossimo anno si preannunciano quindi cruciali.
Tanto Hezbollah che il FPM di Aoun sperano di raddoppiare il proprio numero di seggi e di costituire una nuova maggioranza.
Non ci riusciranno facilmente. Insieme alla discriminazione elettorale, c’è un altro elemento nell’attuale posizione dell’Esecutivo filo-occidentale che permette di illustrare lo sfondo dell’ultima crisi.
Tutti i suoi portavoce, dal sunnita Hariri al druso Walid Jumblatt, hanno concordato nel qualificare la reazione di Hezbollah come un “colpo di stato”.
Bush stesso non ebbe scrupoli ad assicurare dal palco della Knesset (il Parlamento israeliano) che ciò che stava accadendo nelle strade di Beirut sarebbe stata la prova che Hezbollah costituiva un pericolo per il popolo libanese.
Gli analisti che dall’Occidente lodano le strategie di Washington si sono affrettati a cercar di minimizzare il trionfo di Hezbollah assicurando che avrebbe perso parte della sua credibilità a puntare le sue armi contro i libanesi, e pronosticano un irrigidimento tra le comunità sunnita e sciita del paese dei cedri. Analisi della realtà o desiderio convertito in assioma analitico?
La stampa araba paragona i successi in Libano negli ultimi mesi con quel che è successo nei territori occupati della Palestina. La sequenza è nota a Gaza. Hamas ottenne una vittoria travolgente nelle elezioni del 2006 e Washington rispose con l’assedio internazionale della Striscia. Constatato il suo fallimento, armò al-Fatah affinché sconfiggesse Hamas in una guerra civile. L’organizzazione islamista reagì espellendo al-Fatah, che la accusa di aver perpetrato un colpo di Stato.
Lo stesso colpo di Stato di cui il Governo filo-occidentale accusa Hezbollah. Ci troveremmo, quindi, davanti a un’operazione-esca per forzare Hezbollah ad agire e trattare dopo esser affondata nello scontro sunnita-sciita.
Destabilizzazione? Uno scenario nel quale gli USA si muovono come un pesce nell’acqua.
O per lo meno sopravvivono, come in Irak.



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